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S. Alfonso Maria de Liguori
Regolamento per li Seminarj

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Introduzione da Th. Rey Mermet

"Quanti ne' seminarj entrano angeli, e tra breve diventano demonj! " costatava amaramente S. Alfonso da vescovo, pur sapendo bene che "da' seminarj si forma il buon clero, e dal clero poi dipende il profitto comune del popolo ".

Ma già da missionario, il Santo sentiva la grande e decisiva importanza della buona formazione dei seminari.

Nel 1756 pubblica il Regolamento per li Seminarj e si ripromette di mandarlo a tutti i vescovi: " Lo manderò a tutti i vescovi in dono, e spero che lo leggano, perché è breve " scrive all'amico Fontana, superiore del seminario urbano di Napoli.

Questo Regolamento è formato da 43 paginette e potrebbe traumatizzerebbe non pochi oggi per la chiusura al mondo esterno, per una certa fissazione sulla "modestia" e per l'abuso di sorveglianza e di correzione, anche se quest'ultima è "alfonsiana", cioè opportuna, segreta e piena di amore.

Il Regolamento era pratico in maniera sbalorditiva, permetteva di riprendere in mano decisamente la selezione dei candidati, gli studi e la pietà, soprattutto operava una rivoluzione copernicana: solo cinque pagine alla fine erano dedicate agli obblighi dei seminaristi, mentre ben diciassette ai doveri del vescovo, dieci a quelli del rettore, otto a quelli del prefetto. Se un seminarista va male, la colpa può essere anche sua, ma se tutto un seminario va male, allora le cause sono certamente nel quadri dirigenti, perché lo sviluppo armonico di un uomo, di un sacerdote, come di un fiore, è problema di clima e di terreno. Perciò per Alfonso, la responsabilità era... dei responsabili.

Molti prelati lo ringraziarono, ma non tutti rimasero scossi, come Mons. Fabrizio Salerno, vescovo di Molfetta, che scrisse all'autore: "Questa di lei singolar bontà anderà sempre congionta con un suo benigno compatimento; poiché coll'esperienza, che ha in venti anni di Missioni, non meno de' Vescovi, che de' popoli, rifletterà senza dubbio, che quanto è facile la teorica, altrettanto è ardua la pratica, attese le maggiori difficoltà che s'incontrano". Era come dirgli con garbo: "Vorremmo vedere te al nostro posto! ".

Nelle Riflessioni utili ai Vescovi aveva scritto: "Da' seminarj si forma il buon clero, e dal clero poi dipende il profitto comune del popolo. Ma devesi insieme ben avvertire che se il seminario sarà ben regolato, sarà la santificazione della diocesi: altrimenti ne sarà la rovina. Giacché ivi i giovani non vi portano lo spirito, ma ve l'hanno da acquistare; ed essi vengono dalle loro case o pieni di vizj, o facilissimi in quell'età a prendere tutti i vizj. Quanti ne' seminarj entrano angeli, e tra breve diventano demonj! ".

Nel 1756 aveva osato dire al vescovo di Nola, Mons. Troiano Caracciolo del Sole: " Monsignor mio, sapete, quanti Vescovi vanno dannati per causa de' Seminari? Questo accaderà anche a voi, se non mutate sistema e col rigore non date riparo anche al vostro". E su invito del vescovo, provvide al risanamento di quel seminario di Nola, dove, come riporta Tannoia, per quegli aspiranti al sacerdozio "non vi era né legge divina, né umana", tanto che avevano pensato né più né meno di assassinare il vicerettore, Don Nicola Crisci, che aveva tentato di opporsi ai loro disordini. Questo "caso" fu risolto da Alfonso più che con le prediche con le penitenze e le preghiere, perché gli arrotini di pugnali, presi dal terrore, si erano dati alla fuga, seguiti da molti altri...

Ancora oggi, viva e grata è la memoria del Seminario di Nola verso il nostro Santo.

Cf. Th. ReyMermet,

Il Santo del secolo dei lumi

Città Nuova 1982, pp. 627; 488-489; 661

 




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