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S. Alfonso Maria de Liguori Ricordi diretti alle Religiose del SS. Red. IntraText CT - Lettura del testo |
Testo
Prima di tutto si attenda a conservare con gelosia la vita comune. È troppo nota l'esperienza che, tolta la vita comune, è mancato lo spirito in molte comunità.
Parimenti si osservi la perfetta ubbidienza alle regole. Insegna San Francesco di Sales che la predestinazione delle monache sta attaccata all'osservanza delle regole 1. Il monastero, dove non si ubbidisce a chi presiede e dove ognuna vuol fare la sua volontà, non è casa di salute, ma di disturbi, di contrasti e di peccati.
Quando si dà il segno colla campana degli atti comuni, ognuna lasci tutto ciò che si trova facendo.
Le maestre attendano a bene spiegare alle novizie tutte le regole e buone costumanze della comunità. E ciò lo facciano anche le maestre dell'educande a tutte le loro discepole, almeno nelle cose più principali.
Troppo bella e santa è la massima di San Francesco di Sales: Nulla cercare e nulla rifiutare 2. Nulla cercare: la monica che cerca qualche officio, per la stessa ragione che lo cerca deve esserle negato; poiché in quello niente vi meriterà, anzi vi commetterà mille difetti. Del resto, non è difetto il cercare gli officj più umili per affetto dell'umiltà; ma se le sono negati, si quieti. Nulla rifutare: quando ad alcuna è dato qualche officio, ella deve accettarlo senza replica; solamente rappresenti gl'impedimenti occulti che per altro sono ignoti alla superiora, e poi ubbidisca senza replica, o sieno officj di umiltà o di onore.
Tenere (come è di fede) che noi non possiam far niente di bene, né avere alcun buon pensiero, se non viene da Dio; e perciò bisogna tutto sperare da Dio e pregarlo [sempre] che ci ajuti, diffidando affatto di noi e replicando sempre col Servo di Dio Fra Leonardo
da Porto Maurizio 3: Gesù mio, misericordia; Gesù mio, misericordia.
Amar la povertà col non aver cosa di proprio senza licenza espressa. In quanto alle vesti e [ai] mobili della cella imitare le religiose più povere senza far singolarità. Del resto, niuna sdegni di andar rappezzata; le pezze sono le gioje più care alle buone religiose. Tra' mobili siano i più cari le immagini di Gesù Cristo crocifisso e della Beata Vergine, che le saranno di conforto nel punto della morte.
Ognuna si guardi, più che dalla morte, d'introdurre abusi contro la buona osservanza. Tutti i monasterj hanno incominciata una vita santa e poi cogli abusi sono a poco a poco affatto scaduti. Gli abusi già introdotti una volta nel monastero non si tolgono più.
Ciascuna attenda ad intervenire agli atti comuni, che si fanno in coro e specialmente alle ore canoniche, non lasciandole senza mera necessità.
Ciascuna procuri [di] fuggir le grate, non andando a parlare se non a' parenti di primo o secondo grado, e sempre (per quanto è possibile) colla licenza della superiora. Ed anche con i parenti si trattenga quanto meno può; poiché il tempo speso alla grata è tutto perduto. Tutte le delizie una buona religiosa le trova o nel coro avanti il SS. Sagramento o nella cella a' piedi del Crocifisso o pure nelle camere delle inferme, come praticava Santa Maria Maddalena de' Pazzi 4.
Non s'introducano nuove divozioni particolari in coro di orazioni vocali, perché poi manca il tempo a quelle religiose che sono chiamate ad orare da sola a sola con Dio.
Fuori del tempo della ricreazione deve la monaca attendere a servire la comunità o a fare orazione. E non deve trattenersi a discorrere colle sorelle fuori del tempo della ricreazione.
Ognuna attenderà al lavoro nelle ore destinate.
Ognuna faccia gli esercizj spirituali in privato ogni anno, oltre di quelli che si fanno in comune, trattando allora solo con Dio.
Non s'introduca nel monastero [né] canto figurato né musiche di voci o d'istromenti, né pure in tempo di feste né di monacazioni o professioni solenni. Siccome io ho scritto nel libro della
Monaca santa 5, nel canto delle monache ci ha più parte la vanità e '1 demonio che Dio. Il canto è causa di mille distrazioni e [di] disturbi ed anche d'irriverenze alla chiesa, specialmente nelle lezioni che si dicono in certi monasterj in canto figurato. La monaca che canta in canto figurato dà più presto tentazione agli uomini che divozione. Il canto delle monache, che piace a Dio, è il canto fermo che si fa in comune.
Non si permettano mai maschere né commedie e neppure opere sagre. Si prova coll'esperienza che infinite inquietudini [e difetti] nascono da queste sorte di divertimenti. Chi va cercando queste cose di mondo dà segno che non ha lasciato ancora il mondo. La monaca che da vero ama Dio non cerca altro se non solo quelle cose che la stringono a Dio.
Si mantenga la frequenza della comunione e la visita d'ogni giorno al SS. Sagramento. Né si lasci la solita comunione per qualche difetto commesso, nel caso che manca la comodità di confessarsi; e da ciascuna si pratichi spesso la comunione spirituale. Le comunioni e [le] mortificazioni bisogna domandarle; altrimenti il confessore non le concede, vedendo che la penitente ne dimostra poco desiderio.
Niuna lasci, secondo la regola, di andare a conferire colla superiora circa i suoi bisogni spirituali e temporali.
Star risoluta [di] prima morire che commettere un peccato veniale o difetto deliberato.
In tutte le tentazioni di peccato ricorrere subito a Dio, almeno con invocare i santissimi nomi di Gesù e di Maria.
Nelle infermità ciascuna esponga al medico quel che patisce, e poi ubbidisca in tutto quello che il medico le prescrive e le proibisce. Offerisca a Dio i suoi dolori e si astenga di parlarne con altri, fuori dell'infermiere per quanto è necessario. Molte inferme commettono molti difetti con dichiarare alle sorelle tutti i patimenti che soffrono nella loro malattia. Nelle infermità si conosce se la monaca è paziente e rassegnata al divin volere.
Si fuggano le contese. Ciascuna esponga il suo parere quando conviene, né s'inquieti quando vede disprezzato il suo sentimento, ma si metta in pace. Ciascuna poi dica bene di tutte e si guardi di mormorare di alcuna sorella; le lingue malediche sono la peste del monistero.
Circa le mortificazioni è certo che i santi cercavano di farne
quanto più potevano. Ma, acciocché non si ecceda coll'indiscretezza, niuna le faccia senza licenza della superiora o del confessore; le penitenze fatte di propria testa non molto vagliono appresso Dio.
Si custodisca la regola del silenzio ne' luoghi e ne' tempi destinati. In que' monasterj, ove non vi è silenzio, è argomento certo che non vi è spirito, perché non vi è raccoglimento né orazione. Scrive San Bernardo che il silenzio costringe la persona a meditare le cose celesti 6. In tempo di silenzio difficilmente si parla senza difetto. Chi parla molto colle creature, poco parla con Dio e commetterà molti difetti. Le maestre poi proibiscano rigorosamente alle figliuole di parlare insieme da sola a sola.
Le monache lascino la guida delle loro nipoti alle maestre. Le parenti, col volere guidare le loro nipoti, impediscono il loro profitto ed inquietano tutta la comunità.
Non siano facili a mandar lettere fuori, né le mandino senza licenza della superiora. Le lettere poi che vengono da fuori, tutte vadano prima aperte in mano della superiora.
Non si permetta mai che nel monastero entrino libri che non sono di cose spirituali.
Le maestre attendano a ben dichiarare le regole alle novizie; e ciò lo facciano ancora le maestre dell'educande, almeno nelle costumanze più importanti circa le regole, acciocché comincino prima del noviziato ad istruirsi nelle regole.
In quanto agli scrupoli, si ubbidisca al confessore senza replica. Insegna San Filippo Neri che delle azioni fatte coll'ubbidienza del padre spirituale non abbiamo da render conto a Dio 7. E dicono San Francesco di Sales 8 e Santa Teresa 9 che ciascuna, obbedendo al confessore, sta sicura di far bene la volontà di Dio. All'incontro dice San Giovanni della Croce che il non appagarsi di quel che dice il confessore è superbia e mancamento di fede 10, mentre ha detto Gesù Cristo, parlando de' suoi ministri: Qui vos audit, me audit 11.
Ognuna attenda ad osservare i santi voti che sono i legami
che la stringono a Dio; e perciò è bene che ogni volta che si comunica, rinnovi i suoi voti, il che le servirà per rinnovare lo spirito e più unirsi con Gesù Cristo.
Ciascuna di più attenda nel far l'orazione a sottometter totalmente la sua volontà a quella di Dio senza riserva in tutte le cose, quantunque ripugni l'amor proprio e quantunque si senta arida ed oscura nello spirito. Fiat voluntas tua 12; questo è il detto de' santi, che continuamente han tenuto essi nella bocca e nel cuore. Nel rassegnarsi alla Divina Volontà, specialmente nelle cose più ripugnanti al senso, consiste tutta la perfezione di un'anima. Un atto di perfetta uniformità al divino volere ci unisce più a Dio che cento atti di altre virtù. Domandi ogni giorno nell'orazione al Signore che la faccia vivere e morire sempre, e tutta unita alla sua volontà.
Quindi, quanto fa, attenda a farlo tutto per dar gusto a Dio. Sin dalla mattina, quando si sveglia, dirigga tutte le sue azioni e tutti i suoi patimenti affine di piacere al Signore, unendoli a tutte le azioni e [a tutti i] patimenti ch'ebbero in questa terra Gesù e Maria.
Perciò fin dal principio della giornata si offerisca tutta a Dio nell'orazione della mattina. Santa Teresa costumava di darsi tutta a Dio cinquanta volte il giorno 13.
È cosa molto utile, per mantenere l'unione con Dio, di fare (con domandarne la licenza alla superiora) ogni settimana o almeno ogni mese un giorno di ritiro, appartandosi in quel giorno anche dalle comuni ricreazioni colle sorelle, che si praticano il dopo pranzo e dopo la cena; impiegando tutto quel tempo in orazioni e lezioni spirituali o [in] altri utili esercizj con esatto silenzio.
Chi vuole avanzarsi nella perfezione ami assai l'orazione. Nell'orazione giova meditare i novissimi, il punto della morte, la comparsa avanti a Cristo giudice, l'eternità della vita futura. Ma sopra tutto mediti la passione del nostro Redentore 14. Dice San Bonaventura: Chi vuol conservare la divozione tenga sempre avanti gli occhi
Gesù moribondo sulla croce. Gesù in croce ci fa conoscere dov'è giunto l'amore di Dio verso noi miserabili.
Meditando la passione di Gesù Cristo giova fargli diversi atti di amore, per esempio: Gesù mio, e chi voglio amare, se non voi che siete morto per me? O pure dire: Mio Dio, te solo voglio e niente più. O pure: Mio Redentore, fatemi morire consumata da' dolori per vostro amore, come voi siete morto consumato da' dolori per me. Quindi ciascuna desideri nell'orazione di spirar l'anima in atto di offerire la sua morte a Dio, come spirò Gesù Cristo sulla croce, offerendo la sua morte all'eterno Padre.
Avvertasi poi che il valore degli atti buoni non consiste nel senso, ma nella volontà di chi li fa. Molte monache nel fare gli atti di amore, di speranza, di fede, di rassegnazione, e specialmente nel fare l'atto di dolore nel confessarsi, vorrebbero sentire che amano, che sperano, che si rassegnano e che veramente si pentono delle loro colpe; e poi veramente s'inquietano se non sentono quegli atti che fanno. Bisogna sapere, come insegnano i teologi, che il valore di questi atti sta in volerli fare col cuore, con volere amare, volere sperare, voler credere, voler rassegnarsi, volersi pentire delle colpe commesse. E questo basta davanti a Dio: basta che si facciano colla punta della volontà, ancorché sembri che questi atti si facciano senza sentimento.
Si conservi la pace anche nell'oscurità di spirito. Vi è l'aridità volontaria e l'involontaria: la volontaria è quando la persona commette difetti ad occhi aperti e poi patisce aridità; l'involontaria è quando procura di unirsi con Dio nell'orazione, ma si trova così oscura che le pare di perdere il tempo. In tal caso seguiti l'orazione ed i soliti atti con fine di piacere a Dio, e non dia luogo alla diffidenza. Allora, quantunque le paja che sia tutto perduto, meriterà più in quella orazione così secca ed oscura che se provasse molte consolazioni spirituali.
Ognuna procuri di esercitarsi continuamente nelle preghiere e specialmente quando si trova arida nello spirito. Dalla preghiera sempre si ricava frutto e gran frutto, mentre Iddio nelle divine scritture ci promette di esaudire ognun che lo prega: Petite, et dabitur vobis 15. Petite, et accipietis 16. E Gesù Cristo, per darci maggior confidenza nel pregare, ci fa sapere che quanto noi domandiamo all'eterno Padre in nome suo (cioè per li meriti suoi) tutto ci darà: Amen,
amen dico vobis: si quid petieritis Patrem in nomine meo, dabit vobis 17. E parimenti ci promette Gesù Cristo di farci tutte le grazie che noi gli domandiamo in nome suo: Si quid petieritis me in nomine meo, hoc faciam 18. Si abbia dunque gran fede a codesta preghiera, mentre vi è l'espressa promessa del Salvatore.
Ogni religiosa non lasci nelle sue preghiere di raccomandare non solo se stessa, ma le sue sorelle e specialmente l'anime del purgatorio ed i poveri peccatori. In quanto alle anime purganti, dimostra aver molto poca carità quella religiosa che non attende a raccomandare spesso a Dio quelle sue sante spose. Se vuole la carità che preghiamo per qualche inferma che molto patisce, quanto più [non] ci esorta la carità a pregare per quelle sante prigioniere, che notte e giorno ardono nel fuoco e non provano in quelle pene alcuna consolazione, e che da per loro non possono in alcun modo ajutarsi.
Poco poi dimostrasi amante di Gesù Cristo quella monaca che trascura [di] raccomandargli i poveri, peccatori che vivono lontani da Dio. Molto piace al Signore di vedersi pregato per li peccatori acciocché li salvi. Iddio ha chiamate dal mondo le monache a vivere nella sua casa, acciocché attendano non solo a salvare se stesse, ma anche gli altri che vivono perduti nel mondo. Un giorno disse il Signore a Santa Maria Maddalena de' Pazzi: Vedi, Maddalena, come i cristiani stanno in mano del demonio. Se gli eletti miei non li liberassero colle loro orazioni, restarebbero divorati 19. Onde diceva poi la santa alle sue monache: Sorelle, Iddio non ci ha separate dal mondo solo per nostro bene, ma anche per ajuto de' peccatori. E soggiungeva che le monache han da render conto per tante anime dannate, che forse non si sarebbero dannate, se noi con fervore le avessimo raccomandate a Dio 20. Si rifletta a queste ultime parole, perché ordinariamente le religiose poco ci pensano a questo punto, che io specialmente a voi lo raccomando.
Dopo l'amore che dobbiamo a Gesù Cristo, deve avere in noi il luogo principale l'amore verso la sua Santa Madre Maria. La monaca, che non ama con modo speciale la madre di Dio, poco amerà Gesù Cristo e molto deve temere della sua salute.
Per conservare in noi l'amore verso Gesù Cristo, dobbiamo spesso meditare l'amore ch'egli ci ha dimostrato nella sua passione e nel sagramento dell'altare. Chi medita spesso questi due misterj, non è possibile che non viva infiammata del divino amore, pensando a qual segno è giunto ad amarci il nostro Salvatore e Dio. E perciò giova spesso meditarli e spesso parlarne coll'altre. I santi nel pensare a questi due misterj sono quasi usciti fuori di sé per lo stupore in considerare l'amore che Dio ci porta. Pertanto ciascuna l'abbia continuamente avanti gli occhi e nel cuore per amare e ringraziare Dio che tanto ci ama.
Si esorta a leggere questi ricordi almeno una volta l'anno, quando ciascuna farà gli esercizj particolari.