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S. Alfonso Maria de Liguori Novena del Santo Natale IntraText CT - Lettura del testo |
DISCORSO VII - Il Verbo Eterno da beato si fé tribolato.1
Et erunt oculi tui videntes praeceptorem tuum. (Is. XXX, 20).
Dice S. Giovanni: Omne quod est in mundo, concupiscentia carnis est, [et] concupiscentia oculorum, et superbia vitae (I Io. II, 16). Ecco i tre malvagi amori da cui venne ad esser dominato l'uomo dopo il peccato di Adamo: amor de' piaceri, amor delle ricchezze, amor degli onori, da' quali poi nasce la superbia umana. Il Verbo divino per insegnare a noi col suo esempio la mortificazione de' sensi, che vince l'amor de' piaceri, da beato si fé tribolato. Per insegnarci il distacco dai beni di questa terra, da ricco si fé povero. E finalmente per insegnarci l'umiltà che vince l'amor degli onori, da sublime si fece umile. Di questi tre punti parleremo in questi tre ultimi giorni della Novena. Parliamo oggi del primo.
Venne dunque il nostro Redentore ad insegnarci più coll'esempio della sua vita, che colle dottrine che predicò, l'amore alla mortificazione de' sensi; e perciò da beato ch'egli è ed e stato sempre ab eterno, si fece tribolato. Vediamolo; e cerchiamo luce a Gesù ed a Maria.
L'Apostolo, parlando della divina beatitudine, chiama Dio l'unico beato e potente: Beatus et solus potens (I Tim. VI, 15). E con ragione, perché ogni felicità che può godersi da noi sue creature, altro non è che una minima partecipazione della felicità infinita di Dio. I beati del cielo in quella trovano la loro beatitudine, cioè in entrare nel mare immenso della beatitudine di Dio: Intra in gaudium Domini tui (Matth. XXV, 21). Questo è il paradiso che il Signore dona all'anima, allorché ella entra al possesso del regno eterno.
Dio a principio creando l'uomo, non lo pose in terra a patire, ma posuit... in paradiso voluptatis (Gen. II 15). Lo pose in un luogo di delizie, acciocché di là poi passasse al cielo, dove godesse in eterno la gloria de' beati. Ma l'uomo infelice col peccato si rendé indegno del paradiso terrestre, e si chiuse le porte del celeste, condannandosi volontariamente alla morte ed alle miserie eterne. Ma il Figlio di Dio, per liberare l'uomo da tanta ruina, che fece? Di beato e felicissimo ch'egli era, volle diventare afflitto e tribolato. Potea già il nostro Redentore riscattarci dalle mani de' nostri nemici senza patire. Potea venire in terra e godersi la sua felicità, facendo una vita beata anche quaggiù, con quell'onore che a lui era dovuto, come Re e Signore del tutto. Bastava in quanto alla Redenzione, che avesse offerto a Dio una sola goccia di sangue, una lagrima sola, per redimere il mondo, ed infiniti mondi: Quaelibet passio Christi, dice l'Angelico, suffecisset ad Redemptionem propter infinitam dignitatem personae (Quodlib. II, a. 2).2 Ma no: Proposito sibi gaudio, sustinuit crucem (Hebr. XII, 2). Egli volle rinunziare a tutti gli onori e piaceri, e si elesse in questa terra una vita tutta piena di travagli e d'ignominie.
Bastava sì, dice S. Giovan Grisostomo, alla Redenzione dell'uomo qualunque opera del Verbo Incarnato; ma non bastava all'amore ch'egli portava all'uomo: Quod sufficiebat Redemptioni non sufficiebat amori.3 E poiché chi ama vuol vedersi
dersi amato, Gesù Cristo per vedersi amato dall'uomo, volle patire assai, e scegliersi una vita tutta di pene, per obbligare l'uomo ad amarlo assai. Rivelò il Signore a S. Margherita da Cortona, che in sua vita non provò mai una minima consolazione sensibile.4 Magna... velut mare contritio tua (Thren. II, 13). La vita di Gesù Cristo fu amara come il mare, ch'è tutto amaro e salso, e non ha goccia che sia dolce. E perciò con ragione Isaia chiamò Gesù Cristo Virum dolorum (Cap. LIII, [3]): l'uomo de' dolori, come se d'altro non avesse ad esser capace in questa terra, che di stenti e di dolori. Dice S. Tommaso che il Redentore non si caricò di semplici dolori, ma assumpsit dolorem in summo;5 viene a dire che voll'essere l'uomo più addolorato che mai fosse vivuto o avesse a vivere sulla terra.
Sì, perché quest'uomo nacque a posta per patire. Perciò assunse un corpo tutto atto al patire. Egli in entrare nell'utero di Maria, come ci avvisa l'Apostolo, disse al suo Eterno Padre: Ingrediens mundum dicit: Hostiam et oblationem noluisti, corpus autem aptasti mihi (Hebr. X, 5). Padre mio, voi avete rifiutati i sacrifici degli uomini, perché quelli non erano bastanti a soddisfare la vostra divina giustizia per le offese che vi han fatte: avete dato a me un corpo, com'io già ve l'ho richiesto, delicato, sensitivo, e tutto adattato al patire: questo corpo io volentieri l'accetto e ve l'offerisco, poiché con questo,
soffrendo tutti i dolori che mi accompagneranno nella mia vita, e finalmente mi daranno la morte sulla croce, così intendo placarvi verso il genere umano e così acquistarmi l'amore degli uomini.
Ed eccolo che appena entrato nel mondo dà principio al suo sacrificio e comincia a patire; ma d'altro modo che non patiscono gli uomini. Gli altri bambini, stando nell'utero delle loro madri, non patiscono, poiché stanno nel loro sito naturale; e se qualche poco patiscono, almeno non conoscono quel che patiscono, mentre son privi d'intendimento; ma Gesù bambino patisce per nove mesi l'oscurità di quella carcere, patisce la pena di non potersi muovere, e ben conosce quel che patisce. Perciò disse Geremia: Femina circumdabit virum (XXXI, 22). Predisse che una donna, quale fu Maria, dovea tenere involto tra le sue viscere, non già un bambino, ma un uomo: bambino si, in quanto all'età; ma uomo perfetto in quanto all'uso della ragione, poiché Gesù Cristo sin dal primo momento di sua vita fu ripieno di tutta la sapienza: In quo sunt omnes thesauri sapientiae et scientiae absconditi (Coloss. III, 3). Onde disse S. Bernardo: Vir erat Iesus necdum etiam natus, sed sapientia, non aetate (Hom. 2, sup. miss.).6 E S. Agostino: Erat ineffabiliter sapiens, sapienter infans (Serm. 27, de temp.).7
Esce poi dalla carcere dell'utero materno, ma a che? forse esce a godere? Esce a più patire, mentre si elegge di nascere nel cuore dell'inverno in una spelonca, la quale è stalla d'animali, di mezza notte; e nasce con tanta povertà, che non ha fuoco che lo riscaldi né panni bastanti che lo riparino dal freddo. Magna cathedra praesepium illud, dice S. Tommaso da Villanova.8 Oh come bene c'insegnò Gesù Cristo l'amore al
patire nella grotta di Betlemme! In praesepe, soggiunge il P. Salmerone, omnia sunt vilia visui, ingrata auditui, olfactui molesta, tactui dura et aspera.9 Nel presepio tutto dà pena: tutto dà pena alla vista, perché non si vede che pietre rozze e oscure: tutto dà pena all'udito, perché altro non si sente che voci d'animali quadrupedi: tutto dà pena all'odorato, per la puzza che vi è di letame: e tutto dà pena al tatto, perché la culla non è altro che una piccola mangiatoia, ed il letto non è composto che di sola paglia. Ecco questo Dio bambino come sta tra le fasce stretto, sì che non può muoversi: Patitur Deus, disse S. Zenone, pannis alligari, quod mundi venerat debita soluturus.10 E qui soggiunge S. Agostino: O felices panni, quibus peccatorum sordes extersimus (Serm. 9, de temp.).11 Eccolo come trema per lo freddo; come piange, per darci ad intendere che patisce, e presenta al Padre quelle prime sue lagrime per liberarci dal pianto eterno da noi meritato: Felices lacrimae, quibus nostrae obliterantur impietates, dice S. Tommaso da Villanova;12 o lagrime per noi beate, che ci ottengono il perdono de' nostri peccati!
E così sempre afflitta e tribolata seguitò ad esser la vita di Gesù Cristo. Tra poco, appena nato, è costretto a fuggire esule e ramingo in Egitto, per liberarsi dalle mani di Erode. Ivi in quel paese barbaro visse molti anni nella sua fanciullezza povero e sconosciuto. E poco dissimile fu poi la vita che fece ritornato dall'Egitto, abitando in Nazarette, sino finalmente a ricevere la morte per man di carnefici su d'una croce in un mare di dolori e di obbrobri. Ma inoltre bisogna qui intendere che i dolori che Gesù Cristo soffrì nella sua Passione, la flagellazione, la coronazione di spine, la crocifissione, l'agonia, la morte, e tutte l'altre pene ed ingiurie che patì nel fine,
tutte le patì dal principio della sua vita; perché fin dal principio gli fu sempre avanti gli occhi rappresentata la scena funesta di tutti i tormenti che dovea soffrire nel partirsi da questa terra, com'egli predisse per bocca di Davide: Dolor meus in conspectu meo semper (Ps. XXXVII, 18). Ai poveri infermi si nasconde il ferro o il fuoco con cui bisogna tormentarli per conseguire la loro sanità; ma Gesù non volle che gli si nascondessero gli strumenti della sua Passione, co' quali dovea finir la vita per ottenere a noi la vita eterna; ma volle tener sempre avanti gli occhi i flagelli, le spine, i chiodi, la croce, che doveano spremergli tutto il sangue delle vene, sino a farlo spirare abbandonato da ogni conforto per puro dolore. A Suor Maddalena Orsini che da molto tempo pativa una grave tribolazione, apparve un giorno Gesù in forma di Crocifisso, per così confortarla colla memoria della sua Passione, e l'animò a soffrir con pazienza quella croce. La serva di Dio gli disse: Ma Signore, voi solamente per tre ore foste sulla croce; ma io già son più anni che patisco questa pena. Ah ignorante, allora le rispose il Crocifisso, io sin dal primo punto che stetti nell'utero di Maria soffersi tutto quel che poi ebbi a patire nella mia morte.13 - Christus, dice il Novarino, crucem etiam in ventre matris menti impressam habuit, adeo ut vix natus principatum eius super humerum eius habere dicitur.14 Dunque, mio Redentore, io non ti troverò per tutta la tua vita in altro luogo, se non sulla croce: Domine, nusquam te inveniam, nisi in cruce, disse Drogone Ostiense.15 Sì, perché la croce dove morì Gesù Cristo
sempre gli fu innanzi alla sua mente a tormentarlo. Anche dormendo, dice il Bellarmino, il Cuore di Gesù era assistito dalla vista della croce: Crucem suam Christus semper ante oculos habuit. Quando dormiebat cor vigilabat, nec ab intuitu crucis vacuum erat.16
Ma quello che più rendé tribolata ed amara la vita del nostro Redentore, non furono tanto i dolori della sua Passione, quanto il vedersi innanzi i peccati, che dopo la sua morte avevano da commettere gli uomini. Questi furono quei crudeli carnefici che lo fecero vivere in una continua agonia, oppresso sempre da una sì terribil mestizia, che sarebbe bastata colla sua pena a farlo morire in ogni momento di puro dolore. Scrive il P. Lessio che la sola vista dell'ingratitudine degli uomini avrebbe bastato a far morire mille volte di dolore Gesù Cristo.17 I flagelli, la croce, la morte non furono già a lui oggetti odiosi, ma cari, e da lui stesso voluti e desiderati. Egli medesimo spontaneamente s'era offerto a soffrirli: Oblatus est quia ipse voluit (Is. LIII, [7]). Egli non diè la sua vita contro sua voglia, ma per propria elezione, come ci fé intendere per S. Giovanni: Animam meam pono pro ovibus meis (Io. X, 15). Anzi questo fu il suo maggior desiderio in tutta la sua vita, che presto giungesse il tempo della sua Passione, per vedere compita la Redenzione degli uomini; che perciò disse nella notte precedente alla sua morte: Desiderio desideravi hoc pascha manducare vobiscum (Luc. XXII, 15). E prima di giungere questo tempo par che si andasse consolando con dire: Baptismo... habeo baptizari, et quomodo coarctor usquedum perficiatur (Luc. XII, 50). Io debbo già esser battezzato col battesimo del
mio medesimo sangue, non già per lavare l'anima mia, ma le mie pecorelle dalle macchie de' loro peccati; e quanto mi sento struggere per lo desiderio che giunga presto l'ora di vedermi esangue e morto sulla croce! Dice S. Ambrogio che il Redentore non era amitto già dal timore della sua morte, ma dalla dimora del nostro riscatto: Non ex metu mortis suae, sed ex mora redemptionis nostrae.18
Contempla S. Zenone in un sermone che fa della Passione, che Gesù Cristo si elesse il mestiere di legnaiuolo in questa terra, come già per tale fu conosciuto e chiamato: Nonne hic est faber et filius fabri? (Marc. VI, 3);19 perché i legnaiuoli tengono sempre fra le mani legni e chiodi; e Gesù esercitando quest'arte, par che si dilettasse di tali cose, perché meglio gli rappresentavano i chiodi e la croce, in cui voleva morire: Dei filius illis delectabatur operibus, quibus lignorum segmentis et clavis sibi saepe futurae crucis imago praeformabatur (S. Zeno, Serm. de laud. Pass.).20 Sicché ripigliamo il punto non fu tanto la memoria di sua Passione che afflisse il cuore del nostro Redentore, quanto l'ingratitudine con cui gli uomini doveano pagare il suo amore. Questa ingratitudine lo fé piangere nella stalla di Betlemme: questa gli fé sudar vivo sangue con agonia di morte nell'orto di Getsemani: questa gli recò tanta mestizia che giunse a dire ch'ella sola bastava a dargli morte: Tristis est anima mea usque ad mortem:21 e questa ingratitudine finalmente fu quella che lo fece morire desolato e abbandonato da ogni consolazione sulla croce; poiché dice il P. Suarez che Gesù Cristo più principalmente volle soddisfare per la pena del danno dovuta all'uomo, che per la pena del senso: Principalius Christus satisfecit pro poena damni, quam sensus.22 E perciò
furono assai più grandi le pene interne dell'anima del Signore, che tutte l'altre dei corpo.
Dunque ancora noi coi nostri peccati ebbimo23 parte a rendere così amara e tribolata tutta la vita del nostro Salvatore. Ma ringraziamo la sua bontà che ci dà tempo di rimediare al male fatto.- Come abbiam da rimediare? Con soffrire con pazienza le pene e le croci ch'egli ora ci manda per nostro bene. E per soffrire con pazienza queste pene, esso medesimo ci dà il modo: Pone me ut signaculum super cor tuum (Cant. VIII, 6). Metti sopra il tuo cuore l'immagine di me crocifisso; viene a dire, considera il mio esempio, i miei dolori che ho sofferti per te, e così soffrirai tutte le croci con pace.- Dice S. Agostino che questo medico celeste volle esso infermarsi per sanare noi infermi colla sua infermità: Mirabile genus medicinae. Medicus voluit aegrotare, et aegrotos sua infirmitate sanare (Serm. 19, de Sanct.).24 Secondo quel che già disse Isaia (Cap. LIII, [5]): Livore eius sanati sumus. All'anime nostre inferme per causa del peccato, era unicamente necessaria questa medicina del patire; e Gesù Cristo prima la volle esso bere, acciocché non ripugnassimo di prenderla noi che siamo i veri infermi: Prior bibit medicus, ut bibere non dubitaret aegrotus (S. Aug., serm. 18., de Verb. Dom.).25 Posto ciò, dice S. Epifanio che noi per farci conoscere veri seguaci di Gesù Cristo dobbiamo ringraziarlo quando ci manda croci: Christianorum propria virtus est, etiam in adversis referre gratias.26 E con ragione, perché trattandoci così, egli ci fa simili a lui. Soggiunge S. Giovan Grisostomo una cosa di gran consolazione: dice che quando noi ringraziamo Dio de' benefici, allora gli rendiamo ciò che gli dobbiamo, ma quando sopportiamo qualche
pena per amor suo con pazienza, allora in certo modo Dio resta a noi debitore: In bonis gratias agens, reddidisti debitum; in malis, Deum reddidisti debitorem.27 - Se vuoi rendere amore a Gesù Cristo, impara da lui, dice S. Bernardo, come dei amarlo: Disce a Christo, quemadmodum diligas Christum (Serm. 20, in Cant.).28 Contentati di patire qualche cosa per quel Dio che tanto ha patito per te. Il desiderio di dar gusto a Gesù Cristo e di fargli conoscere l'amore che gli si porta era quello che rendeva avidi e sitibondi i santi, non di onori o piaceri, ma di pene e disprezzi. Ciò faceva dire all'Apostolo: Mihi... absit gloriari, nisi in cruce Domini nostri Iesu Christi (Gal. VI, 14). Fatto egli felice compagno del suo Dio crocifisso, non ambiva altra gloria che di vedersi in croce. Ciò facea dire anche a S. Teresa: O morire, o patire;29 come dicesse: Sposo mio, se vuoi tirarmi a te colla morte, eccomi, son pronta a venire, e te ne ringrazio; ma se vuoi lasciarmi per altro tempo in questa terra, io non mi fido30 di starvi senza patire: O morire, o patire. Ciò faceva avanzarsi a dire S. Maria Maddalena de' Pazzi: Patire e non morire;31 come dicesse: Gesù mio,
desidero il paradiso per meglio amarti, ma più desidero il patire, per compensare in parte l'amore che voi mi avete dimostrato in patire tanto per me.32 E la Ven. Suor Maria Crocifissa di Sicilia era sì innamorata del patire, che giungeva a dire: È bello sì il paradiso, ma vi manca una cosa, perché vi manca il patire.33 Ciò indusse ancora S. Giovanni della Croce, allorché gli apparve Gesù colla croce in ispalla e gli disse: “ Giovanni, cercami quel che vuoi-”; l'indusse, dico, a non cercare altro che patimenti e disprezzi: Domine, pati et contemni pro te.34
Noi, se non abbiamo lo spirito di desiderare e cercare il patire, almeno procuriamo di accettar con pazienza quelle tribolazioni che Dio ci manda per nostro bene: Ubi patientia, ibi Deus, dice Tertulliano.35 Dove sta Dio? Datemi un'anima che patisca con rassegnazione, ed in questa certamente vi è Dio: Iuxta est Dominus iis qui tribulato sunt corde (Ps. XXXIII, 19). Si compiace il Signore di starsene vicino a' tribolati. Ma a quali tribolati? S'intende a coloro che patiscono con pace, rassegnati nella divina volontà. A costoro fa provare Dio la vera pace,
la quale tutta consiste, come dice S. Leone, in unire la nostra volontà a quella di Dio: Christiana vera pax est a Dei voluntate non dividi.36 La divina volontà, ci avvisa S. Bonaventura, è come il mele che rende dolci ed amabili anche le cose amare.37 La ragione si è, perché chi ottiene tutto quel che vuole, non ha altro che desiderare: Beatus est qui habet omnia quae vult, dice S. Agostino.38 E perciò chi non vuol altro se non ciò che vuole Dio, sempre sta contento; giacché, avvenendo sempre quel che vuole Dio, l'anima sempre ottiene quel che vuole.
E quando Dio ci manda croci, non solo rassegniamoci, ma ringraziamolo, mentre è segno che ci vuol perdonare i peccati e salvarci dall'inferno meritato. Chi ha offeso Dio dev'esser castigato; e perciò dobbiamo sempre pregarlo che ci castighi in questa, e non già nell'altra vita. Povero quel peccatore che in questa vita non si vede punito, ma prosperato! Dio ci guardi da quella misericordia della quale parla Isaia: Misereamur impio (XXVI, 10).39 Misericordiam hanc nolo, dice S. Bernardo, super omnem iram miseratio ista.40 Signore, pregava il santo, io non voglio questa misericordia, la quale è più terribile d'ogni castigo. Quando Dio non punisce il peccatore in questa vita, è segno che aspetta a punirlo nell'eternità, dove il castigo non avrà più fine. Dice S. Lorenzo Giustiniani: De pretio erogato Redemptoris tui agnosce munus, tuaeque praevaricationis pondus (De triumph. carit., cap. 10).41 Vedendo un Dio morto in croce, dobbiamo considerare il gran dono che ci ha fatto del suo sangue, per redimerci dall'inferno; e riconoscere insieme la
malizia del peccato che ha ridotto un Dio a morire per ottenerci il perdono. Nihil ita me deterret, sicut videre Filium tuum propter peccatum crudelissima morte mulctatum, dicea Drogone (De Passione):42 O Dio eterno, niente più mi spaventa, che vedere il tuo Figlio punito con una morte così spietata per causa del peccato.
Consoliamoci dunque, allorché dopo i peccati ci vediamo afflitti da Dio in questo mondo, perché è segno allora che vuol usarci misericordia nell'altro. Il solo pensiero di aver disgustato un Dio così buono, se l'amiamo, deve più consolarci nel vederci afflitti e castigati, che se ci vedessimo prosperati e colmi di consolazioni in questa vita. Dice S. Giovan Grisostomo: Maior consolatio erit ei qui punitur si amet Dominum, postquam exacerbavit tam misericordem, quam qui non punitur. A chi ama, siegue a dire il santo, dà più pena il pensare d'aver data amarezza all'amato, che lo stesso castigo del suo delitto.43 Consoliamoci dunque nel patire; e se questi pensieri non bastano a consolarci, andiamo a Gesù Cristo, ch'egli ci consolerà, come ha promesso a tutti: Venite ad me, omnes qui laboratis et onerati estis, et ego reficiam vos (Matth. XI, 28). Quando ricorriamo al Signore, o egli ci libererà da quella tribolazione, o ci darà forza di sopportarla con pazienza. E questa è grazia maggior della prima; poiché le tribolazioni sofferte con rassegnazione, oltre di farci soddisfare in questa vita i nostri debiti, di più ci fan meritare gloria maggiore ed eterna in paradiso.- Andiamo ancora, quando ci troviamo afflitti e desolati,
a trovar Maria che si chiama la Madre della misericordia, la causa della nostra allegrezza, e la consolatrice degli afflitti. Andiamo a questa buona Signora, la quale come dice Lanspergio non permette che alcuno si parta mesto da' piedi suoi, e non consolato: Omnibus pietatis sinum apertum tenet, neminem a se tristem redire sinit.44 Dice S. Bonaventura, ch'ella ha per officio di compatire gli afflitti: Tibi officium miserendi commissum.45 Onde soggiunge Riccardo di S. Lorenzo che chi l'invoca, sempre la troverà apparecchiata ad aiutarlo: Inveniet semper paratam auxiliari.46 E chi mai ha cercato il suo aiuto ed è restato abbandonato? Quis umquam, o beata, tuam rogavit opem et fuit derelictus (B. Eutich., in Vita S. Theoph.).47