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S. Alfonso Maria de Liguori
Riflessioni Devote sopra diversi punti...

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§. 2. Siamo pellegrini sulla terra.

 

Mentre siamo in questa vita siamo tanti pellegrini che andiamo vagando per questa terra, lontani dalla nostra patria il cielo, dove il Signore ci aspetta a godere eternamente la sua bella faccia: Dum sumus in corpore, scrive l'apostolo, peregrinamur a Domino5. Se dunque amiamo Dio, dobbiamo avere un continuo desiderio di uscire da questo esilio con separarci dal corpo, e di andare a vederlo. Ciò era quello che sempre sospirava san Paolo, come soggiunge dicendo: Audemus autem et bonam voluntatem


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habemus magis peregrinari a corpore et praesentes esse ad Dominum1.

 

Prima della comune redenzione per noi miseri figli d'Adamo era chiusa la via di andare a Dio, ma Gesù C. colla sua morte ci ha ottenuta la grazia di poter esser fatti figli di Dio (dedit eis potestatem filios Dei fieri) e così ci ha aperte le porte per cui possiamo aver l'accesso, come figli, al nostro padre Iddio: Quoniam per ipsum habemus accessum ambo in uno spiritu ad Patrem2.

 

Dice pertanto lo stesso apostolo: Ergo iam non estis hospites et advenae, sed estis cives sanctorum domestici Dei3. Sicché stando noi in grazia di Dio, godiamo già la cittadinanza del paradiso ed apparteniamo alla famiglia di Dio. Dice s. Agostino4. Cives terrenae civitatis parit peccato vitiata natura, qui sunt vasa irae; cives vero coelestis patriae parit a peccato naturam liberans gratia, qui sunt vasa misericordiae. La nostra natura ci partorisce cittadini della terra e vasi d'ira; ma la grazia del Redentore liberandoci dal peccato ci partorisce cittadini del cielo e vasi di misericordia.

 

Ciò facea dire al s. Davide: Incola sum in terra, non abscondas a me mandata tua5. Signore, io son pellegrino su questa terra: insegnami l'osservanza de' tuoi precetti che son la via di giungere alla mia patria il cielo. Non è maraviglia se i malvagi vorrebbero sempre vivere in questo mondo, mentre giustamente essi temono di passare dalle pene di questa vita alle pene eterne ed assai più terribili dell'inferno; ma chi ama Dio ed ha una moral certezza di stare in grazia come può desiderare di seguire a vivere in questa valle di lagrime, in continue amarezze, angustie di coscienza, e pericoli di dannarsi? e come può non sospirare di andar presto ad unirsi con Dio nell'eternità beata, ove non v'è più pericolo di perderlo? Eh che l'anime innamorate di Dio vivendo quaggiù continuamente gemono ed esclamano con Davide: Heu mihi, quia incolatus meus prolongatus est6! Povero chi per molto tempo dovrà proseguire a vivere in questo mondo fra tanti pericoli di dannarsi! E perciò i santi di continuo hanno avuta in bocca quella preghiera: Adveniat, adveniat regnum tuum; presto Signore, presto portateci al vostro regno.

 

Affrettiamoci intanto noi, come ci esorta l'apostolo, ad entrare in quella patria ove troveremo una perfetta pace e contento: Festinemus ingredi in illam requiem7. Affrettiamoci (dico) col desiderio e non cessiamo di camminare sino ad afferrare quel porto beato che Dio apparecchia agli amanti suoi.

 

Qui currit (scrive s. Gio. Grisostomo) non ad spectatores, sed ad palmam attendit; non consistit, sed cursum intendit8. Chi corre al pallio non bada a chi lo guarda, ma al premio che desidera; e non si ferma, anzi quanto più si accosta al premio, tanto più corre. onde conclude il santo che quanto più noi siamo vivuti, tanto più dobbiamo affrettarci colle buone opere ad afferrare il pallio.

 

Sicché l'unica nostra preghiera per sollevarci nelle angustie ed amarezze che proviamo in questa vita deve esser quella, Adveniat regnum tuum: Signore, venga presto il vostro regno, ove uniti eternamente con voi, amandovi da faccia a faccia con tutte le nostre forze, non avremo più timorepericolo di perdervi.


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E quando ci troviamo afflitti da' travagli o vilipesi dal mondo, consoliamoci colla gran mercede che apparecchia Dio a chi patisce per suo amore: Gaudete in illa die et exultate; ecce enim merces vestra multa est in coelo1.

 

Dice s. Cipriano che con molta ragione vuole il Signore che noi godiamo ne' travagli e nelle persecuzioni, perché allora si provano i veri soldati di Dio, e si distribuiscono le corone a' fedeli: Gaudere et exultare non voluit in persecutione Dominus, quia tunc dantur coronae fidei, tunc probantur milites Dei2.

 

Ecco, Dio mio, paratum cor meum, eccomi apparecchiato ad ogni croce che mi darete a soffrire. No che non voglio delizie e piaceri in questa vita; non merita piaceri chi vi ha offeso e si ha meritato l'inferno. Son pronto a patire tutte le infermità e traversie che mi mandate: son pronto ad abbracciare tutti i disprezzi degli uomini; son contento, se così vi piace, che mi priviate di tutti i sollievi corporali e spirituali; basta che non mi priviate di voi e di sempre amarvi. Ciò non lo merito, ma lo spero da quel sangue che avete sparso per me. V'amo, mio Dio, mio amore, mio tutto. Io vivrò in eterno ed in eterno vi amerò come spero, e 'l mio paradiso sarà godere del vostro gaudio infinito che voi ben meritate per la vostra infinita bontà.

 




5 2. Cor. 5. 6.



1 2 Cor. 6. 8.



2 Eph. 2. 18.



3 Eph. 1. 18.



4 In sent. n. 156.



5 Ps. 118. 19.



6 Ps. 119. 5.



7 Hebr. 4. 11.



8 Mor. hom. 7.



1 Luc. 6. 23.



2 Ep. 6. Ad Tibaritan.






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