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S. Alfonso Maria de Liguori
Predica della chiamata

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Introduzione

È un autografo di s. Alfonso: il testo non è stato mai riprodotto sinora, almeno per intero. Forse siamo davanti ad uno dei pezzi più antichi del suo copioso sermonario. Faceva indubbiamente parte dello zibaldone, che comprendeva i sermoni delle massime eterne, detti comunemente "prediche grandi" (2), di cui si conoscono diversi frammenti conservati negli archivi, in oratori o presso famiglie quali reliquie (3).

 

1 - Breve cenno della "Predica della chiamata"

Chiamata nel gergo militaresco era la battuta del tamburo, che invitava a presentarsi al campo, o lo squillo di tromba che ordinava di raggiungere il proprio posto. I missionari adibirono tale vocabolo per indicare l'adunanza dei fedeli nella chiesa.

La "predica della chiamata" inaugurava la sacra missione nella prima metà del secolo XVIII. I Missionari Redentoristi la tennero con certezza sino al 1765 sulle orme del loro fondatore. Consisteva in un affettuoso invito ad ubbidire senza indugio alla "chiamata di Dio" fatta mediante gli esercizi di predicazione; la missione noni era che "la voce di Gesù". Indirettamente le anime venivano spinte alla penitenza dei propri peccati. Il missionario, araldo di Cristo, bandiva il messaggio della salute.

S. Alfonso, pubblicando l'elenco delle prediche grandi, che solevano fare metodicamente i suoi discepoli, le distingueva in due categorie: impreteribili ed arbitrarie. Un buon numero era lasciato allo "spirito del predicatore", che poteva regolarsi secondo le particolari situazioni dell'ambiente (4). Tra le prediche libere era collocata "la chiamata", che venne codificata nel 1764 dal Capitolo generale redentorista nella I parte delle Costituzioni: "Nelle missioncine di dieci o dodici giorni, le prediche ordinariamente saranno la Chiamata, l'Importanza della salute", ecc. (5). L'ordine non era perentorio e permetteva una certa interpretazione, ispirata alle esigenze del luogo; la lista serviva ad orientare le iniziative per impedire ogni capriccio.

L'esperienza intanto ampliandosi segnò dopo il 1764 una evoluzione tecnica del sistema alfonsiano. Cominciò a tralasciarsi la "chiamata" siccome superflua, quando le anime dal principio partecipavano in massa alla missione. La predica della "misericordia" divina verso i peccatori ne prese il luogo. S. Alfonso aveva in antecedenza compiuti alcuni tentativi (6) a Melfi nel 1750 e a Benevento nel 1755; i frutti non scarsi suggerirono probabilmente il cambiamento.

Nel Domenicale, che stampò nel 1771, omise la "predica della chiamata", sostituendovi quella della "misericordia" (7). Molti elementi della prima passarono però nella seconda.

Nel Commentario Pratico al Regolamento interiore compilato nel 1783-1784 non si riscontra più alcuna traccia della "predica della chiamata". Nel capo II, parag. 1 si legge : "Le prime tre sere, se il tempo sereno lo permette, si faranno per le strade del paese i sentimenti d'invito alla missione" (8). Questi sermoncini certa maniera supplivano il discorso omesso e giovavano a svegliare gli indecisi che rimanevano pigramente in casa presso il focolare.

Il Rettore Maggiore p. Celestino Berruti producendo nel 1850 il catalogo delle prediche di massime tenute dai Redentoristi ai suoi tempi, indicò quale prima predica "di rito", cioè non arbitraria, la "misericordia Dio", e notava espressamente "non la Chiamata di Dio che toglierebbe l'argomento più dolce della misericordia in Dio: punto 1: Dio aspetta con pazienza; 2 : Chiama con amore: 3 : Accoglie con allegrezza" (9).

Come si constata, la "predica della chiamata" era ormai caduta, se non abolita; quella della misericordia, avendone assorbito il contenuto migliore, costituiva un'apertura, sotto l'aspetto psicologico, più rispondente alle nuove generazioni, come aveva intuito nel secolo antecedente s. Alfonso.

Incidentalmente segnaliamo che la "chiamata" si trova ancora nelle vigenti Costituzioni redentoriste: "In missionibus materia concionum universe haec erit: Invitatio ad poenitentiam, salutis operandae necessitas", ecc. (10). Entrò nel nostro codice nel 1855, allorché i padri capitolari, assenti quelli della provincia madre di Napoli, sancirono di riprendere in blocco gli Statuti del 1764, non badando ai progressi legittimi della storia missionaria. Mancò il controllo delle fonti, e venne adottata la versione fatta nel 1849 a Liegi (11). E per tal via restò, come sembra, esclusa la predica della "misericordia" in uso sin dacché viveva s. Alfonso, il quale con squisita autocritica non si fermava al primo risultato ma studiava gli eventuali aggiornamenti per procedere al passo della società che avanzava.

 

2. - Epoca del manoscritto.

Il manoscritto della "predica della chiamata" (cm. 28 x 20), documento prezioso per la sua rarità, risale in quanto alla stesura al periodo più intenso delle missioni predicate da s. Alfonso nei paesi della Campania. Può essere che preceda il 1740: l'ortografia (Giesù, Giesu Christo, Ré, ecc.) e l'interpunzione ci inclinano a ritenere che appartenga a quel tempo : l'analisi interna del costrutto favorisce tale ipotesi, e un po' anche il profilo virile della scrittura che rivela una mano ferma.

Un addentellato estrinseco per stabilire meglio la cronologia proviene dalla causa di beatificazione della Chantal (1572-1641) : "La Vener. M. Giovanna Chantal prima figlia spirituale di s. Francesco di Sales, e prima fondatrice dell'Ordine della Visitazione… che speriamo tra breve vederla adorata (12) sopra gli altari, poiché già si sta trattando la sua causa".

Il processo canonico fu iniziato nel 1715; la introduzione della causa a Roma avvenne nel 1719, e già si poteva appellare "Venerabile"; dopo una stasi di alcuni lustri fu ripresa nel 1737; nel 1743 uscì il decreto della eroicità delle virtù; nel 1751 la Chantal fu beatificata e nel 1761 canonizzata.

Opiniamo che s. Alfonso si riferisca al 1737 o giù di lì, quando accadde la ripresa della causa interrotta : la frase "già si sta trattando la sua causa" indica con sufficiente chiarezza il corso normale della discussione anteriore alla proclamazione del grado eroico delle virtù.

Comunque voglia interpretarsi questo punto, si tenga presente che il brano è un'aggiunta autografa, che il Santo compilò in secondo momento. È difficile fornire una maggiore precisazione, per cui ci rimettiamo al buon senso dei lettori nella soluzione del problema cronologico che ha una importanza secondaria.

 

3. - Criteri e fonti.

Il manoscritto si compone di otto pagine, di cui l'ultima è bianca e contiene la sola intestazione; è scritto longitudinalmente a metà con larghe aggiunte sul margine sinistro. All'esordio segue la proposizione in due punti abbastanza elaborati con in fine l'atto di dolore.

Sulla I pagina, al lato destro, vi è lo schema della predica in linee sobrie.

Questa predica si direbbe scritta di getto; le correzioni sono poche e di lieve entità; varie le aggiunte per impinguare lo svolgimento.

L'autore esordisce con foga, quasi ex abrupto, prospettando un caso giuridico, che tradisce la mentalità dell'avvocato. Nel tono s'intravede l'imitazione del P. Vincenzo Cutica, prete napoletano della Missione o lazzarista, che fu riguardato per la violenza procellosa una specie di Passavanti in ritardo.

Mons. Tommaso Falcoia (m. 1743), che dirigeva Alfonso da esperto missionario, riprovò quell'atteggiamento barocco, che mirava a scuotere più che a persuadere (13). Il Santo scioltosi da quell'impaccio errato acquistò un porgere omiletico, simile a quello dei vescovi primitivi quali s. Ambrogio e s. Cesario. Si regolò via via con gli esempi del P. Vitelleschi gesuita che ascoltò da borghese, e del p. Girolarno Sparano, Pio Operario, suo amico (14).

Messosi su questo piano evangelico avversò i predicatori roboanti e azzimati e non risparmiò il cappuccino Bernardo Giacco, che piaceva per l'accesa fantasia a Giambattista Vico (15).

Trovata la sua strada "all'apostolica" secondo il concetto del Muratori (16) sdegnò quanti sul pulpito fiorentineggiavano, sciupando il tempo in pompose descrizioni non scevre di metafore strampalate. Svelò l'ideale della predicazione, più tardi, in una lettera, che è un pregiato documento letterario (17) valido anche oggi.

La predica che esaminiamo è un saggio del suo umile conversare; parla come un maestro elementare per istruire la plebe. Non si perde in erudizione soffocante e tanto meno in questioni astruse come si costumava allora. I pensieri esposti sono accessibili alla moltitudine rurale, che mai è posta in imbarazzo per qualche termine difficile. Appare il verace educatore che cercava di farsi capire da tutti (18).

Gli si rimproverava talvolta lo stile basso, ma egli positivamente scendeva al livello dei bifolchi e delle massaie analfabete per nutrire le loro anime del pane della verità non miscelato; odiava i surrogati.

La mimica dava forza al dire; un piglio vivace, che attraeva l'attenzione delle teste di legno, era nella forma dialogica e nella esemplificazione familiare tessuta con le vicende del ritmo giornaliero.

La sacra Scrittura, le biografie dei Santi e gli scrittori ecclesiastici gli forniscono il materiale: saranno in seguito le sue fonti principali. Nella "predica della chiamata" abbondano le citazioni bibliche: Isaia, Zaccaria, i Salmi, i Proverbi, gli Evangeli, gli Atti degli Apostoli, S. Paolo. Dei Padri sono allegati s. Agostino, s. Giovanni Crisostomo e s. Bernardo; degli Scrittori devoti Gisolfo e Recupito. Gli esempi scaturiscono dalle vite di Ignazio di Loiola, s. Giovanni di Dio, s. Maria Maddalena, s. Giovanna Chantal. È una parte del panorama ideologico, in cui s. Alfonso cominciava a muoversi nei primi anni, che arricchì con continue letture, indirizzandole alla salvezza delle anime più abbandonate . S. Gregorio Magno, che studierà largamente, è qui citato di seconda mano.

L'idea madre è svolta in modo popolare sulle tracce del Rosignoli (19). L'alimento, di cui le anime avevano bisogno, è somministrato con incisiva chiarezza. Nessuna indulgenza per l'oratoria togata, che prediligeva le reminiscenze classiche.

Il manoscritto è forse tra i più completi che si conoscano; gli altri sono in genere più schematici. Lo riproduciamo così com'è, eliminando le abbreviazioni; poniamo gli accenti sulle congiunzioni secondo l'uso corrente ed adoperiamo dopo il punto e virgola la lettera minuscola.

Al tergo l'autore ha segnato : "Predica stesa della chiamata". Tale titolo non tragga in inganno. La stesura è relativa; non risponde esattamente al discorso pronunziato nel giro di un'ora per lo meno. S. Alfonso soleva preparare appunti sopra un foglio o poco più; gli bastavano note scheletriche. Il tirocinio forense gli aveva dato la padronanza del pergamo; non temeva la folla. Oltre la facondia possedeva una voce sonora e resistente, per cui gli riusciva agevole e spedita la predicazione : non annaspava né incespicava.

Negli anni 1730-1740 preparava schemi più ampi; poi si ridusse a schizzi stringati, che tante volte sembrano addirittura enigmatici. Erano pro-memoria personali non destinati alla pubblicità. Ed anche la "chiamata" evidentemente non era per la stampa. Ci permettiamo di curarne una edizione per nostro ammaestramento. Sul documento possiamo meglio intendere come il gigante delle missioni settecentesche si poneva a contatto con la gente che evangelizzava.

 

4. - Valutazione della predicazione alfonsiana.

Per la sua peculiare semplicità la predicazione alfonsiana è stata sempre apprezzata sin dagli stessi laici. È vero che essi hanno giudicato quella stampata, ma gli elogi possono estendersi anche ai tratti inediti, perché lo spirito che circola in tutti è identico.

Il filosofo Antonio Rosmini plaudiva ai criteri di s. Alfonso e chiamava con lui "palloni gonfiati" quanti ardivano di portare sul pulpito la vanità letteraria o la cosiddetta alta cultura (20).

Giulio Natali dal palato non facile nel Settecento letterario, riepilogando il panorama della predicazione del secolo XVIII, rifletteva che s. Alfonso fu tra i pochissimi oratori che non "furon retori falsi o leziosi o pretenziosi" (21).

A Giovanni Getto dell'università di Torino piacque il senso democratico del Santo che fu vicino alla povera gente per istruirla: "Il Santo appare attraverso la sua intensiva e prolungata azione oratoria come un nobilissimo educatore del popolo napoletano" (22). Anzi rilevava compiaciuto: "Pare di risentire, e sia pure in un clima meno verginalmente trasognato e acuto, la parola di san Bernardino da Siena" (23).

Lo stile piano e familiare non escludeva una sua suggestiva solennità, una segreta energia ed un epigrafico gusto di succose sentenze. Ed è significativa la lode recente di Titta Madia : "Accanto a questi oratori senza risonanza, ne sorge qualcuno che solca la nebbia: Sant'Alfonso M. de Liguori... Alfonso è certamente un dotto; ma la sua cura, nell'eloquenza, è proprio quella di andare controcorrente : spogliarsi dell'erudizione e ritrovare la parlata familiare... Lui abolisce il tuono e la parola scelta. È, invero, l'oratoria di Alfonso una libera comunicativa, scarna, ben lontana dalle scapricciate elucubrazioni del tempo, ma anche lontana dalla vigorosa eloquenza di Paolo Segneri. Una semplicità che in lui è viva d'efficacia, ma che diventa povertà o artificiosità negli imitatori : p. Antonio Valsecchi, p. Bernardo Giacco, p. Sebastiano Paoli" (24).

Anche se non ci è pervenuto il gesto né la inflessione dell'anima e della voce, con cui s. Alfonso coloriva il pensiero e dava una tonalità distinta alla parola, possiamo giudicare, almeno in parte, attraverso l'elemento discorsivo manoscritto o stampato la sua spiccata attitudine di predicatore e constatarne il successo apostolico col p. Tannoia meglio informato di noi: "Ancorché non fossero le prediche di Alfonso adornate de' bei concetti, e tessute con istile pomposo e fiorito, non è che solamente erano a portata della gente rozza e popolare. Avevano queste il sapore della manna. Ci trovava pabolo, e sentivalo con piacere così l'uomo idiota che letterato: tutti e due vi restavano compunti; anzi i letterati più che ogni altro vi concorrevano, e lo sentivano cori soddisfazione" (25).

Oreste Gregorio

in La predica della chiamata di S. Alfonso

in Spicilegium Historicum, 10 (1962) Roma, pp.36-42

 

 

NOTE---------------

(1) AGR., S.A.M. XXXIV, ff. 353-360.

(2) F. Di CAPUA, La "predica grande" dei Redentoristi e la "modulatio oratoria" degli antichi, in Spic. hist. 1 (1953) 234 ss.

(3) O. GREGORIO, Un sermon inarial inédit de saint Alphonse, in Marie, 5 (Nicolet, nov.-dec. 1951) 104 ss. IDEM, Un discorso giovanile di s. Alfonso, in Osservatore Romano, 1 gennaio 1960, p. 4.

(4) A. DE LIGUORI, Esercizii di missione, c.. VII, parag. 5: Nota delle prediche che devono farsi nelle nostre missioni; Napoli 1760, 534 ss. La predica della "Misericordia di Dio" era inclusa in questa Nota come "arbitraria".

(5) Codex Regularum et Costitutionum C. SS. R., p. I, cost. V, parag. 3; Romae 1896, 56.

(6) Cf. R. TELLERIA, S. Alfonso de Ligorio, Madrid 1950, 715.

(7) A. DE LIGUORI, Sermoni compendiati per tutte le domeniche dell'anno, ser. XXXII, Napoli 1771, 128 ss.

(8) O. GREGORIO, Commentario alle nostre missioni secondo il Regolamento Regio, in Spic. Hist. 8 (1960) 17 ss.

(9) C. BERRUTI, Metodo pratico per gli esercizi di missione, Napoli 1856, 35.

(10) Constitutiones et Regulae C. SS. R., Const. 83, Romae 1936, 110.

(11) Acta integra Capitulorum gener. C. SS. R., n. 638, Romae 1899, 320. La traduzione di "chiamata" in "invitatio ad poenitentiam", pare impropria. Il traduttore di Liegi pose tra parentesi tonda i termini "ad poenitentiam", che venne eliminata nella promulgazione del testo ufficiale,

(12) Nel '700 e anche dopo si adoperò senza scrupoli "adorare" nel significato di "venerare": oggi usiamo esclusivamente il primo termine pel culto di latria e il secondo per quello di dulia.

(13) S. ALFONSO, Lettere, lett. DCCXXVII; II, Roma 1870, 249: "Una volta, io feci un sermone con tuono avanti Mons. Falcoia, volendo imitare il p. Cutica, e ne buscai una bella ingiuriata, e d'allora mi levai il vizio".

(14) S. Alfonso nella Lettera sul modo di predicare all'apostolica (Napoli 1761) riferisce che lo Sparano, assomigliava i "predicatori che predicano con stile alto e fiorito a' fuochi artificiali, che mentre durano, fanno un gran rumore, ma dopo non vi resta altro che un poco di fumo e quattro carte bruciate".

(15) B. Giacco (1672-1744) fu amico dei Vico che gl'inviò la sua prima Scienza nuova con una lettera: considerò il panegirico come "una specie di poema in sermone sciolto", per cui fu detto il Monti del pulpito! (Cfr Melchior A Pobladura, Historia gener. Ord. Fratr. Min. Capuccinorum, p. 2; II, Roma 1948, 42-43).

(16) Nella citata lettera sul predicare all'apostolica s. Alfonso espone in compendio le idee di Muratori circa l'Eloquenza popolare.

(17) Cfr Lettera al p. Luigi Capuano a cui il 7 settembre 1773 il Santo l'indirizzò per dargli alcune norme sulla maniera di predicare (Lettere, II, 248, ss.).

(18) Cf Sentimenti di Monsignore in Spic. Histor. 9 (1961) 449: "Giovani miei, non fate entrare nel vostro cuore aura di vanità, o ambizione di predicare, e che so io. Vi è ù necessità di istruire i popoli, che di predicare. Restano più impresse le massime per mezzo delle istruzioni che per le "prediche". Un giorno il Santo rispose ad un giovane suo discepolo, che si permise di suggerire un vocabolo più accetto alla Crusca: "Va bene, figlio mio: ma le femminelle capiranno la tua espressione accademica?"

(19) C. G. ROSIGNOLI, La saggia elettione, p. II, c. 5; Opere III, Venezia 1713.

(20) Cf Vita Pastorale 45 (Roma 1957) 100.

(21) G. NATALI, Settecento Letterario, II, Milano 1950. ed. III, 1128.

(22) G. GETTO, S. Alfonso de Liguori, Milano (1946), 67.

(23) Idem, op. cit., 58

(24) TITTA MADIA, Storia dell'eloquenza italiana, Milano 1959, 436.

(25) A. TANNOIA, Della vita ed istituto del Ven. Servo di Dio Alfonso M. Liguori, I, Napoli 1798, 36. Cf. B. BRAECKMAN, Étude sur l'éloquence apostolique de S. Alphonse M. de Liguori, Roulers 1912: a p. 84 riferisce: "Un des plus éloquents missionaires de notre Provence Belge, auteur de beaux plans des sermons, le regretté p. Bourgeois [1832-1882] disait vers la fin de sa vie: "Je puis, personellement en rendre témoignage. Si j'avais connu les sermons de S. Alphonse comme je les connais maintenant, je n'eusse jamais pris d'autres guides ni d'autre modèles".

 

 

 




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