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Sant'Alfonso Maria de Liguori Quiete per l'anime scrupolose IntraText CT - Lettura del testo |
Testo
Tutta l'angustia de' scrupolosi è nel temere che operando non operino già collo scrupolo, ma col dubbio di peccare e perciò incorrano nel peccato. Ma bisogna che intendano principalmente, che chi opera per ubbidienza d'un confessore dotto e pio, non solo non opera con dubbio, ma opera colla maggiore sicurezza che può aversi in terra, sulla divina parola di Gesù Cristo che chi ascolta i suoi ministri è come se ascoltasse lui stesso: Qui vos audit, me audit1. Onde dice s. Bernardo2: Quicquid vice Dei praecepit homo, quod non sit tamen certum displicere Deo, haud secus omnino accipiendum est, quam si praecipiat Deus.
È certo che circa la guida particolare della coscienza il confessore è il legittimo superiore, come dice con tutti i maestri di spirito s. Francesco di Sales3. Dice intanto il p. Pinamonti nel suo Direttore spirituale: «Conviene fare apprendere a' scrupolosi che nel sottomettere la volontà a' ministri del Signore sta la sicurezza maggiore in tutto quello che
non è manifesto peccato. Leggansi le vite de' santi e troverassi che non han riconosciuto altro cammino più sicuro che l'ubbidire. I santi mostrano fidarsi della voce del confessore più che della voce immediata di Dio; e gli scrupolosi vogliono più appoggiarsi al loro giudizio che all'evangelio che ci assicura: Qui vos audit me audit».
Dice il b. Errico Susone1 che Dio non cerca da noi conto delle cose fatte per ubbidienza. Lo stesso dicea s. Filippo Neri2: Quelli che desiderano fare profitto nella via di Dio si sottomettano ad un confessore dotto, al quale ubbidiscano in luogo di Dio; chi fa così si assicura di non render conto a Dio delle azioni che fa. Dicea di più: Che al confessore si avesse fede, perché il Signore non lo lascerebbe errare. Non essere cosa più sicura che tagli i lacci del demonio, che fare la volontà altrui nel bene; e non esser cosa più pericolosa che volersi reggere di proprio parere. Il che conferma s. Gio. della Croce3, dicendo in nome del Signore: essendo tu infedele a' confessori, lo sei a me che ho detto, chi disprezza voi, me stesso disprezza. E poi al n. 8. Il non appagarsi di ciò che dice il confessore è superbia e mancamento di fede. Bisogna dunque aver questa certa fiducia che nell'ubbidire al p. spirituale ciascuno può essere sicuro di non peccare. Il rimedio più grande per gli scrupoli (dice s. Bernardo4) è l'ubbidienza cieca al confessore. Narra Gio. Gersone5 che lo stesso s. Bernardo disse ad un suo discepolo scrupoloso che andasse a celebrare in sua fede: quello andò e si guarì da' scrupoli. Ma alcuno dirà (dice il Gersone): Volesse Dio, ed avessi un san Bernardo per mio direttore: ma il mio è di mediocre sapienza. E risponde: Quisquis ita dicis erras: non enim te commisisti in manibus hominis, quia litteratus etc., sed quia tibi est praepositus. Quamobrem obedias illi, non ut homini, sed ut Deo. Onde ben dice s. Teresa6: L'anima pigli il confessore con determinazione di non pensar più alla scusa nostra, ma fidarsi delle parole del Signore: Quis vos audit me audit. Stima il Signore che questa sommissione tanto che, ancorché con mille battaglie, parendoci sproposito quello che si giudica, con pena o senza pena lo facciamo, il Signore aiuta tanto, ecc. E siegue a dire che allora compiacciamo la sua divina volontà.
Quindi s. Francesco di Sales7 parlando della direzione del p. spirituale per camminar sicuro nella via di Dio, dice: «Questo è l'avvertimento degli avvertimenti: per quanto voi cerchiate, dice il divoto Avila, voi non troverete mai così sicuramente la volontà di Dio, quanto per il cammino di quest'umile ubbidienza, tanto raccomandata e praticata da tutti gli antichi divoti. Sicché dicea il p. Alvarez: Ancorché il p. spirituale pigliasse errore, ella è sicura di non errare, perché se ne sta al parere di chi Dio le ha dato per superiore». E lo stesso scrisse il p. Nieremberg8: «Ubbidisca al confessore, ed allora non pecca ancorché la materia fosse colpa, chi fa con intenzione di ubbidire a colui che tiene in luogo di Dio; persuadendosi, com'è che egli ha obbligo di ubbidirlo». Mentre, come dicono il
p. Rogacci e 'l p. Lessio, il confessore è per noi l'interprete della divina volontà. E ciò vien confermato anche dalla Glossa1: Si vero dubium sit praeceptum, propter bonum obedientiae excusatur a peccato, licet in veritate sit malum2. E nel c. Inquisitioni, De sent. exc., dal medesimo testo si commenda l'ubbidienza al confessore, dicendosi che gli scrupoli debent abdicari ex pastoris sui consilio.
S. Francesco di Sales dava tre massime di gran consolazione agli scrupolosi3. 1. Non s'è perduto mai un ubbidiente. 2. Conviene contentarsi in saper dal p. spirituale che si cammina bene, senza cercarne la cognizione. 3. Il meglio è camminare cieco sotto la divina provvidenza fra le tenebre e perplessità in questa vita. E perciò concludono tutti i dottori moralisti comunemente con s. Antonino, Navarro, Silvestro, ecc., che l'ubbidienza al confessore è la regola più sicura per camminar bene nella via di Dio. E questa, dice il p. Tirillo col p. La-Croix4, ch'è la dottrina comunissima de' s. padri e de' maestri di spirito.
Debbono in secondo luogo sapere gli scrupolosi, che non solo van sicuri ubbidendo, ma che sono obbligati ad ubbidire al loro direttore e disprezzare lo scrupolo, operando con libertà ne' loro dubbj. Così insegnano Natal d'Alessandro5: Quod autem scrupuli aspernari debeant, accedente prudentis, pii, doctique directoris iudicio, et contra illos sit agendum, constat ex c. Inquis, etc., ut supra. Così il p. Wigandt6: Non peccat qui agit contra scrupulos, immo aliquando est praecepti, praesertim si accedit confessarii judicium. Così questi autori, benché seguaci della sentenza rigida. E così comunemente i dottori7. E la ragione si è perché lo scrupoloso non vincendo i suoi scrupoli sta in pericolo di mettere grave impedimento a soddisfare le sue obbligazioni o almeno al suo profitto spirituale, ed anche di perdere il cervello, la sanità e la coscienza colla disperazione o col rilasciamento. Onde s. Antonino con Gersone8 così riprende lo scrupoloso che per vano timore non obbedisce in superare gli scrupoli: Caveas ad extremum, ne dum quaeris securitatem, in gravem ruas praecipitationis foveam. Sta attento (dice) che tu per voler camminare con troppa sicurezza, non cada nella tua rovina.
Perciò il suddetto p. Wigandt9 dice che lo scrupoloso deve ubbidire al suo direttore sempreché il precetto non sia manifesto peccato: Nisi contra Deum (director) praecipiat aperte. E che ciascuno sia tenuto nelle cose dubbie ad ubbidire al suo prelato, purché non sia evidente peccato è sentenza comune e certa appresso i dottori. E si prova con s. Bernardo, col passo nel principio addotto: Quidquid vice Dei, etc. Con s. Ignazio Loyola10 che dice: Obediendum in omnibus ubi peccatum non cernitur. Idest11 in quibus nullum manifestum est peccatum. Di più col b. Umberto, generale de' padri predicatori, il quale12 dice: Nisi aperte sit malum quod praecipitur, accipiendum est ac si a Deo praeciperetur. Di più col b. Dionisio Cartusiano13: In dubiis, an
sit contra praeceptum Dei, standum est praecepto praelati; quia etsi contra Deum, attamen propter obedientiae bonum non peccat subditus. Con s. Bonaventura. 1.
Che perciò Gio. Gerson2 dice: Scrupulosis contra scrupulos agendum est, et fixo operis pede certandum. Scrupulos compescere melius quam per contemtum nequimus, et regulariter non absque alterius et praesertim superioris consilio. Alioquin timor immoderatus aut inconsulta praesumptio praecipitat. Dice, che debbasi a piede fermo superare lo scrupolo. Pertanto questo era il rimedio che dava s. Filippo Neri a' scrupolosi, il far loro disprezzare gli scrupoli. Ecco come sta scritto nella sua vita3: «Di più, oltre al rimedio ordinario del rimettersi in tutto e per tutto al giudizio del confessore, ne dava un altro, ch'era di esortare i suoi a disprezzare gli scrupoli. Onde a simili persone vietava il confessarsi spesso; e quando nel confessarsi entravano in iscrupoli solea mandarle alla comunione senza sentirle».
Sicché, per concludere, lo scrupoloso dee porsi avanti gli occhi l'ubbidienza e giudicare vano il timore dello scrupolo e così liberamente operare. Né a ciò è necessario come dicono i dottori, Busemb4 con Sanch. Bech., Reg., Fill., ch'egli in ogni atto particolare faccia questo espresso giudizio che quello sia scrupolo, o che egli debba ubbidire al confessore in disprezzarlo; ma basta che contro quello operi per il giudizio fatto antecedentemente; poiché per l'esperienza avuta sempre nella sua coscienza v'è abitualmente o virtualmente lo stesso giudizio, benché oscuro e confuso. Onde soggiunge La Croix5, e Tambur. 6 con Vasq., Val. ecc., che se lo scrupoloso non potesse in quella oscurità così presto deporre il timore né avvertire chiaramente all'ubbidienza del confessore (il che sono quasi impossibilitate a fare certe coscienze angustiate e perplesse nel deporre lo scrupolo, pel timore che le ingombra), allora non pecca, ancorché operi col timore attuale di peccare. La ragione è, perché avendo egli avuto già prima un tal giudizio di simili scrupoli e dell'ubbidienza datagli di disprezzarli, certamente dee stimarsi che allora anche l'abbia, benché per l'impeto del timore allora non l'avverta. Ma questo timore dee dallo scrupoloso allora disprezzarsi, perché un tal timore non forma vero dettame di coscienza. Ecco come appunto Gersone7 apertamente lo conferma e lo consiglia: Conscientia formata est, quando post discussionem et deliberationem ex definitiva sententia rationis iudicatur aliquid faciendum aut vitandum: et contra eam agere est peccatum. Timor vero seu scrupulus conscientiae est quando mens inter dubia vacillat, nesciens ad quid potius teneatur, non tamen vellet omittere quod sciret esse placitum divinae voluntati, et iste timor, quam fieri potest, abiiciendus et extinguendus. Dunque in sostanza dice Gersone che allora si pecca operando col dubbio pratico, quando il dubbio procede da coscienza formata; ma questa coscienza formata allora si ha, quando esaminate le circostanze, egli deliberatamente giudica con sentenza definitiva ciocché è obbligato fare e ciocché non può fare; ed allora pecca contro tal coscienza operando. Ma quando
poi la mente è dubbiosa e vacillante, nulladimeno non vuole fare cosa che dispiaccia a Dio, questo, dice Gersone, non esser vero dubbio, ma timor vano che per quanto si può dee rigettarsi e disprezzarsi. Sicché quando è certa nello scrupoloso la volontà abituale di non volere offendere Dio, è certo che operando nel dubbio, secondo Gersone, non pecca; e giustamente, mentre allora questo è vano timore, ma non vero dubbio, benché egli per dubbio l'apprenda. Essendo certo all'incontro che per commettere un peccato mortale vi vuole una piena avvertenza per parte dell'intelletto ed un perfetto consenso deliberato per parte della volontà, in volere un'azione che offende gravemente Dio. Questa è dottrina indubitabile e comune di tutti i teologi appresso i Salmaticesi1, ed anche de' più rigidi, come di Giovenino, di Habert, e del rigorosissimo Genetto, il quale2 così dice: Quod si aliqua insit deliberatio, sed imperfecta, erit peccatum veniale, non mortale. E così insegnano tutti gli altri con s. Tommaso, il quale3 dice: Potest quod est mortale esse veniale propter imperfectionem actus, quia non plane pertingit ad perfectionem actus moralis, cum non sit deliberatus, sed subitus.
Soffrano adunque con rassegnazione le anime scrupolose questa croce e non si sgomentino nelle loro maggiori angustie che Dio suol dare o permettere per loro profitto, acciocché siano più umili; meglio si guardino dalle occasioni certamente e gravemente pericolose e più spesso si raccomandino al Signore e più perfettamente confidino nella divina bontà. Ricorrano intanto spesso a Maria ss. che si chiama ed è la madre della misericordia e la consolatrice degli afflitti. Temano sì l'offesa di Dio dove certamente la conoscono; ma postoché stian fermamente risoluti di morir prima mille volte che perdere la divina grazia, temano sopra tutto di mancare all'ubbidienza de' lor direttori, ed all'incontro ciecamente ubbidendo sieno sicuri che non le abbandonerà quel Signore che vuol tutti salvi ed ama le buone volontà, non lasciando mai perire un vero ubbidiente.
Nullus speravit in Domino et confusus est (Eccli. 2.)
Omnem sollicitudinem vestram proiicientes in eum, quoniam ipsi cura est de vobis (1. Eph. 5.).
Dominus illuminatio mea et salus mea, quem timebo (Ps. 26.)?
In pace in idipsum dormiam et requiescam, quoniam tu, Domine, singulariter in spe constituisti me (Ps. 4.).
In te, Domine, speravi, non confundar in aeternum (Ps. 39.).