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S. Alfonso Maria de Liguori
Pratica di amar Gesù Cristo

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CAPO V.

Caritas patiens est.

L'anima che ama Gesù Cristo ama il patire.

Questa terra è luogo di meriti, e perciò è luogo di patimenti. La patria nostra, ove Dio ci ha preparato il riposo in un gaudio eterno, è il paradiso. In questo mondo poco tempo abbiamo da starvi; ma in questo poco tempo molti sono i travagli che abbiamo da soffrire. Homo natus de muliere, brevi vivens tempore, repletur multis miseriis (Iob. XIV, 1).Si ha da patire, e tutti han da patire: siano giusti, siano peccatori, ognuno ha da portar la sua croce. Chi la porta con pazienza si salva, chi la porta con impazienza si perde. Le stesse miserie, dice S. Agostino, mandano altri al paradiso, altri all'inferno: Una eademque tunsio bonos perducit ad gloriam, malos reducit in favillam.1 Colla pruova del patire, dice lo stesso santo, si distingue


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la paglia dal grano nella chiesa di Dio: chi nelle tribolazioni si umilia e si rassegna al divino volere è grano per lo paradiso; chi s'insuperbisce e si adira, e perciò lascia Dio, è paglia per l'inferno.2

Nel giorno in cui avrà da giudicarsi la causa della nostra salute, per aver la sentenza felice de' predestinati, la nostra vita dovrà trovarsi uniforme alla vita di Gesù Cristo: Nam quos praescivit et praedestinavit conformes fieri imaginis Filii sui (Rom. VIII, 29). Questo fu il fine per cui l'Eterno Verbo discese in terra, per insegnarci col suo esempio a portare con pazienza le croci che Dio ci manda: Christus passus est pro nobis, scrisse S. Pietro, vobis relinquens exemplum ut sequamini vestigia eius (I Petr. II, 21). Sicché Gesù Cristo volle patire per animarci a patire. - Oh Dio! qual fu la vita di Gesù Cristo? Vita d'ignominie e di pene. Il Profeta chiamò il nostro Redentore: Despectum, novissimum virorum, virum dolorum (Is. LIII, 3): l'uomo disprezzato e trattato come l'ultimo, il più vile di tutti gli uomini, l'uomo de' dolori; sì, perché la vita di Gesù Cristo fu tutta piena di travagli e di dolori.

Or siccome Iddio ha trattato il suo Figlio diletto, così tratta ancora ognuno che ama e riceve per suo figlio: Quem enim diligit Dominus castigat; flagellat autem omnem filium quem recipit (Hebr. XII, 6). Onde disse un giorno a S. Teresa: “Sappi che le anime più care al mio Padre sono quelle che sono afflitte da patimenti più grandi.”3 Quindi la santa, quando vedeasi travagliata, dicea che non avrebbe cambiati i suoi travagli con tutti i tesori del mondo.4 Comparve ella dopo morte


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ad un'anima, e le rivelò che godeva un gran premio in cielo, non tanto per le sue opere buone, quanto per le pene sofferte in vita volentieri per amor di Dio; e che se per alcuna causa avesse desiderato di tornare al mondo, l'unica sarebbe stata per poter patire qualche altra cosa per Dio.5

Chi ama Dio patendo fa doppio guadagno per lo paradiso. Dicea S. Vincenzo de' Paoli che in questa vita il non patire dee riputarsi per una gran disgrazia. E soggiungeva che una congregazione o persona che non patisce, ed a cui tutto il mondo applaudisce, è vicina alla caduta.6 Perciò S. Francesco d'Assisi in quel giorno che passava senza patire qualche croce per Dio, temeva che Dio si fosse quasi scordato di lui.7 - Scrive


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S. Giovan Grisostomo che quando il Signore dona ad alcuno la grazia di patire, gli fa maggior grazia che se gli donasse la podestà di risuscitare i morti, perché nel far miracoli l'uomo resta debitore a Dio, ma nel patire Dio si rende debitore all'uomo. E soggiungea che chi patisce qualche cosa per Dio, se non avesse altro dono che il poter soffrire per Dio che ama, questa sarebbe per lui una gran mercede. Pertanto dicea ch'egli stimava più la grazia di Paolo in esser incatenato per Gesù Cristo che in esser rapito al terzo cielo.8

Patientia autem opus perfectum habet (Iac. I, 4). Ciò vuol dire che non vi è cosa che più gradisca a Dio, quanto il vedere un'anima che con pazienza e pace soffre tutte le croci ch'egli le manda. Ciò fa l'amore, rende l'amante simile all'amato. Dicea S. Francesco di Sales: “Tutte le piaghe del Redentore son tante bocche le quali c'insegnano come bisogna per lui patire. Questa è la scienza de' santi, soffrire costantemente per Gesù; e così diverremo presto santi.”9 Chi ama Gesù Cristo desidera vedersi trattato come fu Gesù Cristo, povero, straziato e disprezzato. - Da S. Giovanni furono veduti tutti i santi vestiti di bianco e colle palme in mano: Amicti stolis albis et palmae in manibus eorum (Ap. VII, 9). La palma e l'insegna de' martiri, ma non tutti i santi hanno avuto il martirio; come tutti i santi portano le palme in mano? Risponde S. Gregorio che tutti i santi sono stati martiri o di ferro o di pazienza; e così poi soggiunge: Nos sine ferro martyres esse possumus, si patientiam custodimus.10

Qui sta il merito di un'anima che ama Gesù Cristo, nell'amare e patire. Ecco quel che disse il Signore a S. Teresa: “Pensi tu, figlia mia, che 'l merito consiste nel godere? no, consiste in patire ed amare. Mira la vita mia tutta piena di pene. Credi, figlia, che chi è più amato da mio Padre maggiori


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travagli da lui riceve, ed a ciò corrisponde l'amore. Mira queste piaghe, ché non giungeranno mai a tanto i tuoi dolori.11 Il pensare che mio Padre ammette alla sua amicizia gente senza travaglio, è sproposito.”12 Ed aggiunge S. Teresa per nostra consolazione: “Iddio non manda mai un travaglio che non lo paghi subito con qualche favore.”13

Apparve un giorno Gesù Cristo alla B. Battista Varani, e le disse che tre sono i maggiori benefici ch'egli fa all'anime sue dilette: il primo, di non peccare: il secondo, ch'è maggiore, di far opere buone: il terzo, ch'è il massimo, di patire per suo amore.14 Onde dicea S. Teresa che quando alcuno fa per Dio


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qualche bene, il Signore ce lo rende con qualche travaglio.15 E perciò i santi nel ricevere i travagli ne rendeano le grazie a Dio. S. Luigi re di Francia, parlando della schiavitù da lui sofferta in Turchia, disse: “Io godo, e ringrazio Dio più della pazienza che mi concesse nel tempo della mia prigionia, che se avessi acquistata tutta la terra.”16 E S. Lisabetta principessa di Turingia, quando, morto il marito, fu discacciata dallo stato insieme col figlio, e si vide raminga e abbandonata da tutti, andò ad un convento di Francescani, ed ivi fe' cantare il Te Deum in ringraziamento a Dio, perché così la favoriva con farla patire per di lui amore.17

Diceva S. Giuseppe Calasanzio: “Per guadagnare il paradiso ogni fatica è poca.”18 E prima lo disse l'Apostolo:


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Non sunt condignae passiones huius temporis ad futuram gloriam quae revelabitur in nobis (Rom. VIII, 18). Sarebbe un gran guadagno il patire tutte le pene che han patite i santi martiri, in tutta la nostra vita, per godere un sol momento di paradiso; or quanto più noi dobbiamo abbracciar le nostre croci, sapendo che 'l patire della nostra breve vita ci farà acquistare una beatitudine eterna? Momentaneum et leve tribulationis nostrae... aeternum gloriae pondus operatur in nobis (II Cor. IV, 17). - S. Agapito, giovinetto di pochi anni, quando fu minacciato dal tiranno di fargli bruciar la testa con un elmo infocato, rispose: “E che maggior fortuna posso aver io, che perder la mia testa per vederla poi coronata in paradiso?”19 Ciò facea dire a S. Francesco: “Tanto è grande il ben che aspetto, che ogni pena mi è diletto.”20 Ma chi vuol la corona del paradiso bisogna che combatta e soffra: Si sustinebimus, et conregnabimus


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(II Tim. II, 12). Non si può aver premio senza merito, né merito senza pazienza. Non coronatur, nisi qui legitime certaverit (Ibid. 5).21 E chi combatte con maggior pazienza, avrà maggior corona - Gran cosa! quando si tratta de' beni temporali di questa terra, i mondani procurano di acquistarne quanto più si può; quando si tratta poi de' beni eterni, dicono: “Basta che abbiamo un cantone in paradiso!” Non dicono così i santi. Essi in questa vita si contentano di ogni cosa, anzi si spoglian di questi beni terreni; ma parlando de' beni eterni procurano guadagnarne quanto più possono. Dimando: Chi di costoro opera più da savio e da prudente?

Ma parlando anche di questa vita, è certo che chi patisce con più pazienza gode più pace. Dicea S. Filippo Neri che in questo mondo non vi è purgatorio: o vi è paradiso o inferno: chi sopporta le tribolazioni con pazienza gode il paradiso: chi no, patisce l'inferno.22 Si, perché, come scrive S. Teresa, chi abbraccia le croci che Dio gli manda non le sente.23 - S. Francesco di Sales, ritrovandosi in un certo tempo cinto da molte tribulazioni, disse: “Da qualche tempo in qua le tante opposizioni e segrete contraddizioni che mi sono avvenute mi recano una pacedolce che non ha pari: e mi presagiscono il prossimo stabilimento dell'anima mia nel suo Dio, che con tutta verità è l'unica


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ambizione e l'unico desiderio del mio cuore.”24 - Eh che la pace non può trovarsi da chi fa una vita sconcertata, ma solo da chi vive unito con Dio e colla sua santa volontà. Un certo religioso missionario, ritrovandosi nell'Indie a vedere un condannato che stava già sul palco per essere giustiziato, fu chiamato da quell'uomo che gli disse: “Sappiate, Padre, ch'io sono stato nella vostra religione; quando io osservai le regole, vissi una vita sempre contenta; ma quando poi cominciai a rilasciarmi, subito cominciai a sentir pena in ogni cosa; tanto che lasciai la religione, e mi abbandonai a' vizi, i quali finalmente mi han ridotto a questo termine infelice in cui mi vedete.” E finì dicendo: “Vi ho detto questo, affinché il mio esempio possa giovare ad altri.” Dicea il Ven. P. Luigi da Ponte: “Piglia le cose dolci di questa vita per amare e le amare per dolci, e così goderai sempre pace.”25 Sì, perché le dolci, benché piacciono al senso, lasciano nonperò sempre l'amaro del rimorso di coscienza per la compiacenza difettosa che per lo più in quelle abbiamo; ma le amare, prese con pazienza dalla mano di Dio, diventano dolci e care alle anime che l'amano.

Persuadiamoci che in questa valle di lagrime non può aversi vera pace di cuore, se non da chi tollera ed abbraccia con amore i patimenti per dar gusto a Dio: così porta lo stato di corruzione, dalla quale siamo rimasti tutti infettati per lo peccato. Lo stato dei santi in terra è di patire amando: lo stato de' santi in cielo è di godere amando. Scrisse una volta il P. Paolo Segneri juniore ad una sua penitente, per animarla a patire, che tenesse scritte a' piedi del Crocifisso queste parole: Così si ama.26 Non il patire, ma il voler patire per amor


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di Gesù Cristo è il segno più certo per vedere se un'anima l'ama. “E qual maggior acquisto, dicea S. Teresa, può aversi, che in aver qualche testimonianza che diamo gusto a Dio?”27 Oimè che la maggior parte degli uomini si sgomentano al solo nome di croce, di umiliazione e di pena! Ma non mancano tante anime amanti che trovano tutto il lor contento nel patire, e sarebbero quasi inconsolabili se vivessero quaggiù senza patire. “Il mirar Gesù crocifisso, dicea una persona santa, mi rende così amabile la croce, che parmi non potere esser felice senza patire; l'amore di Gesù Cristo mi basta per tutto.” Ecco quello che Gesù consiglia a chi vuole seguitarlo, il prendere e portar la sua croce: Tollat crucem suam... et sequatur me (Luc. IX, 23). Ma bisogna prenderla e portarla non a forza e con ripugnanza, ma con umiltà, pazienza ed amore.

O che gusto a Dio chi con umiltà e pazienza abbraccia le croci che Dio gli manda! Dicea S. Ignazio di Loyola: “Non vi è legno più atto a produrre e conservare l'amore verso Dio, che il legno della santa croce,”28 cioè l'amarlo in mezzo a' patimenti. Un giorno S. Gertrude dimandò al Signore che cosa potea ella offerirgli di suo maggior gusto; ed egli le rispose: “Figlia, tu non puoi farmi cosa più grata che soffrir con pazienza tutte le tribulazioni che ti si presentano.”29 Quindi diceva


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la gran serva di Dio Suor Vittoria Angelini, che vale più una giornata crocifissa che cento anni di tutti gli altri esercizi spirituali.30 E 'l Venerabile P. Giovanni d'Avila dicea: “Vale più un Benedetto sia Dio nelle cose contrarie, che mille ringraziamenti nelle cose prospere.”31 Oimè che non è conosciuto dagli uomini il valore de' patimenti sofferti per Dio! Dicea la B. Angela da Foligno che il patire per Dio, se noi lo conoscessimo, “sarebbe oggetto di rapina”: viene a dire che ognuno anderebbe in cerca di rapire agli altri le occasioni di patire.32 Perciò S. Maria Maddalena de' Pazzi, conoscendo la preziosità del patire, desiderava che si prolungasse la sua vita più tosto che morire e andare in cielo; perché, diceva, “in cielo non si può patire.”33

L'intento di un'anima che ama Dio non è che di unirsi tutta con Dio; ma per giungere a questa perfetta unione, udiamo quel che dicea S. Caterina da Genova: “Per arrivare all'unione di Dio son necessarie le avversità; perché Dio attende per mezzo di quelle a consumar tutt'i nostri pravi movimenti di dentro e di fuori. E però tutte le ingiurie, disprezzi, infermità, abbandonamenti de' parenti e d'amici, confusioni, tentazioni ed altre cose contrarie, tutte ci sono sommamente


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di bisogno, affinché combattiamo, finché per via di vittorie vengano ad estinguersi in noi tutt'i malvagi movimenti, sicché più non li sentiamo; e finché più non ci paiano amare, ma soavi per Dio tutte le avversità, non giungeremo mai alla divina unione.”34

Da tutto ciò, un'anima che desidera di esser tutta di Dio dee risolversi, come scrive S. Giovanni della Croce, a cercare in questa vita non di godere, ma di patire in tutte le cose,35 abbracciando con avidità tutte le mortificazioni volontarie, e con maggior avidità ed amore le involontarie, perché queste sono più care a Dio. Disse Salomone: Melior est patiens viro forti (Prov. XVI, 32). Piace a Dio chi si mortifica con digiuni, cilizi e discipline, per la fortezza che vi esercita in mortificarsi; ma molto più gli piace chi è forte in soffrir con pazienza ed allegrezza le croci che Iddio gli manda. Dicea S. Francesco di Sales: “Le mortificazioni che ci vengono per parte di Dio o degli uomini per sua permissione, sono sempre più preziose di quelle che sono figlie della nostra volontà; essendo regola generale che dove meno vi è di nostra elezione, vi è di maggior gusto di Dio e maggior nostro profitto.”36 Lo stesso avvertimento dava S. Teresa: “Si acquista più in un sol giorno co' travagli che ci vengon da Dio o dal prossimo, che in dieci anni co' patimenti pigliati da noi.”37 Quindi dicea generosamente


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S. Maria Maddalena de' Pazzi non trovarsi al mondo pena così acerba che ella non avrebbe sofferta con allegrezza, pensando che veniva da Dio; ed in fatti in quei gran travagli che la santa patì nella prova di cinque anni, bastava ricordarle esser volontà di Dio che così patisse, per farla rimettere in pace.38 Ah che per acquistare un Dio, questo gran tesoro, ogni cosa è poca. Dicea il P. Ippolito Durazzo: “Costi Dio quanto vuol, non fu mai caro.”39

Deh preghiamo il Signore che ci faccia degni del suo santo amore; che se perfettamente l'ameremo, ci sembreranno fumo e loto tutti i beni di questa terra, e ci diverranno delizie le ignominie e i patimenti. Udiamo quel che dice il Grisostomo di un'anima che si è data tutta a Dio: “Giunto ch'è uno al perfetto amore di Dio, diventa come se fosse egli solo sovra la terra. Non cura più né la gloria né l'ignominia, disprezza le tentazioni e i patimenti, perde il gusto e l'appetito di tutte le cose. E non trovando appoggioriposo in cosa alcuna, va continuamente in cerca dell'amato senza mai stancarsi; in modo che quando lavora, quando mangia, quando veglia, quando dorme, in ogni sua operazione e discorso, tutto il suo


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pensiero e tutto il suo studio è di trovare l'amato, perché ivi ha egli il suo cuore, ov'è il suo tesoro.”40

In questo capo abbiam parlato della pazienza in generale; nel capo XV tratteremo di più cose particolari nelle quali dobbiamo specialmente esercitare la nostra pazienza.




1 «Una eademque tunsio bonos producit ad gloriam, malos reigit in favillam.» In Appendice ad Sermones S. Augustini, sermo 52, n. 4. ML 39-1845. - Vedi Appendice, 30, A.



2 S. AUGUSTINUS, De civitate Dei, lib. 1, cap. 8, n. 2: ML 41-21. - Sermo 252, cap. 5, n. 5: ML 38-1174, 1175. - Vedi Appendice, 30, B.



3 «Esto me dijo el Senor otro dia (nell' anno, a quanto sembra, 1572, nel Monastero dell' Incarnazione): « Piensas, hija, que està el merecer en gozar? No està sino en obrar y en padecer y en amar... Cree, hija, que a quien mi Padre mas ama, da mayores trabajos, y a éstos responde el amor. En qué te le puedo màs mostrar que querer para ti lo que quise para Mi?...» S. TERESA, Mercedes de Dios, XXXVI. Obras, II, 64, 65.



4 «Deseo, hijas, che nunca se os olvide no se contenta el Senor con darnos tan poco como son nuestros deseos: yo lo he visto acà. En algunas cosas que comienza uno a pedir al Senor, le da en qué merezca, y còmo padezca algo por El, no yendo su intento a màs de lo que le parece sus fuerzas alcanzan - como Su Majestad las puede hacer crecer -; en pago de aquello poquito que se determinò por El, dale tantos trabajos y persecuciones y enfermedades, que el pobre hombre no sabe de sì. A mi mesma me acaeciò en harta mocedad, y decir algunas veces: Oh, Senor, que no querria yo tanto! Mas daba Su Majestad la fuerza de manera y la paciencia, que aun ahora me espanto còmo lo podia sufrir; y no trocaria aquellos trabajos por todos los tesoros del mundo.» S. TERESA, Conceptos del amor de Dios, cap. 6 (dopo il principio). Obras, V, Burgos, 1917.



5 «Al articulo 96 dijo: que sabe por relaciòn de dos o tres personas religiosas y muy graves lo que signe. Muy poco despuès que muriò la Santa Madre, escribiò una de estas personas a otra que ya no se atrevia a sentir la ausencia de la Santa Madre Teresa de Jesuis porque reprendia mucho a quien la sentia y a quien se afligia por los trabajos, porque ninguna cosa, segùn la dijeron en espiritu, màs le premiaron en el cielo que los que acà habìa padecido, y que si por alguna cosa pudiera desear volver al mundo, fuera por sufrir màs.» Declaraciòn de la Hermana  TERESA DE JESUS (nipote della Santa Madre), en el segundo Proceso de Avila (1610). Obras, II, Apendices, LVII.



6 «Un de ses prêtres lui déclarant un jour les peines qu' il avait...: «Ah! Monsieur, lui dit-il, voudriez-vous bien être à vous sans souffrir? et ne vaudrait-il pas mieux avoir un démon dans le corps que d' être sans aucune croix? Oui, car en cet état le dèmon ne nuirat point à l' âme; mais n' ayant rien à soufrir, ni l' âme ni le corps ne seraient pas conformes à Jèsus-Christ souffrant; et cependant cette conformité est la marque de notre prèdestination...» ABELLY, évèque de Rodez, Vie (nuova edizione), 1881), livre 3, ch. 22. - « Il témoignait... quelquefois s' ennuyer de ce que Dieu, comme il lui semblait, n' exerçait pas assez sa Compagnie par les afflictions. «Je me suis arrêté, dit-il un jour..., à penser..., et même bien souvent, sur ce que la Compagnie ne souffrait rien, que tout lui réussissait, et qu' elle était en quelque prospérité; disons mieux, qu' elle était bénie de Dieu en toytes les maniéres, sans ressentir ni traversses ni facheries, Je commençais à me défler de cette bonasse... Je me souvenais de ce qui est rapporté de S. Ambroise, que faisant voyage, il se trouva dans une maison où il apprit du maître qu' il ne savait ce que c' était qu' affliction; et que sur cela ce saint prélat, éclairé des lumiéres du ciel, jugea que cette maison traitée si doucement était proche de sa ruine... Mais béni soit Dieu, mes Fréres, de ce que maintenant il a plu à sa providence adorable nous dépouiller d' une terre qu' on vient de nous ôter. La perte est considérable pour la Compagnie, mais bien considérable... Que le saint nom de Dieu soit béni.» IDEM, ibid.



7 Vedi Appendice, 31.



8 S. Io. CRYSOSTOMUS, In Epist. ad Philip., hom. 4, n. 3. MG 62-208, 209; In Epist. ad Ephes., hom. 8, n. 1. MG 62-55, 56, 57; Ad pop. Antioch. hom. 16, n. 3. MG 49-164, 165. - Vedi Appendice, 32.



9 «Le piaghe di Gesù sono altrettante bocche, le quali c' insegnano come conviene patire con lui e per lui. E poi, se la scienza de' santi è fare e soffrire, soffrendo fortemente e operando costantemente per lui e con lui, presto diverremo santi.» GALLIZIA, Vita, lib. 6, cap. 2 (in fine): Massime e detti spirituali. Massime per gli ecclesiastici, n. 5.



10 S. GREGORIUS MAGNUS, Homiliae XL in Evangelia, lib. 2, hom. 35, n. 7: ML 76-1263. - Vedi Appendice, 33.



11 «Esto me dijo et Senor otro dia: «Piensas, hija, que està el merecer en gozar? No està sino en obrar y en padecer y en amar. No habràs oido que San Pablo estuviese gozando de los gozos celestiales màs de una vez, y muchas que padeciò, y ves mi vida tota llena de padecer, y sòlo en el monte Tabor habràs oido mi gozo. No pienses, cuando ves a mi Madre que me tiene en los brazos, que gozaba de aquellos contentos sin grave tormento. Desde que le dijo Simeòn aquellas palabras, la diò mi Padre clara luz para que viese lo que Yo habia de padecer. Los grandes santos que vivieron en los desiertos, como eran guiados por Dios, ansi hacian graves penitencias, y sin esto tenian grandes batallas con el demonio y consigo mesmos; mucho tiempo se pasaban sin ninguna consolaciòn espiritual. Cree, hija, que a quien mi Padre màs ama, da mayores trabajos, y a éstos responde el amor. En qué te le puedo màs mostrar que querer para ti lo que quise para Mi? Mira estas llagas, que nunca llegarà, aqui tus dolores...» S. TERESA, Mercedes de Dios, XXXVI (nell' anno, come sembra, 1572, nel Monastero dell' Incarnazione). Obras, II, Burgos, 1915.



12 «Pues creer que (Dios) admite a su amistad estrecha gente regalada y sin trabajos, es disbarate. Tengo por muy cierto se los da Dios mucho mayores; y ansi como los lleva por camino barrancoso y àspero, y, a las veces, que les parece se pierden y han de comenzar de nuevo a tornarle a andar, que ansi ha menester Su Majestad darles mantenimiento, y no de agua, sino de vino, para que, emborrachados, no entiendan lo que passan y lo puedan sufrir.» S. TERESA, Camino de perfecciòn, cap. 18 (principio). Obras, III, Burgos, 1916.



13 «Regalàbame con Dios, quejàbame a El como consentia tantos tormentos que padeciese; mas ello era bien pagado, que casi siempre eran despuès en gran abundancia las mercedes; no me parece sino que sale el alma del crisol, como el oro, màs afinada y clarificada para ver en si al Senor. Y ansi se hacen después pequenos estos trabajos, con parecer incomportables, y se desean tornar a padecer, si el Senor se ha de servir mas de ello. Y aunque haya màs tribulaciones y persecuciones, como se pasen sin ofender a el Senor, sino holgàndose de padecerlo por El, todo es para mayor ganancia.» S. TERESA, Libro de la Vida, cap. 30. Obras, I, Burgos, 1915, pag. 244. - «Por este camino que fué Cristo han de ir los que le siguen, si no se quieren perder; y bienaventurados trabajos, que aun acà en la vida tan sobradamente se pagan.» Libro de la Vita, cap. 11. Obras, I, 77.



14 Vedi Appendice, 34.



15 «Oh, Senor mio, qué cierto es, a quien os hace algùn servicio, pagar luego con un gran trabajo! Y qué precio tan precioso para los que de veras os aman, si luego nos diese a entender su valor! Mas entonces no quisiéramos esta ganancia....» S. TERESA, Las Fundaciones, cap. 31 (prima della metà). Obras, V, Burgos, 1918, pag. 309. - « De nuestro P. Vallejo (canonico di Soria, confessore delle Carmelitane) no digo màs de que siempre Nuestro Senor paga los servicios grandes que hacen a Su Majestad con crecidos trabajos, y como es tan gran obra la que en esa casa hace, no me espanto quiera dar en qué gane màs y màs mérito.» S. TERESA, Epistolario, Carta CD, a las Descalzas de Soria, 28 de diciembre de 1581. Obras,  IX, pag. 149. - «Heme acordado de una santa que conoci en Avila (Maridiaz), que, cierto, se entiende lo fué su vida de tal. Habìalo dado todo por Dios cuanto tenia, y habiale quedado una manta con que se cubria, y diòla tambien; y luego dale Dios un tiempo de grandisimos trabajos interiores y sequedades, y después quejabasele mucho y decia: « De  ésos sois, Senor? después que me habéis dejado sin nada, os me vais?» Ansi que, hija mia, de éstos es Su Majestad, que paga los grandes servicios con trabajos, y no puede ser mejor paga; porque la de ellos es el amor de Dios.» S. TERESA, Epistolario, Carta CDIII, a la Ha Leonor de la Misericordia, enero de 1582. Obras,  IX, 155, Burgos, 1924.



16 Vedi Appendice, 35.



17 WADDINGUS, Annales Minorum, anno 1227, n. 8. - Vedi Appendice, 36.



18 «Avrebbe voluto (il B. Giuseppe Calasanzio), attestò D. Giacomo Bandoni, che ognuno avesse quel sentimento e quel desiderio, che aveva egli medesimo, di godere una volta la visione di Dio in paradiso; e discorrendo sopra di questo, gli cadevano lagrime di tenerezza...» Compassionava di tutto cuore l' enorme inganno d' alcuni suoi religiosi, i quali, nelle perturbazioni dell' Ordine suo, com' egli scrive... «più tosto si sono risoluti di lasciare la Religione che la patria; essendo questo un inganno molto grosso e materiale, perciocché la vera patria nostra è il paradiso... Non si deve metter l' affetto né a patria, né a parenti, né ad amici, ma si deve il religioso sbrigare da ogni cosa, per camminar più leggiero la strada del paradiso che è la patria nostra.»... Era perciò avidissimo di faticare e patire, perché rendute preziose le opere sue dai meriti di Cristo, gli guadagnassero un tanto bene; e... come il Fratel Francesco Noberasco attestò... «con questo spronava anche gli altri ad avere fiducia in Dio e speranza.» Quindi soleva dire frequentemente: «Per conseguire il paradiso, ogni fatica è poca:» e animava i suoi figliuoli agli esercizi sì faticosi del lor istituto, come... scrisse a Napoli al P. Stefano: «Nella guerra fanno i soldati la cucina, la sentinella, ecc., per tre baiocchi, per così dire: meno ha da parer grave a' religiosi l' attendere a simili affari per amore di Dio, che dona la vita eterna a chi lo segue perfettamente; però stiano con allegrezza nelle molte occupazioni.» Vinc. TALENTI, delle Scuole Pie, Vita, lib. 6, cap. 2, pag. 481, 482. - In un esemplare di questa Vita, conservato nell' Archivio Generale dell' Ordine delle Scuole Pie, ed a noi cortesemente comunicato, vengono riprodotte le note manoscritte dell' autore, P. TALENTI. Tra queste, in fine, del volume, vi è questa sentenza del Santo (dalla lettera 8 giugno 1628 al P. Cherubini, Napoli); «Venale est regnum caelorum, et pretium eius est labor.»



19 «Cum autem prunae coepissent super caput Sancti ardere, elevatis oculis in caelum dixit: « Gloria tibi, Deus, qui regnas in saecula saeculorum, qui me fecisti probari sicut aurum in fornace.» Et statim post haec psallere coepit, ita dicens: «Propter innocentiam meam suscepisti me, et confirmasti servum in conspectu tuo in aeternum». Acta S. Agapiti  (2do loco), n. 4: inter Acta Sanctorum Bollandiana, die 18a Augusti.



20 «Giunge Santo Francesco a questo castello (di Montefeltro, nel quale castello si faceva allora un grande convito e corteo...: ivi erano raunati molti gentiluomini di diversi paesi), ed entra e vassene sulla piazza, dove era raunata tutta la moltitudine di questi gentili uomini, ed in fervore di spirito montò in su un muricciuolo e cominciò a predicare, proponendo per tema della sua predica queste parole in volgare: Tanto è il bene ch' io m' aspetto, ch' ogni pena m' è diletto; e sopra questo tema per dittamento dello Spirito Santo, predicò sì divotamente e sì profondamente... che ogni gente stava con gli occhi e con la mente sospesa verso lui ed attendevano, come se parlasse uno agnolo di Dio. » Fioretti di S. Francesco, Delle sacrosante Istimate di Santo Francesco, Considerazione 1a. (In questa occasione fu, da Messer Orlando da Chiusi nel Casentino, offerto a S. Francesco il solitario monte della Verna, ove poco dopo ricevé le sacre stimate: era l' anno 1224).



21 Nam et qui certat in agone, non coronatur nisi legitime certaverit. II Tim. II, 5.



22 «Era solito dire che in questa vita non vi è purgatorio, ma o inferno o paradiso: perché, diceva, a chi serve a Dio da vero, ogni travaglio ed infermità gli torna in consolazione, ed ha il paradiso interiormente in ogni sorte di disagio, ancora in questo mondo.» BACCI, Vita, lib. 2, cap. 20, n. 20.



23 «Otros hay que han dejado todas las cosas por el Senor... mas tienen mucha honra... Estas almas, por la mayor parte, las lastima cualquier cosa que digan de ellos. Y no abrazan la cruz, sino llévanda arrastrando, y ansi las lastima, y causa y hace pedasos; porque si es amada, es suave de llevar; esto es cierto.» S. TERESA, Conceptos del amor de Dios, cap. 2. Obras, IV, Burgos, 1917, pag. 235, 236. - «Miremos que al principio de mortificarse un alma, todo se le hace penoso; si comienza a dejar regalos, pena; y si ha de sufrir una palabra mala, se le hace intolerable; en fin, nunca le faltan tristezas hasta la muerte. Como acabare de determinarse de morir al mundo, verse ha libre destas penas; y todo al contrario, no haya miedo que se queje, ya alcanzada la paz que pide la Esposa.» Conceptos del amor de Dios, cap. 3 (prima della fine). Obras, IV, n. 244. - «Trabajo grande parece todo, y con razòn, porque es guerra contra nosotros mesmos; mas comenzandose a obrar, obra Dios tanto en el alma y hacela tantas mercedes, que todo le parece poco cuanto se puede hacer en esta vida.» Camino de perfecciòn, cap. 12 (in principio). Obras, III, Burgos, 1916, p. 59.



24 «Nous ferons prou, chére Fille, Dieu aidant. Et tout plein de petites traverses et secrétes contradictions qui sont survenues à ma tranquillitè, me donnent une si douce et suave tranquillité que rien plus, et me présagent, ce me semble, le prochain établissement de mon âme en son Dieu, qui est certes, non seulement la grande, mais, à mon avis, l' unique ambition et passion de mon coeur. Et quand je dis de mon âme, je dis de toute mon âme, y comprenant celle que Dieu lui a conjointe inséparablemente.» Lettre 540, à la Baronne de Chantal, 14 juillet 1609 (al. 1615). Œuvres, tom. 14. Annecy, 1906.



25 «Piglia le cose dolci di questa vita per amare, e le amare per dolci, e così goderai pace.» Alcuni avvisi salutari trovati nei manoscritti del P. da Ponte, n. 4: LONGARO DEGLI ODDI, S. I., Vita (Roma, 1761), capo ultimo.



26 «Scrivendo... alla signora Bianca Buonvisi... suggerisce (la lezione di carità dataci dal Maestro divino) in tal mezzo: «Intanto, in questo tempo di Quaresima, s' immagini di vedere scritto ai piedi del Crocifisso: Ecco come si ama.» GALLUZZI, S. I., Vita del P. Paolo Segneri Juniore, Roma, 1716, lib. 4. cap. 2.



27 «Y qué màs ganancia que tener algùn testimonio que contentamos a Dios?» S. TERESA, Libro de la Vida,   cap. 10; Obras, I, 70. - Vedi Appendice, 37.



28 «Se Iddio vi dà molto da patire, egli è segno che vuol farvi un gran santo; e se voi desiderate che Iddio vi faccia un gran santo, pregatelo che vi dia molto da patire. Non v' è legno che faccia maggior fuoco d' amor di Dio che quello della Croce, di cui Cristo si valse a fare un sacrificio d' infinita carità. Diceva ancora che tutto il mele che può ricavarsi dai fiori delle delizie del mondo non ha tanta dolcezza quanta ne ha l' aceto e il fiele di Cristo: cioé le amarezze dei patimenti presi per amore e in compagnia di Cristo.» BARTOLI, Vita, lib. 4, cap. 37: Detti di S. Ignazio.



29 In Dominica Esto mihi (cioé nella Quinquagesima) Gertrudi «respondit Dominus: «Si desideras mihi gravamen meum alleviare, tunc oportet te gravamen habere, et stare ad sinistram meam ut ego pausem super pectus tuum...» Tunc desideravit aliqua sibi donari a Domino, quibus per tres dies illos continuos, quibus mundani insolentius delinquunt, gratius ipsi obsequium posset exhibere. Cui respondit Dominus: «In nullo mihi gratius obsequi poteris quam in eo quod patienter in memoriam meae passionis sufferas quaecumque tibi eveniunt gravamina, sive interiora, sive exteriora, et cohibeas te ad ea facienda quae tibi magis sunt contraria...» S. GERTRUDIS MAGNA, O. S. B., Legatus divinae pietatis, lib. 4, cap. 15. (Editio Solesmensium, 1875.)



30 «Val più un' oncia di croce, che non vale un migliaio di libre d' orazione. Val più una giornata crocefissa che non vagliono cento anni di tutti gli altri esercizi spirituali. Val più stare un momento in croce, che gustare la dolcezza del paradiso.» G. B. PACICHELLI, Vita della Ven. Suor Maria Vittoria Angelini, Romana, Terziaria dell' Ord. de' Servi (1590-1659). Parte 3, pag. 495, Lettera alla Badessa di Sant' Oreste.



31 «Questo è uno dei veri segni di esser figliuolo di Dio, quando si lascia la propria volontà per far la sua; e questo non già nelle prosperità - che  ciò sarebbe assai poco - ma nelle avversità, dove assai più vale un «gran mercé a Dio,» un «benedetto sia Dio,» che tre mila ringraziamenti ed altrettante benedizioni, quando ci troviamo in buona prosperità.» B. GIOVANNI AVILA, Lettere spirituali, Roma, 1669, parte 1, lettera 41, p. 208.



32 «Credo enim firmiter quod nihil aliud tantum facit ad bene vivedum sicut tribulatio haec. Unde et omnibus tribulatis ego habeo unam sanctam invidiam. Scio enim, Filioli mei, quod nobilitas et valor qui exit de tribulatione non est nobis cognitus; quia si esset cognitus, esset de ea magna grapila et rapina, et quilibet raperet ab alio de quo tribulari posset. Lumen tribulatorum et solatium confortet nos sub onere tribulationum, cui sit gloria in saecula saeculorum. Amen.» B. ANGELAE FULGINATIS Vita et Opuscula. Fulfiniae, 1714. Liber 2dus: Opuscola B. Angelae. Pars 3: De triplici virtute et de amore divino. Caput 4: De via, conditione et signis amoris.



33 «Bene spesso voleva dire non desiderar la morte così presto, perché in paradiso non si patisce.» PUCCINI, Vita, Firenze, 1611, parte 1, cap. 47.



34 «Andava così pian piano per la casa gridando, e diceva ai suoi amici: «Se tu hai pena o consolazione, per grandi ch' elle si sieno, non le dire se non al tuo confessore; perché quella occupazione che tu senti nella mente, forse è da Dio, e ti difende da qualche altro difetto che faresti se non fossi così occupato.» Ella vedeva tutto esser necessario quello che Dio ne manda - il quale solo attende a consumare tutti i nostri pravi movimenti di dentro e di fuori - e che tutte le villanie, ingiurie, infermità, povertà, tutti i dispregi, l' essere abbandonato da parenti ed amici, le tentazioni dei demoni, le confusioni, e tutte le altre cose che son contra l' umanità, sommamente se son di bisogno, acciocché con esse combattiamo, sinché avendone la vittoria, sieno estinti in noi essi pravi movimenti, e più non li stimiamo: anzi sino a tanto che più non ne paiano amare, ma soavi per Dio, le avversità, non potremmo far con lui questa unione. Però chi stima che gli accada, o possa accadere alcuna cosa di bene o di male, la quale il possa separare dall' amor di Dio, è segno ch' egli non è ancora forte nella vera carità. Perciò l' uomo non dovrebbe temere se non l' offesa di Dio, e tutto il resto, in comparazion di questa, dovrebbe essergli come se non fosse né mai esser dovesse; e così dell' inferno, con tutti i suoi demoni e tormenti.» Cattaneo MARABOTTO e Ettore VERNAZZA, Vita, cap. 29.



35 Vedi Appendice, 38.



36 Vedi Appendice, 39.



37 «Pues entended, hermanas, que como éstos (los contemplativos) tienen ya entiendido lo que es todo, en cosa que pasa no se detienen mucho. Si de primer movimiento de pena una gran injuria y trabajo, aun no lo ha bien sentido, cuando acude la razòn por otra parte, que parece levanta la bandera por si, y deja casi aniquilada aquella pena con el gozo que le da ver que le ha puesto el Senor en las manos cosa que en un dia podrà ganar màs delante de Su Majestad de mercedes y favores perpetuos, que pudiera ser ganara èl en diez anos por trabajos que quisiera tomar por si». S. TERESA, Camino de perfecciòn,  cap. 36. Obras, III. pag. 175.



38 «Talvolta, in favellando con le Sorelle, diceva come non pensava che si ritrovasse nel mondo si dura avversità né tribulazione, ch' ella non l' avesse con lieto volto sopportata, solo col persuadersi che ciò fosse volontà di Dio. E però soleva replicare bene spesso: «Non sentite che dolcezza contiene in sé questa nuda parola: Volontà di Dio?» Vinc. PUCCINI, Vita, Firenze, 1611, parte 1, cap. 59. - PUCCINI, Vita, Padova, 1671, cap. 83. - «Ed in effetto esperimentarono (le Sorelle) adempirsi in lei quello che diceva. Imperoché non era alcun travaglio e tribulazione così grande ed acerba - come particolarmente quelle di cinque anni della sua provazione - né pena o tormento così acerbo - come furono quelli della sua ultima infermità - che non venissero mitigati ed addolciti, quando dalle Sorelle se le ricordava, e dicevano: «Ella è volontà di Dio che voi patiate queste cose;» allora vedevi subito rasserenare quel volto afflitto, e cessare ogni rammarico, e quasi pareva che si riavesse da morte a vita.» PUCCINI, Vita, Padova, 1671, cap. 83.



39 «Costi Dio quanto si sia, tutto vale, e tutto è bene speso.» Tom. CAMPORA, S. I., Vita, lib. 2, cap. 12.



40 S. Io. CHRYSOSTOMUS, In Ioannem, hom. 88 (al. 87), n. 3: MG 59-476; In Epist. ad Rom., hom. 9, n. 4: MG 60-474; In Genesim, cap. 9, hom. 28, n. 3 et 6: MG 53-256; 259, 260; Expositio in Ps. 41, n. 5: MG 55-163. - Vedi Appendice, 40.






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