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S. Alfonso Maria de Liguori Apparecchio alla Morte IntraText CT - Lettura del testo |
PUNTO III
Negozio «importante», negozio «unico», negozio «irreparabile». «Sane supra omnem errorem est», dice S. Eucherio,1 «dissimulare negotium aeternae salutis». Non v'è errore simile all'errore di trascurare la salute eterna. A tutti gli altri errori vi è rimedio: se uno perde una roba, può acquistarla per altra via: se perde un posto, può esservi il rimedio a ricuperarlo: ancorché taluno perdesse la vita, se si salva, è rimediato a tutto. Ma per chi si danna, non vi è più rimedio. Una volta si muore; perduta l'anima una volta, è perduta per sempre. «Periisse semel,
aeternum est».2 Altro non resta, che piangere eternamente cogli altri miseri pazzi nell'inferno: dove questa è la maggior pena, che li tormenta, il pensare che per essi è finito il tempo di rimediare alla loro miseria. «Finita est aestas, et nos salvati non sumus» (Ier. 8. 20). Dimandate a que' savi del mondo, che ora stanno in quella fossa di fuoco, dimandate quali sentimenti ora tengono? e se si trovan contenti di aver fatte le loro fortune in questa terra, ora che son dannati a quel carcere eterno? Udite come piangono e dicono: «Ergo erravimus!»3 Ma che serve loro conoscer l'errore fatto, ora che non v'è più rimedio alla loro eterna dannazione? Qual pena non sentirebbe taluno in questa terra, se avendo potuto rimediare con poca spesa alla rovina d'un suo palagio, un giorno poi lo trovasse caduto, e considerasse la sua trascuraggine, quando non può più rimediarvi?
Questa è la maggior pena de' dannati il pensare che han perduta l'anima, e si son dannati per colpa loro. «Perditio tua, Israel, tantummodo in me auxilium tuum» (Os. 13. 9). Dice S. Teresa4 che se uno perde per colpa sua una veste, un anello, anche una bagattella, non trova pace, non mangia, non dorme. Oh Dio qual pena sarà al dannato in quel punto ch'entrerà nell'inferno,5 allorché vedendosi già chiuso in quella prigione di tormenti, anderà pensando alla sua disgrazia, e vedrà che per tutta l'eternità non vi sarà mai più riparo! Dunque dirà: Io ho perduta l'anima, il paradiso e Dio: ho perduto tutto per sempre, e perché? per colpa mia.
Ma dirà taluno: Se io fo questo peccato, perché m'ho da dannare? può essere che ancora mi salvi. Io ripiglio: Ma può essere che ancora
ti danni. Anzi ti dico esser più facile che ti danni, poiché le Scritture minacciano la dannazione a' traditori ostinati, come in questo punto sei tu:«Vae filii desertores, dicit Dominus» (Is. 30. 1) «Vae eis, quoniam recesserunt» (Os. 7. 13). Almeno con questo peccato, che fai, non metti in gran pericolo e dubbio la tua salute eterna? Ed è negozio questo da metterlo in pericolo? Non si tratta d'una casa, d'una villa, d'un posto, si tratta, dice S. Gio. Grisostomo,6 di subissare in un'eternità di tormenti e di perdere un paradiso eterno: «De immortalibus suppliciis, de coelestis regni amissione res agitur». E questo negozio che importa il tutto per te, vuoi arrischiarlo ad un «può essere?»
Dici: Forse chi sa, non mi dannerò: spero che appresso Dio mi perdonerà. Ma frattanto? frattanto già da te stesso ti condanni all'inferno. Dimmi, ti butteresti7 in un pozzo con dire, forse chi sa, non morirò?8 No. E come poi puoi appoggiare la tua salute eterna ad una speranza così debole? ad un «chi sa?» Oh quanti con questa maledetta speranza si son dannati! Non sai che la speranza degli ostinati a voler peccare, non è speranza, ma inganno e presunzione, che muove Dio non a misericordia, ma a maggiore sdegno? Se ora dici che non ti fidi9 di resistere alla tentazione ed alla passione che ti domina, come resisterai appresso, quando non ti si aumenteranno, ma ti mancheranno le forze col commettere il peccato? poiché da una parte allora l'anima resterà più accecata, ed indurita dalla sua malizia, e dall'altra mancheranno gli aiuti divini. Forse speri che Dio abbia ad accrescere a te i lumi e le grazie, dopo che tu avrai accresciuti i peccati?
Ah Gesù mio, ricordatemi sempre la morte che avete patita per me, e datemi confidenza. Tremo che nella mia morte il demonio abbia
da farmi disperare alla vista di tanti tradimenti, che vi ho fatti. Quante promesse v'ho fatte di non volervi offendere più, a vista della luce che mi avete data, e poi ho ritornato a voltarvi le spalle, colla speranza del perdono? Dunque perché voi non mi avete castigato, per questo io vi ho ingiuriato tanto? Perché voi mi avete usata più misericordia, io vi ho fatti più oltraggi? Mio Redentore, datemi un gran dolore de' peccati miei, prima ch'io parta da questa vita. Mi pento, o sommo bene, di avervi offeso. Io vi prometto da ogg'innanzi di morire prima mille volte, che lasciarvi più. Ma frattanto fatemi sentire quel che diceste alla Maddalena: «Remittuntur tibi peccata tua;»10 con farmi sentire un gran dolore delle mie colpe, prima ch'io arrivi alla morte, altrimenti temo che la mia morte abbia a riuscirmi inquieta ed infelice. «Non sis tu mihi formidini, spes mea, in die afflictionis» (Ier. 17. 17). In quel punto estremo, o Gesù mio crocifisso, non mi siate di spavento. Se io morirò allora prima d'aver pianti i miei peccati, e prima d'avervi amato, allora le vostre piaghe e 'l vostro sangue mi daranno più presto terrore, che confidenza. Non vi cerco11 dunque consolazioni e beni di terra in questa vita che mi resta; vi chiedo dolore ed amore. Esauditemi, caro mio Salvatore, per quell'amore che vi fece sagrificare la vita per me sopra il Calvario.
Maria Madre mia, impetratemi voi queste grazie insieme colla santa perseveranza sino alla morte.