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S. Alfonso Maria de Liguori
Opera dogmatica...eretici pretesi riformati

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§. 7. Si stabilisce la nostra sentenza, che per adempire i precetti è necessaria la grazia efficace ab intrinseco, ma questa grazia si ottiene colla grazia sufficiente della preghiera.

141. Il p. Gianlorenzo Berti non nega né può negare che colla preghiera si ottiene la grazia efficace, ma dice che per pregare vi è necessaria un'altra grazia efficace: ed in tal modo ecco che ritorna la stessa difficoltà da noi esposta di sovra, cioè che colui al quale manca la grazia efficace di adempire il precetto, se gli mancasse anche la grazia efficace di pregare, non potrebbe esser condannato se non adempie i precetti, giacché gli manca la forza ed ogni mezzo per adempirli.

La nostra sentenza è questa dunque: che per operare il bene e adempire i precetti non basta la grazia sufficiente, che non altro aiuto che a fare cose facili, ma vi bisogna la grazia efficace ab intrinseco la quale determini la volontà umana ad operare il bene, siccome provammo di sovra nel §. 2. n. 115., nella risposta alla sentenza di Molina. Diciamo ancora che questa grazia efficace per lo più opera e fa operare per la dilettazione vittrice, ma alle volte ci determina ad operare anche per altri motivi, come di speranza, di timore ecc., secondo insegna s. Agostino, dicendo che Iddio efficacemente tira gli uomini a sé con innumerabil ed ammirabili modi. Diciamo nondimeno che la grazia sufficiente a ciascuno l'attività di pregare se vuole (la quale attività va numerata tra le cose facili), e ciascuno colla preghiera ottiene la grazia efficace. Queste medesime cose le abbiamo già distesamente scritte nel libro della preghiera; qui solo le restringiamo e succintamente le riferiamo.

142. È certo che Iddio vuol salvi tutti, come dice s. Paolo: Qui omnes homines vult salvos fieri, et ad agnitionem veritatis venire2 . E s. Pietro: Nolens aliquos perire, sed omnes ad poenitentiam reverti3 . E si lamenta Iddio di coloro che vogliono dannarsi, dicendo: Quare moriemini, domus Israel?.... revertimini


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et vivite1 . Volendo dunque il Signore tutti salvi, a tutti le grazie necessarie per conseguir la salute. E per tanto diciamo che, se a tutti non la grazia efficace, almeno dona a ciascuno la grazia sufficiente in potere attualmente pregare, senza bisogno d'altra grazia, e col pregare di ottener poi la grazia efficace per adempire la legge e salvarsi. Questa nostra sentenza è difesa dal cardinal de Noris, da Isamberto, da Petavio, dal Tomassino, dal cardinal Du Perron, da Alfonso le Moine e da più altri che appresso riferiremo, ma più distesamente di proposito è sostenuta da Onorato Tournely2 .

143. Il cardinal de Noris3 , prova di proposito che ogni uomo nello stato presente ha l'aiuto sine quo, cioè la grazia sufficiente o sia ordinaria, la quale senza bisogno di altro aiuto produce la preghiera, con cui si ottiene poi la grazia efficace ad osservare i precetti: Etiam in statu naturae lapsae datur adiutorium sine quo, secus ac Iansenius contendit: quod quidem adiutorium efficit in nobis actus debiles, nempe orationes minus fervidas pro adimplendis mandatis; in ordine ad quorum executionem adiutorium sine quo est tantum auxilium remotum, impetratorium tamen auxilii quo, sive gratiae efficacis, qua mandata implentur. E soggiunge che se coll'orazione tepida non si giunge ad ottener la grazia efficace, almeno si ottiene l'orazione più fervorosa e con questa si ottiene poi l'efficace: Colligo ipsammet tepidam orationem fieri a nobis cum adiutorio sine quo non, ac ordinario concursu Dei, cum sint actus debiles etc.; et tamen tepida oratione impetramus spiritum ferventioris orationis, qui nobis adiutorio quo donatur. E ciò lo conferma coll'autorità di s. Agostino, che sul salmo 17 scrisse: Ego libera et valida intentione preces ad te direxi, quoniam, ut hanc habere possem, exaudisti me infirmius orantem.

144. Dice inoltre il lodato autore nello stesso luogo che ognuno ha la potenza prossima a pregare per indi impetrar colla preghiera la prossima potenza a far il bene; e perciò tutti posson pregare colla sola grazia ordinaria senza altro aiuto. Altrimenti, dice il dottissimo cardinale, se per avere la potenza prossima all'atto di pregare vi bisognasse altra potenza ad impetrare almeno l'orazione più fervorosa, per questa vi bisognerebbe altra grazia di potenza, e così vi sarebbe un processo infinito: Manifestum est potentiam ad orandum debere esse proximam in iusto sive fideli: nam si fidelis sit in potentia remota ad simpliciter orandum (non enim hic loquor de fervida oratione), non habebit aliam potentiam pro impetranda oratione, alias procederetur in infinitum.

145. L'eruditissimo Dionisio Petavio dimanda perché Iddio c'impone precetti che noi non possiamo osservare colla grazia comune ed ordinaria? Perché (rispondo con

Du-Vallio ed altri teologi) vuole il Signore che noi ricorriamo a lui coll'orazione, come parlano comunemente i santi padri. Quindi inferisco il dover noi tenere per certo che ognuno ha la grazia spedita ad attualmente pregare, e colla preghiera ad impetrare l'aiuto maggiore a far quel che non possiamo colla grazia ordinaria; altrimenti Iddio ci avrebbe imposto una legge impossibile: la ragione è chiara.

146. A questa si aggiunge un'altra fortissima ragione, che se Dio comanda a tutti l'attuale osservanza de' precetti, dee certamente supporsi che anche doni comunemente a tutti la grazia necessaria per l'attuale osservanza di quelli, almeno mediatamente per mezzo della preghiera. Acciocché dunque la legge sia ragionevole e sia giusto il rimprovero e il castigo a chi non l'osserva, bisogna che ciascuno abbia la sufficiente potenza almeno mediata per mezzo dell'orazione, a soddisfare attualmente pregare senza bisogno di altro aiuto non comune a tutti; altrimenti, mancandogli la potenza spedita ad attualmente orare, non può dirsi che ognuno abbia da Dio la grazia sufficiente a poter attualmente osservare la legge. Quindi Petavio4 , diffusamente prova che colla sola grazia sufficiente, senza altro aiuto, ben opera l'uomo: e giunge ad asserire che il dire il contrario monstruorum esset e che questa dottrina non è solo de' teologi ma è della chiesa. Onde conclude che la grazia di osservare attualmente i precetti siegue all'orazione, e che questo dono dell'orazione Iddio lo nello stesso tempo che impone i precetti: Donum istud, quo Deus dat ut iusta faciamus effectum orationis subsequitur; et talis effectum orationis subsequitur; et talis effectus legi comes datur. Sicché, siccome a tutti è imposta la legge, così a tutti è dato il dono di pregare se vogliono.

147. Così anche tiene Lodovico


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Tomassino1 . Egli per prima si meraviglia di colori i quali vogliono che la grazia sufficiente non basta sola a fare in effetto qualunque opera buona, benché picciola. Indi conclude che per accordare che la grazia sufficiente basti all'uomo per salvarsi e che all'incontro gli sia necessaria la grazia efficace per osservare tutta la legge, bisogna dire che la grazia sufficiente basta a pregare attualmente ed a fare simili atti facili, per mezzo de' quali si ottiene poi l'efficace per adempire i difficili; secondo la dottrina di s. Agostino, che insegna: Eo ipso quo firmissime creditur Deum impossibilia non praecipere, hinc admonemur et in facilibus quid agamus, et in difficilibus quid petamus2 . Sul quale testo il cardinal de Noris dice: Igitur opera facilia, sed minus perfecta, facere possumus absque eo quod magis auxilium a Deo postulemus; quod tamen in difficilioribus petendum est. Il Tomassino a questo proposito riferisce anche le autorità di s. Bonaventura, di Scoto e di altri e poi dice: Omnibus ea placuere sufficientia auxilia, vere sufficientia, quibus asseritur quandoque voluntas, quandoque non.

148. Lo stesso tiene Habert vescovo vabrense e dottore della Sorbona, che fu il primo a scrivere contro Giansenio. Egli dice così: Censemus primo quod immediate cum ipso effectu consensus completi sufficiens (gratia) non habet habitudinem nisi contingenter vel mediate. Arbitramur proinde gratiam sufficientem esse gratiam dispositionis ad efficacem, utpote ex cuius bono usu Deus postea gratiam completi effectus effectivam creatae voluntati concedat3 . E cita per questa dottrina Gammacheo, Du-Vallio, Isamberto, Perezio,

Le-Moine ed altri. E nello stesso capo 15, al n. 3. dice: Auxilia igitur gratiae sufficientis sunt dispositiva ad efficacem, et efficacia secundum quid, effectus videlicet incompleti impetrantis primo remote, propius ac tandem proxime, qualis est actus fidei, spei, timoris atque, inter haec omnia, orationis. Unde celeberrimus Alphonsus Lemoinus gratiam illam sufficientem docuit esse gratiam petendi seu orationis, de qua toties b. Augustinus. Sicché, secondo questo dotto autore Habert, la grazia efficace va unita coll'effetto compito, ma la sufficiente ha il suo effetto vel contingenter, cioè perché alle volte ottiene, alle volte no, vel mediate, cioè per mezzo della preghiera. Di più dice che la grazia sufficiente, secondo il buon uso che se ne fa, dispone ad ottener l'efficace; onde egli chiama la sufficiente efficace secundum quid, secondo l'effetto incominciato, ma non compito. Per ultimo dice che la grazia sufficiente è la grazia di pregare, della quale secondo s. Agostino sta a noi il valercene. Sicché l'uomo non ha scusa, se non adempisce quello al cui adempimento ha già la grazia sufficiente, colla quale, senz'altro aiuto, egli o adempisce o almeno ottiene l'aiuto maggiore ad adempirlo. Questo discorso di Habert è tutto aggiustato; ed egli asserisce che una tal dottrina era già comune nella Sorbona.

149. La stessa dottrina tiene l'autore della teologia ad uso del seminario petrocorese4 . Dice che colla sola grazia sufficiente aliquis potest bene agere et aliquando agit; in modo che, aggiunge, nihil vetat ut ex duobus aequali auxilio praeventis faciliores actus, plenam conversionem praecedentes, saepissime unus faciat, alius non. Quindi soggiunge: Sic quosdam pietatis actus, nempe humiliter Deum deprecari, cum solo auxilio sufficienti facere (homo) potest et aliquando facit, quibus se ad ulteriores gratias praeparat; dicendo che questo è l'ordine della divina providenza circa le grazie ut priorum bono usui posteriores succedant. E conclude che la piena conversione ed anche la perseveranza finale infallibiliter (homines) promerentur oratione, pro qua sufficiens gratia, quae nulli non praesto est, plenissime sufficit.

150. Lo stesso tiene Carlo du-Plessis d'Argentrè, teologo ancora sorbonico5 , e riferisce sovra mille teologi, i quali di proposito insegnano che colla grazia sufficiente senza altro aiuto ben si fanno le opere facili, e che, operando l'uomo colla sufficiente, impetra poi l'aiuto più abbondante per la sua perfetta conversione. Ed in tal senso appunto dice doversi intendere quel celebre assioma accettato dalle scuole, che facientibus quod in se est (s'intende sempre viribus gratiae, cioè della grazia sufficiente) Deus non denegat gratiam, cioè la più abbondante e l'efficace.

151. Lo stesso tiene il cardinal d'Aguirre6 : e il p. Antonio Boucat7 , difende fortemente che ognuno può coll'orazione senza nuovo aiuto ottener la grazia


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della conversione; e cita per questa sentenza (oltre Gammacheo, Du-Vallio, Habert, Le-Moine) Pietro di Tarantasia vescovo tullese, Goderto de' Fonti, Errico da Gand, dottori sorbonici, col signor Ligni professore regio, il quale nel suo trattato de gratia dimostra che la grazia sufficiente il pregare ed il fare alcune opere meno difficili. Lo stesso scrisse Gaudenzio Buontempi1 , dimostrando che colla grazia sufficiente si ottiene l'efficace per mezzo della preghiera, la quale si a tutti che vogliono valersene. Lo stesso scrive il dotto p. Fortunato da Brescia2 , tenendo che tutti hanno la grazia mediata dell'orazione ad osservare i precetti; ed ha per indubitato che lo stesso ha tenuto s. Agostino. Lo stesso scrisse Riccardo di s. Vittore3 , dicendo esservi la grazia comune sufficiente, a cui l'uomo talvolta acconsente ed altre volte resiste. Mattia Felicio, che scrisse contra Calvino, definisce la grazia ordinaria o sia sufficiente così: Est motio divina qua movetur homo ad bonum, nec alicui denegatur. Alii illi acquiescunt sicque ad gratiam habitualem disponuntur, alii repugnant. Andrea Vega dice similmente: Haec autem auxilia, quae omnibus dantur, a plerisque inefficacia vocantur, quia non semper habent suum effectum, sed aliquando a peccatoribus frustrantur.

152. Il cardinal Gotti in un luogo della sua teologia par che da noi non discordi: poiché, facendosi ivi l'opposizione come l'uomo possa perseverare se vuole quando non è in suo potere aver l'aiuto speciale a perseverare, risponde che sebbene tale aiuto speciale non è in suo potere, in potestate tamen hominis dicitur esse quod ipse per Dei gratiam potest ab eo petere ac obtinere; et hoc modo in hominis potestate dici potest esse ut habeat auxilium ad perseverandum necessarium, illud impetrando orationibus. Onde, per verificarsi che sia in potestà dell'uomo il perseverare, siccome è necessario che possa coll'orazione impetrar l'aiuto ad attualmente perseverare, senza bisogno di altra grazia, così anche è necessario che colla sola grazia sufficiente a tutti comune, senza bisogno di altra grazia, possa egli attualmente pregare e colla preghiera ottener la perseveranza; altrimenti non può dirsi che ciascuno abbia la grazia necessaria a perseverare, almeno rimota e mediata per mezzo della preghiera. E così l'intende anche s. Francesco di Sales, dicendo nel suo Teotimo4 che la grazia di attualmente pregare è data ad ognuno che vuole valersene; e da ciò deduce essere in potere di ognuno il perseverare. Ivi, dopo aver dimostrato esser necessario il continuamente pregare per ottenere da Dio il dono della perseveranza finale, soggiunge: “Or, perché il dono dell'orazione è liberamente promesso a tutti coloro che vogliono consentire alle celesti ispirazioni, per conseguenza è in nostro potere il perseverare.” Lo stesso insegna il cardinal Bellarmino, dicendo: Auxilium sufficiens ad salutem pro loco et tempore, mediate vel immediate omnibus datur etc. Dicimus mediate vel immediate; quoniam iis qui usu rationis utuntur, immitti credimus a Deo sanctas inspirationes, ac per hoc immediate illas habere gratiam excitantem, cui si acquiescere velint, possint ad iustificationem disponi et ad salutem aliquando pertingere5 . Scrive s. Tomaso su quel testo dell'apostolo6 : Fidelis Deus, qui non patietur vos tentari supra id quod potestis, che Dio non sarebbe fedele, se non ci concedesse (in quanto a sé spetta) quelle grazie per mezzo delle quali possiamo conseguir la salute: Non autem videretur esse fidelis, si nobis denegaret, in quantum in ipso est, ea per quae pervenire ad eum possemus7 . Inoltre nelle divine scritture Iddio in mille luoghi ci ammonisce a convertirci ed a ricorrere a lui colle preghiere, colla promessa di esaudirci se noi ricorriamo: Convertimini ad me, et ego convertar ad vos... Convertimini ad correptionem meam, et proferam vobis spiritum meum8 . Revertimini et vivite9 . Venite ad me omnes qui laboratis et onerati estis, et ego reficiam vos10 . Petite et dabitur vobis11 . Dice il cardinal Bellarmino12 che queste esortazioni, convertimini, revertimini, venite, petite, sarebbero affatto vane ed irrisorie, se Dio non desse ad ognuno almeno la grazia spedita di attualmente pregarlo se vuole.

153. Ma se non fosse così, come avrebbe potuto il concilio di Trento13 , riprovando gli eretici che voleano esser impossibile l'osservanza de' precetti, insegnarci a dire: Deus impossibilia non iubet, sed iubendo monet et facere quod possis et petere quod non possis, et adiuvat


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ut possis? Posta questa dottrina, io non so come possa dirsi da alcuno che per attualmente pregare non basta la grazia comune a tutti, ma vi bisogna la grazia efficace che ci doni il pregare attualmente. Dice saggiamente il p. Fortunato da Brescia che, se a tutti non fosse data la grazia attuale di pregare, ma vi bisognasse l'efficace, a tutti non comune, il pregare si potrebbe dire in certo senso impossibile a' molti, a' quali mancherebbe questa grazia efficace, necessaria per pregare. Onde malamente avrebbe detto il concilio che Dio monet petere quod non possis, perché ammonirebbe a cercare, viene a dire a fare una cosa all'adempimento della quale manca l'aiuto attuale, senza cui non può adempirsi: sicché la divina monizione a pregare dee intendersi del pregare in atto, senza bisogno di altra grazia non comune a tutti. Siccome il Signore ammonisce l'uomo a fare attualmente quel che già può fare senza nuova grazia, monet et facere quod possis; così ammonisce parimente ad attualmente pregare senza nuova grazia, colla grazia comune, la quale Iddio concede a tutti; il che si spiega con quelle ultime parole: et adiuvat ut possis. E ciò appunto volle darci ad intendere s. Agostino, scrivendo le parole mentovate di sopra: Eo ipso quo firmissime creditur Deum impossibilia non praecipere, hinc admonemur et in facilibus quid agamus et in difficilibus quid petamus1 . Dove dimostra che, se tutti non hanno la grazia di far le cose difficili, tutti almeno hanno la grazia di pregare. Restringiamo l'argomento. Dice il concilio che Dio non impone precetti impossibili, perché o l'aiuto per osservarli o la grazia di pregare per ottener questo aiuto, ed egli ci aiuta a fare o l'uno o l'altro. Or, se mai fosse vero che non a tutti il Signore la grazia, almeno mediata attuale, della preghiera per osservare in effetto tutti i precetti, sarebbe quel che dicea Giansenio, cioè che per alcuni precetti anche all'uomo giusto manca la grazia per osservarli in atto.

154. Si aggiunge che la nostra sentenza vien confermata dai santi padri. S. Basilio2 dice: Uti tamen quis permissus est in tentationem incidere, eventum, ut sufferre possit et voluntatem Dei per orationem petere. Dice dunque il santo che quando alcuno è tentato, Iddio lo permette affinché egli resista, cercando di far la divina volontà per mezzo dell'orazione. Dunque suppone che dove l'uomo non ha l'aiuto bastante a vincer la tentazione, almeno ha l'aiuto comune della preghiera per ottener la grazia maggiore che vi bisogna. S. Gio. Grisostomo3 scrive: Nec quisquam poterit excusari qui hostem vincere noluit, dum orare cessavit. Se taluno non avesse la grazia attuale di pregare per ottenere l'aiuto efficace a resistere, ben potrebbe scusarsi, se resta vinto. Lo stesso scrive s. Bernardo4 : Qui sumus nos? aut quae fortitudo nostra? hoc quaerebat Deus, ut, videntes defectum nostrum et quod non esset auxilium aliud, ad eius misericordiam tota humilitate curramus. Dunque Iddio a questo fine ci ha imposta una legge impossibile secondo le nostre forze, acciocché ricorriamo a lui e colla preghiera otteniamo la forza di osservarla; ma se a taluno fosse negata la grazia di attualmente pregare, a costui si renderebbe affatto impossibile la legge. Ma no, soggiunge s. Bern. Multi queruntur deesse sibi gratiam, sed multo iustius gratia quereretur deesse sibi multos. Ha più ragione il Signore di lagnarsi di noi perché manchiamo alla grazia con cui ci assiste, che noi di lagnarci che ci manchi la grazia. Ma niun padre questa dottrina l'ha spiegata più chiara che s. Agostino in tanti luoghi. In un luogo dice: Ideo iubet (Deus) aliqua quae non possumus, ut noverimus quid ab illo petere debeamus5 . In altro luogo dice: Ista tua propria peccata sunt; nulli enim homini ablatum est scire utiliter quaerere6 . In altro luogo: Quid ergo aliud ostenditur nobis, nisi quia et petere et quaerere et pulsare ille concedit qui ut haec faciamus iubet7 ? In altro luogo: Semel accipe et intellige nondum traheris? ora ut traharis8 . In altro luogo: Homo qui voluerit et non potuerit, oret ut habeat tantam (voluntatem) quanta sufficit ad adimplenda mandata; sic quippe adiuvatur ut faciat quod iubetur9 . Tutti questi luoghi non han bisogno di spiegazione. In altro luogo dice: Praecepto admonitum est liberum arbitrium ut quaereret Dei donum; at quidem sine suo fructu admoneretur, nisi prius acciperet aliquid dilectionis, ut addi sibi quaereret, unde quod iubeatur impleret10 . Si noti: aliquid dilectionis; ecco la grazia sufficiente


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per cui l'uomo può poi pregando impetrare la grazia attuale di adempire il precetto. In altro luogo: Iubet ideo ut, facere iussa conati et nostra infirmitate fatigati, adiutorium gratiae petere noverimus1 . Con ciò suppone il santo che noi colla grazia ordinaria non possiamo già adempire i precetti, ma ben possiamo colla preghiera ottener l'aiuto ad adempirli. In altro luogo dice: Hoc restat in ista mortali vita, non ut impleat homo iustitiam cum voluerit, sed ut se supplici pietate convertat ad eum cuius dono eam possit implere2 . Dicendo dunque s. Agostino che all'uomo altro non resta in questa vita se non voltarsi a Dio, col dono del quale possa adempire la legge, suppone per certo che ognuno abbia la grazia di attualmente pregare: altrimenti, se non avesse la grazia efficace e neppure la grazia comune di pregare, niente gli resterebbe di aiuto per osservare la legge e salvarsi.

155. Sovra tutto fanno al caso nostro due testi di s. Agostino. Il primo: Certum est nos mandata servare, si volumus; sed quia praeparatur voluntas a Domino, ab illo petendum est ut tantum velimus quantum sufficit ut volendo faciamus3 . Dice il santo che noi osserviamo i precetti, se vogliamo; ma per avere la volontà di osservarli, dobbiam cercare la grazia di volere, acciocché volendo li adempiamo. Dunque a tutti ci è data la grazia di chiedere questa volontà vera di osservare i precetti; altrimenti, se per attualmente chiedere questa volontà vi bisognasse la grazia efficace non comune a tutti, coloro a cui questa non fosse data non potrebbero avere neppure la volontà di osservare i precetti.

156. Il secondo testo è quello, lib. de corrept. et grat., cap. 5, dove il s. dottore risponde a' monaci adrumetini, i quali diceano così: Se la grazia è necessaria e questa mi manca, perché correggere me che non posso operare? prega più presto tu il Signore per me che mi doni questa grazia: ora potius pro me. Ed il santo risponde loro: Voi dovete esser corretti non perché non operate, non avendo la forza, ma perché non pregate per ottener questa forza: Qui corripi non vult, et dicit: ora potius pro me; ideo corripiendus est ut faciat etiam ipse pro se, cioè ut oret etiam ipse pro se. Or se non avesse creduto il santo che ognuno ha la grazia sufficiente, colla quale prega se vuole, senza bisogno di altro aiuto, non avrebbe potuto dire assolutamente che quegli doveva esser corretto perché non pregava; mentre colui avrebbe potuto replicare: Ma io non debbo esser corretto se non prego quando mi manca anche la grazia di attualmente pregare. Ma s. Agostino suppone sempre per certo che coloro i quali non hanno la grazia efficace di operare il bene hanno nondimeno la grazia di pregare e colla preghiera di ottenere l'aiuto ad operare: Quando autem non agunt, orent ut, quod nondum habent, accipiant. Onde il Bellarmino, rispondendo agli eretici, che, fondati su quel testo: Nemo potest venire ad me, nisi pater meus traxerit eum, ne deducono non potere andare a Dio chi da lui non è propriamente tratto, dice: Respondemus eo solum concludi non habere omnes auxilium efficax quo reipsa credant; non tamen concludi non habere omnes saltem auxilium quo possint credere vel certe quo possint auxilium petere4 .

157. Concludiamo colla nostra sentenza, sostenuta già da tanti teologi, come abbiam ora veduto: ben dunque si accorda da una parte la grazia intrinsecamente efficace colla quale noi infallibilmente (benché liberamente) facciamo il bene; non potendosi negare che Iddio ben può colla sua onnipotenza muovere i cuori umani a voler liberamente ciò ch'egli vuole, come osservammo nella risposta fatta al sistema di Molina. Dall'altra parte colla nostra sentenza si ammette la grazia vera sufficiente comune a tutti, della quale se l'uomo vuole valersi, certamente conseguirà per mezzo della preghiera la grazia efficace; ma se non vuole valersene, giustamente questa grazia efficace gli sarà negata. Né gli gioverà scusarsi di non avere avuta la forza di vincer le tentazioni; perché se egli avesse voluto valersi della grazia comune a tutti di pregare, colla preghiera ben avrebbe ottenuta questa forza e si sarebbe salvato.

158. Altrimenti, se non si ammette questa grazia sufficiente, colla quale senza bisogno di altra grazia non comune a tutti, possa ognuno pregare e pregando ottener la grazia efficace ed osservar la legge, io non so intendere come possono i sacri oratori esortare i popoli a convertirsi quando ad alcuni fosse negata anche la grazia di pregare; perché i popoli potrebbero rispondere: Questo che dite a noi, dite a Dio che lo faccia esso; mentre noi non abbiamo né la grazia immediata efficace di attualmente convertirci


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né la grazia sufficiente mediata per mezzo della preghiera per ottenerla. Non so parimente capire come le sacre scritture tanto esortino gli uomini ad ubbidire alle voci divine, quando non a tutti fosse concessa la grazia di pregare; poiché quei che son destituti anche della grazia efficace di pregare potrebbero dire a Dio: Signore, perché ciò lo dite a noi? Fatelo voi giacché sapete che noi non abbiamo neppur la grazia di pregarvi a farci corrispondere alle vostre chiamate. Non vaglio finalmente a comprendere come possa esser giusto quel rimprovero che si fa ai peccatori: Vos semper Spiritui sancto resistitis1 ; quando mancasse loro anche la grazia rimota necessaria ad attualmente pregare.

159. All'incontro colla sentenza della grazia della preghiera, comune a tutti, si toglie loro ogni scusa, se dicono di non aver avuta forza di resistere agli assalti del senso e dell'inferno; giacché se non aveano la forza attuale a resistere, aveano già la grazia della preghiera, colla quale avrebbero impetrato l'aiuto efficace ed avrebbero vinto.




2 - 1. Timot. 2. 4.

3 - 2. Ep. 3. 9.

1 - Ezech. 21. 31. et 32.

2 - Prael. theol. t. 3. q. 7. art. 4. concl. 5. p. 553.

3 - Iansen. error. calumnia sublata. c. 2. §. 1.

4 - Theol. dogm. t. 1. l. 10. c. 40. c. 20.

1 - Consensu scholae de gratia, c. 8. tr. 3.

2 - De nat. et grat. c. 69. n. 83.

3 - Theol. graecor. patrum. l. 2. c. 15. n. 7.

4 - T. 2. l. 6. quaest. 3. p. 486.

5 - Dissert. de multipl. gen. gratiar.

6 - Theol. s. Ans., t. 3. disp. 155. et 176.

7 - Theol. patrum. diss. 3 sect. 4.

1 - In palladio theol. de gratia, d. 1. q. 1.

2 - Corn. Ians. system. conf. par. 2. n. 225. p. 297.

3 - De statu inter hom. tract. 1. c. 13.

4 - T. 2. l. 2. c. 4.

5 - T. 4. controv. 3. de grat. l. 2. c. 5.

6 - 1. Cor. 10. 13.

7 - Lect. 1. in c. 1. ep. 1. ad Cor.

8 - Prov. 1. ex. v. 23.

9 - Ezech. 18. 32.

10 - Matth. 11. 28.

11 - Matth. 7. 7.

12 - De grat. l. 2. c. 4.

13 - Sess. 6. c. 13.

1 - De nat. et grat. c. 69. n. 83.

2 - L. moral. summar. Summa 62. c. 3.

3 - Homil. de Moyse.

4 - Serm. 5. de quadr.

5 - Vide contra duas epist. Pelag.

6 - L. 3. de l. arb. c. 19. n. 53.

7 - L. 1. ad simpl. q. 2.

8 - Tr. 26. in Io. n. 2.

9 - De orat. et l. arb. tr. 10. n. 31.

10 - De grat. et l. arb. c. 18.

1 - In epist. 89.

2 - L. div. q. ad Simp. q. 1. n. 14.

3 - De grat. et l. arb. c. 16.

4 - L. 2. de grat. c. 8.

1 - Act. 7. 51.




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