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S. Alfonso Maria de Liguori
Pratica di amar Gesù Cristo

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CAPO II.

Quanto merita Gesù Cristo d'esser amato da noi per l'amore che ci ha dimostrato nell'istituire il SS. Sagramento dell'altare.

Sciens Iesus quia venit hora eius ut transeat ex hoc mundo ad Patrem, cum dilexisset suos... in finem dilexit eos (Io. XIII, 1). L'amantissimo nostro Salvatore, sapendo esser già arrivata l'ora di partirsi da questa terra, prima di andare a morire per noi, volle lasciarci il segno più grande che potea darci del suo amore, qual fu appunto questo dono del SS. Sagramento. - Dice S. Bernardino da Siena che i segni d'amore che si dimostrano in morte, più fermamente restano a memoria, e si tengono più cari: Quae in fine in signum amicitiae celebrantur, firmius memoriae imprimuntur et cariora tenentur.1 Onde sogliono gli amici, morendo, lasciare alle persone che hanno amate in vita, qualche dono, una veste, un anello, in memoria del loro affetto. Ma voi, Gesù mio, partendo da questo mondo che cosa ci avete lasciato in memoria del vostro amore? Non già una veste, un anello, ma ci avete lasciato il vostro corpo, il vostro sangue, l'anima vostra, la vostra divinità, tutto voi stesso, senza riservarvi niente. Totum tibi dedit, dice S. Giovanni Grisostomo, nihil sibi reliquit.2

Dice il Concilio di Trento che, in questo dono dell'Eucaristia, Gesù Cristo volle quasi cacciar fuori tutte le ricchezze dell'amore ch'egli serbava per gli uomini: Divitias sui erga homines amoris velut effudit (Sess. XIII, c. 2).3 E nota l'Apostolo


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che Gesù volle far questo dono agli uomini in quella stessa notte appunto in cui gli uomini gli apparecchiavano la morte: In qua nocte tradebatur, accepit panem, et gratias agens, fregit et dixit: Accipite et manducate, hoc est corpus meum (I. Cor. XI, 23, 24). Dice S. Bernardino da Siena che Gesù Cristo, ardendo per noi d'amore e non contento di apparecchiarsi a dar la vita per noi, prima di morire fu costretto dall'eccesso del suo amore a fare un'opera più grande, qual fu di darci in cibo il suo medesimo corpo: In illo fervoris excessu, quando paratus erat pro nobis mori, ab excessu amoris maius opus agere coactus est, quam umquam operatus fuerat, dare nobis corpus in cibum (S. Bern. Sen., T. 2. serm. 54. art. 1. cap. 1).4

Ben dunque da S. Tommaso fu chiamato questo sagramento sacramentum caritatis, pignus caritatis.5 Sagramento d'amore, perché il solo amore indusse Gesù Cristo a donarci in quello tutto se stesso; e pegno d'amore, acciocché se noi avessimo mai dubitato del suo amore, in questo sagramento ne avessimo ricevuto il pegno. Come se avesse detto il nostro Redentore nel lasciarci questo dono: Anime, se mai voi dubitate del mio amore, ecco ch'io vi lascio me stesso in questo sagramento; con tal pegno in mano, non potete aver più dubbio ch'io v'amo, e v'amo assai. - Ma inoltre da S. Bernardo fu chiamato questo sagramento amor amorum,6 amore degli amori, perché questo dono comprende tutti gli altri doni che il Signore ci ha fatti, la creazione, la redenzione, la predestinazione alla gloria; mentre l'Eucaristia non solo è pegno dell'amore di Gesù Cristo, ma è pegno ancora del paradiso che vuol darci: In quo, parla la Chiesa, futurae gloriae nobis pignus datur.7 Quindi S. Filippo Neri non sapeva nominar


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Gesù Cristo nel sagramento se non col nome di amore. Così appunto fu udito esclamare allorché gli fu portato il SS. Viatico: “Ecco l'amor mio, disse, datemi il mio amore.”8

Voleva il profeta Isaia che si manifestassero a tutti le invenzioni amorose che ha trovate Iddio per farsi amare dagli uomini.9 E chi mai avrebbe potuto pensare, s'egli stesso non l'avesse fatto, che il Verbo Incarnato si fosse posto sotto le specie di pane per farsi nostro cibo? Non sembra una pazzia, dice S. Agostino, il dire: Mangiate la mia carne, bevete il mio sangue? Nonne insania videtur dicere: Manducate meam carnem, bibite meum sanguinem?10 Quando Gesù Cristo svelò ai suoi discepoli questo sagramento che voleva lasciarci, essi non poterono giungere a crederlo, e si licenziarono da lui dicendo: Quomodo potest hic carnem suam dare ad manducandum? (Io. VI, 53). Durus est hic sermo, et quis potest eum audire? (Io. VI, 61). Ma quel che gli uomini non potevano


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pensare e credere, l'ha pensato e fatto il grande amore di Gesù Cristo. Accipite et manducate, egli disse ai suoi discepoli, e per essi a tutti noi, prima di andare a morire: Ricevete e mangiate! Ma qual cibo sarà mai questo, o Salvatore del mondo, che prima di morire volete donarci? Accipite et manducate: hoc est corpus meum (I Cor. XI, 24). Questo cibo non è terreno: sono io stesso che mi do tutto a voi.

Ed oh con qual desiderio Gesù Cristo anela di venire all'anime nostre nella santa comunione! Desiderio desideravi hoc pascha manducare vobiscum (Luc. XXII, 15). Così egli disse in quella notte in cui istituì questo sagramento d'amore. Desiderio desideravi: così gli fe' dire, scrive S. Lorenzo Giustiniani, l'amore immenso che ci portava: Flagrantissimae caritatis est vox haec.11 Ed acciocché facilmente ognuno avesse potuto riceverlo, volle lasciarsi sotto le specie di pane. Se si fosse lasciato sotto le specie di qualche cibo raro o di gran prezzo, i poveri ne sarebbero rimasti privi; ma no, Gesù ha voluto ponersi sotto le specie di pane che poco costa e da per tutto si trova, affinché tutti in ogni paese possan trovarlo e riceverlo.

Acciocché poi anche noi c'invogliassimo a riceverlo nella santa comunione, non solo ci esorta a ciò con tanti inviti: Venite, comedite panem meum et bibite vinum quod miscui vobis (Prov. IX, 5); comedite, amici, et bibite, parlando di questo pane e vino celeste (Cant. V, 1), ma anche ce l'impone per precetto: Accipite et manducate: hoc est corpus meum (I. Cor. XI, 24). Di più, acciocché noi andiamo a riceverlo, ci alletta colla promessa del paradiso: Qui manducat meam carnem, habet vitam aeternam (Io. VI, 55). Qui manducat hunc panem vivet in aeternum (Ibid. 59). Di più ci minaccia l'inferno coll'esclusione del paradiso, se noi ricusiamo di comunicarci: Nisi manducaveritis carnem Filii hominis, non habebitis vitam in vobis (Ibid. 54). Quest'inviti, queste promesse e queste minacce, tutte nascono dal gran desiderio ch'egli ha di venire a noi in questo sagramento.


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Ma perché mai tanto desidera Gesù Cristo che noi lo riceviamo nella santa comunione? Ecco la ragione. Dice S. Dionisio che l'amore aspira sempre e tende all'unione;12 e, come si dice presso S. Tommaso: Amantes desiderant ex ambobus fieri unum (1. 2. q. 28. a. 1. ad 2):13 gli amici che si amano di cuore vorrebbero talmente esser uniti che fossero un solo uomo. Or ciò ha fatto che l'immenso amore di Dio verso gli uomini non solo si desse tutto loro nel regno eterno, ma che in questa terra ancora si lasciasse dagli uomini possedere coll'unione più intima che possa darsi, dandosi tutto loro sotto le apparenze di pane nel Sagramento. Ivi egli sta come dietro un muro, e di ci guarda come per mezzo di stretti cancelli: En ipse stat post parietem nostrum, respiciens per fenestras, prospiciens per cancellos (Cant. II, 9). Sì che noi non lo vediamo, ma egli di ci guarda, ed ivi è realmente presente: è presente per lasciarsi da noi possedere, ma si nasconde per farsi da noi desiderare; e finché noi non perveniamo alla patria, Gesù vuol darsi a noi tutto, e star tutto unito con noi.

Ei non poté contentare il suo amore con darsi tutto al genere umano colla sua Incarnazione e Passione, morendo per tutti gli uomini; ma volle trovare il modo di darsi tutto a ciascuno di noi; e perciò istitui il Sagramento dell'altare, affin di unirsi tutto con ognuno di noi. Qui manducat meam carnem, egli disse, in me manet et ego in eo (Io. VI, 57). Nella santa comunione Gesù si unisce all'anima, e l'anima a Gesù, e questa unione non è di mero affetto, ma è vera e reale. Quindi ebbe a dire S. Francesco di Sales: “In niun'altra azione può considerarsi il Salvatore né più tenero né più amoroso, che in questa, in cui si annichila, per così dire, e si riduce in cibo per penetrar l'anime nostre, ed unirsi al cuore de' suoi fedeli.”14 Dice S. Giovan Grisostomo che Gesù Cristo, per l'ardente


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amore che ci portava, volle talmente con noi unirsi che diventassimo la stessa cosa con esso: Semetipsum nobis immiscuit ut unum quid simus: ardenter enim amantium hoc est (Chrysost. Hom. 61. ad Pop. Ant.).15

Volesti in somma, soggiunge S. Lorenzo Giustiniani, o Dio innamorato delle anime nostre, con questo Sagramento far che il tuo Cuore col nostro divenisse un solo cuore inseparabilmente unito: O mirabilis dilectio tua, Domine Iesu, qui tuo corpori taliter nos incorporari voluisti, ut tecum unum Cor et animam unam haberemus inseparabiliter colligatam!16 Aggiunge S. Bernardino da Siena che il darsi Gesù Cristo a noi in cibo fu l'ultimo grado d'amore, poiché si diede a noi per unirsi totalmente con noi, come si unisce insieme il cibo con chi lo mangia: Ultimus gradus amoris est, cum se dedit nobis in cibum, quia dedit se nobis ad omnimodam unionem, sicut cibus et cibans invicem uniuntur (S. Bern. Sen., T. 2. serm. 54).17 Oh quanto Gesù Cristo si compiace di stare unito colle anime nostre! Disse egli un giorno dopo la comunione alla sua diletta serva Margarita d'Ipres: “Vedi, figlia mia, la bella unione fatta tra me e te; orsù amami, e stiamoci sempre uniti in amore, e non ci separiamo più.”18

Quindi dobbiam persuaderci che un'anima non può fare né pensare di far cosa più grata a Gesù Cristo, che di andare a comunicarsi colla disposizione conveniente ad un tanto ospite che ha da ricevere nel suo petto; mentre così si unisce a Gesù Cristo, ch'è l'intento di questo innamorato Signore. Ho detto: colla disposizione conveniente, non già colla degna, perché se bisognasse la degna, e chi mai potrebbe più


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comunicarsi?19 Solo un altro Dio sarebbe degno di ricevere un Dio. Intendo conveniente quella che conviene ad una misera creatura vestita dell'infelice carne di Adamo. Basta che la persona, ordinariamente parlando, si comunichi in grazia, e con vivo desiderio di crescere nell'amore verso Gesù Cristo. “Solo per amore dee riceversi Gesù Cristo nella comunione, dicea S. Francesco di Sales, giacch'egli solo per amore a noi si dona.”20 Del resto quanto spesso poi ciascuno debba comunicarsi, in ciò dee regolarsi secondo il giudizio del suo padre spirituale. Sappiasi non però, che niuno stato o impiego, anche di maritato o negoziante, impedisce la comunione frequente, quando il direttore la stima opportuna, come dichiarò il Pontefice Innocenzo XI nel suo decreto dell'anno 1679, ove si disse: Frequens accessus - ad Eucharistiam - confessariorum iudicio est relinquendus, qui... laicis negotiatoribus et coniugatis, quod prospiciunt eorum saluti profuturum, id illis praescribere debebunt.21

Bisogna poi intendere che non vi è cosa da cui possiam cavar tanto profitto quanto dalla comunione. L'Eterno Padre ha fatto padrone Gesù Cristo di tutte le sue ricchezze divine: Omnia dedit ei Pater in manus (Io. XIII, 3). Onde quando viene Gesù in un'anima colla santa comunione, egli le porta seco immensi tesori di grazie. E perciò ben può dire una persona che si e comunicata: Venerunt autem mihi omnia bona pariter cum illa (Sap. VII, 11). Dice S. Dionisio che il sagramento dell'Eucaristia ha una somma virtù di santificare l'anime, più che tutti gli altri mezzi spirituali: Eucharistia maximam vim habet perficiendae sanctitatis.22 E S. Vincenzo Ferreri scrisse che più profitta l'anima con una comunione, che con una settimana di digiuni in pane ed acqua.23


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Primieramente, come insegna il Concilio di Trento, la comunione è quel gran rimedio che ci libera dai peccati veniali e ci preserva dai mortali: Antidotum quo a culpis quotidianis liberemur et a mortalibus praeservemur (Trid. Sess. XIII, cap. 2).24 Dicesi liberemur a cuilpis quotidianis, perché, secondo S. Tommaso (3 p. q. 79. a. 4), per mezzo di questo Sagramento l'uomo viene eccitato a far atti d'amore, per cui poi si cancellano i peccati veniali.25 E dicesi a mortalibus praeservemur, perché la comunione conferisce l'aumento della grazia che ci preserva dalle colpe gravi. Quindi scrisse Innocenzo III che Gesù Cristo colla sua Passione ci liberò dalla podestà del peccato, ma coll'Eucaristia ci libera dalla podestà di peccare: Per crucis mysterium liberavit nos a potestate


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peccati; per Eucharistiae sacramentum liberat nos a potestate peccandi.26

Di più questo Sagramento principalmente infiamma l'anime del divino amore. Iddio è amore: Deus caritas est (Io. IV, 8). Ed è fuoco che consuma ne' nostri cuori tutti gli affetti terreni: Ignis consumens est (Deut. IV, 24). Or questo fuoco d'amore venne appunto il Figlio di Dio ad accendere in terra: Ignem veni mittere in terram; e soggiunse che altro non bramava che di vedere acceso questo santo fuoco nell'anime nostre: Et quid volo, nisi ut accendatur? (Luc. XII, 49). Ed oh quali fiamme di divino amore accende Gesù Cristo in ognuno che divotamente lo riceve in questo Sagramento! S. Caterina da Siena vide un giorno in mano d'un sacerdote Gesù sagramentato come un globo di fuoco da cui la santa si ammirava come da quella fiamma non restassero arsi ed inceneriti tutti i cuori degli uomini.27 S. Rosa di Lima dopo la comunione mandava tali raggi dalla faccia che abbagliavano la vista, ed usciva tal calore dalla sua bocca che chi vi accostava la mano sentiva scottarsi.28 Narrasi di S. Venceslao che col solo andar visitando le chiese ove stava il Sagramento, s'infiammava di tanto ardore che il servo il quale l'accompagnava, camminando sulla neve e mettendo i piedi sulle pedate del santo, non sentiva più freddo.29 Dicea per tanto il Grisostomo che il SS. Sagramento è fuoco che c'infiamma, acciocché partendo dall'altare spiriamo tali fiamme d'amore che ci rendano terribili all'inferno: Carbo est Eucaristia, quae nos inflammat, ut


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tamquam leones ignem spirantes ab illa mensa recedamus, facti diabolo terribiles (Hom. 61, ad Pop.).30

Diceva la sposa de' Cantici: Introduxit me rex in cellam vinariam, ordinavit in me caritatem (Cant. II, 4). Scrive S. Gregorio Nisseno che appunto la comunione è quella cella di vino ove l'anima resta talmente inebriata di divino amore, che si dimentica e perde di vista tutte le cose create;31 e questo è quel languire d'amore, del quale poi parla dicendo: Fulcite me floribus, stipate me malis, quia amore langueo (ibid. 5). - Dirà taluno: Ma perciò io non mi comunico spesso, perché mi vedo freddo nel divino amore. Risponde a costui il Gersone e dice: “Dunque perché ti vedi freddo, per questo vuoi allontanarti dal fuoco?”32 Anzi perché ti senti freddo, tanto più dei accostarti spesso a questo Sagramento, sempre che hai vero desiderio di amar Gesù Cristo. Licet tepide, scrisse S. Bonaventura, tamen confidens de misericordia Dei accedas; tanto magis eget medico, quanto quis senserit se aegrotum (De prof. rel., c. 78).33 Parimente


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dicea S. Francesco di Sales nella sua Filotea (cap. 21): “Due sorte di persone debbono comunicarsi spesso: i perfetti per conservarsi nella perfezione, e gl'imperfetti per giungere alla perfezione.”34 Ma per comunicarsi spesso, almeno è necessario avere un gran desiderio di farsi santo e crescere nell'amore verso Gesù Cristo. Disse un giorno il Signore a S. Metilde: “Quando dei comunicarti, desidera tutto quello amore che mai un cuore ha avuto verso di me, ed io riceverò un tale amore come tu vorresti che fosse.” (Ap. Blos. in Conc. an. fidel. c. 6, n. 6).35




1 «Solet utique homo, quum est in magno amoris fervore, , ex vehementia dilectionis facere magna... sicut etiam in carnalibus amatoribus patet: quanto magis in philocapto Jesu. Nam... sciens Jesus quia venit hora eius... in finem dilexit eos, id est, maiora signa dilectionis ostendit eis, more scilicet veri amantis et amici cordialis. Nam quae in fine mutuorum recessuum inter amicos in signum perpetuae amicitiae ac memoriae celebrantur, fortius et firmius memoriae imprimintur, et cariora tenentur atque servantur.» S. BERNARDINUS SENENSIS, O. M.,  Quadragesimale de Evangelio aeterno, sermo 54, in Coena Domini, art. 1, cap. 1. Opera, tom. 2, Venetiis, 1745.



2 Vedi Appendice, 13.



3 «Ergo Salvator noster, discessurus ex hoc mundo ad Patrem, sacramentum hoc instituit, in quo divitias divini sui erga homines amoris velut effudit, memoriam faciens mirabilium suorum.» CONC. TRID., Sessio 13, Decretum de SS. Eucharistiae Sacramento, cap. 2.



4 «In illo fervoris excessu, quando paratus erat pro nobis in mortem tradere vitam suam, ab excessu amoris maius opus agere coactus est, quam umquam operatus fuit ab origine mundi, dare nobis corpus in cibum, et sanguinem suum in potum.» S. BERNARDINUS SENENSIS, O. M., Quadragesimale de Evangelio aeterno, sermo 54, in Coena Domini, art. 1, cap. 1. Opera, tom. 2, Venetiis, 1745.



5 Vedi Appendice, 14.



6 «Potesne aestimare quale vel quantum est hoc Sanctum sanctorum, et Sacramentum sacramentorum, amor amorum, dulcedo omnium dulcedinum?» Inter Opera S. Bernardi, (d' ignoto autore) Sermo de excelletia SS. Sacramenti et dignitate sacerdotum, n. 10. ML 184-987.



7 Officium Corporis Domini, Antiphona ad Magnificat in secundis Vesperis.



8 «Appena entrò Borromeo (il Cardinal Federigo) in camera col Santissimo Sacramento in mano, che il santo vecchio in un subito - ancorché prima stesse con gli occhi serrati e paresse come morto - aprì gli occhi, e con gran fervore di spirito disse ad alta voce, e con molte lagrime: «Ecco l' amor mio! ecco l' amor mio! Ecco tutto il mio amore, e tutto il mio bene! Datemi prestamente il mio amore!» E ciò dicea con tanto affetto, che tutti quelli che stavano quivi presenti piangevano... Quando fu nell' atto del comunicarsi, tutto infervorato disse: «Vieni, vieni, o Signore: vieni, amor mio!» e si comunicò. E poi soggiunse: «Ora, ho ricevuto il vero medico dell' anima mia. Vanitas vanitatum et omnia vanitas. Chi vuol altro che Cristo non sa quel che domanda, e non sa quel che si voglia.» Pietro Giacomo BACCI, dell' Oratorio. Vita (accresciuta dopo la Canonizzazione), Brescia, 1706, lib. 4, cap. 1, n. 4.



9 Notas facite in populis adinventiones eius. Isa. XII, 4.



10 Recordamini Evangelium: quando loquebatur Dominus noster Iesus Christus de corpore suo, ait: Nisi quis manducaverit carnem meam, et biberit sanguinem meam, non  habebit in se vitam: caro enim mea vere esca est, et sanguis meus vere potus est (Jo. VI, 54, 56). Et discipuli eius... expaverunt, et exhorruerunt sermonem, et non intelligentes putaverunt nescio quid durum dicere Dominum... quod carnem eius quam videbant, manducaturi erant, et sanguinem bibituri; et non potuerunt tolerare, quasi dicentes: quomodo est?... Ubi... dicitur: quomodo est? non intelligitur: ubi non intelligitur, tenebrae ignorantiae sunt... Ille autem dicebat: Nisi quis manducaverit carnem meam, et biberit sanguinem meum... Quasi furor iste et insania videbatur, dare carnem suam manducandam hominibus, et bibendum sanguinem... Nonne videtur insania. Manducate carnem meam et bibite sanguinem meum? Et dicens: Quicumque non manducaverit carnem meam, et biberit sanguinem meum, non habebit in se vitam, quasi insanire videtur. Sed... insanire videtur... stultis et ignorantibus.» S. AUGUSTINUS, Enarratio in Ps. XXXIII, sermo 1, n. 8. ML 36-305.



11 «Vulnerati cordis, et flagrantissimae caritatis est vox haec. Habet in se unde pascat ruminantes se.» S. Laurentius Iustinianus, De triumphali agone Mediatoris Christi, Opera, Lugduni, 1628, pag. 278, col. 1.



12 «Amorem, sive divinum, sive angelicum, sive spiritalem, sive animalem, sive naturalem dixerimus, vim quamdam sive potestatem copulantem et commiscentem inteligamus: superiora quidem moventem ad providentiam inferiorum; ea vero quae sunt eiusdem ordinis, ad mutuam communicationem; et novissime ea quae sunt inferiora, ad convertendum se ad praestantiora et praeposita.» DIONYSIUS AEROPAGITA, De divinis nominibus, cap. 4, § 15. MG 3-714.



13 S. THOMAS, Sum. Th., I-II, qu. 28, art. 1, ad 2. - Vedi Appendice, 15.



14 «Non, le Sauveur ne peut être considéré en une action ni plus amoureuse ni plus tendre que celle-ci, en laquelle il s' anéantit, par manière de dire, et se réduit en viande afin de pénétrer nos âmes et s' unir intimement an coeur et au corps de ses fidèles.» S. FRANÇOIS DE SALES, Introduction à la vie dévote partie 2, chap. 21.



15 S. IOANNES CHRYSOSTOMUS, Ad populum Antiochenum hom. 61. seu In Ioannem hom. 46 (al. 45): MG. 59-260. -Vedi Appendice, 16.



16 «O quam mirabilis est dilectio tua, Domine Jesu, qui, antequam ascenderes in caelum, dimisisti homini potestatem ut te, qui velit, habeat in altari, et tuo corpori taliter nos incorporare voluisti, et sanguine potare pretioso, ut sic, tuo inebriati amore, tecum unum cor et unam animam haberemus inseparabiliter colligatam.» S. LAURENTIUS IUSTINIANUS, De incendio divini amoris, cap. 5 (versus finem). Opera Lugduni, 1628, pag. 740.



17 S. BERNARDINUS SENENSIS, O. M., Quadragesimale de Evangelio aeterno, sermo 54, art. 4, cap. 1. Opera, tom. 2, Venetiis, 1775. - Vedi Appendice, 17.



18 Vedi Appendice, 18.



19 Vedi Appendice, 19.



20 «Votre grande intention en la communion doit être de vous avancer, fortifier et consoler en l' amour de Dieu; car vous devez recevoir pour l' amour ce que le seul amour vous fait donner.» S. FR. DE SALES, Introduction à la vie dévote, 2de partie, ch. 21.



21 Vedi Appendice, 20.



22 «Dicimus igitur, ceterorum hierarchicorum symbolorum participationibus, ex divinis perfectivisque muneribus accedere consummationem.» DIONYSIUS AREOPAGITA, De ecclesiastica hierarchia, cap. 3, I. MG 3-423.



23 Più efficacemente ancora mostra S. Vincenzo Ferreri dalla comunione ricavarsi maggior profitto che da qualunque altro esercizio. Dice infatti: «O quale donum, ubi Deus dat semetipsum! Numquam, tale donum recipiens quisquam, pauper potest fieri, quia in ipso est quidquid desiderabile est; numquam turbari aut tristari potest, quia ipsum est gaudium sine fine; numquam potest infirmari nec antiquari, quia Deus vita est. O vere pauper est ille qui hodie non est hoc cibo cibatus!» S. VINCENTIUS FERRERIUS, O. P., Sermones aestivales, Venetiis, 1573, In die sancto Paschae, sermo 2, fol. 7, a tergo. - «Quid hoc est efficacius sacramento, quo purgantur peccata, augentur virtutes, et mens omnium spiritualium abundantia impinguatur?... Sicut sol... dat virtutem et claritatem aliis planetis, ita ( a sacramento Eucharistiae) alia sacramenta recipiunt claritatem et virtutem, et ipsum nihil recipit ab aliis.» Ibid., Sermo in Octava Corporis Christi, fol. 239, a tergo; fol. 240, a fronte.



24 «Sumi autem voluit (Salvator noster) sacramentum hoc tamquam spiritualem animarum cibum, quo alantur et confortentur viventes vita illius qui dixit: Qui manducat me, et ipse vivet propter me (Io. VI. 58), et tamquam antidotum, quo liberemur a culpis quotidianis, et a peccatis mortalibus praeservemur.» CONC. TRID., Sessio 13, Decretum de SS. Eucharistiae Sacramento, cap. 2.



25 « In hoc sacramento duo possunt considerari: scilicet ipsum sacramentum, et res sacramenti. Et ex utroque apparet quod hoc sacramentum habet virtutem ad remissionem venialium pecatorum. Nam hoc sacramentum sumitur sub spevie cibi nutrientis. Nutrimentum autem cibi necessarium est corpori ad restaurandum id quod quotidie deperditur ex calore naturali. Spiritualiter autem quotidie in nobis aliquid deperditur ex calore concupiscentiae per peccata venialia quae diminuunt fervorem caritatis... Et ideo competit huic sacramento ut remittat peccata venialia... - Res autem huius sacramenti est caritas, non olum quantum ad habitum, sed etiam quantum ad actum, qui excitatur in hoc sacramento: per quod peccata venialia solvuntur. Unde manifestum est quod virtute huius sacramenti remittuntur peccata venialia.» S. THOMAS, Sum. Th., III, qu. 79, art. 4. c. - Ibid., ad 1: «Peccata venialia, etsi non contrariantur caritati quantum ad habitum, contrariantur tamen ei quantum ad fervorem actus, qui excitatur per hoc sacramentum. Ratione cuius peccata venialia tolluntur.» - Ibid., ad 3: «Maior est virtus caritatis, cuius est hoc sacramentum, quam venialium peccatorum; nam caritas tollit per suum actum peccata venialia, quae tamen non possunt totaliter impedire actum caritatis. Et eadem ratio est de hoc sacramento.»



26 «Per huius ergo Sacramenti virtutem, universae virtutes augentur, et omnium gratiarum fructus exuberant. Per crucis mysterium eruit nos a potestate peccati. Per Eucharistiae sacramentum liberat nos a voluntate peccandi; nam Eucharistia, si digne sumatur, a malo liberat et confirmat in bono, venialia delet et cavet mortalia.» INNOCENTIUS PP. III, De sacro Altaris mysterio libri sex,  lib. 4, cap. 44. ML 217-885.



27 Numquam venit ad sacrum altare, quin supra sensum ei plura ostenderentur, et singulariter quando recipiebat sacram communionem. Frequenter namque videbat latentem in manibus sacerdotis infantem, quandoque grandiusculum puerum, aliquando fornacem ignis ardentis, quam, dum Sacramentum sumeretur, sacerdos ingredi videbatur; saepius sentiebat tantum odorem et tam suavem, sumendo supervenerabile Sacramentum, quod fere deficiebat in corpore.» B. RAYMUNDUS CAPUANUS, O. P., Vita, pars 2, cap. 6. Inter Acta Sanctorum Bollandiana, die 3 aprilis, n. 181.



28 L. HANSEN, O. P., Vita, cap. 22. - Vedi Appendice, 21.



29 CAROLUS IV, imperator, Vita. - Vedi  Appendice, 22.



30 S. Io. CHRYSOSTOMUS, De Poenitentia, hom. 9: MG 49-345. In Ioannem, hom. 46 (al. 45 ), n. 3: MG 59-260, 261. - Vedi Appendice, 23.



31 «Deinde dicit (sponsa): Introducite me in cellam vinariam... Ut ad divinum currat cursum quae recte prius equis assimilata est anima, tamquam crebris et ordinatis saltibus ad anteriora tendentibus extenditur, ad posteriora autem non convertitur, quantum licet occupando. Quinetiam sitit. Usque adeo autem augetur sitis, ut e sapientiae cratere non hauriat, neque ad sedandam sitim satis esse putet si totum craterem in os infundat, sed rogat ut deducatur ad ipsam cellam vinariam, et ipsis torcularibus os subiiciat, et dulce vinum scatens adspiciat, botrumque qui exprimitur in torcularibus, et vitem illam quae hunc botrum alit, et verae illius vitis agricolam, qui adeo optimum et suavem efficit botrum. Quorum unumquodque supervacaneum fuerit explicare, cum sit manifesta quae in unoquoque eorum consideratur tropica significatio. Illud autem omnino vult videre mysterium, quemadmodum sponso calcanti torcular rubrae fiant vestes. De quo dicit propheta: Quam ob rem rubra sunt vestimenta tua, et indumenta, sicut de calcato torculari?  (Isa. LXIII, 2). Propter haec et quae sunt hujusmodi, cupit ingredi domum in qua est vini mysterium ac sacramentum.» S. GREGORIUS NYSSENUS, In Cantica Canticorum,  hom. 4. MG 44-846.



32 «Contemplabatur (Maria) tales, qui nolunt accedere (ad sacram mensam nisi sint actualiter devoti et fervidi, similiter agere quasi frigidus nolit ad ignem proximare, nisi prius calidus sit.» Jo. GERSONIUS, Collectorium super Magnificat, tractatus 9, partitio 3. Opera, tom. 3, Antwerpiae, 1706, col. 422. - «Sed frigidus sum, dicis, aut tepidus. Saepe suscipit intium celebrationis hominem parum devotum et frigidum, quem in fine calescentem dimittit et fervidum. Corpus Christi ignis est spiritualis: accede fiducialiter ad hunc ignem, calesces facilius.» Tractatus de praeparatione ad missam. Consideratio 4. Opera, tom. 3, col 327.



33 «Salubre est et utile quod homo saepe se ad illius medicamenti (nempe communionis) susceptionem praeparet, et quanto devotius valeat illud percipere studeat, et post perceptionem in studio devotionis se conservet... Et licet quandoque tepide, tamen confidens de misericordia Dei fiducialiter accedat: quia si se indignum reputat, cogitet quod tanto magis aeger necesse habet requirere medicum, quanto magis senserit se aegrotum. Non enim est opus valentibus medicus, sed male habentibus (Matt. IX, 12). Nec ideo quaeris te iungere Christo ut tu eum sanctifices, sed ut tu sanctificeris ab illo.» De profectu Religiosorum, lib. 2, cap. 77: inter Opera S. Bonaventurae, VII, pag. 612; Lugduni, 1868. - Vedi Appendice, 8.



34 «Si les mondains vous demandent pourquoi vous communiez si souvent, dites-leur que c' est pour appendre à aimer Dieu, pour vous purifier de vos imperfectionis, pour vous délivrer de vos misères, pour vous consoler en vos afflictionis, pour vous appuyer en vos faiblesses. Dites-leur que deux sortes de gens doivent souvent communier; les parfaits, parce qu' étant bien disposés, ils auraient grand tort de ne point s' approcher de la source et fontaine de perfection, et les imparfaits, afin de pouvoir justement prétendre à la perfetion; les forts afin qu' ils ne deviennent faìbles, et les faìbles afin qu' ils deviennent forts; les malades afin d' être guèris, les sains afin qu' ils ne tombent en maladie; et que pour vous, comme imparfaite, faible et malade, vous avez besoin de souvent communiquer avec votre perfection, votre force et votre médecin.» S. FRANÇOIS DE SALES, Introduction à la vie dévote, partie 2, ch. 21.



35 «Christus sanctae Mechtildi ait: «Quando sacram communionem perceptura es, desidera et opta, ad laudem nominis mei, habere omne desiderium omnemque amorem quo umquam cor aliquod erga me flagravit, et ita ad me accede. Nam ego amorem illum in te attendam atque suscipiam, non sicut est in te, sed sicut velles eum in te esse. (Lib. 3 Spir. grat. c. 22 - lege 23)». Lud. BLOSIUS, O. S. B., Abbas Laetiensis in Hannonia, Conclave animae fidelis, pars 2, sive Monile spirituale, cap. 6, n. 6. - «Ponendo una volta il segno per comunicarsi, disse al Signore: «Scrivi, o dolcissimo Signore, il nome mio nel tuo cuore, e segna parimente nel mio cuore il tuo mellifluo nome per una continua memoria di te.» a cui disse il Signore: «Mentre ti vuoi comunicare, ricevimi con tale intenzione, come se tu avessi ogni desiderio, ogni amore, col quale giammai alcuno umano cuore in me si accresce: e così in quello altissimo amore, con cui possibil sia che il cuor umano ami, accostati a me. Ed io quell' amore riceverò in te, non in quanto che in te sia, ma come s' egli fosse tale e tanto quanto tu volevi che fosse.» Libro della spiritual grazia, delle rivelazioni e visioni della B. METILDE, vergine, raccolto dal R. P. F. Gio. Lanspergio, monaco della Certosa. Venezia, 1710.






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