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CAPO VIII.
Caritas non agit perperam.
Chi ama Gesù Cristo fugge la tepidezza ed ama la
perfezione, i di cui mezzi sono: 1. Il desiderio. 2. La risoluzione. 3.
L'orazione mentale. 4. La comunione. 5. La preghiera.
S. Gregorio spiegando questo passo, non
agit perperam (I Cor. XIII, 4), dice che la carità impiegandosi sempre più
nel solo amore divino, non sa ammettere quel che non è conforme al retto e
santo: Quia caritas quae se in solum Dei amorem dilatat,
quidquid a rectitudine discrepat ignorat (San Greg. Mor. l. 10. c.
8).1 Ciò ben lo scrisse prima l'Apostolo dicendo che la carità è un
vincolo che lega insieme nell'anima le virtù più perfette: Caritatem habete, quod est vinculum perfectionis (Coloss. III, 14).
E poiché la carità ama la perfezione, per conseguenza abborrisce la tepidezza
colla quale servono taluni a Dio con gran pericolo di perdere la carità, la
divina grazia, l'anima e tutto.
Bisogna non però avvertire che vi sono due sorta di tepidezza, l'una
inevitabile e l'altra evitabile. L'inevitabile è quella da cui non sono esenti
neppure i santi; e questa comprende tutti i difetti che da noi si commettono
senza piena volontà, ma solo per la nostra fragilità naturale. Tali sono le
distrazioni nell'orazione, i disturbi interni, le parole inutili, le vane
curiosità, i desideri di comparire, i gusti nel mangiare o nel bere, i moti di
concupiscenza non subitamente repressi, e simili. Questi difetti dobbiamo noi
evitarli quanto possiamo; ma, per cagion della debolezza di nostra natura
infettata dal peccato, è impossibile evitarli tutti. Dobbiamo bensì detestarli
dopo averli commessi,
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perché sono disgusti di Dio; ma, come
avvertimmo nel capo antecedente, ci dobbiam guardare di disturbarci per quelli.
Scrisse S. Francesco di Sales: “Tutti quei pensieri che ci danno inquietudine
non sono da Dio ch'è principe di pace, ma provengono sempre o dal demonio o
dall'amor proprio o dalla stima che facciamo di noi stessi.”2
Tali pensieri pertanto che c'inquietano bisogna subito rigettarli e non farne
conto. Dice il medesimo santo che i difetti indeliberati siccome
involontariamente si fanno così anche involontariamente si cancellano.3
Un atto di dolore, un atto di amore basta a cancellarli. La Ven. Suor Maria
Crocifissa benedettina vide una volta un globo di fuoco, sovra cui essendovi
buttate molte pagliuccie osservò che tutte quelle restarono
incenerite.4 Le fu dato ad intendere per tal figura che un atto
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fervente di amor divino distrugge tutt'i difetti che abbiamo
nell'anima. Lo stesso effetto fa la santa comunione, secondo quel che abbiamo
nel Concilio di Trento (Sess. XIII, c. 2), ove chiamasi l'Eucaristia antidotum quo liberamur a culpis
quotidianis.5 Sicché tali difetti sono bensì difetti, ma non
impediscono la perfezione, cioè di camminare alla perfezione, poiché in questa
vita niuno giunge alla perfezione prima che arrivi al regno beato.
La tepidezza poi che impedisce la perfezione è la tepidezza evitabile, quando taluno commette
peccati veniali deliberati; poiché tutte queste colpe commesse ad occhi aperti
ben possono dalla divina grazia evitarsi anche nello stato presente. Quindi
dicea S. Teresa: “Da peccato avvertito, per molto piccolo che sia, Dio vi
liberi.”6 Tali sono per esempio le bugie volontarie, le piccole
mormorazioni, le imprecazioni, i risentimenti di parole, le derisioni del
prossimo, le parole pungitive, i discorsi di stima propria, i rancori d'animo
nudriti nel cuore, le affezioni disordinate a persone di diverso sesso. “Questi
sono certi vermi, scrisse la stessa S. Teresa, che non si lascian conoscere,
finché non abbian rose le virtù.”7 Onde la santa avvertì
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in
altro luogo: “Per mezzo di cose picciole il demonio va facendo buchi per dove
entrano cose grandi.”8
Bisogna dunque tremare di tai difetti deliberati, mentre Dio per quelli
restringe la mano a' lumi più chiari ed agli aiuti più forti, e ci priva delle
dolcezze spirituali; e quindi ne nasce che l'anima fa le cose spirituali con
gran tedio e pena, e così poi comincia a lasciar l'orazione, le comunioni, le
visite al Sacramento, le novene; ed in fine facilmente lascerà tutto, com'è
avvenuto non di rado a tante anime infelici.
Questo importa quella minaccia che fa il Signore a' tepidi: Neque frigidus es, neque calidus: utinam
frigidus esses, etc.: sed quia tepidus es... incipiam te evomere (Apoc.
III, 15 et 16).9 Gran cosa! dice: Utinam
frigidus esses! Come? è meglio esser freddo, cioè privo della grazia, che
tepido? Sì, in certo modo è meglio esser freddo, perché il freddo può più
facilmente emendarsi, scosso dal rimorso della coscienza; ma il tepido fa
l'abito a dormire ne' suoi difetti senza pigliarsene pena e senza pensare ad
emendarsi, e così rendesi quasi disperata la sua cura. Tepor, scrive S. Gregorio, qui
a fervore defecit in desperatione est.10 Diceva il Ven. P. Luigi da
Ponte che egli avea commessi
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innumerabili difetti in sua vita, ma che
non mai avea fatta pace coi difetti.11 Taluni fan pace co' difetti, e
quindi avviene la loro ruina; specialmente quando il difetto è con attacco di
qualche passione di stima propria, di voler comparire, di accumular danari, di
rancore verso alcun prossimo o di affezione disordinata con persona di diverso
sesso. Allora vi è gran pericolo che i capelli diventino per quell'anima, come
diceva S. Francesco d'Assisi, catene che la tirino all'inferno.12
Almeno quell'anima non si farà più santa, e perderà quella gran corona che Dio
l'apparecchiava se fosse stata fedele alla grazia. L'uccello quando è sciolto
da ogni laccio subito vola: l'anima quando è sciolta da ogni attacco terreno,
subito vola a Dio; ma se sta ligata, ogni filo basterà ad impedirle il
camminare a Dio. Oh quante persone spirituali non si fanno sante perché non si
fan forza a sbrigarsi da certi piccioli attacchi!
Tutto il danno viene dal poco amore che si porta a Gesù Cristo. Coloro che sono
gonfi della stima di se medesimi; quei che spesso si accorano per gli eventi
difformi al lor desiderio; che sono molto indulgenti a se stessi per timore
della lor sanità; che tengono il cuore aperto agli oggetti esterni e la mente
sempre distratta, con avidità di ascoltare e saper tante cose
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che non
tendono al divino servizio, ma solo a contentare il proprio genio; quei che si
risentono ad ogni minima disattenzione che apprendono di aver ricevuta da
alcuno: dal che poi ne avviene che spesso si turbano, e mancano all'orazione o
al lor raccoglimento: ora tutti divoti e giubilanti, ora tutti impazienti e
mesti, siccome accadono le cose a seconda o contra del loro umore; questi non
amano o molto poco amano Gesù Cristo, e discreditano la vera divozione.
Ma chi mai si trovasse caduto in questo miserabile stato di tepidezza che ha da
fare? È vero ch'è cosa molto difficile il vedere un'anima intepidita ripigliar
l'antico fervore; ma disse il Signore che quel che gli uomini non possono, ben
può farlo Iddio: Quae impossibilia sunt
apud homines, possibilia sunt apud Deum (Luc. XVIII, 27).Chi prega e prende
i mezzi, ben giungerà a tutto quel che desidera. Cinque sono i mezzi per uscir
dalla tepidezza ed incamminarsi alla perfezione.
1° Il desiderio di
quella.
2° La risoluzione di
giungervi.
3° L'orazione
mentale.
4° La frequenza
della comunione.
5° La preghiera.
Il primo
mezzo dunque è il desiderio della
perfezione.
I desideri santi
sono le ali che ci fanno alzare da terra; poiché, siccome dice S. Lorenzo
Giustiniani, il santo desiderio vires
subministrat, poenam exhibet leviorem:13 da una parte dà forza di
camminare alla perfezione, e dall'altra alleggerisce la pena del cammino. Chi
veramente desidera la perfezione non lascia mai di andare avanzandosi in
quella; e se non lascia,
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finalmente vi arriverà. All'incontro chi non
la desidera sempre anderà in dietro, e sempre troverassi più imperfetto di
prima. Dice S. Agostino che nella via di Dio il non avanzarsi è tornare in
dietro: Non progredi reverti est.14
Chi non si fa forza per andare avanti si troverà sempre in dietro, trasportato
dalla corrente della nostra natura corrotta.
È un grande errore poi
quel che dicono alcuni: Dio non vuol
tutti santi. No, dice S. Paolo: Haec
est... voluntas Dei, sanctificatio vestra (I Thess. IV, 3). Iddio vuol
tutti santi, ed ognuno nello stato suo, il religioso da religioso, il secolare
da secolare, il sacerdote da sacerdote, il maritato da maritato, il mercadante
da mercadante, il soldato da soldato, e così parlando d'ogni altro stato. Son troppo
belli i documenti che su questa materia dà la mia grande avvocata S. Teresa. In
un luogo dice: “I nostri pensieri sieno grandi, che di qua verrà il nostro
bene.”15 In altro luogo dice: “Non bisogna avvelire i desideri, ma
confidare in Dio, che sforzandoci noi, a poco a poco potremo arrivare dove
colla divina grazia arrivarono molti santi.”16 Ed in conferma di ciò
ella attestava aver la sperienza che le persone animose in poco di tempo avean
fatto gran profitto:17 “Poiché, diceva, il Signore talmente si compiace
de' desideri,
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come se fossero eseguiti.”18 In altro luogo
dice: “Iddio non fa molti segnalati favori, se non a chi ha molto desiderato il
suo amore.”19 Dice di più in altro luogo: “Dio non lascia di pagare
qualunque buon desiderio in questa vita, mentr'egli è amico di anime generose,
purché vadano diffidate di loro stesse.”20 Di tale spirito generoso
appunto era dotata la santa; onde giunse una volta a dire al Signore che se in
paradiso avesse veduti altri che godessero più di lei, ciò non le importava; ma
che poi se avesse avuto a vedere chi più di lei lo amasse, dicea che non sapeva
come avesse potuto sopportarlo.21
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Bisogna dunque farsi
animo grande: Bonus est Dominus... animae
quarenti illum (Thren. III, 25). Dio è troppo buono e liberale con chi lo
cerca di cuore. Né i peccati commessi ci possono impedire di farci santi, se
veramente desideriamo di farci santi. Avverte S. Teresa: “Il demonio procura
che paia superbia l'aver desideri grandi e voler imitare i santi; ma giova
molto il farsi animo a cose grandi, ché quantunque l'anima non abbia subito
forza, dà nondimeno un generoso volo, ed arriva molto avanti.”22 Scrive
l'Apostolo: Diligentibus Deum omnia
cooperantur in bonum (Rom. VIII, 28). Aggiunge la glosa: etiam peccata.23 Anche i peccati
commessi possono cooperare alla nostra santificazione, in quanto la loro
memoria ci rende più umili e più grati, vedendo i favori che Dio ci dispensa
dopo che l'abbiamo tanto offeso. Io non posso niente, dee dire il peccatore, né
merito niente, altro non merito che l'inferno; ma ho che fare con un Dio di
bontà infinita che ha promesso di esaudire ognun che lo prega; ora, giacch'egli
mi ha cacciato dallo stato di dannazione e vuole ch'io mi faccia santo, e già
mi offerisce il suo aiuto, ben posso farmi santo, non colle forze mie, ma colla
grazia del mio Dio che mi conforta: Omnia
possum in eo qui me confortat (Phil. IV, 13). Allorché abbiamo dunque buoni
desideri, bisogna che ci facciamo
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animo e, fidati in Dio, procuriamo di metterli in
esecuzione; ma se poi troviamo impedimento in qualche impresa spirituale,
quietiamoci nella divina volontà. Il voler di Dio dee preferirsi ad ogni nostro
buon desiderio. S. Maria Maddalena de' Pazzi si contentava più presto di restar
priva d'ogni perfezione, che averla senza il volere di Dio.24
Il secondo mezzo per la perfezione è la risoluzione di darsi tutto a Dio.
Molti son chiamati
alla perfezione, sono spinti a quella dalla grazia, acquistano desiderio di
quella; ma, perché poi non si risolvono, vivono e muoiono nel lezzo della lor
vita tepida ed imperfetta. Non basta il desiderio della perfezione, se non vi è
ancora una ferma risoluzione di conseguirla. Quante anime si pascono di soli
desideri, ma non danno mai un passo nella via di Dio! Questi son que' desideri
di cui parla il Savio: Desideria occidunt
pigrum (Prov. XXI, 25). Il pigro sempre desidera, e non si risolve mai di
prendere i mezzi propri del suo stato per farsi santo. Dice: Oh se stessi in un
deserto e non in questa casa! Oh se potessi andare a vivere in un altro
monastero, vorrei darmi tutto a Dio! E frattanto non può soffrire quel
compagno, non può sentire una parola di contraddizione, si
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dissipa in
molte cure inutili, commette mille difetti, di gola, di curiosità e di
superbia: e poi sospira al vento: Oh se
avessi, oh se potessi, ecc. Tali desideri fan più danno che utile; perché
taluno si pasce di quelli, e frattanto vive e seguita a vivere imperfetto.
Dicea S. Francesco di Sales: “Io non approvo che una persona attaccata a
qualche obbligo o vocazione si fermi a desiderare un'altra sorta di vita, fuori
di quella ch'è convenevole all'officio suo, né altri esercizi incompatibili al
suo stato presente; perché ciò dissipa il suo cuore e lo fa languire negli
esercizi necessari.”25
Bisogna dunque desiderar la perfezione, e risolutamente prendere i mezzi per
quella. Scrive S. Teresa: “Dio non vuole da noi che una risoluzione, per poi
far egli tutto dal canto suo. Di anime irresolute non ha paura il
demonio.”26
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A ciò serve l'orazione mentale, per pigliare quei
mezzi che ci conducono alla perfezione. Alcuni fanno molta orazione, ma in
quella non concludono mai niente. Diceva la stessa santa: “Io vorrei orazione
di poco tempo che produce grandi effetti, più presto che quella di molti anni
in cui l'anima non finisce di risolversi a far qualche cosa di valore per
Dio.”27 Ed altrove dice: “Io ho sperimentato che chi al principio si
aiuta a risolversi di fare alcuna cosa, per difficile che sia, se si fa per dar
gusto a Dio, non vi è che temere.”28
La prima risoluzione ha da essere di fare ogni forza e morir prima che di
commettere qualunque peccato deliberato, per minimo che sia. È vero che tutti i
nostri sforzi senza l'aiuto divino non possono bastarci a superar le
tentazioni; ma Dio vuole che spesso noi ci facciamo dalla parte nostra questa
violenza, poiché supplirà egli poi colla sua grazia e soccorrerà la nostra
debolezza con farci ottener la vittoria. Questa risoluzione ci libera
dall'impedimento di camminare avanti, e ci dà insieme un gran coraggio, poiché
ella ci assicura di stare in grazia di Dio. Scrisse S. Francesco di Sales: “La
maggior sicurezza che noi possiamo avere in questo mondo di esser in grazia di
Dio non consiste già ne' sentimenti che abbiamo del suo amore, ma nel puro ed
irrevocabile abbandonamento di
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tutto il nostro essere nelle sue mani,
e nella risoluzione ferma di non mai consentire ad alcun peccato, né grande né
piccolo.”29 Ciò viene a dire l'esser delicato di coscienza. -
Avvertasi, altro è l'esser delicato di coscienza, altro l'essere scrupoloso.
L'esser delicato è necessario per farsi santo, ma l'essere scrupoloso è difetto
e fa danno; e perciò bisogna ubbidire a' padri spirituali, e vincere gli
scrupoli che altro non sono che vane ed irragionevoli apprensioni.
Indi fa d'uopo risolversi a scegliere il meglio, non solo ciò ch'è di gusto di
Dio, ma ciò ch'è di maggior gusto di Dio, senza riserba. Dice S. Francesco di
Sales: “Bisogna cominciare con una forte e costante risoluzione di darsi tutto
a Dio, protestandogli che per l'avvenire vogliamo esser suoi senza alcuna
riserva, e poi andare spesso rinnovando questa medesima risoluzione.”30
S. Andrea di Avellino fe' voto di avanzarsi ogni giorno nella
perfezione.31 Chi vuol farsi santo non è necessario che ne faccia voto;
ma bisogna che ogni giorno procuri di dar qualche passo nella perfezione.
Scrisse S. Lorenzo Giustiniani: “Quando uno cammina bene davvero, sente in sé
una brama continua di avanzarsi; e quanto più cresce nella perfezione tanto più
gli cresce la stessa brama; poiché, crescendogli ogni dì più il lume, gli pare
sempre di non avere alcuna virtù e di non fare alcun bene; e se pur vede di far
qualche
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bene, sempre gli pare molto imperfetto, e ne fa poco conto.
Quindi è che egli sta di continuo faticando per l'acquisto della perfezione
senza mai stancarsi.”32
E
bisogna far presto, e non aspettare il domani. Chi sa se appresso non avremo
più tempo di farlo? Avverte l'Ecclesiaste: Quodcumque
facere potest manus tua, instanter operare (Eccl. IX, 10): quel che puoi
fare, fallo presto né differirlo. E ne adduce la ragione: Quia nec opus, nec ratio, nec sapientia, nec scientia erunt apud
inferos, quo tu properas (Ibid.): perché nell'altra vita non vi è più tempo
di operare, né ragione di merito, né sapienza a ben fare, né scienza o sia
sperienza a ben consigliarti, poiché dopo la morte quel ch'è fatto è fatto. Una
religiosa del monastero di Torre de' Specchi in Roma, chiamata Suor
Bonaventura, costei menava una vita molto tepida. Venne un religioso, il P.
Lancizio, a dar gli esercizi spirituali alle monache, e Suor Bonaventura,
perché niente desiderava di uscir dalla sua tepidezza, di mala voglia cominciò
a sentire gli esercizi. Ma la grazia divina alla prima predica la guadagnò,
ond'ella andò subito a' piedi del padre che predicava, e gli disse con vera
risoluzione: “Padre, voglio farmi santa, e presto santa.” E col divino aiuto
così fece, poiché non visse dopo tal tempo che otto mesi in circa, e fra quel
poco tempo visse e morì da santa.33
Dicea Davide: Et dixi, nunc coepi
(Ps. LXXVI, 11). Così replicava ancora S. Carlo Borromeo: “Oggi comincio a
servire Dio.”34 E così bisogna fare, come per lo passato non avessimo
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fatto alcun bene. Siccome in fatti tutto quel che facciamo per Dio
tutto è niente, perché tutto siam tenuti a farlo: ogni giorno dunque
risolviamoci di cominciare ad esser tutti di Dio, né stiamo a vedere quel che
fanno o come fanno gli altri. Pochi son quelli che da vero si fanno santi. Dice
S. Bernardo: Perfectum non potest esse
nisi singulare.35 Se vogliamo imitare il comune degli uomini,
saremo sempre imperfetti, com'essi comunemente sono. Bisogna vincer tutto,
rinunziare a tutto, per ottenere il tutto. Dicea S. Teresa: “Perché noi non
finiamo di dar tutto a Dio il nostro affetto, né anche a noi vien dato tutto
l'amor suo.”36 Oh Dio, che tutto è poco quel che si fa per Gesù Cristo,
il quale per noi ha dato il sangue e la vita. “Tutto è schifezza, scrive la
stessa santa, quanto possiamo fare, in comparazione di una sola goccia di
sangue sparso dal Signore per noi.”37 I santi non sanno risparmiarsi
quanto si tratta di piacere a un Dio che si è dato tutto a noi senza riserva
appunto per obbligarci a non negargli niente. Scrisse il Grisostomo: Totum tibi dedit, nihil sibi reliquit.38
Iddio ti ha dato tutto se stesso, non è ragione che tu vai riservato con Dio.
Egli è giunto a morire per tutti noi, dice l'Apostolo, acciocché ognuno di noi
non viva che per colui il quale per noi è morto: Pro nobis omnibus mortuus est
Christus, ut et qui vivunt iam non sibi vivant, sed ei qui pro ipsis mortuus
est (II Cor. V, 15).
Il terzo mezzo per farsi santo è l'orazione mentale.
Scrive Giovanni Gersone (De medit. cons. 7) che chi non medita le
verità eterne, senza miracolo non può vivere da
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cristiano.39 La ragione si è perché senza
l'orazione mentale manca la luce e si cammina all'oscuro. Le verità della fede
non si vedono cogli occhi del corpo, ma cogli occhi dell'anima, quando ella le
medita; chi non le medita non le vede e perciò cammina all'oscuro, e
facilmente, stando nelle tenebre, si attacca agli oggetti sensibili, per li
quali disprezza poi gli eterni. Scrisse Santa Teresa (Lettera 8) al vescovo di Osma: “Sebbene ci pare che non si trovino
in noi imperfezioni, quando però apre Iddio gli occhi dell'anima, come suol
farlo nell'orazione, ben elle compariscono.”40 E prima scrisse S.
Bernardo che quegli il quale non medita seipsum
non exhorret quia non sentit:41 non abborrisce se stesso perché non
si conosce. L'orazione, dice il santo, regit
affectus, dirigit actus,42 regola gli affetti dell'anima e dirige
le nostre azioni a Dio; ma senza orazione gli affetti si attaccano alla terra,
le azioni si conformano agli affetti, e così il tutto va in disordine.
È
terribile il caso che si legge nella vita della Ven. Suor Maria Crocifissa di
Sicilia (lib. 2. cap. 8). Mentre la serva di Dio stava orando, intese un
demonio che si vantava di aver fatta lasciare l'orazione comune ad una
religiosa; e vide in ispirito
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che dopo questa mancanza il demonio la
tentava a dare il consenso ad una colpa grave, e che quella era già vicina ad
acconsentirvi. Ella subito accorse, ed ammonendola la liberò dalla
caduta.43 Dicea S. Teresa che chi lascia l'orazione “tra breve diventa
o bestia o demonio.”44
Chi lascia dunque l'orazione lascerà di amare Gesù Cristo. L'orazione è la
beata fornace ove si accende e si conserva il fuoco del santo amore: In meditatione mea exardescet ignis (Ps.
XXXVIII, 4). S. Caterina di Bologna diceva: “Chi non frequenta l'orazione si
priva di quel laccio che stringe l'anima con Dio. Onde non sarà difficile al
demonio che trovando la persona fredda nel divino amore, la tiri a cibarsi di
qualche pomo avvelenato.”45 All'incontro dicea S. Teresa: “A chi
persevera
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nell'orazione, per quanti peccati opponga il demonio, tengo
per certo che finalmente il Signore lo conduca a porto di
salvazione.”46 In altro luogo dice: “Chi nel cammino dell'orazione non
si ferma, benché tardi pure arriva.”47 Ed in altro luogo scrive che il
demonio perciò si affatica tanto a distogliere l'anime dall'orazione, perché
“sa il demonio che l'anima la quale con perseveranza attende all'orazione egli
l'ha perduta.”48 - Oh quanti beni si raccolgono dall'orazione!
Nell'orazione si concepiscono i santi pensieri, si esercitano gli affetti
divoti, si eccitano i desideri grandi e si fanno le risoluzioni ferme di darsi
intieramente a Dio; e così l'anima poi gli sagrifica i piaceri terreni e tutti
gli appetiti disordinati. Dicea S. Luigi Gonzaga: “Non vi sarà molta perfezione
senza molta orazione.”49 Avverta chi ama la perfezione questo gran
detto del santo.
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Non già dee andarsi all'orazione per sentire le dolcezze dell'amor divino; chi
vi va per tal fine, ci perderà il tempo, o poco profitto ne caverà. Dee la
persona mettersi ad orare solo per dar gusto a Dio, cioè solo per intender ciò
che voglia Dio da lui e per domandargli l'aiuto per eseguirlo. Il Ven. P. D.
Antonio Torres diceva: “Il portar la croce senza consolazioni fa volare l'anime
alla perfezione.”50 L'orazione senza consolazioni sensibili riesce la
più fruttuosa per l'anima. Ma povera quell'anima che la lascia per non sentirvi
gusto! Dicea S. Teresa: “L'anima che lascia l'orazione è come se da se stessa
si ponesse all'inferno, senza bisogno di demoni.”51
Dall'esercizio poi dell'orazione avviene che la persona sempre pensi a Dio: “Il
vero amante, dice S. Teresa, sempre si ricorda dell'amato.”52 E da qui
nasce poi che le persone di orazione parlano sempre di Dio, sapendo quanto piace
a Dio che gli amanti suoi si dilettino in parlar di lui e dell'amore ch'esso ci
porta, e così procurino d'infiammarne anche gli altri. Scrisse la stessa santa:
“Ai discorsi de' servi di Dio sempre si trova presente Gesù Cristo, e gli piace
molto che si dilettino di lui.”53
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Dall'orazione ancora nasce quel desiderio di ritirarsi ne' luoghi solitari per
trattare da solo a solo con Dio, e di conservare il racoglimento interno nel
trattare gli affari esterni necessari. Dico necessari,
o per ragion del governo della famiglia o degli offici imposti dall'ubbidienza;
poiché la persona di orazione dee amar la solitudine e non dissiparsi in
faccende ultronee ed inutili; altrimenti perderà lo spirito di raccoglimento
ch'è un gran mezzo per mantenere l'unione con Dio. Hortus conclusus soror mea sponsa (Cant. IV, 12). L'anima sposa di
Gesù Cristo dee essere un orto chiuso a tutte le creature, e non dee ammettere
nel suo cuore altri pensieri ed altri negozi che di Dio o per Dio. Cuori aperti
non si fanno santi. I santi che sono operari, in acquistare anime a Dio, anche
in mezzo alle loro fatiche di predicare, prender le confessioni, trattar paci,
assistere agl'infermi, non perdono il loro raccoglimento. Lo stesso corre per
coloro che stanno applicati allo studio. Quanti per istudiare assai e farsi
dotti non si fanno né santi né dotti, perché la vera dottrina è la scienza de'
santi, cioè il sapere amar Gesù Cristo, mentre all'incontro l'amor divino
apporta seco e la scienza e tutti i beni: Venerunt
autem mihi omnia bona... cum illa, cioè colla santa carità (Sap. VII, 11).
Il Ven. Giovanni Berchmans avea un affetto straordinario per lo studio, ma
egli, colla sua virtù, non permise mai che lo studio gl'impedisse il profitto
spirituale.54 Scrisse l'Apostolo: Non
plus sapere, quam oportet sapere, sed sapere ad sobrietatem (Rom. XII, 3).
Bisogna sapere, specialmente a chi è sacerdote; bisogna che sappia, perché il
sacerdote dee istruire gli altri nella divina legge: Labia enim sacerdotis custodient scientiam et legem requirent ex ore
eius (Malac. II, 7); bisogna che sappia, ma usque ad sobrietatem Chi per lo studio lascia l'orazione dà segno
che
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nello studio non cerca Dio, ma se stesso. Chi cerca Dio lascia lo
studio, quando non è attualmente necessario, per non lasciar l'orazione.
Inoltre il maggior male si è che senza l'orazione mentale non si prega. - In
più luoghi delle mie opere spirituali ho parlato della necessità della
preghiera, e specialmente in un libretto a parte intitolato: Del gran mezzo della preghiera,55
ed in questo capo brevemente anche ne dirò più cose. Basti solamente qui
avvertire quel che scrisse il Ven. vescovo di Osma Monsig. Palafox (nell'Annot. alla lettera di S. Teresa 8, n.
10): “Come può durar la carità, se Dio non ci dà la perseveranza? Come ci
darà la perseveranza il Signore, se non glie la chiediamo? E come glie la
chiederemo senza l'orazione? Senza l'orazione non vi è comunicazione con Dio
per conservar le virtù.”56 E così è, poiché chi non fa orazione mentale
poco vede i bisogni dell'anima sua, poco conosce i pericoli della sua salute,
poco i mezzi che dee usare per vincere le tentazioni, e così, poco conoscendo
la necessità che ha di pregare, lascerà di pregare e certamente si perderà.
In quanto poi alla materia della meditazione, non vi è cosa più utile che
meditare i novissimi, la morte, il giudizio, l'inferno e 'l paradiso; ma
specialmente giova il meditar la morte, figurandoci di star moribondi sul
letto, abbracciati col Crocifisso e vicini ad entrare nell'eternità. Ma sovra
tutto, a chi ama Gesù Cristo e desidera di sempre più crescere nel santo amore,
non vi è pensiero più efficace che quello della Passione del Redentore. Dicea
S. Francesco di Sales che “il monte Calvario è il monte degli
amanti.”57 Tutti gli amanti di
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Gesù Cristo se la fanno sempre
su questo monte, ove non si respira altra aria che del divino amore. A vista
d'un Dio che muore per nostro amore, e muore perché ci ama - dilexit nos et tradidit semetipsum pro nobis
(Ephes. V, 2) - non è possibile il non ardentemente amarlo. Dalle piaghe del
Crocifisso escono sempre tali saette d'amore che feriscono i cuori anche di
pietra. Oh felice chi se la fa continuamente sul monte Calvario in questa vita!
O monte beato, monte amabile! O monte caro, e chi più ti lascerà? Monte che
mandi fuoco ed infiammi l'anime che in te perseverantemente dimorano!
Il quarto mezzo per la perfezione ed anche
per la perseveranza in grazia di Dio è la
frequenza della santa comunione della quale parlammo già nel capo II, ove
dicemmo che un'anima non può far cosa di maggior gusto di Gesù Cristo, che
riceverlo spesso nel Sagramento dell'altare.
Dicea S. Teresa:
“Non vi è migliore aiuto per la perfezione che la comunione frequente: oh come
il Signore mirabilmente la va perfezionando!” E soggiungeva che, ordinariamente
parlando, le persone che più spesso si comunicano si trovano più avanzate nella
perfezione; e che in quei monasteri ove più frequentasi la santa comunione, ivi
regna più spirito.58 E perciò, come si dice nel decreto d'Innocenzo XI
dell'anno 1679, i SS. Padri hanno tanto lodata e promossa la comunione
frequente ed anche quotidiana.59 La comunione, come parla il Concilio
di Trento (Sess. 13. c. 2.) ci libera dalle colpe giornali e ci preserva dalle
mortali.60 S. Bernardo dice che la comunione reprime i moti
dell'iracondia e dell'incontinenza, che sono le due passioni che più spesso e
più fortemente ci assaltano.61
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S. Tommaso (3. p. q. 7g. a.
1.) dice che la comunione abbatte le suggestioni del demonio.62 E S.
Giovan Grisostomo finalmente dice che la comunione c'infonde una grande
inclinazione alle virtù ed una prontezza a praticarle, ed insieme ci
compartisce una gran pace, e così ci rende facile e dolce il cammino della
perfezione.63 Sovratutto niun sagramento infiamma tanto le anime
dell'amor divino, quanto il sagramento dell'Eucaristia, ove Gesù Cristo a questo
fine ci dona tutto se stesso, per unirci tutti a lui per mezzo del santo amore.
Quindi dicea il Ven. P. Gio. d'Avila: “Chi allontana le anime dalla frequente
comunione fa l'officio del demonio.”64 Sì, perché il demonio molto odia
questo Sagramento da cui ricevono le anime gran forza per avanzarsi nel divino
amore.
Per far bene poi la comunione vi bisogna il conveniente apparecchio. - Il primo
apparecchio, o sia l'apparecchio rimoto, per poter frequentare la comunione
quotidiana o di più volte la settimana, è l'astenersi 1. da ogni difetto
deliberato, cioè commesso ad occhi aperti. 2. È l'esercizio di molta orazione
mentale. 3. È la mortificazione de' sensi e delle passioni.
Insegna S. Francesco
di Sales nella sua Filotea (al capo 20): “Chi avesse superata la maggior parte
delle sue male inclinazioni, e fosse giunto a notabil grado di perfezione,
potrebbe comunicarsi ogni giorno.”65 S. Tommaso l'Angelico
- 95 -
insegna
che ben può far la comunione quotidiana chi ha la sperienza che comunicandosi
gli si aumenta il fervore del santo amore (Dist. 2. q. 13. a. 1. fol.
2.).66 Quindi disse Innocenzo XI nel mentovato decreto che la frequenza
maggiore o minore della comunione dee determinarla il confessore che in ciò dovrà
regolarsi secondo il profitto che vede ricavarsi dalle anime da lui
dirette.67
- 96 -
L'apparecchio prossimo poi alla comunione è quello
che si fa nella stessa mattina della comunione, per cui vi bisogna almeno una
mezz'ora di orazione mentale.
Inoltre per ritrarre gran frutto dalla comunione è necessario un lungo
ringraziamento. Dicea il P. Giov. d'Avila che il tempo dopo la comunione è
“tempo di guadagnar tesori di grazie.”68 S. Maria Maddalena de' Pazzi
dicea che non vi è tempo più atto ad infiammarci di amor divino che il tempo
dopo che ci siamo comunicati.69 E S. Teresa scrisse: “Dopo la comunione
non perdiamo così buona occasione di negoziare con Dio. Non suole Sua Divina
Maestà mal pagare l'alloggio se gli vien fatta buona accoglienza.”70
- 97 -
Certe anime pusillanimi, esortate dal confessore a comunicarsi più spesso,
rispondono: Ma io non ne son degna.
Ma non sapete, sorella, che quanto più state a comunicarvi più ve ne rendete
indegna? perché senza la comunione avrete meno forza, e commetterete più
difetti. Eh via, ubbidite al vostro direttore e lasciatevi da lui guidare: i
difetti non impediscono la comunione quando non sono pienamente volontari:
oltreché tra' vostri difetti il maggiore è questo, il non ubbidire a quel che
vi dice il padre spirituale.
Ma io per lo passato ho fatta una mala vita.
E non sapete, vi rispondo, che chi sta più infermo ha più bisogno del medico e
della medicina? Gesù nel Sagramento è medico e medicina. Dicea S. Ambrogio: Qui semper pecco, debeo semper habere
medicinam (De sacr. c. 6).71 - Dirà: Ma il confessore non mi dice ch'io mi comunichi più spesso. E se
esso non ve lo dice, cercategli voi la licenza di comunicarvi più spesso. Se
egli poi ve la nega, ubbidite; ma frattanto fategli la richiesta. - Pare superbia. Sarebbe superbia se
voleste comunicarvi contra il suo parere, ma non quando voi con umiltà glielo
domandate. Questo pane celeste desidera fame. Gesù vuol esser desiderato, sitit sitiri, dice un divoto
scrittore.72 Eh che il pensare, oggi
mi son comunicato o domani mi ho da comunicare, oh come tiene l'anima
attenta questo pensiero a fuggire i difetti e far la divina volontà! - Ma io non ho fervore. Se parlate
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del fervore sensibile, questo non è necessario, né Dio lo dà sempre
anche all'anime sue dilette; basta che abbiate il fervore di una volontà
risoluta di esser tutta di Dio e di avanzarvi nel divino amore. Dice Gio.
Gersone che chi si astiene dalla comunione per non sentire quella divozione che
vorrebbe sentire, fa come colui che non si accosta al fuoco per non sentirsi
caldo.73
Ah Dio mio, che molte anime per non impegnarsi a vivere con più raccoglimento e
maggior distacco dalle cose terrene, lasciano di chiedere la comunione; e
questa è la vera ragione di non voler comunicarsi più spesso. Conoscono che
colla comunione frequente non conviene quel voler comparire, quella vanità di
vestire, quello stare attaccati alla gola, alle comodità ed alle conversazioni
di spasso: conoscono che vi vorrebbe più orazione, più mortificazione interna
ed esterna, più ritiratezza: e perciò si vergognano di accostarsi più spesso
all'altare. Non ha dubbio che a tali anime sta bene l'astenersi dalla frequente
comunione ritrovandosi in questo misero stato di tepidezza; ma da questa
tepidezza dee in ogni conto uscirne chi, essendo chiamato a vita più perfetta,
non vuol mettere in gran pericolo la sua eterna salute.
Giova ancor molto, per conservare l'anima in fervore, il fare spesso la
comunione spirituale, tanto lodata dal Concilio di Trento (Sess. 13, c. 8), ove si esortano tutti i fedeli a
praticarla.74 - La comunione spirituale, come dice S. Tommaso (3. p. q.
80. a. 1. ad 3) consiste in un ardente desiderio di ricever Gesù Cristo nel
Sagramento;75 e perciò i santi han soluto farla più volte il giorno. Il
modo di farla è questo: Gesù mio, io vi
credo nel SS. Sagramento. Vi amo e vi desidero; venite all'anima mia. Io
v'abbraccio, e vi prego a non permettere
- 99 -
ch'io m'abbia a separar mai da voi. Più breve: Gesù mio venite a me, io vi desidero, vi abbraccio, stiamoci sempre
uniti. - Questa comunione spirituale si può praticare più volte il giorno,
quando si fa l'orazione, quando si fa la visita al SS. Sagramento, e
specialmente quando si assiste alla Messa nel punto che si comunica il
sacerdote. Dicea la B. Angela [leggi
Agata] della Croce domenicana: “Se il confessore non mi avesse insegnato questo
modo di così comunicarmi più volte il giorno, io non mi sarei fidata di
vivere.”76
Il quinto mezzo, e 'l più necessario per la
vita spirituale e per acquistar l'amore di Gesù Cristo, è il mezzo della
preghiera.
Io dico
primieramente che in questo mezzo Iddio ci fa conoscere il grande amor che ci
porta. Qual prova maggiore d'affetto può dare una persona ad un amico, che
dirgli: “Amico mio, cercami tutto quello che vuoi, e da me l'avrai?” Or questo
appunto ci dice il Signore: Petite, et
dabitur vobis: quaerite, et invenietis (Luc. XI, 9). Quindi la preghiera si
chiama onnipotente appresso Dio per impetrar ogni bene: Oratio cum sit una omnia potest, scrisse Teodoreto.77 Chi
prega ottiene da Dio quanto vuole. Son belle le parole di Davide: Benedictus Deus qui non amovit orationem
meam et misericordiam suam a me (Ps. LXV, 20). Chiosando S. Agostino questo
passo dice: “Quando vedi che non manca in te la preghiera, sta sicuro che non
ti mancherà la divina misericordia.”78 E S. Gio. Grisostomo aggiunge: Semper obtinetur, etiam dum adhuc
- 100 -
oramus:79 Quando
noi preghiamo il Signore, prima che terminiamo di pregare egli ci dona la
grazia che cerchiamo. Se dunque siamo poveri, non ci lamentiamo che di noi,
mentre siamo poveri perché vogliamo esser poveri, e perciò non meritiamo
compassione. Qual compassione può meritare un mendico che avendo un signor
molto ricco il quale vuol provvederlo di tutto purché glie lo domandi, esso
vuol restarsi nella sua povertà per non chiedere ciò che gli bisogna? Ecco,
dice l'Apostolo, il nostro Dio che sta pronto ad arricchire ognun che lo
chiama: Dives in omnes qui invocant illum
(Rom. X, 12).
Sicché l'umile preghiera ottiene tutto da Dio; ma bisogna insiem sapere che
quanto ella ci è utile, altrettanto ci è necessaria per salvarci. È certo che
per vincer le tentazioni de' nemici abbiamo assoluto bisogno del divino aiuto;
e talvolta in certi insulti più veementi, la grazia sufficiente che Iddio dona
a tutti potrebbe bastarci a resistere, ma per la nostra mala inclinazione non
ci basterà, e vi bisognerà una grazia speciale. Chi prega l'ottiene, ma chi non
prega non l'ottiene, e si perde. E parlando singolarmente della grazia della
perseveranza finale, di morire in grazia di Dio, ch'è la grazia assolutamente
necessaria alla nostra salute, senza la quale saremo perduti in eterno, dice S.
Agostino che questa grazia Iddio non la dona se non a chi prega.80 E
questa è la ragione per cui tanti pochi si salvano; perché pochi son quelli che
attendono a cercare a Dio questa grazia della perseveranza.
In somma dicono i SS. Padri che a noi la preghiera è
necessaria non solo di necessità di precetto - per cui dicono i dottori che chi
trascura per un mese di raccomandare a Dio la sua salute eterna non è scusato
da peccato mortale - ma anche di necessità di mezzo; viene a dire che chi non
prega è impossibile che si salvi. E la ragione in breve si è perché
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non possiamo ottener
la salute senza l'aiuto delle divine grazie, e queste grazie non le concede
Iddio se non a chi prega. E perché in noi le tentazioni ed i pericoli di cadere
in disgrazia di Dio sono continui, continue ancora hanno da essere le nostre preghiere.
Onde scrisse S. Tommaso che all'uomo per salvarsi è necessario un continuo
pregare: Necessaria est homini iugis
oratio, ad hoc quod caelum introëat (3. p. q. 39. a. 5).81 E prima
lo disse Gesù Cristo: Oportet semper
orare et non deficere (Luc. XVIII, 1); ed indi l'Apostolo: Sine intermissione orate (I Thess. V,
17). In quello spazio che intermetteremo di raccomandarci a Dio, il demonio ci
vincerà. La grazia della perseveranza, sebbene da noi non può meritarsi, come
insegna il Concilio di Trento (Sess. 6, cap. 13),82 nulladimeno dice S.
Agostino che, col pregare, in certo modo ella può meritarsi: Hoc Dei donum perseverantiae suppliciter
emereri potest, id est supplicando impetrari (De dono persev. c.
6).83 Il Signore vuol dispensarci le sue grazie, ma vuol essere
pregato, anzi, come scrive S. Gregorio, vuol esser importunato e quasi
costretto colle nostre preghiere: Vult
Deus orari, vult cogi, vult quodam modo importunitate vinci.84 E
dicea S. Maria Maddalena de'
- 102 -
Pazzi che quando noi cerchiamo grazie a
Dio, non solo egli ci esaudisce, ma in certo modo ci ringrazia.85 Sì,
perché essendo Dio una bontà infinita che brama di diffondersi agli altri, ha
per così dire un infinito desiderio di dispensarci i suoi beni; ma vuol essere
pregato: onde quando si vede pregato da una anima, è tanto il compiacimento che
ne riceve, che in certo modo esso ne la ringrazia.
Dunque se vogliamo conservarci sempre in grazia di Dio sino alla morte, bisogna
che sempre facciamo i pezzenti e teniamo la bocca aperta a pregare Dio che ci
aiuti, replicando sempre: Gesù mio, misericordia: non permettete ch'io mi abbia
a separare da voi: Signore, assistetemi: Dio mio, aiutatemi. Questa era la
continua orazione che praticavano i padri antichi nel deserto: Deus, in adiutorium meum intende: Domine, ad
adiuvandum me festina (Ps. LXIX, 2):86 Signore, aiutami ed aiutami
presto, perché se trattieni ad aiutarmi, io cadrò e mi perderò. E ciò bisogna
farlo specialmente in tempo di tentazioni: chi non fa così, è perduto.
Ed abbiamoci gran fede alla preghiera. È promessa di Dio d'esaudir chi lo
prega: Petite et accipietis (Io. XVI,
24). Che dubitiamo, dice S. Agostino, giacché il Signore colla promessa fatta
si è obbligato e non può mancare di farci le grazie che gli cerchiamo? Promittendo debitorem se fecit
- 103 -
(De verb. Dom. serm. 2).87
Quando ci raccomandiamo a Dio, bisogna che allora abbiamo una confidenza certa
che Dio ci esaudisce, ed otterremo quanto vogliamo. Ecco quel che dice Gesù
Cristo: Omnia quaecumque orantes petitis,
credite quia accipietis, et evenient vobis (Marc. XI, 24).
Ma io son peccatore, dirà taluno, non merito di essere esaudito. Ma Gesù
Cristo dice: Omnis... qui petit accipit
(Luc. XI, 10): Ognuno che cerca ottiene: ognuno, o sia giusto o peccatore.
Insegna S. Tommaso che la forza della preghiera ad ottenerci le grazie non
consiste ne' meriti nostri, ma nella misericordia di Dio che ha promesso di
esaudir chi lo prega: Oratio in
impetrando non innititur nostris meritis; sed soli divinae misericordiae
(2. 2. q. 178. a. 2 ad 1).88 E 'l nostro Salvatore, per toglierci ogni
timore quando preghiamo, ci disse: Amen,
amen dico vobis, si quid petieritis Patrem in nomine meo, dabit vobis (Io.
XVI, 23); come dicesse: Peccatori, voi non avete meriti da ottener le grazie,
onde fate così: quando volete le grazie, chiedetele a mio Padre in nome mio,
cioè per li meriti miei e per amor mio, e poi cercate quanto volete e vi sarà
dato. Ma notiamo quella parola, in nomine
meo, viene a dire, come spiega S. Tommaso, in nomine Salvatoris, cioè che le grazie che domandiamo hanno da
essere grazie spettanti alla salute eterna;89 e perciò bisogna
avvertire che la promessa
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non è per le grazie temporali: queste,
quando sono utili alla salute eterna, il Signore ce le concede, e quando no, ce
le nega. Onde le grazie temporali bisogna che le cerchiamo sempre colla
condizione, se hanno da giovare all'anima. Ma quando son grazie spirituali,
allora non ci vuol condizione, ma confidenza e confidenza certa, dicendo: Padre
eterno, in nome di Gesù Cristo liberatemi da questa tentazione, datemi la santa
perseveranza, datemi l'amor vostro, datemi il paradiso. Queste grazie possiamo
cercarle anche a Gesù Cristo in nome suo, cioè per li meriti suoi, perché anche
di ciò vi è la promessa di Gesù Cristo: Si
quid petieritis me in nomine meo, hoc faciam (Io. XIV, 14). E quando
preghiamo Dio, ricordiamoci di raccomandarci ancora alla dispensiera delle
grazie Maria. Dice S. Bernardo che Iddio è quegli che fa le grazie, ma le fa
per mano di Maria: Quaeramus gratiam et
per Mariam quaeramus, quia quod quaerit invenit, et frustrari non potest
(Serm. de aquaeduct.).90 Se Maria prega ancora per noi, siam sicuri,
perché le preghiere di Maria son tutte esaudite, né hanno mai ripulsa.
1 «Non agit perperam (caritas), quia quo se in solum Dei ac proximi
amorem dilatat, quidquid a rectitudine discrepat ignorat.» S. GREGORIUS MAGNUS, Moralia in Job, lib.
10, cap. 6 (al. 8), n. 10.
2 «Rien ne
nous trouble que l' amour propre et l' estime que nous faisons de nous-même. Si
nous n' avons pas les tendretés ou attendrissements de coeur, les goûts et
sentiments en l' oraison, les suavités intérieures en la méditation, nous voilà
en tristesse; si nous avons quelque difficulté à bien faire, si quelque
difficulté s' oppose à nos justes desseins, nous voilà empressés à vaincre tout
cela et nous en défaire avec de l' inquétude. Pourquoi tout cela? Parce, sans
doute, que nous aimons nos consolations, nos aises, nos commodités... L' amour
propre est donc l' une des sources de nos inquiétudes; l' autre c' est l'
estime que nous faisons de nous-mêmes. Que veut dire que, s' il nous arrive
quelque imperfection ou péché, nous sommes étonnés, troublés et impatients?
Sans doute c' est que nous pensionis être quelque chose de bon, résolu et
solide; et partant, quand nous voyons par effet qu' il n' en est rien et nous
avons donné du nez en terre, nous sommes trompés, et par conséquent troublés,
offensés et inquiétés... C' est là l' autre source de notre inquétude... Toutes
les pensées qui nous rendent de l' inquiétude et agitation d' esprit ne sont
nullement de Dieu, qui est Prince de paix
(Is. IX, 6); ce sont donc des tentationis de l' ennemi, et partant il les faut
rejeter et n' en tenir compte.» A Madame
Bourgeois, Abbesse du Puits-d' Orbe, Lettre
280, avril 1605. Œuvres, XIII,
Annecy, 1904.
3 «Ne vous
troublez point de quoi vous ne remarquez pas toutes vos menues chutes pour vous
en confesser; non, ma Fille, car, comme vous tombez souvent sans vous en
apercevoir, aussi vous vous relevez sans vous en apercevoir... Ne vous mettez
donc pas en peine pour cela... Pour ce que vous n' aurez pas remarqué, remettez-le
à la douce miséricorde de Celui-là qui met
la main au dessous de ceux qui tombent sans malice, afin qu' ils ne se
froissent point (Ps. XXXVI. 24), et les reléve si vitement et doucement qu' ils
ne s' aperçoivent pas, ni d' être tombés, parce que la main de Dieu les a
recueillis en leurs chutesss, ni d' être relevés, parce qu' elle les a retirés
si soudain qu' ils n' y ont point pensé.» A
Madame de la Valbonne. Lettre 1382. Œuvres,
XVIII, Annecy, 1912. - Cf. CAMUS, Esprit
de S. François de Sales, partie 15, ch. 8.
4 «(Mentre ancora novizia, era
combattuta internamente da grande scrupolo, temendo di mancare o contro la
temperanza o contro la povertà), cadé tramortita per improviso deliquio in
veduta delle Religiose commensali. Questa fu l' occasione opportuna di vedere
stesa al suo soccorso la mano divina; imperocché nella maggior fievolezza del
corpo, levandole in alto lo spirito, le fé vedere come un gran carbone
vivamente acceso, in cui infocatesi molte minutissime pagliucce, vi si
consumavano sopra, fino al non distinguersi da quel medesimo fuoco, nel quale
perdeano l' essere. Fu accompagnato il sentimento con queste due parole, che
udì proferirsi nell' anima: Nosce et
quiesce. E in fatti conobbe il
signigicato di quella misteriosa rappresentazione, penetrando con quanta
facilità un vero atto di amor di Dio, qual fuoco ardente, incenerisca le aride
paglie delle umane imperfezioni, le quali restano sempre, con eccesso infinito,
superate dalla divina misericordia. Si quietò
altresì, stimolata a respirare in seno alla stesso Misericordia di Dio.». G.
TURANO, Vita... della Ven... Suor Maria
Crocifissa della Concezione, O. S. B., nel Monastero di Palma, lib. 1, cap.
10.
5 «Sumi autem voluit (Salvator
noster) Sacramentum hoc tamquam spiritualem animarum cibum... et tamquam
antidotum quo liberemur a culpis quotidianis et a peccatis mortalibus
praeservemur.» CONCILIUM TRIDENTINUM, Sessio 13, Decretum de SS. Eucharistiae Sacramento, cap. 2.
6 «Pecado muy de advertencia, por
chico que sea, Dios nos libre de él; cuànto màs, que no hay poco siendo contra
una tan gran Majestad, y viendo que nos està mirando.» S. TERESA, Camino de perfecciòn, cap. 41. Obras, III,
pag. 198.
7 «Mas ay de
nosotros, que pocos debemos de llegar a ella (la uniòn con la voluntad de
Dios)! aunque a quien se guarda de ofender a el Senor y ha entrado en religiò,,
le parezca que todo lo tiene hecho. Oh, que quedan unos gusanos que no se dan a
entender, hasta que, como el que royò la yendra a Jonàs (Ion. IV, 6, 7), nos han
roido las virtudes con un amor propio, una propia estimaciòn, un juzgar los
pròjimos, aunque sea en pocas cosas, una falta de caridad con ellos, no los
quiriendo como a nosotros mesmos: que, aunque arrastrando cumplimos con la
obligaciòn para no ser pecado, no llegamos con mucho a lo que ha de ser para
estar del todo unidas con la voluntad de Dios.» S. TERESA, Moradas quintas, cap. 3. Obras, IV, pag. 87, 88.
8 Parla la Santa Madre degli ordini
e Monasteri in cui cose minutissime vanno a poco a poco rovinando la disciplina
e lo spirito: questa dottrina l' applica S. Alfonso alle anime singole, usando
il demonio, nell' uno e nell' altro caso, la medesima industria. «Miren los
presentes (Fratelli e Sorelle della Riforma Carmelitana), que son testigos de
vista, las mercedes que nos ha hecho (Nuestro Senor), y de los trabajos y
desasosiegos que nos ha librado, y los que estàn por venir, pues lo hallan
llano todo, no dejen caer ninguna cosa de perfeciòn, por amor de Nuestro Senor.
No se diga por ellos lo que de algunas Ordenes, que loan
sus principios; ahora comenzamos, y procuren ir comenzando siempre de bien en
mejor. Miren que por muy pequenas cosas va el demonio barrenando agujeros por
donde entren las muy grandes. No les acaezca decir: «en esto no va nada, que
son ectremos». Oh hijas mias, que en todo va mucho, como no sea ir adelante!» S.
TERESA, Las Fundaciones, cap. 29. Obras, V.
9 Scio opera tua, quia neque frigidus es,
neque calidus: utinam frigidus esses aut calidus! Sed quia tepidus es, et neque
frigidus nec calidus, incipiam te emovere ex ore meo. Apoc. III. 15, 16.
10 «Calidus
quippe est qui bona studia et arripit et consummat; frigidus vero est qui
consummanda nec inchoat. Et sicut a frigore per teporem transitur ad calorem,
ita a calore per teporem reditur ad frigus. Quisquis ergo amisso infidelitatis
frigore vivit, sed nequaquam tepore superato excrescit ut ferveat, procul dubio
calore desperato, dum noxio in tepore demoratur, agit ut frigescat. Sed sicut
ante teporem frigus sub spe est, ita post frigus tepor in desperatione. Qui
enim adhuc in peccatis est, conversionis fiduciam non amittit. Qui vero post
conversionem tepuit, et spem quae esse potuit de peccatore subtraxit. Aut
calidus ergo quisque esse, aut frigidus quaeritur, ne tepidus evomatur; ut
videlicet aut, necdum conversus, adhuc de se spem conversionis praebeat, aut,
iam conversus, in virtutibus inardescat; ne evomatur tepidus, qui, a calore
quem proposuit, torpore ad noxium frigus redit.» S. GREGORIUS MAGNUS, Regulae pastoralis liber, pars 3, cap.
34 (al. 58), in fine. ML 77-119.
11 «Quelli stessi leggierissimi
difetti non furono che rari, e niuno abituale; onde in una pubblica esortazione
ebbe in buona occasione a protestar con lagrime: «Ho avuto mancamenti, ma non
mai consuetudine con loro, mai in mia vita.» Di tanto neppur contento, arrivò
20 anni prima della sua morte a far quel gran voto di mai peccar venialmente
con avvertenza.» PATRIGNANI, Menologio di
pie memorie d' alcuni Religiosi d. C. d. G., 16 febbraio 1624.
12 «Quae sunt, inquit, religioso
cum muliere tractanda negotia, nisi cum sanctam paenitentiam vel melioris vitae
consortium religiosa petitione deposcit? Ex nimia securitate minus cavetur
hostis, et diabolus, si de suo capillum potest habere in homine, cito exrescere
facit in trabem.» S. BONAVENTURA, Legenda
S. Francisci, cap. 5, n. 5. Opera, tom.
8, ad Claras Aquas, 1898, pag. 517. - MARCO DA LIBSONA, Croniche del P. S. Francesco, lib. 1, cap. 33. - Opuscula B. P. FRANCISCI (Pedeponti,
1739), pag. 44: Collatio 6.
13 «In hunc vero spiritualem
conflictum, desideriorum armis et zelo patiendi pro Christo procedendum est.
Qui enim absque huiusmodi zelo in hunc spiritualem agonem intrare
praesumpserit, facile vincetur; qui autem ad cuncta toleranda adversa praemunitus
fuerit, gaudeat, quia, supra durissimam petram fundatus, a sua soliditate
everti non poterit. Hoc namque desiderium tamquam firmissimum adamas in
spiritualis structura aedificii pro fundamento locandum est... Quis enim huius
sancti desiderii valet profectus explicare? Animo quippe vires subministrat, et
poenam exhibet leviorem, perseverantiam praebet, coaequat martyribus, et
caelesti patria dignum suum efficit possessorem. Opera namque eo sunt superno
Iudici gratiora, quo ardentiori fuerint facta caritate.» S. LAURENTIUS
IUSTINIANUS, De disciplina et perfectione
monasticae conversationis, cap. 6. Opera,
Lugduni, 1628, p. 90, col. 1 et 2.
14 Vedi Appendice, 45.
15 « En otras cosillas, que os he
escrito, os he dicho esto muchas veces, y ahora os lo torno a decir y rogar,
que siempre vuestros pensamientos vayan animosos, que de aqui vernàn a que el
Senor os dé gracia, para que lo sean las obras.» S. TERESA, Conceptos del amor de Dios, cap. 2. Obras, IV, pag. 231. - «Ayda mucho tener
altos pensamientos para que lo sean las obras.» Camino de perfecciòn, cap. 4. Obras. III, pag. 25.
16 «Tener gran confianza porque
conviene mucho no apocar los deseos, sino creer de Dios que, si nos esforzamos
poco a poco, aunque no sea luego, podremos llegar a lo que muchos santos con su
favor.» S. TERESA, Vida, cap. 13. Obras, I, pag. 91.
17 «Quiere Su Majestad y es amigo
de ànimas animosas, como vayan con humildad y ninguna confianza de sì; y no he
visto a ninguna de éstas que quede baja en este camino, ni ninguna alma
cobarde, con amparo de humildad, que en muchos anos ande lo que esotros en muy
pocos. Espàntame lo mucho que hace en este camino animarse a grandes cosas;
aunque luego no tenga fuerzas el alma, da un vuelo y llega a mucho, aunque como
avecita que tiene pelo malo, cansa y queda.» S. TERESA, Libro de la Vida, cap. 13. Obras,
I, 91, 92. - «Veo yo venir ahora a esta casa unas doncellas que son de poca
edad... Todas juntas se ofrecen en sacrificio por Dios. Cuàn de
buena gana les do yo aqui la ventaja, y habìa de andar avergonzada delante de
Dios; porque lo que Su Majestad no acabò conmigo en tanta multitud de anos como
ha que comencé a tener oraciòn, y me comenzò a hacer mercedes, acaba con ellas
en tres meses, y aun con alguna en tres dias, con hacerlas muches menos que a
mi, aunque bien las paga Su Majestad.» Libro
de la Vida, cap. 39. Obras, I, 350, 351.
18
Vedi Appendice, 46.
19 « Mas acabando de recibir a el
Senor (nella santa comunione), pues tenéis la mesma persona delante, procurà
cerrar los ojos del cuerpo, y abrir los de alma, y miraros al corazòn; que yo
os digo, y otra vez lo digo, y muchas lo querria decir, que si tomàis esta
costumbre todas las veces que comulgardes, y procurà tener tal conciencia que
os sea licito gozar a menudo de este Bien, que no viene tan disfrazado, que,
como he dicho, de muchas maneras no se dé a conocer conforme a el deseo que
tenemos de verle; y tanto lo podéis desear, que se os descubra del todo. Mas si no hacemos caso de El, sino que en recibiéndole nos vamos de con El
a buscar otras cosas màs bajas, qué ha de hacer? Hanos de traer por fuerza a
que le veamos que se nos quiere dar a conocer? No, que no le trataron tan bien
cuando se dejò ver a todos a el descubierto, y les decia claro quién era, que
muy pocos fueron los que le creyeron. Y ansi, harta misericordia nos hace a
todos, que quiere Su Majestad entendemos que es El el que està en el santisimo
Sacramento. Mas que le vean descubiertamente, y comunicar sus grandezas y dar
de sus tesoros, no quiere sino a los que entiende que mucho le desean, porque
éstos son sus verdaderos amigos.» Camino de
perfecciòn, cap. 34 (verso la fine). Obras, III,
pag. 165, 166. - «También me parece que anda Su Majestad a probar quién le
quiere, si no uno, si no otro, descubriendo quién es con deleite tan soberano,
por avivar la fe, si està muerta, de lo que nos ha de dar, diciendo: Mirà, que
esto es una gota de el mar grandisimo de bienes, por no dejar nada por hacer
con los que ama, y como ve que le reciben, ansi da y se da. Quiere a quien le quiere; y qué bien querido, y qué buen amigo!» S. TERESA, Libro de la Vida, cap. 22 (verso la fine). Obras, I, 174.
20 «Muchas veces he pensado
espantada de la gran bondad de Dios, y regalàdose mi alma de ver su gran
manificencia y misericordia. Sea bendito por todo, que he visto claro no dejar
sin pagarme, aun en esta vida, ningun deseo bueno.» S. TERESA, Libro de la Vida, cap. 4. Obras, I, pag. 25. - «Quiere Su Majestad
y es amigo de ànimas animosas, como vayan con humildad y ninguna confianza de
si.» Libro de la Vida, cap. 13. Obras, I, pag. 91.
21 «Venianle
unos impetus tan grandes de amor de Dios, que no se podia valer ni cabia en si,
sino que le parecia que se le acababa la vida y le daban grandes arrobamientos.
Decia
que con ver a otros con màs gloria que a sì, se holgaria, pero no llevaria en
paciencia de que otros amasen màs a Dios que ella. Todos
los trabajos le parecian pequenos por su amor.» Deposiciòn
de la Hermana TERESA DE JESUS (figlia di Lorenzo de Cepeda, fratello della S. Madre),
en el Proceso de Avila (1596). Obras, II, Apendices,
56, 4a (domanda).
22 «Siempre la
humildad delante... Mas es meneser entendamos còmo ha de ser esta humilidad;
porque creo el demonio hace mucho dano para no ir muy adelante gente que tiene
oraciòn, con hacerlos entender mal de la humildad, haciendo que nos parezca
soberbia tener grandes deseos y querer imitar a los santos y desear ser
màrtires. Luego nos dice u hace entender que las cosas de los santos son para
admirar, mas no para hacerlas los que somos pecadores. Esto también lo digo yo; mas
hemos de mirar cuàl es de espantar y cuàl de imitar... Nos podemos esforzar,
con el favor de Dios, a tener un gran desprecio de mundo, un no estimar honra,
un no estar atada a la hacienda. Tambien se pueden imitar los
santos en procurar soledad y silencio y otras muchas virtudes, que no nos
mataràn estos negros cuerpos, que tan concertadamente se quieren llevar para
desconcertar el alma.» S. TERESA, Libro de la Vida, cap.
13. Obras, I, pag. 92, 93. - «Tener
gran confianza, porque conviene mucho no apocar los deseos, sino creer de Dios que, si nos esforzamos poco a
poco, aunque no sea luego, podremos llegar a lo que muchos santos con su favor;
que si ellos nunca se determinaran a desearlo y a poco a poco a ponerlo por
obra, no subieran a tan allo estado.» Libro
de la Vida, cap. 13. Obras, I,
pag. 92. - «Espàntame lo mucho que hace en este camino animarse a grandes
cosas; aunque luego no tenga fuerzas el alma, da un vuelo y llega a mucho,
aunque como avecita que tiene pelo malo, causa y queda.» Libro de la Vida, cap. 13. Obras,
I, pag. 92.
23
Vedi Appendice, 47.
24 (Parla la Santa, in estasi,
dell' operazione che fa lo Spirito Santo nell' anima e della grazia che
comunica.) «Io con desiderio lo desidero (lo Spirito Santo coi suoi doni) e non
desidero; e ben conosco di doverlo e non doverlo desiderare; e con questo
desiderio lo desidero, e per me stessa e per tutti... In che maniera questo?
Son pure cose contrarie, desiderare e non desiderare. Dico che non lo voglio
desiderare da me stessa come da me stessa, perché non voglio aver alcun
desiderio, e ardirò di dire, anzi dirò, che se me lo desse perché in ciò si
facesse la mia volontà, e non la sua come sua e non come mia, ancorché in
questo ci fosse la sua volontà, ma non ci fosse ella primieramente, e dirò
anche totalmente la sua, in nessun modo vorrei esserne contenta: tanto m'
importa a non voler ripossedere e far mio quel che di già gli ho donato; e
voglio che sia tutto suo, perché dir possa con ogni verità in ogni cosa: Fiat voluntas tua. Dico del mio volere,
del mio desiderare, sicché il bene che non mi viene per questa via non mi par
bene, e piuttosto eleggerei, e così bramo, non aver alcun altro dono - fuorché
questo, che è pur suo, di lasciar tutto il mio volere e il mio desiderio in lui
- che avere qualunque dono si sia, solo per mio desiderio e mio volere. In me sint, Deus, vota tua, non vota mea. No, no, ch' io non voglio.» Vinc. PUCCINI, Vita, Firenze, 1611, parte 3, Giorno
secondo, pag. 46, 47; Vita 1671,
cap. 83. - (Risponde il Verbo all' «amantissima sua sposa»:) «Contro al proprio
volere, prenderai (come rimedio) una morta volontà, tanto che non vogli anco me
stesso, se non tanto quanto è volontà mia.» PUCCINI, Vita, Firenze, 1611, Prima
Notte, pag. 18.
25 «Je n'
approuve nullement qu' une personne attachée à quelque devoir ou vacation, s'
amuse à désirer une autre sorte de vie que celle qui est convenable à son
devoir, ni des exercices incompatibles à sa condition présente; car cela
dissipe le coeur et l' alanguit és exercices nécessaires. Si je désire la
solitude des Chartreux, je perds mont temps, et ce désir tient la place de
celui que je dois avoir de me bien employer à mon office présent... Or, cela s'
entend des désirs qui amusent le coeur; car quant aux simples souhaits, ils ne
fout nulle nuisance, pourvu qu' ils ne soient pas fréquents.» Introduction à la vie dévote, partie 3,
ch. 37.
26 Essendosi messa in viaggio per la fondazione di
«Villanueva de la Jara», senza tener conto di gravissime difficoltà di ogni
genere né dello stato deplorevole della sua salute: «Fué Dios servido de hacer
tan buen tiempo, y darme tanta salud, que parecia nunca habia tenido mal; que
yo me espantaba, y consideraba lo mucho que importa no mirar nuestra fiaca
dispusiciòn, cuando entendemos se sirve el Senor, por contradiciòn que se nos
ponga delante, pues es poderoso de hacer de los flacos fuertes y de los
enfermos sanos. Y cuando esto no hiciere, serà lo mejor padecer para nuestra
alma, y puestos los ojos en su honra y gloria, olvidarnos a nosotros... Yo
confieso que mi ruindad y flaqueza muchas veces me ha hecho temer y dudar; mas
no me acuerdo ninguna, después que el Senor me diò habito de Descalza, ni
algunas anos antes, que no me hiciese merced, por su sola misericordia, de
vencer estas tentaciones, y arrojarme a lo que entendia era mayor servicio
suyo, por dificultoso que fuese. Bien clara entiendo que era poco lo que hacia
de mi parte, mas no quiere màs Dios de
esta determinaciòn para hacerlo todo de la suya. Sea por siempre bendito y
alabado. Amen.» S. TERESA, Las
Fundaciones, cap. 28. Obras, V,
252. - «El demonio ha gran miedo a ànimas determinadas, que tiene ya
expiriencia le hacen gran dano, y cuanto él ordina para danarlas, viene en
provecho suyo y de los otros, y que sale él con perdida... Y si conoce a uno
por mudable, y que no està firme en el bien y con gran determinaciòn de
perseverar, no le dejarà a sol ni a sombra; miedos le pornà, y inconvenientes,
que nunca acabe. Yo lo sé esto muy bien por expiriencia, y ansi lo he sabido decir, y
digo que no sabe nadie lo mucho que importa.» S. TERESA, Camino de perfecciòn, cap. 23. Obras,
III.
27 «No entiendo otra cosa ni la
querria entender, sino que oraciòn de poco tiempo, que hace efetos muy grandes
- que luego se entienden, que es imposible que los haya pa dejarlo todo, solo
per contentar a Dios, sin gran fuerza de amor - yo la querria màs que la de
muchos anos, que nunca acabò de determinarse màs a el postrero que al primero,
a hacer cosa que sea nada por Dio; salvo si unas cositas menudas como sal, que
no tienen peso ni tomo, que parece un pàjaro se las llevara en el pico, no
tenemos por gran efeto y mortificaciòn;
que de algunas cosas hacemos caso, que hacemos por el Senor, que es làstima las
entendamos, aunque se hiciesen muchas... No digo yo que no las terna Su
Majestad en mucho, sigun es bueno; maas querria yo no hacer caso de ellas, ni
ver que las hago, pues no son nada.» S. TERESA, Libro de la Vida, cap. 39. Obras,
I, 351, 352.
28 «Ya tengo expiriencia en muchas,
que si me ayudo al principio a determinarme a hacer lo que, siendo sòlo per
Dios, hasta en comenzarlo quiere, para que màs merezcamos, que el alma sienta
aquel espanto, y mientra mayor, si sale con ello, mayor premio y màs sabroso se
hace después. Aun en esta vida lo paga Su Majestad por unas vias, que sòlo quen
goza de ello lo entiende. Esto tengo por expiriencia, como he dicho, en muchas
cosas harto graves; y ansi jamàs aconsejaria, si fuere persona que hubiera de
dar parecer, que, cuando una buena inspiracion acomete muchas veces, se deje
por miedo de poner por obra; que si va desnudamente por solo Dios, no hay que
temer sucederà mal, que poderoso es para todo.» S. TERESA. Libro de la Vida, cap. 4. Obras, I.
29 «La plus
grande assurance que nous pouvons avoir en cette vie consiste en ce pur et
irrévocable ebandonnement de tout son être entre les mains de Dieu, et en l'
absolue résolution de ne jamais vouloir, por chose que ce soit, consentir à
faire volontairement aucun péché grand ni petit; car nous ne sommes pas plus
assurés quand nous sentons l' amour de Dieu que quand nous ne le sentons pas.
Enfin la grande assurance consiste au ce que dessus.» S. FRANÇOIS de SALES, à la Mère de Chantal, Lettre 2092 (ann.
1615-1621). Œuvres, XXI, Annecy,
1923.
30 S. FRANÇOIS
de SALES, Introduction à la vie dèvote, liv.
12, ch. 8. - Vedi Appendice, 48.
31 « Ecco dunque i due gran voti
singolari e particolari di questo santo, che daranno sempre da ammirar a tutto
il mondo... Il primo voto fu di sempre
contradire alla propria volontà... Il secondo voto, di stupor non minore,
fu l' obbligarsi di salire ogni giorno un
grado più alto alla perfezione, sicché non passasse di che non superasse se
stesso nella virtù... Sta registrato negli Atti della di lui canonizzazione e
nella Segreteria dei SS. Riti: Duobus peculiari
religione votis sese Deo vir piissimus obstrinxerat. Unum erat quo semper
propriae voluntati obsistere, alterum quo, divinae gratiae adiutus praesidio,
ad novum aliquem de die in diem perfectionis gradum conscendere firma sponsione
statuerat; quibus promissis fideliter stetisse constat.» G. M. MAGENIS, Chier. Reg., Vita, Brescia, 1739, lib. 1, cap. 8, Appendice storica.
32 S. LAURENTIUS IUSTINIANUS, De disciplina et perfectione monasticae
conversationis, cap. 6 et 24. - Vedi Appendice,
49.
33 Vedi Appendice, 50.
34 Conforme a questo detto, S.
Carlo guardava più al da farsi che al già fatto. «Ad un personaggio forestiero
che lo lodava delle sue opere, dicendo di non sapere come egli potesse far
tanto, rispose che non si deve guardare alle opere, ma alle imperfezioni che in
esse si commettono, ed al molto che si manca di fare.» GIUSSANO, Vita, lib. 8. cap. 16. - Essendo stato
riferito al Sommo Pontefice delle sue aspre penitenze affinché lo adducesse a
più mite e prudente tenor di vita, rispose doversi egli piuttosto vergognare di
seguir troppo da lontano le orme di Cristo Nostro Signore e dei santi vescovi,
ed aggiunse: «Itaque ego ea expendens quae necessario agenda sunt, et videns
quantum a praestituta vivendi ratione absim, conor utcumque huiusmodi
exercitationum aliquas amplecti, quibus et veterem emendare et futuram
praecavere animi remissionem possim, atque in munere meo, ut decet, versari:
quemadmodum Sanctitas etiam Vestra a me exiget, credo. Verumtamen plane
perspicio me, ut ita dicam, hactenus ingressum nondum huius vitae rationem quae
congrua adeo muneri videtur meo: tantum abest ut eo usque processerim, unde
monitis retrahi debeam, quemadmodum fortasse de me audiit.» GLUSSIANUS
(Giussano). De fama, virtutibus et
miraculis S. Caroli Borromaei, lib. 1 (Vitae
liber 8), cap. 26, col. 992, in nota. - «Non fece tutto il Signor Cardinale in
una volta; ma, da che cominciò da buon senno a incaminarsi alla perfezione,
andò ogni di disponendo - come dice il profeta - ascensiones in corde suo.» Gio. Batt. Possevino, Mantovano, Discorsi della vita ed azioni di
Carlo Borromeo (Roma, 1591), cap. 23.
35 Vedi Appendice, 51.
36 «Donosa
manera de buscar amor de Dios!... Ansi que, porque no se acaba de dar junto, no se nos
da por junto este tesoro.» S. TERESA, Libro
de la Vida, cap. 11. Obras, pag.
76.
37 «Es todo asco cuanto podemos
hacer, en comparaciòn de una gota de sangre que el Senor por nosotros derramò.»
S. TERESA, Libro de la Vida, cap. 39.
Obras, I, 353.
38 Vedi Appendice, 13.
39 «Dum enim recogito quod absque
meditationis exercitio nullus, secluso miraculo Dei speciali, ad perfectionem
contemplationis dirigitur aut pervenit, nullus ad rectissimam christianae
religionis normam attingit, imo vix se componit, audeo zelans sanctae
meditationis studium suadere.» Io. GERSONIUS, Tractatulus consolatorius de meditatione, Consideratio 7. Opera, tom. 3, Antwerpiae, 1706, col.
451.
40 Vedi Appendice, 52.
41 «Vereor... ne in mediis
occupationibus, quoniam multae sunt, dum diffidis finem, frontem dures, et ita
sensim te ipsum quodammodo sensu prives iusti utilisque doloris. Multo
prudentius te illis subtrahas vel ad tempus, quam potiare (patiare) trahi ab
ipsis et duci certe paulatim quo tu non vis. Quaeris quo? Ad cor
durum. Nec pergas quaerere quid illud sit: si non expavisti, tuum hoc est.
Solum est cor durum, quod semetipsum non exhorret, quia nec sentit. Quid me
interrogas? Interroga Pharaonem.» S. BERNARDUS, De consideratione ad Eugenium III, lib. 1, cap. 2, n. 3. ML
182-730.
42 «Et primum
quidem ipsum fontem suum, id est mentem, de qua oritur, purificat consideratio.
Deinde regit affectus, dirigit actus, corrigit excessus,
componit mores, vitam honestat et ordinat, postremo divinarum pariter et
humanarum rerum scientiam confert. Haec est quae confusa disterminat, hiantia
cogit, sparsa colligit, secreta rimatur, vera vestigat, verisimilia examinat,
ficta et fucata explorat. Haec est quae agenda praeordinat, acta recogitat; ut
ni hil in mente resideat aut incorrectum (al.
correptione) egens. Haec est quae in prosperis adversa praesentit, in
adversis quasi non sentit: quorum alterum fortitudinis, alterum prudentiae
est.» S. BERNARDUS, De consideratione, lib. 1, cap. 7. ML 182-737.
43 «Nel mese appresso di giugno
(1673), trovandosi nell' orazione comune, giunse a ferirle altamente l'
orecchio una terribile voce, che in barbara favella tre volte articolò ciò che
significa «Fa guerra! fa guerra! fa guerra!»... Argomentò che fosse del nemico,
onde sollecita implorò col Sub tuum
praesidium il solito patrocinio di Maria, e da questa le fu allora rivelato
che quel demonio, di cui... aveva udita la ... voce, tenea per ufficio nel
monastero di tentar le religiose nelle piccole trasgressioni, che assalita tal
sorella... ne era uscito vittorioso, inducendola a mancare dall' orazione
comune senza particolar necessità. Or fattosi il passo per l' apertura di
quella difettosa minuzia, voleva avanzarsi a maggiori acquisti, tentandola in
materia grave; al che bisognando l' aiuto d' altri suoi infernali compagni,
incitavali alla guerra... Si portò (Crocifissa) sollecita alla cella, ove
fluttuava nel pericolo di cadere la poco avveduta religiosa. Quivi ad impedirle
l' ingresso, le si fé incontro il demonio in figura d' uomo bruttissimo, che
posto in più sulla soglia, colle braccia distese in forma di croce, teneva
occupata la porta. Non ristette però Crocifissa, ma, al vedere figurato il
segno sacrosanto della croce, quantunque il demonio l' esprimesse , tutta
drizzando la sua intenzione alla forma, e niente curando della materia, con
profonda adorazione disse: Per signum
crucis de inimicis nostris libera nos, Deus noster. A quest' atto, con
grida e minacce... disparve l' insidioso tentatore, e al dipartirsi, diede una
sì forte spinta a Crocifissa... che il braccio... se ne risentì per molto
tempo. Restò con questo libera dalla rea suggestione quella religiosa.» G.
TURANO, Vita... della Ven... Suor Maria
Crocifissa della Concezione, O. S. B., nel Monastero di Palma, lib. 2, cap.
8.
44 De vitis Patrum, lib. 8, cap. 98. - Vedi
Appendice, 53.
45 «Fu sentita dir più volte...:
«Quando vedrete una persona religiosa che non si dà all' orazione, non fate
gran fondamento sopra di lei, e non abbiate gran speranza dei fatti suoi,
perché, sebbene ella nel dì fuori porta gli abiti di persona dedicata al culto
divino, come le manca lo spirito dell' orazione, non potrà durar lungo tempo in
quella maniera di vita. Chi non frequenta l' orazione, e chi non ne gusta, non
ha in sé quel legame che ci tiene annodati e stretti con Dio; onde non sarà
gran fatto che il mondo e il demonio, trovandolo così solo, l' inducano a
collegarsi con loro.» G. GRASSETTI, S. I., Vita,
lib. 3, cap. 2.
46 «Pues para lo que ho tanto
contado esto es, como he ya dicho, para que se vea la misericordia de Dios y mi
ingratitud; lo otro, para que se entienda el gran bien que hace Dios a un alma
que la dispone para tener oraciòn con voluntad, aunque no esté tan dispuesta
como es menester, y como, si en ella persevera, por pecados, y tentaciones y
caìdas de mil maneras que ponga el demonio, en fin, tengo por cierto la saca el
Senor a puerto de salvaciòn, como, a lo que ahora parece, me ha sacado a mi.»
S. TERESA, Libro de la Vida, cap. 8. Obras, I, pag. 56. - «Yo quisiera aquì
tener gran autoridad para que se me creyera esto: a el Senor suplico Su
Majestad la dé. Digo que no desmaye nadie de los que han comenzado a tener
oraciòn con decir: si torno a ser malo, es peor ir adelante con el ejercicio de
ella. Yo lo creo si se deja la oraciò, y no se enmienda de el mal; mas si no la
deja, crea que le sacarà a puerto de luz.» Libro
de la Vida, cap. 19. Obras, I,
pag. 139.
47 «Comencé a tornar en mi, aunque no
dejaba de hacer ofensas a el Senor; mas como no habie perdido el camino, aunque
poco a poco, cayendo y levantado, iba por él; y el que no deja de andar y ir
adelante, aunque tarde, llega. Non parece es otra cosa perder el camino sino
dejar la oraciòn. Dios nos libre por quien El es.» S. TERESA, Libro de la Vida, cap. 19. Obras, I, pag. 143.
48 «Oh! vàlame
Dios, que céguedad tan grande! Y qué bien acierta el demonio, para su propòsito, en
cargar aqui la mano! Sabe el traidor, que alma que tenga con perseverancia
oraciòn, la tiene perdida, y que todas las caidas que la hace dar, la ayudan,
por la bondad de Dios, a dar después mayor salto en lo que es su servicio: algo
le va en ello.» S. TERESA, Libro de la
Vida, cap. 19. Obras, I, pag.
139.
49 «Non solo aveva la presenza
continua di Dio in tutte le azioni, per la quale cercava farle con la maggior
perfezione che fosse possibile, ma di più stava sempre unito con Dio per mezzo
dell' orazione; nella quale poneva tanto studio, come se in quella consistesse
l' acquisto d' ogni perfezione, e soleva dire che chi non è uomo d' orazione e
di raccoglimento, è quasi impossibile che arrivi a perfetta vittoria di se
medesimo, ed a grado eminente di santità e di perfezione, come l' esperienza
stessa dimostra. E tutta quella immortificazione, perturbazione d' animo,
inquietudine e scontentezza, che talora si vede in persone religiose, diceva
nascere da questo, che non si danno all' esercizio della meditazione ed
orazione, quale egli chiamava la via compendiosa ed accorciatoia della
perfezione.» CEPARI, Vita, lib. 2,
cap. 7.
50 «Trovandosi nell' orazione un'
anima avvolta (nelle) tenebre... egli (il Padre Torres) ad animarla così le
scrive: «... Non si affligga per le sue tenebre: eserciti fra di esse la
fede... né si travagli in forzare e violentar le potenze, per avere quel
sentimento o quel fervore sensibile che è solita d' avere... Contentiamoci...
di partecipar qualche poco l' amarezza dell' abbandonato Gesù in croce. Anzi la
sposa fedele di questo dovrebbe godere più che d' altro, ed in questo cercare
la sua consolazione. Se dunque il Signore la fa degna di questa grazia e la
vuole a parte del suo calice amaro, lo benedica. Il portar la croce con Gesù
senza consolazione, non fa perdere lo spirito, ma fa correre, anzi volare l'
anima alla perfezione. Disce dunque pati fortiter et Christiformiter; né si
sgomenti, né si lamenti più.» Lodovico SABBATINI
d' Angora, de' PP. OO., Vita del Padre D. Antonio de Torres, Preposito
Gen. della Cong. de' Pii Operai, Napoli, 1732, lib. 4, cap. 1, p. 290, 291.
51 «Hizome en esto gran bateria el
demonio, y pasé tanto en parecerme poca humildad tenerla (la oraciòn), siendo
tan ruin, que, como ya he dicho, la dejé ano y medio, almenus un ano, que de el
medio no me acuerdo bien; y no fuera màs, ni fué, que meterme yo mesma, sin
haber menester demonios que me hiciesen ir a el infierno.» S. TERESA, Libro de la Vida, cap. 19. Obras, I, pag. 139.
52 «El verdadero amante en toda
parte ama y siempre se acuerda del amado. Recia cosa seria, que sòlo en los
rincones se pudiese traer oraciòn.» S. TERESA, Las Fundaciones, cap. 5. Obras V, pag.
45.
53 S. TERESA, Libro de la Vida, cap. 34. Obras,
I, 290-292. - Vedi Appendice, 54.
54 «Iam quo ille die ad aram
particeps Eucharistiae fuisset, eius quidem diei antemeridianum amne tempus cum
in legendis Sanctorum Patrum insumeret, negabat quidquam detrimenti studium
doctrinae suae, cui eam operam ipse detraheret, capere, quam Deus et maiore
copia et pleniore intelligentiae mensura postea sibi solitus esset restituere.»
Barth. POVIUS, Balearicus, Vita, lib.
7, § 6. - «Tutta la mattina delle comunioni spendeva in leggere le vite de'
Santi Padri, e diceva che ciò non era detrimento degli studi, perché Dio lo
compensava. Il tempo che gli avanzava dagli studi ed occupazioni, tutto l'
impiegava o in leggere libri spirituali, o in orazione.» V. CEPARI, S. I., Vita, parte 2.
55 Questa opera, a cui lo stesso
Santo Dottore dava una grandissima e giusta importanza, verrà riprodotta nel
vol. II di queste Opere ascetiche.
56 «Come può durar la carità, se
Iddio non ci dà la perseveranza? come ce la darà il Signore, se non gliela
chiediamo? come gliela chiederemo senza l' orazione? Come dunque può farsi
questo sì gran miracolo senza di essa, tolto il canale delle influenze divine
all' anima, che è propriamente l' orazione? per qual parte correrà questa acqua
dello Spirito Santo? Dunque senza l' orazione non vi è comunicazione con Dio
per conservar le virtù acquistate, né per acquistar le perdute, né vi è altro
mezzo, e sto per dire, altro rimedio per aver bene.» S. Teresa, Lettere, con le Annotazioni di Mgr Gio. di PALAFOX e Mendoza, Vescovo di Osma, (Venezia,
1739); Lettera 8, a D. Alfonso
Velazquez, Vescovo di Osma, Annotazione
10. - Questa lettera, come abbiam detto (Appendice, 52) è apocrifa.
57 «Théotime,
le mont Calvaire est le mont des amants.» S. FRANÇOIS DE SALES, Traité de l' amour de Dieu, liv. 12, ch.
13. Œuvres. V, Annecy, 1894, p. 346.
58 Vedi Appendice, 55.
59 «Frequens
quotidianusve Sacrosanctae Eucharistiae usus a SS. Patribus (fuit) semper in
Ecclesia probatus.» Decretum S. C.
Concilii circa communionem quotidianam, 12 febr. 1679. Apud
Lacroix, Theol. Mor., lib. 6,
pars 1, n. 665. - Fontes Juris Canonici, vol.
V. n. 2848.
60 «Sumi autem
voluit (Salvator noster) Sacramentum hoc tamquam spiritualem animarum cibum...
et tamquam antidotum, quo liberemur a culpis quotidianis, et a peccatis
mortalibus praeservemur.» Sessio 13, Decretum de SS. Eucharistiae Sacramento, cap.
2.
61 «Duo enim
illud sacramentum (corporis et sanguinis Domini) operatur in nobis: ut
videlicet et sensum minuat in minimis, et in gravioribus peccatis tollat omnino
consensum. Si quis vestrum non tam saepe modo, non tam acerbos sentit
iracundiae motus, invidiae, luxuriae, aut ceterorum huiusmodi, gratias agat
corpori et sanguini Domini, quoniam virtus sacramenti operatur in eo, et
gaudeat quod pessimum ulcus accedat ad sanitatem.» S. BERNARDUS, Sermo in Cena Domini, n. 3. ML 183-272, 273.
62 «Peccatum
est quaedam mors spiritualis animae. Unde hoc modo praeservatur aliquis a peccato
futuro, quo praeservatur corpus a morte futura. Quod
quidem fit dupliciter. Uno modo, in quantum natura hominis interius roboratur contra interiora
corruptiva: et sic praeservatur a morte per cibum et medicinam. Alio modo, per
hoc quod munitur contra exteriores impugnationes: et sic praeservatur per arma,
quibus munitur corpus. - Utroque autem modo hoc sacramentum praeservat a
peccato. Nam primo quidem, per hoc quod Christo coniungit per gratiam, roborat
spiritualem vitam hominis, tamquam spiritualis cius et spiritualis medicina...
Alio modo, in quantum signum est passionis Christi, per quam victi sunt
daemones: repellit enim omnem daemonum impugnationem.» S.
THOMAS, Suum. Theol., III. qu. 79,
art. 6, c.
63 S. IO.
CHRISOSTOMUS, In Ioannem, hom. 46 (al. 45) nn. 3 et 4: MG 59-261, 262; In Matthaeum, hom. 4, n. 9: MG 57-50; In Epist. I ad
Cor., hom.
24, n. 5: MG 61-204. - Vedi Appendice, 56.
64 B. GIOVANNI AVILA. Trattati del SS. Sacramento dell'
Eucaristia, Trattato 27. - Vedi Appendice,
57.
65 «Je ne
vitupère ni loue absolument que l' on communie tous les jours, mais laisse cela
à la discrétion du père spirituel de celui qui se voudra résoudre sur ce point;
car la disposition requise pour une si fréquente communion devant être fort
exquise, il n' est pas bon de le conseiller généralement; et parce que cette
disposition là, quoique exquise, se peut trouver en plusieurs bonnes âmes, il
n' est pas bon non plus d' en divertir et dissuader généralement un chacun,
ains cela se doit traiter par la considération de l' état intétieur d' un
chacun en particulier... Puisque, comme je présuppose, vous n' avez nulle sorte
d' affection au péché véniel... quand votre père spirituel le trouverait bon,
vous pourriez utilement communier encore plus souvent que tous les dimanches...
Pour communier tous les huit jours, il est requis de n' avoir ni péché mortel,
ni aucune affection au péché véniel, et d' avoir un grand désir de se
communier; mais, pour communier tous les jours, il faut, outre cela, avoir
surmonté la plupart des mauvaies inclinations, et que ce soit par avis du pére
spirituel.» S. FRANÇOIS DE SALES, Introduction
à la vie dévote, partie 2. ch. 20. - Non ostante il rigore- che tale oggi
ci pare con ragione, data la decisione della Chiesa- delle condizioni richieste
da S. Francesco di Sales per la comunione frequente e quotidiana, può e deve
considerarsi il santo Dottore, se si tien conto del tempo in cui visse, come
uno dei promotori e protagonisti della frequente comunione. Leggasi, se non
altro, la seconda parte del capitolo seguente della «Filotea» (cap. 21, da
queste parole: «Si les mondains vous demandent...»): la conclusione logica di
quanto ivi asserisce il Santo sulle ragioni che uno ha di comunicarsi, è la
legislazione attuale della Chiesa. Lo stesso deve dirsi, e forse ache più, di
S. Alfonso, come altrove vedremo.
66 «In hoc Sacramento, duo
requiruntur ex parte recipientis, scilicet desiderium coniunctionis ad
Christum, quod facit amor; et reverentia sacramenti, quae ad donum timoris
pertinet. Primum autem incitat ad frequentationem huius Sacramenti quotidianam,
sed secundum retrahit; unde si aliquis experimentaliter cognosceret ex
quotidiana sumptione fervorem amoris augeri et reverentiam non minui, talis
deberet quotidie communicare; si autem sentiret per quotidianam frequentationem
reverentiam minui et fervorem non multum augeri, talis deberet intendum
abstinere, ut cum maiori reverentia et devotione postmodum accederet: unde
quantum ad h oc unusquisque relinquendus est iudicio suo.» S. THOMAS, in IV Sententiarum, distinctio XII,
quaestio 3, art. 1, Ad secundam
quaestionem. - «Reverentia huius Sacramenti habet timorem amori conjunctum:
unde timor reverentiae ad Deum dicitur timor filialis... Ex amore enim
provocatur desiderium sumendi; ex timore autem consurgit humilitas reverendi. Et ideo utrumqe pertinet ad reverentiam huius sacramenti, et quod quotidie
sumatur, et quod aliquando abstineatur... Amor tamen et spes ad quae semper
Scriptura nos provocat, praeferuntur timori: unde et, cum Petrus dixisset: Exi a me, Domine, quia peccator homo ego, respondit
Jesus: Noli temere.» S.
THOMAS, Sum. theol., III, qu. 80,
art. 10, ad 3.
67 «Multiplices
enim sunt conscientiarum recessu, variae ob negotia spiritus alienationes,
multae e contra gratiae et Dei dona parvulis concessa: quae cum humanis oculis
scrutari non possimus, nihil certe de cuiusque dignitate atque integritate, et
consequenter de frequentiore aut quotidiano vitalis panis esu potest constitui.
Et propterea, quod ad negotiatores attinet, frequens ad sacram alimoniam
percipiendam accessus, confessariorum secreta cordis explorantium iudicio est
relinquendus, qui ex conscientiarum puritate, et frequentiae fructu, et ad
pietatem processu laicis negotiatoribus et coniugatis, quod prospicient eorum
saluti profuturum, id illis praescribere debebunt.» Decretum
S. C. Concilii, circa communionem quotidianam, 12 febr. 1679.
68 «Finita la messa si starà da sé
una mezz' ora, o un' ora intera, rendendo grazie al Signore di così gran
beneficio, che si sia degnato di venire in una stalla tanto vile; gli domanderà
anco perdono della mala preparazione, supplicandolo di qualche grazia, essendo salito a farne tante.» B.
GIOVANNI AVILA, Lettere spirituali, Firenze,
1601, parte 1, ad un sacerdote,
mostrandogli quanto debba esser grato a Dio per il grado sacerdotale, ed in
qual maniera debba ordinar la vita sua, pag. 77.
69 (Diceva alle sue Novizie): «Se
desiderate, o figliuole, di pervenire in breve a gran perfezione, prendete per
vostro Maestro il Crocifisso: tenete attente le orecchie alle sue parole,
perché del continuo vi parla al cuore, e particolarmente in quell' ora quando
avete ricevuto il Santissimo Sacramento.» Per questo soleva dir loro sovente:
«Che cosa in questa mattina ha favellato Gesù Cristo al vostro cuore? perocché
sino dai miei più teneri anni mi fu questo di gran frutto e utilità.» E
certamente faceva tal conto della frequenza del Santissimo Sacramento, che non
poteva comportare che alcuna se ne privasse volontariamente, dicendo: «Non
sapete, o figliuola benedetta, di quello che in questa mattina vi siete
privata? Non sapete voi che non c' è il più efficace mezzo per acquistar la
vera perfezione, che questo Santissimo Sacramento? E se di questo bene vi
sapeste servire, in brevi giorni diverreste piena di celeste amore. Ricordatevi
che Dio è immensa carità, e per amore si vuol comunicare alle anime, mercé di
questo amoroso cibo. Guardate di non lo prendere per usanza ma con attual
divozione.»... Diceva ancor loro che il più opportuno tempo ad avanzarsi nella
perfezione della vita spirituale è quello dopo la comunione, non volendo perciò
che le sue novizie così presto andassero agli esercizi comuni, dopo che s'
erano comunicate.» PUCCINI, Vita, Firenze,
1611, parte 1, cap. 65.
70 «No suele Su Majestad pagar mal
la posada, si le hacen buen hospedaje... Estaos vos con El de buena gana; no
perdàis tan buena sazòn de negociar, como es el hora (la hora) después de haber
comulgado. Si la obediencia os mandare,
hermanas, otra cosa, procurà
dejar el alma con el Senor; que si luego llevàis el pensamiento a otra,
y no hacéis caso, ni tenéis cuenta con que està dentro de vos, còmo se os ha de
dar a conoscer? Este, pues, es buen tiempo para que os ensene
nuestro Maestro, y que le oyamos, o besemos los pies porque nos quiso ensenar,
y le supliquéis no se vaya de con vos.» S. TERESA, Camino de perfecciòn, cap. 34. Obras, III, 164, 165.
71 « Ergo
quotiescumque accipis, quid tibi dicit Apostolus? Quotiescumque accipimus,
mortem Domini annuntiamus. Si mortem annuntiamus, annuntiamus remissionem
peccatorum. Si quotiescumque effunditur sanguis, in remissionem peccatorum
funditur, debeo illum semper accipere, ut semper mihi peccata dimittatur. Qui
semper pecco, semper debeo habere medicinam.» S.
AMBROSIUS, De Sacramentis, lib. 4,
cap. 6, n. 28. ML 16-446.
72 Chi sia questo divoto autore,
non sappiamo. Però questa sentenza è di S. Gregorio Nazianzeno, il quale parla,
non della comunione, ma dell' unione spirituale con Dio, quantunque molto bene
si applichi al desiderio che ha Gesù Sacramentato di esser desiderato da noi.
S. GREGORIUS NAZIANZENUS, Carminum lib. 1, sectio 2, XXXIII, Tetrastichae sententiae, Sententia 37,
vers. 145-148, MG 37-938, 939:
Dei solius rerumqua e divinarum insatiabilis
esto,
Qui accipientibus etiam
plus largitur,
Sitiens sitiri, largiter semper fluens;
In ceteris vero, superari non sit molestum.
Altrove, riferisce S. Alfonso questa
sentenza, attribuendola al suo vero autore.
73 «Contemplabatur (Maria) tales,
qui nolunt accedere (ad sacram mensam) nisi sint actualiter devoti et fervidi,
similiter agere quasi frigidus nolit ad ignem proximare, nisi prius calidus
sit.» IO. GERSONIUS, Collectorium
super Magnificat, tractatus 9, partitio 3. Opera,
tom.
3, Antwerpiae, 1706, col. 422.
74 «Recte et
sapienter Patres nostri tres rationes hoc sanctum sacramentum accipiendi
distinxerunt. Quosdam enim docuerunt sacramentaliter dumtaxat id sumere ut
peccatores; alios tantum spiritualiter, illos nimirum, qui voto propositum
illum caelestem panem edentes, fide viva, quae per dilectionem operatur,
fructum eius et utilitatem sentiunt; tertios porro sacramentaliter simul et
spiritualiter.» CONCILIUM TRIDENTINUM, Sessio 13, Decretum
de SS. Eucharistiae Sacramento, cap. 8.
75 Vedi Appendice, 58.
76 Non essendovi, nel secondo o nel
terzo Ordine di S. Domenico, alcuna Venerabile, Beata o Santa di questo nome
-Angela della Croce- argomentiamo trattarsi della B. Agata della Croce (+1621), altrove (Introduzione alle Visite) lodata da S. Alfonso per la sua
ardentissima divozione alla comunione spirituale. Non abbiamo fin qui ritrovata
la sua Vita, scritta da uno dei suoi confessori, Fr. Antonio dei Martiri, O. M.
77 THEODORETUS, Religiosa Historia, cap. 16. MG 84-1418.
ML 74-75. - Vedi Appendice, 59.
78 «Quamdiu ergo hic sumus, hoc
rogemus Deum ut non a nobis amoveat deprecationem nostram et misericordiam
suam; id est, ut perseveranter oremus, et perseveranter misereatur. Multi... in
novitate suae conversionis ferventer orant, postea languide, postea frigide,
postea negligenter: quasi securi fiunt. Vigilat hostis, dormis
tu... Non
deficiamus orando: et hoc ex beneficio ipsius est. Propterea dixit: Benedictus Deus meus, qui non amovit
deprecationem meam et misericordiam suam a me. Cum videris non a te amotam
deprecationem tuam, securus esto, quia non est a te amota misericordia ejus.» S. Augustinus, Enarratio in Ps. 65, n. 24. ML 36-801.
79: «Ait: Adhuc te loquente, dicam: Ecce adsum (Isa.
LVIII, 9). Quis pater sic filios nepotesque audiat? quae mater ita parata
promptaque sit, si se filioli advocent? Nemo certe, non pater, non mater, sed
Deus solus assidue exspectat, num quis se domesticorum advocet, nel unquam ut
decet vocatus a nobis, non audivit. Ideo ait: Adhuc te loquente, non exspectabo donec finieris, sed statim
exaudiam.» S. IO. CHRYSOSTOMUS, In
Matthaeum hom. 55 (al. 56), n. 5.
MG 58-538, 539.
80 «(Constat)
alia Deum danda etiam non orantibus, sicut initium fidei, alia nonnisi
orantibus praeparasse, sicut usque in finem perseverantiam. Cavendum est igitur
ne... exstinguatur oratio.» S. AUGUSTINUS, De
dono perseverantiae, cap. 16, n. 39. ML 45-1017.
81 «Per
baptismum Christi specialiter aperitur nobis introitus regni caelestis, qui
primo homini praeclusus fuerat per peccatum. Unde baptizato Christo,
aperti sunt caeli, ut ostenderetur quod baptizatis patet via in caelum. Post
baptismum autem necessaria est homini iugis oratio, ad hoc quod caelum
introeat. Licet enim per baptismum remittantur peccata, remanet
tamen fomes peccati, nos impugnans interius, et mundus et daemones qui
impugnant exterius. Et ideo signanter dicitur Luc. III, 21, quod, Jesu baptizato et orante, apertum est
caelum, quia scilicet fidelibus necessaria est oratio post baptismum.» S.
THOMAS AQUINAS, Sum. Th., III, qu.
39, art. 5, c.
82 «De
perseverantiae munere... quod quidem aliunde haberi non potest nisi ab eo qui
potens est eum qui stat statuere ut perseveranter stet, et eum qui cadit
restituere, nemo sibi certi aliquid absoluta certitudine polliceatur, tametsi
in Dei auxilio firmissimam spem collocare et reponere omnes debent...» CONCILIUM
TRIDENTINUM, Sessio 6, De iustificatione,
cap. 13. - «Si quis dixerit iustificatum, vel sine speciali auxilio Dei in
accepta iustitia perseverare posse, vel cum eo non posse: anathema sit.» Ibid., canon 22.
83 «Hoc ergo Dei donum suppliciter
emereri potest.» S. AUGUSTINUS, De dono
perseverantiae, lib. 6, cap. 10. ML 45-999.
84 «Vult Deus rogari, vult cogi,
vult quadam importunitate vinci. Ideo tibi dicit: Regnum Dei vim patitur, et violenti rapiunt illud (Matth. XI, 12).
Esto ergo sedulus in oratione, esto in precibus importunus, cave ne ab oratione
deficias. Si dissimulat audire quem rogas, esto raptor, ut regnum caelorum
accipias; esto violentus, ut vim etiam ipsis inferas caelis. Quid hac rapina
locupletius? quid hac gloriosius violentia?» S. GREGORIUS MAGNUS, Ps. VI paenitentialis (Ps. CIX), n. 2.
ML 79-633.
85 «Il Padre Eterno, ritirando ora
i suoi divini occhi nel suo eterno essere , si muove a voler mostrare l'
altezza della sua gratitudine alle creature... Il quarto grado di gratitudine
non è solo farsi soggetta alla persona a cui si dona, ma il riconoscerla come
benefattrice in ricevendo ella il dono. Ma come può esser questo, che il Padre
Eterno riconosca la creatura per benefattrice, la quale ha ricevuto il dono,
sendo egli donante, ed ella - che era ed è di sua natura mendica - beneficata
ed arricchita? Sì, sì. Perocché tanto si compiace di dare, che istima per dono
il ricevere che altri fa de' suoi doni, e tanto brama comunicarsi, che il voler
partecipare della sua comunicazione gli è come se altri comunicasse qualche
gran bene con esso lui. O grande Iddio! Deus
meus es tu, quia bonorum meorum non eges. O mare di carità! o immenso mare
d' amore! fa che io non sia quella che, con la strettezza del mio cuore e
scarsezza del mio amore, impedisca l' influsso amoroso e pieno de' doni tuoi.» Vinc. PUCCINI, Vita, Firenze, 1611, parte 3, Quinta
Notte, pag. 126, 127.
86 «Huius...
spiritalis theoriae tradenda vobis est formula... Quae... a paucis, qui
antiquissimorum patrum residui erant, tradita est... Erit itaque.. haec inseparabiliter
proposita vobis formula pietatis: Deus in
adiutorium meum intende, Domine, ad adiuvandum me festina.» CASSIANUS, Collatio 10 (Abbatis
Isaac), cap. 10. ML 49-831 et seq.
87
«Dignaris... eis quibus omnia dimittis, etiam promissionibus tuis debitor
fieri.» S. AUGUSTINUS, Confessionum lib.
5, cap. 9, n. 17. ML 32-714. - «Debitorem Dominus ipse se fecit, non
accipiendo, sed promittendo.» Enarratio in Ps. 83.
n.
16. ML 37-1068. - Cf. Enarr. in Ps. 109, n.
1: ML 37-1445; sermo 158, cap. 2, n.
2: ML 38-863; sermo 255, cap. 5, n.
6: ML 38-1184. - Nel Sermone 110, cap.
4, n. 4 (ML 38-640, 641), il quale, nelle antiche edizioni, era De verbis Domini Sermo 31 - e par che
sia quello citato da S. Alfonso, non dovendosi tener troppo conto della
numerazione, così spesso maltrattata dai tipografi di quel tempo - S. Agostino,
dopo aver dichiarato come Dio, essendosi mostrato verace nelle promesse già
adempiute, deve ritenersi verace anche nelle minacce finora non eseguite, viene
a parlare delle promesse non ancora avverate, di quelle cioé che riguardano l'
eterno premio dei giusti, e dice: «Promissorum suorum nobis chirograpum fecit.
Non debendo enim, sed promittendo debitorem se Deus fecit: id est non mutuo
accipiendo. Non possumus ergo ei dicere: Redde quod accepisti; sed plane
dicimus: Redde quod promisisti.»
88 «Oratio, in impetrando, non
innititur merito, sed divinae misericordiae.» S. THOMAS AQUINAS, Sum. Theol., II-II, qu. 178, art. 2, ad
1. - «Meritum innititur iustitiae, sed impetratio innititur gratiae.» II-II,
qu. 83, art. 16, ad 2.
89 «Hoc petimus in
nomine Salvatoris quod pertinet ad rationem salutis.» S. THOMAE AQUINATIS Catena aurea, in Ioannis Evangelium, cap. 15, n. 4 (ex Augustino). - «Maneat ergo dilectio;
ipse est enim fructus noster. Quae dilectio nunc est in desiderio, nondum in
saturitate: et ipso desiderio quodcumque petierimus in nomine unigeniti Filii,
dat nobis Pater. Quod autem accipere salvandis non expedit nobis, non
existimemus non petere in nomine Salvatoris: sed hoc petimus in nomine
Salvatoris, quod pertinet ad rationem salutis.» S. AUGUSTINUS, In Ioannis Evangelium, tractatus 86, n.
3 (in Io. XV, 16). ML 35-1852.
90 S. BERNARDUS, In Nativitate B. V. M., Sermo de aquaeductu,
n. 8. ML 183-442.
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