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S. Alfonso Maria de Liguori
Opera dogmatica...eretici pretesi riformati

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SESSIONE VII. Decreto de' sacramenti.

De' sacramenti in genere.

1. Trattandosi de' sacramenti in genere e del battesimo e della cresima in particolare, non parve necessario a' padri l'insegnare la vera dottrina con decreti a parte, come si era fatto nella sessione antecedente intorno alla giustificazione, ma stimarono che bastasse il condannar solamente gli errori. Furono per tanto formati trenta canoni di fede: tredici sovra i sacramenti in genere, quattordici sovra il battesimo e tre sovra la cresima.

2. Nel proemio si disse che, per compimento della dottrina promulgata circa la giustificazione nell'antecedente sessione, parea consentaneo trattar de' santi sacramenti, per mezzo di cui si comunica a noi la grazia: e perciò il concilio stabiliva più canoni, condannando gli errori ch'eran contrarj alla fede. Si trascrivono qui i canoni; appresso ciascuno de' quali noteransi le opposizioni e le osservazioni che vi furono fatte.

3. Nel can. 1. si disse: Si quis dixerit sacramenta novae legis non fuisse omnia a Iesu Christo Domino nostro instituta; aut esse plura vel pauciora quam septem, videl. baptismum, confirmationem, eucharistiam, poenitentiam, extremam unctionem, ordinem, matrimonium; aut etiam aliquod horum septem non esse vere et proprie sacramentum, anathema sit.

4. Il Soave dice che in quanto al numero de' sacramenti furon tutti uniformi i padri in sentire ch'erano sette, per l'autorità così degli scolastici dopo il maestro delle sentenze, come del concilio fiorentino e della tradizione della chiesa romana. Ma doveva aggiungervi della chiesa greca, la quale benché da otto secoli si fosse divisa dalla romana, in ciò nondimeno niente dissentiva. E ciò era necessario notare per far vedere che tal verità sia a noi pervenuta da Gesù Cristo e dagli apostoli.

5. Di più qui il Soave, facendo al solito il maestro al concilio, dichiara il suo parere, che sarebbe stato bene il non determinare che i sacramenti erano setta, e non plura vel pauciora; dicendo esser varie le sentenze intorno alla definizione ed all'essenza del sacramento, e che perciò non potea stabilirsi puntualmente e con certezza quali e quanti essi fossero. Ma si risponde che a noi basta il saper essere i sacramenti alcuni segni sensibili operati a nome di Gesù Cristo, i quali, poste le debite condizioni, apportano da per se stessi ed infallibilmente la grazia. E perciò non sono sacramenti né la benedizione dell'abate né la creazione dei cardinali ed altre funzioni nominate dal Soave; perché elleno non cagionano grazia: come neppure il martirio, il quale non s'amministra a nome di Cristo ma anzi ad ingiuria di Cristo. Del resto, poco importa il sapere la loro quiddità ed in che consista il lor essere.

6. Vi furono ben anche alcuni nel concilio che sconsigliavano di metter quelle parole plura vel pauciora quam septem, dicendo che non le aveano usate gli antichi dottori, né il sinodo di Cartagine né il concilio fiorentino. Ma si rispose che a quei tempi non v'erano le due eresie, di cui l'una diceva esser due o tre soli i veri sacramenti, e l'altra che tutti quei segni a cui nella scrittura sta promessa la grazia, come la limosina e l'orazione, sono tutti i sacramenti.

7. Nel can. 2 si disse: Si quis dixerit ea ipsa novae legis sacramenta a sacramentis antiquae legis non differre, nisi quia caeremoniae sunt aliae et alii ritus externi, anathema sit.

8. Intorno alla differenza tra' sacramenti della legge vecchia e nuova il Soave recita molti discorsi, affin di mettere in dubbio la verità cattolica. La verità cattolica è che i sacramenti della legge nuova causano la grazia, ma quei dell'antica solamente la significavano. Sicché è errore


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il dire, come dicono i novatori, che i nostri sacramenti sono meri segni della grazia; poiché sebbene essi son segni e significano la grazia, insieme però anche la cagionano, come le nuvole che insieme son segno e son causa della pioggia. Perciò s. Paolo chiamò tutte le ceremonie dell'antica legge elementi infermi ed ombre delle cose future1 . Ma il vangelo all'incontro ci fa certi che nel battesimo l'uomo rinasce alla grazia, che nel sacramento della penitenza si rimettono i peccati, che nell'eucaristia si riceve la vita, che nell'imposizione delle mani de' vescovi si lo Spirito santo. Onde si vede che i sacramenti non sono sterili segni, ma son cagioni ancora le quali producono la grazia che promettono.

9. Nel can. 3 si disse: Si quis dixerit haec septem sacramenta ita esse inter se paria ut nulla ratione aliud sit alio dignius, anathema sit.

10. Qui si aggiunsero le parole nulla ratione perché Lutero volea che tutti i sacramenti sono totalmente eguali, come egli già scrisse al senato di Praga, dicendo: Non è un sacramento più degno dell'altro, poiché tutti consistono nella parola di Dio. Ma ciò è contrario a quel che scrissero s. Dionigi, s. Ambrogio ed Innocenzo III. nel capo Cum Marthae, de celebr. missar. Nel concilio alcuni diceano che ciascun sacramento ha qualche eccellenza particolare per cui non resta inferiore agli altri; ma di tal detto non si ebbe ragione.

11. Nel can. 4 si disse: Si quis dixerit sacramenta novae legis non esse ad salutem necessaria, sed superflua; et sine eis aut eorum voto per solam fidem homines a Deo gratiam iustificationis adipisci, licet omnia singulis necessaria non sint, anathema sit.

12. Gli eretici intanto dicono che niun sacramento è necessario, in quanto tengono che la sola fede è quella che giustifica, ed i sacramenti servono solamente ad eccitare e nutrir questa fede: la quale per altro (come parlano) può eccitarsi e nutrirsi egualmente dalla predicazione. Ma ciò è certamente falso ed errore condannato ne' seguenti canoni 5, 6, 7 ed 8: perché, siccome abbiamo dalla scrittura, alcuni sacramenti solo sono necessarj per sé alla salute di necessità di mezzo, com'è il battesimo a tutti, la penitenza ai caduti in peccato dopo il battesimo, e l'eucaristia, la quale almeno in voto anche a tutti è necessaria.

13. Scrive poi il Soave che il voto o il desiderio almeno implicito del battesimo (lo stesso corre della penitenza per li peccatori) a molti del concilio non parea necessario alla giustificazione, poiché Cornelio e il buon ladrone senza aver notizia del battesimo, ben furono giustificati. Ma dice il Pallavicino che un tal parere asserito è un sogno del Soave; perché i teologi di Trento per difendere questo lor parere non avrebbero mai potuto addurre l'esempio di Cornelio e del buon ladrone, essendo noto a tutti che l'obbligo del battesimo non cominciò se non dopo la morte del Salvatore e dopo la promulgazione del vangelo. Del resto chi può negare che nell'atto di perfetto amore verso Dio, il quale già basta a giustificare, non s'includa il voto implicito del battesimo, della penitenza e dell'eucaristia? Chi vuole il tutto, vuole ancora ciascuna parte di quel tutto e tutti i mezzi che son necessarj per conseguirlo. L'infedele, acciocché venga giustificato senza battesimo, bisogna ch'egli ami Dio sopra tutte le cose ed abbia una volontà universale di osservare tutti i divini precetti, tra' quali il primo è di ricevere il battesimo: e perciò, affinché si giustifichi, gli è necessario il desiderio almeno implicito di quello; mentr'è certo che a tal desiderio si ascrive la rigenerazione spirituale del non battezzato, siccome parimente la remissione de' peccati ai battezzati contriti si ascrive al voto esplicito o implicito dell'assoluzione sacramentale.

14. Si aggiunsero poi al riferito canone quelle parole: licet omnia singulis necessaria non sint; con ciò s'intese di condannar Lutero, il quale asseriva che niuno de' sacramenti era assolutamente necessario alla salute, ascrivendo egli tutta la salute alla fede, come di sovra si disse, e niente all'efficacia de' sacramenti.

15. Nel can. 5 si disse: Si quis dixerit haec sacramenta propter solam fidem nutriendam instituta, anathema sit.

16. Nel can. 6: Si quis dixerit sacramenta novae legis non continere gratiam quam significant, aut gratiam ipsam non ponentibus obicem non conferre, quasi signa tantum externa sint acceptae per fidem gratiae vel iustitiae, et notae quaedam christianae professionis quibus apud homines discernuntur fideles ab infidelibus, anathema sit.

17. Nel can. 7: Si quis dixerit non dari gratiam per huiusmodi sacramenta semper, et omnibus quantum est ex parte Dei, etiamsi rite ea suscipiant, sed aliquando et aliquibus, anathema sit.

18. Nel can. 8: Si quis dixerit per


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ipsa novae legis sacramenta ex opere operato non conferri gratiam, sed solam fidem divinae promissionis ad gratiam consequendam sufficere, anathema sit.

19. Giustamente furono condannati gli errori enunciati in questi canoni per quel che si disse di sovra dietro al canone 2.

20. Nel can. 9 si disse: Si quis dixerit in tribus sacramentis, baptismo scilicet, confirmatione et ordine non imprimi characterem in anima, hoc est signum quoddam spirituale et indelebile, unde ea iterari non possunt, anathema sit.

21. Su questo dogma, insegnato dalla chiesa cattolica, del carattere che viene impresso nell'anima dai tre sacramenti nominati nel canone, battesimo, cresima ed ordine, i quali non possono iterarsi; il Soave adduce il detto di Scoto, il quale scrive in 4 dist., qu. 9, che tale dottrina non si ricava necessariamente dalle parole della scrittura o de' padri, ma dalla sola autorità della chiesa; dal che esso ingiustamente poi ne ricava che Scoto neghi, ma con bel modo, tal verità. Ella è una mera calunnia: perché sebbene il mentovato dottore in ciò sente diversamente dagli altri, i quali comunemente dicono che tal dogma bastantemente dai padri e dalla scrittura si prova, non mai però può dirsisospettarsi che Scoto neghi, ma con bel modo, tal verità. Ella è una mera calunnia: perché sebbene il mentovato dottore in ciò sente diversamente dagli altri, i quali comunemente dicono che tal dogma bastantemente dai padri e dalla scrittura si prova, non mai però può dirsisospettarsi che Scoto neghi o dubiti del carattere de' tre suddetti sacramenti. Tal verità però ben si prova da più luoghi della scrittura, e specialmente dalla seconda epistola di s. Paolo a' corintj, 1, 22, ove dicesi che Dio ci segna e ci il pegno della sua eredità: Qui et signavit nos, et dedit pignus Spiritus in cordibus nostris. E più chiaramente poi l'affermano i padri greci e latini presso il Bellarmino, de effect. sacram. lib. 2, c. 21, tra' quali vi è s. Agostino, che nell'epistola 23. dice così: Il sacramento del battesimo basta per la consacrazione, la quale fa che sia reo l'eretico che sta fuori del Signore, mentre ha il carattere del Signore. La sacra dottrina pertanto c'insegna ch'egli dee esser corretto, ma non di nuovo consacrato.

22. Errano gli eretici in credere che le impressioni divine siano come i diritti e podestà che hanno gli uomini sulla terra. Queste da essi si acquistano o vengono lor conferite solo estrinsecamente; ma le impressioni della grazia sono sovrannaturali ed intrinsecamente vengon da Dio prodotte nell'anima. Alcuni doni però son tali che possono esser cancellati dal peccato, com'è la grazia della giustificazione: altri poi, che non soggiacciono ad essere cancellati, com'è l'esser cristiano, l'esser confermato col segno militare di Cristo e l'aver podestà nella chiesa militante; questi si chiaman caratteri che non posson cancellarsi anche dopo il peccato.

23. Nel can. 10. si disse: Si quis dixerit christianos omnes in verbo et omnibus sacramentis administrandis habere potestatem, anathema sit.

24. Questo canone condanna l'error di Lutero, il quale diceva che non solo gli uomini, ma anche gli angeli e i demonj in forma umana erano idonei ministri dei sacramenti: e tanto più diceva ch'erano atti ministri tutti i cristiani; mentre volea che col battesimo si dona ad ogni uomo la podestà sovra tutti i sacramenti. Condanna ancora l'error di Calvino, il quale anche in caso di necessità negava a' laici il poter battezzare. Perciò nel canone giustamente si dice: Omnes in omnibus sacramentis habere potestatem; poiché in necessità anche il laico può amministrare il battesimo, e nel matrimonio, secondo la vera sentenza di Bellarmino (checché altri si dicano), i soli laici sono i ministri di tal sacramento. È certo poi per 1. che i soli uomini e non già gli angeli possono esser ministri de' sacramenti; mentre tal podestà a' soli uomini fu concessa da Gesù Cristo, che disse loro: Euntes docete omnes gentes, baptizantes eos etc. Hoc facite in meam commemorationem. Quorum remiseritis peccata, remittuntur eis. È certo per 2. che non basta l'esser battezzato per poter amministrare tutti i sacramenti. Gli apostoli furon già prima battezzati, e di poi riceverono la podestà di consacrar l'eucaristia colle parole di sovra riferite: Hoc facite in meam commemorationem, e di assolvere i peccati: quorum remiseritis peccata etc.

25. Nel can. 11. si disse: Si quis dixerit in ministris, dum sacramenta conficiunt et conferunt, non requiri intentionem saltem faciendi quod facit ecclesia, anathema sit.

26. Con tal canone restò condannata l'opinione di Lutero, il quale nel suo libro della Cattività babilonica dicea che ogni sacramento validamente si riceve sempreché si amministra, quantunque dal ministro si conferisca fintamente o per giuoco senza intenzione di conferirlo, poiché egli volea che tutto il valore del sacramento consista nella fede di chi lo riceve, e non già nel sacramento e tanto meno nell'intenzione del ministro.

27. È celebre poi l'opinione difesa nel concilio da Ambrogio Caterino e, prima di lui, da Pietro di Palude e da Silvestro


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da Prierio, cioè che basti per lo valore del sacramento che il ministro lo conferisca seriamente, non ostante che non abbia animo di conferirlo. Di modo che, dice il Caterino, se il ministro nel dare il battesimo altro non intende che di lavare materialmente l'infante, purché lo faccia seriamente, già validamente lo battezza. La sua ragione principale è che altrimenti, se tali sacramenti non fossero validi, resterebbero dubbiosi tutti i battesimi e tutte le assoluzioni sacramentali e, quello che più importa, tutte le ordinazioni de' sacerdoti e quelle specialmente dei vescovi, dalle quali dipende poi il valore di tante altre ordinazioni successive.

28. Il Bellarmino, parlando di tale opinione1 , non ha difficoltà di scrivere così: Haec opinio non video quid differat a sententia haereticorum. Il Pallavicino all'incontro scrive che tale opinione, essendo contraria alla sentenza comune de' teologi, che almeno richiedono nel ministro l'intenzione implicita di conferire il sacramento, egli l'ha per falsa ma non già condannata, poiché il concilio nel riferito canone altro non dichiarò se non ch'è necessaria nel ministro l'intenzione di fare quel che fa la chiesa. Onde, sempre che il ministro il sacramento esternamente e seriamente come è solito darsi nella chiesa, l'opinione non può dirsi condannata in vigore di tal canone. Ed in fatti il Caterino dopo il concilio seguì già a difenderla, ed oggidì molti la difendono. Del resto il dire che si faccia il sacramento quando il ministro intende positivamente di non conferirlo è una cosa molto dura. Parlando specialmente del sacramento della penitenza, noi abbiamo che il Signore disse: Quorum remiseritis peccata, remittuntur eis; et quorum retinueritis, retenta sunt2 . Queste parole dinotano l'animo che dee veramente avere il sacerdote di assolvere, acciocché vaglia l'assoluzione. Inoltre s. Tomaso3 insegna che, potendo le azioni de' sacramenti riferirsi a più fini, come per esempio la lavanda del battesimo può riferirsi a togliere o le macchie del corpo o quelle dell'anima, perciò vi bisogna l'intenzione del ministro che determini il fine di quell'azione. Ecco le parole del santo dottore: Sicut ablutio aquae quae fit in baptismo potest ordinari et ad munditiam corporalem et ad sanitatem spiritualem et ad ludum et alia huiusmodi, et ideo oportet quod determinetur ad unum, idest ad sacramentale effectum, per intentionem abluentis4 .

29. Oppongono i contrarj quel che dice appresso l'angelico nella risposta, ad 2, cioè: In verbis autem quae profert (minister) exprimitur intentio ecclesiae, quae sufficit ad perfectionem sacramenti. Ma risponde il p. Gonet che con ciò s. Tomaso, secondo l'opposizione fattasi, altro non intende dire se non che non ricercasi che il ministro esternamente manifesti l'intenzione sua di volere che il sacramento abbia effetto, per la ragione che in verbis quae profert exprimitur intentio ecclesiae. E ciò si conferma più chiaramente da quel che scrive s. Tomaso nell'art. 10., dove fa il quesito se ricercasi l'intenzione retta nel ministro per lo valore del sacramento; e risponde così: Intentio ministri potest perverti dupliciter. Uno modo respectu sacramenti, puta cum aliquis non intendit sacramentum conferre sed derisorie aliquid agere; et talis perversitas tollit veritatem sacramenti, praecipue quando suam intentionem exterius manifestat. Altrimenti è poi (dice il santo), se il ministro intende di fare il sacramento, ma a mal fine, v. gr. per abuso di malefici ecc. Si notino le parole cum aliquis non intendit sacramentum conferre: dunque s. Tomaso richiede assolutamente l'intenzione del ministro di conferire il sacramento, acciocché il sacramento sia valido. Altrimenti poi dice, se v'è intenzione di conferirlo, benché l'intenzione sia perversa. Sicché tutta la distinzione la fa nell'avere o non avere il ministro l'intenzione di fare il sacramento. Ed in altro luogo, op. 8, espressamente dice l'angelico: Si minister non intendat sacramentum conferre, non perficitur sacramentum.

30. Si aggiunge a ciò la proposizione 28 dannata da Alessandro VIII, la quale dicea: Valet baptismus collatus a ministro qui omnem ritum externum formamque baptizandi observat intus vero in corde suo apud se resolvit: non intendo facere quod facit ecclesia. Dicono i contrarj che questa condanna non osta, mentre la proposizione poteva intendersi anche del rito esterno giocoso. Ma si risponde per 1. che il rito giocoso già era stato condannato dal tridentino; onde era inutile questa seconda condanna. Si risponde per 2. che la riferita proposizione non era quella degli eretici, ma degli autori cattolici, e specialmente di Giovan Maria Scribonio5 , il quale ammetteva l'amministrazione seria, non giocosa;


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e questa fu l'opinione che fu condannata. Almeno dice saviamente Benedetto XIV1 , che da questa condanna restò molto indebolita l'opinione del Caterino: e poi conclude che quantunque tale opinione fosse probabile, nondimeno peccherebbe certamente il sacerdote conferendo il sacramento secondo l'opinione del Caterino; poiché il sacramento resterebbe dubbio e perciò dovrebbe ripetersi almeno sotto condizione.

31. In quanto poi agl'inconvenienti opposti dal Caterino, risponde il Pallavicino che, quantunque non fosse necessaria l'intenzion del ministro, gli stessi inconvenienti s'incontrano per altre vie. Per esempio, nell'amministrar la penitenza può facilmente il sacerdote, mentre assolve con voce bassa, tralasciare una parola essenziale, e così può lasciare tutti i suoi penitenti negli stessi loro peccati. Lo stesso posson fare agevolmente i parrochi, corrompendo maliziosamente la forma dei battesimi; la nullità dei quali, essendo il battesimo la porta di tutti gli altri sacramenti, ne succederebbe la nullità di molte assoluzioni sacramentali e ordinazioni di sacerdoti. E perciò bisogna ricorrere alla divina provvidenza, che impedisce questi casi di tanta ruina d'anime. Tanto più che tali sacrilegj non apportano utile temporale a chi volesse commetterli. Inoltre, trattandosi del battesimo, ch'è il sacramento più necessario, non mancano teologi antichi e moderni, come Alessandro d'Ales, Gabriele Durando, i quali dicono con s. Tomaso2 , che in tal caso per gl'infanti supplisce Iddio, e per gli adulti supplisce la loro fede e desiderio del battesimo. Ed in tal caso dice Pallavicino che la grazia non s'infonderebbe già per lo sacramento o per la divina promessa, ma solo per la misericordia di Dio, che in tal caso non vorrebbe che restasse delusa la nostra fiducia per la malizia dei ministri.

32. Nel can. 12 si disse: Si quis dixerit ministrum in peccato mortali existentem, modo omnia essentialia quae ad sacramentum conficiendum aut conferendum pertinent servaverit, non conficere aut conferre sacramentum, anathema sit.

33. Quest'errore prima fu de' donatisti e poi di Giovanni Wiclef, che fortemente il difese. Egli è certamente errore: sì perché il principal autore de' sacramenti è Gesù Cristo, come disse s. Giovanni, 1, 33: Hic est qui baptizat in Spiritu sancto; onde, sempreché il ministro pone tutte le parti essenziali al valore del sacramento, il sacramento è valido: sì perché la potestà d'amministrare i sacramenti è potestà di giurisdizione, la quale si concede in utile non di chi l'ottiene, ma di chi riceve il sacramento, ond'ella per lo peccato del ministro non si perde.

34. Nel can. 13 si disse: Si quis dixerit receptos et approbatos ecclesiae catholicae ritus, in solemni sacramentorum administratione adhiberi consuetos, aut contemni aut sine peccato a ministris pro libito omitti aut in novos alios per quemcumque ecclesiarum pastorem mutari posse, anathema sit.

35. Non ha dubbio che la chiesa ha la potestà di stabilire e di mutare i riti o sieno le cerimonie da usarsi nell'amministrazione de' sacramenti, come già dichiarò lo stesso concilio di Trento nella sessione 21, al capo 2, ove disse: Hanc potestatem perpetuo in ecclesia fuisse ut in sacramentorum dispensatione, salva illorum substantia, ea statueret vel mutaret quae suscipientium utilitati seu ipsorum sacramentorum venerationi pro rerum, temporum et locorum varietate, magis expedire iudicaret. Ma tal potestà solamente alla chiesa si appartiene: onde giustamente ella poi ha vietato di mutare i riti; altrimenti, come dice s. Agostino, epist. 54, alias 108, colla novità de' diversi ministri si turberebbe l'ordine e la pace comune della chiesa.




1 - Gal. 4. 9. Coloss. 2. 17.

1 - T. 3. l. 1. c. 27.

2 - Io. 20. 23.

3 - 3. p. q. 64. a. 8.

4 - Loc. cit.

5 - Summa theol. disp. 1. de sacram. quaest. 6.

1 - De syn. l. 7. c. 4.

2 - 3. p. q. 64. a. 8. ad 2.




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