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S. Alfonso Maria de Liguori
Opera dogmatica...eretici pretesi riformati

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Cap. VI. Del ministro e dell'assoluzione.

69. Nel capo 6 si condannano quei che assegnano la potestà delle chiavi ad altri che a' vescovi ed a' sacerdoti, dicendo che i peccati pubblici si rimettono per la pubblica riprensione ed i segreti per la confessione a qualunque fedele. Insegna ancora il concilio che anche i sacerdoti che stanno in peccato amministrano questo sacramento validamente, e che errano quei che dicono esser privi di questa potestà i mali sacerdoti. Inoltre dichiara che l'assoluzione non è un nudo ministero di annunziare il vangelo o di dichiarare che i peccati son rimessi, ma è un atto giudiziale con cui il sacerdote la sentenza, dando o negando l'assoluzione al penitente. Onde non basta alla remissione de'


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peccati la fede del penitente di riputarsi assoluto, ancorché non abbia la contrizione ed ancorché il sacerdote intenda di operare per giuoco e di non assolverlo. Ecco le parole del concilio: Circa ministrum autem huius sacramenti, declarat s. synodus, falsas esse et a veritate evangelii penitus alienas doctrinas omnes quae ad alios quosvis homines, praeter episcopos et sacerdotes, clavium ministerium perniciose extendunt, putantes verba illa Domini: quaecumque alligaveritis super terram, erunt alligata et in coelo: et quaecumque solveritis super terram, erunt soluta et in coelo: et quorum remiseritis peccata, remittentur eis: et quorum retinueritis, retenta sunt: ad omnes Christi fideles indifferenter et promiscue, contra institutionem huius sacramenti ita fuisse dicta ut quivis potestatem habeat remittendi peccata, publica quidem per correptionem, si correptus acquieverit; secreta vero per spontaneam confessionem cuicumque factam. Docet quoque etiam sacerdotes qui peccato mortali tenentur, per virtutem Spiritus sancti in ordinatione collatam, tanquam Christi ministros, functionem remittendi peccata exercere, eosque prave sentire qui in malis sacerdotibus hanc potestatem non esse contendunt.

Quamvis autem absolutio sacerdotis alieni beneficii sit dispensatio, tamen non est solum nudum ministerium vel annuntiandi evangelium vel declarandi remissa esse peccata, sed ad instar actus iudicialis, quo ab ipso, velut a iudice, sententia pronuntiatur. Atque ideo non debet poenitens adeo sibi de sua ipsius fide blandiri ut etiamsi nulla illi adsit contritio, aut sacerdoti animus serio agendi et vere absolvendi desit, putet tamen se propter suam solam fidem vere et coram Deo esse absolutum: nec enim fides sine poenitentia remissionem ullam peccatorum praestaret, nec is esset nisi salutis suae negligentissimus qui sacerdotem iocose absolventem cognosceret, et non alium serio agentem sedulo requireret.

70. A questo capo fa ancora quel che si dice nel can. 6. trascritto già nel capo 3: Si quis dixerit duas tantum esse poenitentiae partes, terrores etc., et fidem conceptam ex evangelio vel absolutione, qua credit quis sibi per Christum remissa peccata, anathema sit.

71. Secondo appunto questo errore insegnava Lutero doversi dare dal ministro l'assoluzione. Nel catechismo di Lutero parlandosi della forma del sacramento della penitenza, il ministro, udita che ha la confessione del penitente, gli dimanda: Credi tu che la remissione de' peccati ch'io ti do, sia remissione di Dio? E rispondendo quegli di sì, il ministro soggiunge: Ed io per comando di Cristo ti perdono i tuoi peccati

72. Avvertasi che circa la forma di questo sacramento o sia l'assoluzione i greci usano la forma deprecativa: e scrive Giovenino che prima del secolo XII anche i latini usavano la forma deprecativa, come apparisce da più rituali e sacramentarj; ma dal concilio di Trento sta dichiarato che la forma non vaglia se non pronunziata in modo indicativo: Ego te absolvo a peccatis tuis. Ma come priva valeva in modo deprecativo, ed al presente anche vale tra i greci, ed ora tra i latini non vale? Saggiamente risponde Giovenino1 , che la chiesa ben può mutare le forme, non in quanto alla sostanza ma in quanto al modo, apponendovi qualche cosa come condizione sine qua non; mentre l'amministrazione de' sacramenti sta connessa da Cristo medesimo alla prudenza della chiesa, la quale ha prescritto a' latini il modo indicativo per esprimere l'atto di giurisdizione che i sacerdoti esercitano nell'amministrar questo sacramento.




1 - T. p. 383. de poenit.




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