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S. Alfonso Maria de Liguori
Opera dogmatica...eretici pretesi riformati

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SESSIONE XIII. Del sacramento dell'eucaristia.

1. In questa sessione volle similmente il concilio, come avea fatto in quella della giustificazione, insegnar la vera dottrina, acciocché i fedeli sapessero tutto quel che doveano credere circa il sacramento dell'eucaristia. Quindi si disse nel proemio che, volendo il concilio estirpare gli errori intorno a questo sacramento e spiegarne quella dottrina che avea tenuta e terrà sempre la chiesa, come ammaestrata in principio da Gesù Cristo ed illuminata poi dallo Spirito santo, proibiva a ciascuno il credere, l'insegnare o il predicare diversamente.

2. Il Soave scrive che così i tomisti come gli scotisti pretendeano che la chiesa dichiarasse di fede le loro particolari sentenze. Ma ciò fu alieno dal sentimento de' padri, come si scorge dagli atti e dalle stesse definizioni, fatte già con forme di parole lontane da recar pregiudizio a veruna delle diverse scuole. E perciò, come vedremo, niente si volle determinare né circa il modo della presenza sacramentale di Cristo, né circa l'eguaglianza o maggioranza di grazia che s'infonde nella comunione di una o di amendue le specie eucaristiche.

3. Inoltre asserisce il Soave essersi doluti gl'italiani dell'ordine fatto da' presidenti che si stabilissero le dottrine coll'autorità della scrittura e de' padri, quasi che fossero essi posti a rischio di restare svergognati a fronte de' teologi alemanni e fiamminghi. Ma dice il Pallavicino esser ciò tutto falso perché gl'italiani avean ben fatta conoscere la loro erudizione nelle passate sessioni colle proprie allegazioni di tante scritture, concilj e padri, essendovi già tra di loro un Melchior Cano, un Soto, un Seripando, un Caterino, un Salmerone ed un Lainez, il quale giunse a promettere che non citerebbe alcun autore di cui non avesse lette in fonte le parole che riferiva.

4. Nel capo I si definisce che il corpo e sangue di Gesù Cristo è veramente, realmente e sostanzialmente sotto le specie del


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pane e del vino consacrato, colle seguenti parole: Docet s. synodus in eucharistiae sacramento post panis et vini consecrationem Iesum Christum, verum Deum atque hominem, vere, realiter ac substantialiter sub specie illarum rerum sensibilium contineri. Nec enim inter se pugnant, ut ipse Salvator semper ad dexteram Patris in coelis assideat iuxta modum existendi naturalem, et ut multis... aliis in locis sacramentaliter praesens sua substantia nobis adsit. In ciò volle il concilio lasciar illesa la questione tra i tomisti e scotisti, se uno stesso corpo per divina virtù possa dimorare in più luoghi con quello stesso modo con cui sta per natura in un solo. Ita enim maiores nostri omnes... apertissime professi sunt hoc sacramentum in ultima coena Redemptorem nostrum instituisse, cum post panis vinique benedictionem se suum ipsius corpus illis praebere ac suum sanguinem disertis... verbis testatus est: quae verba, a sanctis evangelistis commemorata et a s. Paulo repetita, cum propriam illam... significationem prae se ferant secundum quam a patribus intellecta sunt, indignissimum flagitium est ea.... ad fictitios tropos... contra universum ecclesiae sensum detorqueri: quae, tanquam columna et firmamentum veritatis, haec ab impiis hominibus excogitata commenta... detestata est.

5. Sino al secolo IX. questo sacramento dell'eucaristia non era stato ancora oppugnato; ma nel detto secolo un certo Giovanni scozzese cominciò a spargere che l'eucaristia era tutto in figura. Nel secolo poi XI. Berengario sostenne la stessa eresia: egli più volte si ritrattò e più volte ricadde circa questo sacramento, dicendo diversi errori; ma finalmente morì emendato nella chiesa cattolica l'anno 1088. Ma solamente nel secolo XVI. si formò la setta che stabilmente si oppose al dogma dell'eucaristia. Il primo fu Carlostadio, arcidiacono di Wittemberga in Sassonia. Ecolampadio monaco di s. Brigida e Zuinglio parroco seguirono lo stesso errore. Vennero poi ad unirsi loro Bucero e Calvino, i quali dissero che l'eucaristia neppure è sacramento, come scrisse il p. Chalon, ma una semplice esterna commemorazione. Lutero poi negò la transostanziazione del pane e del vino nel corpo e sangue di Gesù Cristo, abolì anche le messe private; ma disse all'incontro ch'egli non potea negare secondo il vangelo la realtà del corpo e sangue di Gesù Cristo nell'eucaristia.

6. Qui giova considerar distintamente parte per parte le parole di questo primo capo. Si dice: vere, realiter et substantialiter. Dicesi vere, per escludere la presenza di Cristo figurata, come la vogliono i sacramentarj; la figura si oppone alla verità, e perciò si pose la parola vere. Dicesi realiter, per escludere la presenza immaginaria; mentre dicono gli eretici che nell'eucaristia non vi è corporalmente la carne di Gesù Cristo, come sta in cielo, ma secondo l'apprende la fede, cioè come fosse presente. Calvino non ripugna di dire che nella cena vi sta il corpo reale di Gesù Cristo, ma non vuol dire che vi sta realmente. Dicesi anche substantialiter, per escludere la presenza di sola efficacia o virtù, a cui riduce Calvino la presenza del corpo reale di Gesù Cristo, dicendo che nell'eucaristia non vi sta la sostanza del corpo di Gesù Cristo, ma vi sta la di lui virtù, per cui il Signore comunica a noi se stesso ed i suoi beni. Ma noi diciamo che vi è tutta la sostanza del corpo, in cui si è convertita la sostanza del pane. E perciò diciamo, come da qui a poco meglio spiegheremo, che sotto le specie del pane il corpo di Cristo non occupa luogo né vi è steso in modo naturale, ma vi sta sacramentalmente in modo di sostanza, come insegna s. Tomaso1 , siccome appunto prima vi era la sostanza di pane.

7. Dicesi inoltre: Nec enim haec inter se pugnant, ut Salvator in coelis assideat iuxta modum naturalem et ut multis... aliis in locis sacramentaliter praesens sua substantia nobis adsit ea existendi ratione quam verbis exprimere vix possumus. Insegna dunque il concilio che il corpo di Gesù Cristo in cielo sta secondo il modo naturale, ma in molti altri luoghi sta presente la sua sostanza sacramentale. Sicché nell'ostia consacrata ed in ogni particella di quella vi è lo stesso corpo di Cristo che siede in cielo. E ciò dobbiamo crederlo, perché Dio è onnipotente ed egli stesso l'ha rivelato dicendo: Hoc est corpus meum. Che importa poi che non possiamo noi arrivare a comprendere come ciò avvenga? Se noi volessimo regolare i misterj della fede secondo il nostro corto intendimento, presto ci ridurremo a negarne più d'uno, e specialmente quello della Trinità e della Incarnazione; giacché non sappiamo comprendere come tre persone sieno poi la stessa sostanza, e come in una sola persona siano due nature, divina ed umana.

8. Dicono gli eretici che sebbene Iddio


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è onnipotente, non può far però nello stesso tempo più cose che tra esse ripugnano e son contraddittorie, come appunto (dicono) sarebbe il fare che il corpo umano stia nell'eucaristia senza la sua estensione e quantità; poiché non può Iddio togliere alle cose la loro essenza, com'è al corpo l'essere esteso e quanto. Si risponde che Iddio non può togliere già l'essenza alle cose, ma può togliere la proprietà all'essenza: non può togliere al fuoco l'essenza di fuoco, ma può impedire al fuoco la proprietà di bruciare, come l'impedì a riguardo de' tre fanciulli ebrei. E così ancora, quantunque non può fare che un corpo resti senza estensione e quantità, può far però che quello non occupi luogo, che sia indivisibile, ma stia tutto intero sotto qualunque minima parte delle specie visibili che lo contengono, con una estensione non già naturale ma miracolosa ed in sostanza. E così appunto sta il corpo di Cristo nell'eucaristia: poiché questo importa esservi ivi il corpo in sostanza, cioè che siccome la sostanza del pane stava prima sotto le sue specie, ed ella non occupava già luogo ed era tutta in qualunque parte della specie, così il corpo di Cristo, in cui si converte la sostanza del pane, non occupa maggior luogo di quel che la sostanza del pane prima occupava secondo la sua dimensione; e così sta tutto in ciascuna parte delle specie, come prima in ciascuna era tutta la sostanza del pane. La dottrina è del dottore angelico, che così insegna: Tota substantia corporis Christi continetur in hoc sacramento post consecrationem, sicut ante consecrationem continebatur ibi tota substantia panis1 . E soggiunge2 : Propria autem totalitas substantiae continetur indifferenter in pauca vel magna quantitate; unde et tota substantia corporis et sanguinis Christi continetur hoc sacramento.

9. Il corpo di Cristo non è in questo sacramento come in luogo definitive, sì che, essendo qui, non possa essere in altro luogo; né vi è circumscriptive, cioè secondo la misura della propria quantità corrispondente alla quantità del luogo: onde il luogo in cui è il corpo di Cristo non è vacuo, ma neppure può dirsi ripieno della sostanza del corpo di Cristo, poiché è ripieno delle specie sacramentali, che occupano quel luogo almeno per miracolo, siccome miracolosamente sussistono per modo di sostanza.

10. Né può dirsi che il corpo di Cristo dimori nel sacramento mobilmente: perché non essendovi corpo come in un luogo, attesoché in questo sacramento non si muove il Signore, secondo si muove il luogo, ma solo per accidente può muoversi per ragion delle specie, sotto le quali si contiene: in modo che secondo il moto di quelle specie può dirsi che muovasi Cristo contenuto sotto di quelle; siccome quando si move il corpo, per accidente si move il corpo, per accidente si move anche l'anima, la quale neppure è capace di stare in un luogo.

11. E qui bisogna notare che quando le specie si corrompono, il corpo di Cristo cessa di stare sotto di quelle, non già perché da quelle dipenda, ma perché così è istituito questo sacramento che Cristo dimori sotto le specie finché quelle esistono, e lasci di starvi allorché quelle cessano di esservi; siccome Iddio cessa di esser Signore di quelle creature che cessano di esistere: così insegna s. Tomaso3 ove scrive: Quibus (speciebus) cessantibus, desinit esse corpus Christi sub eis; non quia ab eis dependeat, sed quia tollitur habitudo corporis Christi ad illas species, quemadmodum Deus desinit esse Dominus creaturae deficientis.

12. Dicesi inoltre nel suddetto capo I del concilio: Post panis vinique benedictionem, se suum corpus illis praebere... perspicuis verbis testatus est: quae verba, a sanctis evangelistis commemorata et a s. Paulo postea repetita, cum propriam significationem prae se ferant, secundum quam a patribus intellecta sunt, flagitium est ea a quibusdam pravis hominibus ad fictitios tropos... contra... Ecclesiae sensum detorqueri. Si dice post panis vinique benedictionem: ciò è contra i luterani ubiquisti, i quali vogliono che anche innanzi alla consacrazione vi sia nelle specie il corpo del Signore. Ed è ancora contro i calvinisti, i quali dicono che l'eucaristia non è già l'unione del fedele con Cristo per mezzo del suo medesimo corpo e sangue, ma solamente è un segno di tale unione fatta già prima per mezzo della fede. E perciò vogliono che l'eucaristia non si fa sacramento per la consacrazione del sacerdote, ma per la promessa del vangelo spiegata nella predica.

13. Si dice: perspicuis verbis testatus est etc. Queste parole di Gesù Cristo le leggiamo espresse ne' vangeli di s. Matteo, cap. 26, di s. Marco, cap. 14 e di s. Luca, cap. 22, e sono: Accipite et comedite: Hoc est corpus meum. Hic est sanguis meus etc., ripetute poi da s.


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Paolo nell'epist. I ad cor., cap. 11. Esclama s. Cirillo: Cum ipse de pane pronunciaverit: hoc est corpus meum, quis audebit deinceps ambigere? Et cum idem ipse dixerit: hic est sanguis meus, quis dicet non esse eius sanguinem1 ? È regola certa e comunemente ricevuta da tutti i padri e teologi che le parole della scrittura debbono prendersi nel proprio senso sempreché non v'è un chiaro assurdo che ripugna: perché altrimenti, se tutte le scritture potessero voltarsi a sensi tropici e figurati, non vi sarebbe più alcun dogma che potesse fermamente provarsi da' sacri libri.

14. Questa verità dell'eucaristia ci fu poi confermata dallo stesso apostolo allorché, parlando dell'uso di questo sacramento, scrisse: Calix benedictionis quem benedicimus nonne communicatio sanguinis Christi est? et panis quem frangimus nonne participatio corporis Domini est2 ? Queste parole dimostrano troppo chiaramente che nell'eucaristia vi è il vero corpo e sangue di Gesù Cristo. Lo stesso ci confermò l'apostolo quando disse: Probet autem seipsum homo... Qui enim manducat et bibit indigne, iudicium sibi manducat et bibit, non diiudicans corpus Domini3 . Si notino le parole non diiudicans corpus Domini: se nell'eucaristia non altro dovesse venerarsi che la figura del corpo di Cristo, non avrebbe s. Paolo condannato con tanto rigore chi si comunica col peccato; in tanto egli lo dichiara reo di morte eterna, in quanto, comunicandosi l'uomo indegnamente, non distingue il corpo di Cristo dagli altri cibi terreni.

15. Oh Dio, dove giunge la malizia e l'ingratitudine degli uomini! Iddio ha voluto farci questo dono infinito del suo amore, dove ci dona tutto se stesso, Divitias sui erga homines amoris velut effudit, dice il concilio; e gli uomini neppure vogliono essergliene grati, cercando in molte maniere di storcere in altro senso le parole del Signore, hoc est corpus meum! Altri dicono che il pronome hoc dee intendersi per hic. Ma ciò come mai può aver luogo? O quell'hoc si prende per aggettivo, e non può concordare col pane, ch'è di genere mascolino, ma dee concordare col corpo, ch'è di genere neutro. Né importa che il pronome hoc e il verbo est non abbiano alcun significato prima che si pronunzi il nome corpus meum; perché ciò non è raro in molte proposizioni che le parole antecedenti non abbiano il lor significato se non dopo che la proposizione è compita. Se poi quell'hoc non significa già questo corpo e questo pane, ma significa: questa cosa o vero questa sostanza contenuta sotto queste specie di pane è il corpo mio.

16. Altri poi, come Zuinglio, storcono la parola est, dicendo che tal verbo qui si prende per significat; e ne apporta l'esempio dell'Esodo: Est enim phase (idest transitus Domini). 12, 11; dove il mangiar l'agnello pasquale colle cerimonie ivi prescritte non già era (come dice) ma significava il passaggio del Signore. Questa spiegazione però inettissima di Zuinglio pochi seguaci ha avuti, poiché tal significazione nel caso nostro è tutta impropria: ella solamente ha luogo dove il verbo est non può avere la propria significazione.

17. Altri sacramentarj poi dicono che la parola corpus si prende per la figura del corpo. Ma a ciò osta la regola comune, come prima si è detto, che le parole della scrittura debbono prendersi nel proprio senso sempre che non v'è manifesto assurdo. Inoltre questa spiegazione ripugna espressamente alle parole seguenti di s. Paolo, che dopo le parole hoc est corpus meum, soggiunge, quod pro vobis tradetur5 . Il Signore non diede alla passione la figura del suo corpo, ma il vero suo corpo. Parlando poi del sangue, si dice in s. Matteo: Hic est enim sanguis meus novi testamenti, e poi: qui pro multis effundetur in remissionem peccatorum. Dunque il sangue di Gesù Cristo avea da spargersi: il sangue si sparge, ma non la figura del sangue.

18. Di più la verità dell'esistenza reale del vero corpo e sangue del Signore nel sacramento dell'altare ci vien confermata e dichiarata con evidenza nel capo sesto del vangelo di s. Giovanni. Errano i novatori in dire che ivi solamente si parla dell'incarnazione del Salvatore. È vero che non in tutto il capo trattasi dell'eucaristia, ma dal numero 52 è certo che di lei solo si parla, come ammette lo stesso Calvino6 . Ciò si prova per prima da quelle parole: Panis quem ego dabo caro mea est pro mundi vita7 . Se il Signore avesse parlato della manducazione che si fa per la sola fede, come vogliono i novatori, non avrebbe detto dabo in futuro, perché tal manducazione era di ogni tempo;


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anche i fedeli della legge vecchia si cibavano in figura di Gesù Cristo per mezzo della fede. Disse dabo perché allora promise di dare a noi la sua carne nel sacramento che poi istituì nell'ultima cena. Disse: quem ego dabo, scrive l'angelico, quia nondum institutum erat hoc sacramentum... Non dicit autem: carnem meam significat, sed caro mea est, quia hoc quod sumitur, vere est corpus Christi1 . Inoltre, se il Signore avesse inteso parlare ivi della sola manducazione spirituale che si fa per la fede in credere la sua incarnazione, non avrebbe detto panis quem dabo, ma panis quem dedi, perché già egli si era incarnato, e già molti in esso avean creduto. Inoltre ciò si conferma dalle parole seguenti: Caro mea vere est cibus, et sanguis meus vere est potus2 . Questa distinzione di cibo e poto solo può avere luogo nella manducazione sacramentale del corpo e sangue di Gesù Cristo; perché nella spirituale per fede, ch'è tutta interna, il cibo ed il poto sono la stessa cosa.

19. Si prova inoltre da quel che dissero udendo ciò i cafarnaiti e da quel che rispose loro il Signore. Essi dissero: Quomodo potest hic nobis carnem suam dare ad manducandum3 . Ed infatti si partirono dalla compagnia del Signore: Ex hoc multi discipulorum eius abierunt retro, et iam non cum illo ambulabant4 . Or se nell'eucaristia non vi fosse realmente la carne di Gesù Cristo, ben poteva egli quietar subito il turbamento di coloro con dir solamente che gli uomini si sarebbero cibati del suo corpo semplicemente per mezzo della fede. Ma no, rispose loro assolutamente: Nisi manducaveritis carnem filii hominis et biberitis eius sanguinem, non habebitis vitam in vobis5 . E a' dodici apostoli che seco eran rimasti, disse: Numquid et vos vultis abire? Ed allora rispose s. Pietro: Domine, ad quem ibimus? verba vitae aeternae habes. Et nos credidimus et cognovimus quia tu es Christus filius Dei vivi6 . Inoltre il Salvatore, per confermare tal verità, soggiunse: Caro enim mea vere est cibus, et sanguis meus vere est potus7 . Se nell'eucaristia egli non ci desse la vera sua carne e il suo vero sangue, queste parole sarebbero state affatto improprie. Sebbene poi il concilio non ha dichiarato con canone espresso che in questo capo sesto di san Giovanni si parla della manducazione reale delle carni di Gesù Cristo, nondimeno in più luoghi, come nel capo 2 di questa sessione e nel capo 1 della sessione 21 rapporta più testi del citato capo per provare e confermare la verità dell'eucaristia. Inoltre nel concilio niceno II., act. 6, dalle stesse parole di s. Giovanni, nisi manducaveritis etc., si dimostra che nel sacrificio dell'altare si offerisce il vero e proprio corpo e sangue di Gesù Cristo.

20. Oppone a ciò Picenino il predicante quel che dice s. Agostino8 , dove parlando del testo in s. Giovanni, nisi manducaveritis carnem filii hominis etc., scrive il santo che la carne del Signore è una figura per cui ci si comanda l'aver memoria della sua passione: Figura est praecipiens passione dominica esse communicandum. Si risponde: non ha dubbio che l'eucaristia è stata istituita per memoria della passione, come ci fan sapere i sacri vangelisti: Hoc facite in meam commemorationem. E s. Paolo: Quotiescumque manducabitis panem hunc mortem Domini annuntiabitis. Ma bisogna ben distinguere le figure che abbiamo nella scrittura: alcune sono semplici e sole figure, poiché le parole non possono intendersi in senso proprio, come quando si dice di Cristo, ostium, leo, vitis etc. Altre figure poi sono insieme verità, giusta le parole che l'esprimono, e sono anche figure d'altri misteri significati, come quando disse l'apostolo: Abraham duos filios habuit, unum de ancilla et unum de libera...; quae sunt per allegoriam dicta: haec enim sunt duo testamenta9 . Ecco come Abramo ebbe due figli Isacco ed Ismaele, i quali furono veri suoi figli; ma insieme essi furon figura del vecchio e nuovo testamento. Lo stesso verificasi del sacrificio d'Isacco e dello spoglio degli egizj. Sicché nelle scritture alcune volte la figura sta nelle sole parole, altre volte sta nel fatto, il quale insieme è vero fatto e vera figura. E così appunto nell'eucaristia la carne che si nomina è vera carne di G. Cristo ed insieme è figura che ci ricorda la sua passione. E questo è quel che intende s. Agostino chiamando figura la carne del Signore. Ma come mai poteva intendere il s. dottore che la carne di Gesù Cristo fosse una semplice figura, quando egli in tanti luoghi delle sue opere dice espressamente che nell'eucaristia vi è il vero corpo e sangue di Cristo? Specialmente in un luogo dice: Iesum Christum carnem suam nobis manducandum, bibendumque


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sanguinem dantem fideli corde atque ore (si noti) suscipimus1 . In altro luogo dice: Panis, quem videtis in altari, sanctificatus per verbum Dei, corpus est Christi: calix ille, immo quod habet calix sanctificatum per verbum Dei, sanguis est Christi2 .

21. Oppongono di più il detto del Salvatore, il quale predisse a' cafarnaiti questo sacramento dell'eucaristia che volea poi istituire; e replicando quelli: Quomodo potest hic carnem suam dare ad manducandum3 ? egli rispose loro: Spiritus est qui vivificat, caro non prodest quidquam4 . Dunque (dicono i novatori) a niente giova la manducazione reale della carne di Gesù Cristo, ma solo giova la spirituale, che si fa per la fede. La risposta la s. Agostino dicendo: Non prodest quidquam, sed quomodo illi intellexerunt, quomodo in cadavere caro dilaniatur et in macello venditur, non quomodo spiritu vegetatur. Caro non prodest sola; accedat spiritus, et prodest plurimum5 . Sicché niente giova la manducazione di semplice carne morta, come di quella che si vende nei macelli, e come i cafarnaiti la concepivano, separata dallo spirito, cioè dall'anima e dalla divinità di Gesù Cristo; ma all'incontro molto giova nel senso sacramentale. L'errore dunque de' giudei non fu già nell'apprendere che il Signore volea darci in cibo la sua carne, ma nel concepire il modo di cibarsene, cioè masticandola coi denti, come si fa della carne venduta nei macelli.

22. Ma che giova, parlando degli eretici, addurre loro scritture evidenti, autorità dei santi padri e ragioni evidenti, mentr'essi, separandosi dalla chiesa cattolica, han perduta la via di trovar la verità? Tutti i loro errori nascono dal non voler sottoporsi al giudizio della chiesa, dichiarata da Dio la colonna e la fermezza della verità. Dicono essi che lo Spirito santo illumina ciascun cristiano a conoscere le verità che si han da credere. Ma io dimando appunto circa il sacramento dell'eucaristia, di cui al presente trattiamo: Lutero e Zuinglio eran già cristiani; Lutero dice che nell'eucaristia vi sta il vero corpo di Cristo, Zuinglio dice che non vi è il corpo, ma il solo segno del corpo di Cristo: ora, dimando, chi di costoro dice la verità e chi dobbiam seguire? Noi cattolici all'incontro abbiamo la santa chiesa che in tanti concilj c'insegna che sotto le specie del pane consacrato vi è realmente il corpo di Gesù Cristo; perché non l'abbiamo da credere? Così c'insegnò prima il concilio alessandrino, il quale fu poi approvato dal concilio II. ecumenico. Così il concilio niceno II. ed ecumenico VII.6 , dove espressamente si riprovò come errore il dire che nell'eucaristia siavi la sola figura del corpo di Cristo colle seguenti parole: Dixit: accipite, edite, hoc est corpus meum... non autem dixit: sumite, edite imaginem corporis mei. Così il concilio romano sotto Gregorio VII. nel 1079., dove Berengario fece la sua abiura e professione di fede, confessando che il pane e il vino per la consecrazione sostanzialmente si convertono nel corpo e sangue di Cristo. Così il concilio IV. lateranese sotto Innocenzo III. nel 1215., dove al capo I si disse: Credimus corpus et sanguinem Christi sub speciebus panis et vini veraciter contineri, transubstantiatis pane in corpus et vino in sanguinem. Così il concilio fiorentino, in doct. de sacr. al capo 4, dove si disse: Substantiam panis in corpus Christi converti etc. Così finalmente c'insegna il concilio di Trento nel canone I in questa sessione 13, ove dicesi: Si quis negaverit in ss. eucharistiae sacramento contineri vere, realiter et substantialiter corpus et sanguinem una cum anima et divinitate Domini nostri Iesu Christi ac proinde totum Christum; sed dixerit tantummodo esse in eo ut in signo vel figura aut virtute, anathema sit. In signo, come diceva Zuinglio: in figura, come diceva Ecolampadio: in virtute, come diceva Calvino, il quale asseriva intanto esservi nell'eucaristia il corpo di Gesù Cristo in quanto vi è (com'egli diceva) in lei la virtù di farci comunicare col corpo di Gesù Cristo.

23. Nel capo 2 parlasi dell'amore che ci dimostrò Gesù Cristo nell'istituire l'eucaristia, e de' frutti che ricavano le anime da questo gran sacramento: Salvator noster discessurus ex hoc mundo ad patrem sacramentum hoc instituit, in quo divitias divini sui erga homines amoris velut effudit. Sumi autem voluit tamquam animarum cibum, quo alantur et confortentur viventes vita illius qui dixit: qui manducat me, et ipse vivet propter me7 ; et tamquam antidotum, quo liberemur a culpis quotidianis, et a peccatis mortalibus praeservemur. Pignus praeterea id esse voluit futurae nostrae gloriae et symbolum illius corporis,


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cuius ipse caput existit, et nos membra etc.

24. A questo capo corrisponde il canone 5, in cui si condanna così il dire che il frutto principale dell'eucaristia è la remissione dei peccati, come il dire che altro frutto di questo non ne risulti: Si quis dixerit vel praecipuum fructum ss. eucharistiae esse remissionem peccatorum, vel ex ea non alios effectus provenire, anathema sit.

25. Nel capo 3 si dice che dove gli altri sacramenti conferiscono la grazia quando si pongono in uso, nell'eucaristia innanzi all'uso vi è l'autor della grazia, essendovi il suo corpo sotto le specie del pane e il sangue sotto quelle del vino per forza delle parole; ed il corpo sotto le specie del vino, e il sangue sotto quelle del pane, coll'anima sotto ambedue le specie per forza della natural connessione che hanno tra loro le parti di Gesù Cristo, e colla divinità, che sta parimente sotto le une e le altre specie per l'unione ipostatica del Verbo col corpo ed anima del Signore. Ond'è che tutto Gesù Cristo si contiene così sotto una specie, come sotto amendue e ciascuna parte di esse: Commune est... eucharistiae cum ceteris sacramentis, symbolum esse rei sacrae et invisibilis gratiae formam visibilem: verum illud in ea excellens et singulare reperitur quod reliqua sacramenta tunc sanctificandi vim habent cum quis illis utitur; at in eucharistia ipse sanctitatis auctor ante usum est: nondum enim eucharistiam de manu Domini apostoli susceperant cum vere tamen ipse affirmaret corpus suum esse quod praebebat. Et semper haec fides in ecclesia Dei fuit, statim post consecrationem verum Domini corpus verumque eius sanguinem sub panis et vini specie una cum ipsius anima et divinitate existere; sed corpus sub specie panis et sanguinem sub vini specie ex vi verborum; ipsum autem corpus sub specie vini, et sanguinem sub specie panis, animamque sub utraque, vi naturalis illius connexionis et concomitantiae qua partes Christi Domini qui... resurrexit... inter se copulantur; divinitatem porro propter admirabilem illam eius cum corpore et anima hypostaticam unionem. Quapropter... totus... Christus sub panis specie et sub quavis ipsius speciei parte, totus item sub vini specie et sub eius partibus existit.

26. A questo capo 3 corrisponde il can. 3: Si quis negaverit in venerabili sacramento eucharistiae sub unaquaque specie et sub singulis cuiusque speciei partibus, separatione facta, totum Christum contineri, anathema sit.

27. Al suddetto can. 3 il vescovo di Tuy Giovanni Emiliano ammonì che si aggiungessero le parole separatione facta; mentre vi era la sentenza non esservi Cristo sotto qualunque particella dell'ostia intiera. Si oppose a ciò l'arcivescovo di Cagliari con altri dicendo che, aggiungendosi quelle parole, venivasi implicitamente a riprovare la sentenza contraria. Ma con tutto ciò stimò bene il concilio di apporvi la suddetta aggiunta; poiché altrimenti restava riprovata la prima sentenza, ed all'incontro con quell'aggiunta ambedue le sentenze restavano illese. È certo dunque da ciò non esser di fede che Gesù Cristo sia tutto sotto qualunque parte dell'ostia innanzi alla separazione. Erra poi il Soave in dire che, appostasi la mentovata aggiunta, parea necessario inferirne che il Signore non sia tutto in ciascuna parte, anche prima della divisione. Poiché da ciò altro non può inferirsi se non che non è eresia il dire che Cristo non è tutto in ciascuna parte dell'ostia prima della separazione, ma è inezia poi il voler dire come definito per vero quel che non è condannato per eresia.

28. Allo stesso capo 3 s'appartiene ancora il can. 4: Si quis dixerit, peracta consecratione, in admirabili eucharistiae sacramento non esse corpus et sanguinem Domini nostri Iesu Christi, sed tantum in usum, dum sumitur, non autem ante vel post, et in hostiis seu partibus consecratis, quae post communionem reservantur vel supersunt, non remanere verum corpus Domini, anathema sit.

29. Questo fu già errore di Lutero, che disse non esservi Cristo nell'eucaristia prima o dopo dell'uso. Egli diceva, come scrisse a Simone Vuolferino1 , che il corpo di Cristo stava già nell'eucaristia dal principio del Pater noster che si dice nella messa per tutto il tempo in cui agiatamente poteano comunicarsi i fedeli. Ma si domanda a Lutero: se in quella messa non vi fosse chi si comunicasse, oppure per qualche accidente mancasse quel fedele che volea comunicarsi, il corpo del Signore già esistente in quell'ostia non resterebbe ivi anche senza l'uso? Giustamente dunque c'insegna il concilio esservi il corpo di Cristo sotto le specie consecrate anche fuori dell'uso, fondandosi sovra la tradizione antichissima della chiesa, e sovra ancora il detto


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di Gesù Cristo, il quale avendo affermato che quello era il suo corpo prima che i discepoli li prendessero, venne con ciò ad assicurarci ch'egli è nell'eucaristia anche prima dell'uso. Dice Pietro Soave che questa ragione, dal concilio nel riferito capo 3 già rapportata, non vale a provare che Gesù Cristo esista nel sacramento dell'altare prima dell'uso, dicendo che la stessa porrezione è un'azione che si appartiene all'uso dell'eucaristia. Si risponde non esser vero che tutte le azioni che spettano all'uso sono uso del sacramento; mentre può succedere che la persona che volea comunicarsi, per qualche accidente, poi non si comunichi; ed in tal caso non può dirsi che siasi fatto uso dell'eucaristia, e pure già Cristo esisteva sotto la specie dell'eucaristia.

30. Nel capo 4 si parla della transostanziazione e dicesi che, avendo detto il Salvatore essere il suo corpo quello che tenea nelle sue mani in sembianza di pane, ha creduto sempre la chiesa, ed ora lo dichiara di nuovo il concilio, che per la consacrazione tutta la sostanza del pane e del vino si converte nella sostanza del corpo e sangue di Cristo; e questa conversione dalla chiesa cattolica chiamasi propriamente transostanziazione. Quoniam autem Christus... corpus suum id, quod sub specie panis offerebat, vere esse dixit, ideo persuasum semper in ecclesia Dei fuit, idque nunc denuo s. haec synodus declarat, per consecrationem panis et vini conversionem fieri totius substantiae panis in substantiam corporis Christi... et totius substantiae vini in substantiam sanguinis eius: quae conversio convenienter et proprie a sancta catholica ecclesia transubstantiatio est appellata.

31. A questo capo 4 corrisponde il can. 2, dove si dice: Si quis dixerit in sacrosancto eucharistiae sacramento remanere substantiam panis et vini una cum corpore et sanguine Domini nostri Iesu Christi; negaveritque conversionem totius substantiae panis in corpus et vini in sanguinem, manentibus dumtaxat speciebus panis et vini, quam quidem conversionem catholica ecclesia aptissime transubstantiationem appellat, anathema sit.

32. Essendo certo che per le parole hoc est corpus meum nell'eucaristia si contiene il corpo di Gesù Cristo, la voce hoc dimostra tutta la sostanza della cosa presente, ch'è appunto il corpo del Signore, e non già della sostanza del pane che sotto quelle specie vi è stata prima. Se vi restasse la sostanza del pane, non potrebbe dirsi hoc, ma dovrebbe dirsi hic o pure hoc. Inoltre ciò si conferma dalle parole di s. Giovanni, 6, 52: Panem quem ego dabo, caro mea est. Se mai sotto le specie vi fosse rimasta la sostanza del pane, non avrebbe potuto dire Gesù Cristo che il pane era la sua carne, ma avrebbe dovuto dire che nel pane vi era la sua carne.

33. Ma qui esce poi in campo il Soave, e dice essere paruta contraddizione che il concilio da una parte avesse prima detto nel capo I che la conversione del pane nel corpo di Cristo appena poteva esprimersi con parole, e dall'altra dicesse poi in questo capo 4 che tal conversione si chiama propriamente transustanziazione. Dunque, dice, giacché tal conversione avea il suo nome proprio, non dovea dirsi che non si poteva esprimere. Risponde a ciò saviamente il Pallavicino e dice così: l'unione fra il Verbo divino e l'umanità di Cristo anche si dice ineffabile, e pure si chiama unione ipostatica. Molti epiteti ben converranno a qualche soggetto, benché niuno di loro spiegherà talvolta l'oggetto in modo che l'intelletto umano giunga totalmente a comprenderlo: così appunto la conversione della sostanza del pane in quella di Cristo chiamasi dal concilio appena esplicabile con parole, poiché noi non possiamo comprendere, e tanto meno spiegare, come queste sostanze convertansi in un subito e totalmente fra di loro e come le specie del pane e del vino restino visibili e tangibili colla sostanza solo del corpo e sangue del Signore, che nel sacramento non è visibiletangibile. Questo però non fa che tal conversione non possa dirsi propriamente transustanziazione; giacché siccome dicesi trasfigurazione quando un corpo passa da una figura in un'altra, trasformazione quando una materia passa da una forma in un'altra, restando però le stesse specie della prima. E se è lecito, come scrisse Cicerone1 , inventar voci nuove per ispiegare una cosa singolare, tanto più è lecito, anzi è necessario ciò fare alla teologia, che insegna dottrine più singolari e più nuove all'intelletto umano.

34. In quanto poi al modo come si faccia tal transustanziazione, se annichilandosi la sostanza del pane o pure adducendosi o unendosi alle specie il corpo di Cristo, diciamo con s. Tomaso esser più probabile ch'ella non è annichilativa della


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sostanza del paneadduttiva o unitiva del corpo del Signore colle specie, ma è riproduttiva di quello, mentre per le parole della consecrazione il corpo di Gesù Cristo si riproduce in istante nell'eucaristia, come allora appunto egli cominciasse ad essere: onde i santi padri dicono che nell'eucaristia quasi creasi il corpo di Cristo. Si dice quasi; perché, come dice s. Tomaso1 , nella creazione quel che non è ente passa ad esser ente, ma nell'eucaristia la sostanza di pane passa ad esser corpo di Cristo.

35. Nel capo 5 si tratta dell'adorazione di latria con cui dee venerarsi Gesù C. nell'ostia; onde approvarsi l'uso di celebrare ogni anno la festa di questo mistero e di portare il sacramento nelle processioni per farlo adorare dai fedeli, e ricordar loro questo gran beneficio: Omnes Christi fideles, pro more in catholica ecclesia semper recepto, latriae cultum huic ss., sacramento... exhibeant etc. Declarat praeterea s. synodus, pie... inductum fuisse ut singulis annis peculiari quadam... die... hoc ven. sacramentum singulari... solemnitate celebraretur utque in processionibus... illud per vias... circumferretur... cum christiani... singulari quadam significatione gratos testentur animos erga... Dominum... pro tam... divino beneficio, quo mortis eius... triumphus repraesentatur etc.

36. A questo capo corrisponde il can. 6, ove si dice: Si quis dixerit in s. eucharistiae sacramento Christum Dei Filium non esse cultu latriae, etiam externo, adorandum atque ideo nec festiva celebritate venerandum neque in processionibus secundum laudabilem ecclesiae ritum et consuetudinem solemniter circumgestandum vel non publice ut adoretur populo proponendum, et eius adoratores esse idolatras, anathema sit.

37. Scrive il Soave che nel concilio fu notato come un parlare molto improprio quel che dicesi nel riferito capo 5, cioè il doversi dare culto di latria huic sanctiss. sacramento, mentre per sacramento non s'intende la cosa contenente, e perciò dice che poi nel canone 6 anche di sopra riferito ciò fu corretto con dirsi che debba adorarsi il Figliuolo di Dio in questo sacramento. Ma si risponde a questa vana supposizione del Soave che i teologi ne' sacramenti della nuova legge distinguono tre cose: Sacramentum tantum, ed è quello che significa la cosa sacra occulta, cioè quel segno visibile che significa la grazia invisibile che nel sacramento si conferisce; e questo propriamente è ciò che importa la voce sacramento: Res sacramenti, e questa è la cosa significata, cioè l'effetto del sacramento, che nell'eucaristia è la rifezione dell'anima: Sacramentum et res; e ciò nell'eucaristia è il corpo di Cristo, il quale insieme è significato dalle specie sacramentali, ed ancora egli significa la grazia che vien conferita all'anima. Sicché nell'eucaristia il corpo di Cristo non è cosa distinta dal sacramento, poiché l'eucaristia è un composto del corpo di Cristo e delle specie sacramentali. Basta dunque intendere che il corpo del Signore sia una parte di questo composto per doverlo adorare con culto di latria; siccome l'umanità di Cristo per se stessa non merita culto di latria, mentre è creatura; ma con tutto ciò noi adoriamo Gesù Cristo con tal culto, perché egli è un composto che contiene ancora la divinità. Nell'eucaristia poi l'adorazione non si fa alle specie, ma a Gesù Cristo, che sotto quelle specie si contiene.

38. Nel capo 6 si commenda l'usanza di conservar questo sacramento nella custodia e di portarlo agli infermi: Consuetudo asservandi in sacrario eucharistiam adeo antiqua est ut eam saeculum etiam nicaeni concilii agnoverit. Porro deferri ipsam... ad infirmos... multis in conciliis praeceptum invenitur, et vetustissimo ecclesiae more est observatum. Quare sancta haec synodus retinendum omnino salutarem hunc et necessarium morem statuit.

39. A questo capo corrisponde il can. 7: Si quis dixerit non licere eucharistiam in sacrario reservari, sed statim post consecrationem adstantibus necessario distribuendam, aut non licere ut illa ad infirmos honorifice deferatur, anathema sit.

40. Ma qui vengono gli eretici ed esclamano: come mai può il corpo di G. Cristo moltiplicarsi in tanti luoghi dove il sacramento si riserva? Ma si avverta quel che ha detto il concilio nel capo I, cioè che Gesù Cristo in cielo sta secondo il modo naturale, negli altri luoghi poi della terra vi sta presente nell'eucaristia la sua sostanza, ma secondo il modo sacramentale, modo che noi non possiamo esprimerecomprendere, ma che dobbiamo credere possibile e vero, perché egli stesso l'ha rivelato. Il corpo di Cristo come già di sovra si è detto, è presente nell'eucaristia per la conversione del pane nella sostanza di Cristo; ond'è che siccome le conversioni del pane possono


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moltiplicarsi a mille in altra sostanza, così parimente si posson moltiplicare nella sostanza corpo di Gesù Cristo, senza che Gesù Cristo si moltiplichi. Una sola voce, senza moltiplicarsi, trovasi nelle orecchie di tutti che l'odono. Il sole, senza moltiplicarsi, trovasi negli occhi di tutti che lo mirano. E così il corpo del Signore, senza moltiplicarsi, ben può trovarsi in tutte le specie di pane che sono consacrate. Il modo senza dubbio è miracoloso e da noi poco si comprende, ma questo è quel che opera la fede; ella ci fa credere quel che noi non arriviamo a comprendere.

41. Nel capo 7 si tratta dell'obbligo che ha di confessarsi chi si vuol comunicare e sa esser reo di colpa mortale; e ciò per lo precetto di s. Paolo; Probet autem seipsum homo; il qual precetto dichiara il concilio doversi osservare anche da' sacerdoti, purché non abbian necessità di celebrare e manchi loro il confessore; nel qual caso posson celebrare, ma debbono poi quanto, prima confessarsi: Communicare volenti revocandum est in memoriam... praeceptum: Probet seipsum homo1 . Ecclesiastica autem consuetudo declarat eam probationem necessariam esse, ut nullus sibi conscius mortalis peccati, quantumvis sibi contritus videatur, absque praemissa sacramentali confessione ad eucharistiam accedere debeat. Quod... etiam a sacerdotibus... servandum..., modo non desit illis copia confessoris. Quod si, necessitate urgente, sacerdos absque praevia confessione celebraverit, quam primum confiteatur.

42. A questo capo corrisponde il can. 11: Si quis dixerit solam fidem esse sufficientem praeparationem ad sumendum ss. eucharistiae sacramentum, anathema sit.

43. Ciò è contra l'error di Lutero, il quale diceva che la sola manducazione spirituale la vita, e che questa vita non si per l'applicazione del sacramento ma per la fede di chi lo riceve. Ma ciò è falso, perché i sacramenti per se stessi coll'esterna applicazione conferiscono la grazia, come scrisse l'apostolo parlando del battesimo2 . È vero che anche la fede è necessaria per ottener la vita nel ricever l'eucaristia, ma è necessaria come disposizione, non già come causa della grazia: poiché il sacramento è per sé sempre efficace. Seguitano le parole dello stesso canone: Et ne tantum sacramentum indigne... sumatur, statuit atque declarat ipsa s. synodus illis quos conscientia peccati mortalis gravat, quantumcumque etiam se contritos existiment, habita copia confessoris, necessario praemittendam esse confessionem sacramentalem. Si quis autem contrarium docere, praedicare vel pertinaciter asserere seu etiam publice disputando defendere praesumpserit, eo ipso excommunicatus existat.

44. Sovra questo canone furono fatti più dubbj nel concilio. Circa quelle parole habita copia confessoris, per non dare ad intendere che vi fosse l'obbligo di confessarsi ad ogni sacerdote, benché non avesse quegli la facoltà di assolvere. Altri posero anche in dubbio l'obbligo imposto dal concilio della confessione, dicendo che bastava la contrizione col voto di confessarsi a suo tempo. Altri poi, e tra' questi fu anche Melchior Cano, diceano ch'essi non già approvavano l'opinione del Gaetano, del Paludano, di Riccardo e d'altri, che negavano la necessità della confessione, mentre la contraria si ricava dalla tradizione della chiesa, secondo parlano Ugone, Eusebio e Niceforo con s. Cipriano: onde stimavano che questo articolo ben dovesse dannarsi come erroneo, ma non già come ereticale. E così appunto si fece; si disse esser necessario premettere la confessione alla comunione, ma non si condannò di eresia l'opinione opposta.

45. Nel capo 8 si distinguono tre usi dell'eucaristia: il solo sacramentale, che si fa da chi si comunica in peccato: il solo spirituale, che si fa colla sola fede senza prendere il sacramento: e il sacramentale unito collo spirituale, che si fa da chi si comunica colla dovuta disposizione. Indi si dichiara essere stato costume perpetuo della chiesa per comunicarsi i laici per mano de' sacerdoti ed i sacerdoti da se stessi: Quoad usum recte... patres nostri tres rationes hoc sacramentum accipiendi distinxerunt: quosdam enim docuerunt sacramentaliter dumtaxat id sumere, ut peccatores: alios tantum spiritualiter...qui, voto... illum coelestem panem edentes, fide viva, quae per dilectionem operatur, fructum eius... sentiunt: tertios sacramentaliter simul et spiritualiter; hi autem sunt qui ita se prius probant et instruunt ut vestem nuptialem induti ad divinam hanc mensam accedant... Semper autem in ecclesia Dei mos fuit ut laici a sacerdotibus communionem acciperent, sacerdotes autem celebrantes seipsos communicarent: qui


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mos, tamquam ex traditione apostolica descendens, iure ac merito retineri debet etc.

A questo capo corrisponde il can. 10: Si quis dixerit non licere sacerdoti celebranti seipsum communicare, anathema sit.

46. Nel canone antecedente 9 fu imposto l'anatema contra chi negasse l'obbligo di ciascun fedele di comunicarsi ogni anno, almeno nella pasqua, secondo il cap. Omnis utriusque sexus, XII. de poenit. et rem. Onde si disse dal concilio: Si quis negaverit omnes et singulos Christi fideles utriusque sexus, cum ad annos discretionis pervenerint, teneri singulis annis saltem in paschate ad communicandum, iuxta praeceptum s. matris ecclesiae, anathema sit.

47. Il Soave riferisce che alcuno de' teologi del concilio non volea che si decidesse di fede tal obbligo di comunicarsi la pasqua; essendo cosa strana il dichiararsi di fede una ordinazione della chiesa. Ma il fatto fu così: disse taluno che la condanna dell'articolo opposto al canone dovea farsi con qualche spiegazione, mentre tal precetto non era divino ma ecclesiastico. Alcun altro poi disse che l'articolo più presto era scismatico che ereticale. Ma finalmente tutti convennero a condannarlo coll'anatema: e giustamente, poiché (dice il Pallavicino) siccome è sospetto di fede chi ordinariamente lascia di sentir le messe di precetto o mangia carne nel venerdì e sabato, così anche è sospetto di fede chi nega esservi l'obbligo di ubbidire al precetto della chiesa di comunicarsi ogni anno; mentre con ciò si presume ch'egli non creda essere stata data alla chiesa la potestà di stabilir queste leggi, quando che è certo, come si ha dalla scrittura e dalle tradizioni apostoliche, che Dio stesso ha comunicata quest'autorità alla chiesa di comandar quelle cose ch'ella giudica in qualche modo necessarie per conseguir la salute eterna.




1 - 3. p. q. 76. a. 1. ad. 3.

1 - 3. p. q. 76. a. 1.

2 - Ib. ad 3.

3 3. p. q. 76. a. 5. ad 3.

1 - Catech. mystag. 4.

2 - 1. Cor. 10. 16.

3 - 1. Cor. 11. 28. et 29.

5 - 1. Cor. 11. 24.

6 - Instit. l. 4. c. 17. §. 1.

7 - Io. 6. 52.

1 - Lect. 9. in Io.

2 - Io. 6. 56.

3 - Vers. 53.

4 - Vers. 67.

5 - Vers. 54.

6 - Io. 6. 68. et 69.

7 - Vers. 56.

8 - L. 3. de doctr. christ. c. 16.

9 - Gal. 4. 22. et 24.

1 - L. 2. c. 9. adv. leg. et proph.

2 - Serm. 83. de diver. nunc. 227.

3 - Io. 6. 53.

4 - Ib. vers. 64.

5 - Tr. 26. in Io.

6 - Act. 6. t. 3.

7 - Io. 6. 58.

1 - L. 3. c. 1.

1 - L. 3. de finib in princ.

1 - 3. p. q. 75. a. 7.

1 - 1. Cr. 11. 28.

2 - Eph. 5.




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