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S. Alfonso Maria de Liguori
Rifless. sulla Passione di Gesù Cristo

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CAPO VII - Dell'amore a noi dimostrato da Gesù Cristo nella sua Passione

1. S. Francesco di Sales chiama il monte Calvario il monte degli amanti, e dice che l'amore che non nasce dalla Passione è debole;1 volendo con ciò farc'intendere che la Passione di Gesù Cristo è l'incentivo più forte che dee muoverci ed infiammarci ad amare il nostro Salvatore. Per poter noi comprendere


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qualche parte - perché tutto e impossibile - del grande amore che Iddio ci ha dimostrato nella Passione di Gesù Cristo, basta dare un'occhiata a quel che ne dicono le divine Scritture, delle quali esporrò qui le più principali che parlano di quest'amore. Né in ciò alcuno abbia in fastidio ch'io qui ripeta quei testi che, parlando della Passione in altre mie Operette, ho ripetuti più volte. Certi scrittori di libri perniciosi che trattano di laidezze, spesso ripetono le loro impudiche facezie per maggiormente accendere la concupiscenza de' loro incauti lettori; e non sarà poi a me permesso il ripeter quelle Scritture sante, che più infiammano l'anime del divino amore?

2. Parlando di quest'amore Gesù medesimo disse: Sic... Deus dilexit mundum, ut Filium suum unigenitum daret (Io. III, 16). La parola sic molto significa: ella ci fa intendere che Iddio, avendoci dato il suo unigenito Figlio, ci ha dimostrato un amore che noi non potremo mai giungere a comprenderlo. Per causa del peccato noi tutti eravamo morti, avendo perduta la vita della grazia; ma l'Eterno Padre, per far nota al mondo la sua bontà e far sapere a noi quanto ci amava, ha voluto mandare in terra il suo Figlio, acciocch'egli colla sua morte ci restituisse la vita perduta: In hoc apparuit caritas Dei in nobis, quoniam Filium suum unigenitum misit Deus in mundum, ut vivamus per eum (I Io. IV, 9). Dunque per perdonare a noi, Iddio non ha voluto perdonare al suo medesimo Figlio, volendo ch'egli si assumesse il peso di soddisfare la divina giustizia per tutte le nostre colpe: Qui etiam proprio Filio suo non pepercit, sed pro nobis omnibus tradidit illum (Rom. VIII, 32). Si dice tradidit, mentre lo diè in mano de' carnefici che aveano a caricarlo d'ignominie e di dolori, sino a farlo morir di dolore in un patibolo di obbrobrio. Sicché prima lo caricò di tutti i nostri peccati: Et posuit Dominus in eo iniquitatem omnium nostrum (Is. LIII, 6), e poi volle vederlo consumato dagli strazi e dalle afflizioni più acerbe esterne ed interne: Propter scelus populi mei percussi eum... Et Dominus voluit conterere eum in infirmitate (Ibid. vers. 8 et 10).

3. S. Paolo, considerando questo amore di Dio, giunse a dire: Propter nimiam caritatem suam qua dilexit nos, et cum essemus mortui peccatis convivificavit nos in Christo (Ephes. II, 4 et 5). Disse l'Apostolo: Propter nimiam caritatem: per lo troppo amore con cui Gi ha amati. Come! in Dio può darsi eccesso?


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Sì; disse per lo troppo amore, per farc'intendere che Iddio per l'uomo ha fatte cose, che, se la fede non ce ne accertasse, chi mai potrebbe crederle? E perciò la S. Chiesa esclama per lo stupore: O mira circa nos tuae pietatis dignatio! o inaestimabilis dilectio caritatis! ut servum redimeres filium tradidisti! (Lect. in sab. s. Exultet etc.). Si noti quella espressione della Chiesa, dilectio caritatis, amore dell'amore, viene a dire amore a Dio più caro di tutti gli amori portati alle altre creature. Essendo Iddio la stessa carità, lo stesso amore - come scrive S. Giovanni: Deus caritas est (I Io. IV, 8) - egli ama tutte le sue creature: Diligis enim omnia quae sunt, et nihil odisti eorum quae fecisti (Sap. XI, 25); ma l'amore che porta all'uomo par che gli sia più caro e diletto, sembrando di aver preferito l'uomo nell'amore anche agli angeli, giacché ha voluto morire per gli uomini e non per gli angeli perduti.

4. Parlando poi dell'amore che il Figliuolo di Dio serba verso dell'uomo, sappiamo che vedendo egli da una parte l'uomo perduto per lo peccato e dall'altra la divina giustizia che richiedea l'intiera soddisfazione per l'offesa dall'uomo ricevuta, che non era atto a dare questa piena soddisfazione, si offerì spontaneamente a soddisfare per l'uomo: Oblatus est quia ipse voluit (Is. LIII, 7). E qual umile agnello si sottopose ai manigoldi permettendo loro che gli lacerassero le carni e lo conducessero alla morte, senza lamentarsiaprir la bocca, siccome stava predetto: Sicut ovis ad occisionem ducetur, et quasi agnus coram tondente se obmutescet et non aperiet os suum (Is. ibid.). Scrive S. Paolo che Gesù Cristo per ubbidire al Padre accettò la morte di croce: Factus est obediens usque ad mortem, mortem autem crucis (Philip. II, 8). Ma non si pensi che il Redentore di poca sua voglia e solo per ubbidire al Padre volle morir crocifisso; egli spontaneamente, come abbiamo detto, si offerì a questa morte e, per sua propria volontà, volle morire per l'uomo, spinto dall'amore che gli portava, come lo dichiarò esso stesso per S. Giovanni: Ego pono animam meam... Nemo tollit eam a me, sed ego pono eam a meipso (Io. X, 17, 18). E disse che questo era l'officio di un buon pastore, il dar la vita per le sue pecorelle: Ego sum pastor bonus, bonus pastor animam suam dat pro ovibus suis (Io. X, 11). E perché volle morire per le sue pecorelle? qual


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obbligo avea, come pastore, di dar la vita per le sue pecorelle? Dilexit nos et tradidit semetipsum pro nobis (Eph. V, 2): Volle morire per l'amore che loro portava, e così liberarle dalla potestà di Lucifero.

5. Ciò ben lo dichiaro l'amante nostro Redentore quando disse: Et ego si exaltatus fuero a terra, omnia traham ad meipsum (Io. XII, 32). E con quelle parole, si exaltatus fuero a terra, volle già dinotare la morte che avea da fare sulla croce, come soggiunse lo stesso Vangelista: Hoc autem dicebat significans qua morte esset moriturus (Ibid. vers. 33). Commenta poi S. Gio. Grisostomo le parole riferite, omnia traham ad meipsum, e dice: Quasi a tyranno detenta.2 Dice che il Signore colla voce traham volle farc'intendere ch'egli colla sua morte ci avrebbe quasi strappati a forza dalle mani di Lucifero, che da tiranno ci teneva incatenati come suoi schiavi, per tormentarci poi dopo la nostra morte per sempre nell'inferno. Miseri noi, se Gesù Cristo per noi non fosse morto! Tutti dovremmo esser confinati all'inferno. È un gran motivo per noi di amar Gesù Cristo, dico per noi che ci abbiamo meritato l'inferno, il pensare ch'egli colla sua morte da quest'inferno ci ha liberati collo sborso del suo sangue.

6. Diamo dunque di passaggio qui un'occhiata alle pene dell'inferno, ove al presente già vi sono tanti infelici che le stanno soffrendo. Miseri! Ivi si trovano immersi in un mare di fuoco, dove patiscono una continua agonia, mentre in questo fuoco provano ogni sorta di dolori. Ivi son dati in mano de' demoni, che pieni di furore non attendono ad altro che a tormentare quei poveri condannati. Ivi più che dal fuoco e da tutti gli altri cruci son tormentati dal rimorso della coscienza per la memoria dei peccati fatti in vita, che sono stati la causa della loro dannazione. Ivi mirano chiusa per sempre ogni via di poter uscir da quella fossa di tormenti. Ivi si vedono banditi per sempre dalla compagnia de' santi e dalla patria del cielo, per cui erano stati creati. Ma quello che più gli affligge e fa il loro inferno è il vedersi abbandonati da Dio e condannati a non poterlo più amaremirare se non con


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odio e rabbia. Da quest'inferno ci ha liberati Gesù Cristo redimendoci non con oro o altri beni terreni, come dice S. Lorenzo Giustiniani, ma con dare il suo sangue e la vita sulla croce: Non dedit pro te, scrive S. Lorenzo, aurum, non praedia, sed proprium sanguinem, moriendo in patibulo crucis (De contemptu mundi, cap. 7).3 I re della terra mandano i loro vassalli a morir nelle guerre per conservar la propria salute; Gesù Cristo volle esso morire per ottener la salute a noi sue creature.

7. Ed eccolo perciò presentato dagli scribi e sacerdoti a Pilato qual malfattore, per farlo da Pilato giudicare e condannare alla morte di croce; come già poi ne conseguirono l'intento con vederlo condannato e morto crocifisso. -Oh maraviglia, esclama S. Agostino, vedere il giudice giudicato! veder la giustizia condannata! veder la vita morire! Ut iudex iudicaretur, iustitia damnaretur, vita moreretur (S. Aug. Serm. de nat. Dom.).4 E tutti questi prodigi di qual causa furono effetti, se non dell'amore che Gesù Cristo portava agli uomini? Dilexit nos et tradidit semetipsum pro nobis (Eph. V, 2). Oh ci fosse sempre davanti gli occhi questo testo di S. Paolo! che certamente ci uscirebbe dal cuore ogni affetto ai beni di questa terra e non penseremmo ad altro che ad amare il nostro Redentore, pensando che l'amore lo ridusse a spargere tutto il sangue per farne a noi un bagno di salute: Qui dilexit nos, et lavit nos a peccatis nostris in sanguine suo (Apoc. I, 5). E dice S. Bernardino da Siena che Gesù Cristo dalla croce guardò particolarmente ogni particolar peccato di ognuno di noi: Ad quamlibet singularem culpam habuit aspectum;5


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e per ciascun nostro peccato offerì il suo sangue. In somma l'amore lo ridusse da signore di tutti a comparire in questa terra il più vile, il più basso di tutti. O amoris vim, scrive S. Bernardo, itane summus omnium imus factus est omnium! E poi conclude: Quis hoc fecit? amor dignitatis nescius, affectu potens... Triumphat de Deo amor:6 Chi ha fatto ciò? l'ha fatto l'amore, che per farsi conoscere all'oggetto amato fa che l'amante metta da parte la sua dignità, e badi solo a fare quel che giova e piace all'amato: quindi dice S. Bernardo che Dio, il quale da niuno può esser vinto, si vincere dall'amore che portava all'uomo.

8. In oltre bisogna riflettere che quanto ha patito Gesù Cristo nella sua Passione l'ha patito per ciascuno di noi in particolare, e perciò disse S. Paolo: In fide vivo Filii Dei qui dilexit me et tradidit semetipsum pro me (Gal. II, 20). E quel che disse l'Apostolo dee dirlo ognuno di noi. Quindi scrisse S. Agostino che l'uomo fu redento con tanto prezzo che sembra valere quanto vale Dio: Tam pretioso munere redemptio agitur, ut homo Deum valere videatur (S. Aug. De dilig. Deo).7 Anzi più aggiunge il santo e dice: Signore, voi mi avete amato non come voi stesso, ma più di voi stesso; mentre per liberare me dalla morte, voi avete voluto morire per me: Dilexisti


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me plus quam te, Domine, quia voluisti mori pro me (S. Aug. Soliloq. cap. 13).8

9. Ma perché, potendo Gesù Cristo salvarci con una sola goccia di sangue, ha voluto spargerlo tutto a forza di tormenti sino a spirar di puro dolore su d'una croce? Sì, dice S. Bernardo: Quod potuit gutta voluit unda;9 volle spargerlo tutto per dimostrarci l'amore eccessivo che ci portava. Dico eccessivo, perché appunto i santi Mosè ed Elia nel monte Taborre chiamaron la Passione del Redentore un eccesso, eccesso di misericordia e di amore: Et dicebant excessum eius quem completurus erat in Ierusalem (Luc. IX, 31). Parlando S. Anselmo della Passione del Signore, dice che la misericordia sopravanzò il debito de' nostri peccati: Misericordiam debitum transcendentem reperimus (Lib. Cur Deus etc.);10 poiché il valore della morte di Gesù Cristo, essendo infinito, superò infinitamente la soddisfazione dovuta da noi alla divina giustizia per le nostre colpe. Avea ragione dunque di dire l'Apostolo: Mihi autem absit gloriari, nisi in cruce Domini nostri Iesu Christi (Gal. VI, 14). E questo che dicea S. Paolo, anche può dirlo ognuno di noi; onde ben possiamo dire: E qual gloria maggiore poteva io nel mondo avere o sperare, che vedere un Dio morto per amor mio!

10. Eterno mio Dio, io vi ho disonorato co' miei peccati; ma Gesù colla sua morte, soddisfacendo per me, vi ha soprabbondantemente restituito l'onore; per amore dunque di Gesù morto per me, abbiate di me pietà. E voi, mio Redentore, che avete voluto per me morire affin d'obbligarmi ad amarvi, fate ch'io v'ami. Io per aver disprezzata la vostra grazia e 'l vostro amore, meriterei d'esser condannato a non potervi più amare;


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ma no, Gesù mio, datemi ogni gastigo, e non questo. E perciò vi prego, non mi mandate all'inferno, perché nell'inferno non vi posso amare. Fate ch'io v'ami e poi castigatemi come volete. Privatemi di tutto, ma non di voi.

Accetto ogni infermità, tutte le ignominie, tutti i dolori che volete farmi soffrire, mi basta che v'ami. Ora conosco per la luce che mi date, che troppo amabile voi siete e troppo mi avete amato; non mi fido più di vivere senz'amarvi. Per lo passato ho amato le creature ed ho voltato le spalle a voi, bene infinito: ma ora vi dico che voi solo voglio amare e niente più. Deh amato mio Salvatore, se vedete che in avvenire io avessi da lasciarvi d'amare, vi prego a farmi ora morire; ed anche mi contento esser distrutto prima che abbia a vedermi separato da voi.

O Vergine santa, o Madre di Dio Maria, aiutatemi colle vostre preghiere, ottenetemi ch'io non lasci più di amare Gesù mio, morto per me, e voi, regina mia, che tante misericordie m'avete impetrate sinora.




1 «Théotime, le mont Calvaire est le mont des amants. Tout amour qui ne prend son origine de la Passion du Sauver est frivole et périlleux.» S. FRANCOIS DE SALES, Traité de l' amour de Dieu, liv. 12, ch. 13.

2 «Omnes traham ad meipsum.... Traham, inquit, quasi a tyranno detentos, qui non possint per se accedere, et eius, utpote obsistentis, manus effugere.» S. Io. CHRYSOSTOMUS, In Ioannem, hom. 67 (al. 66), n. 3. MG 59-373.

3 «Non enim pro te dedit aurum, non gemmas, non praedia, non mundum, neque caelum, sed proprium cruorem, in crucis moriendo patibulo.» S. LAURENTIUS IUSTINIANUS, De contemptu mundi, cap. 7. Opera, Lugduni, 1628, pag. 509.



4 «Homo factus, hominis Factor: ut surgeret ubrea, regens sidera; ut esuriret Panis, ut sitiret Fons, dormiret Lux, ab itinere Via fatigaretur, falsis testibus Veritas accusaretur, Iudex vivorum et mortuorum a iudice mortali iudicaretur, ab iniustis Iustitia damnaretur, flagellis Disciplina caederetur, spinis Botrus coronaretur, in ligno Fundamentum suspenderetur, Virtus infirmaretur, Salus vulneraretur, Vita moreretur.» S. AUGUSTINUS, Sermo 191 (in Natali Domini, 8), cap. 1, n. 1. ML 38-1010.



5 «Ad quamlibet quidem singularem culpam, seu iniuriam, seu contumeliam Summi Patris, habuit singularem adspectum.» S. BERNARDINUS SENENSIS, Quadragesimale de Evangelio aeterno, sermo 56, in Parasceve, de Passione Domini, art. 1, cap. 1. Opera, II, Venetiis, 1745.

6 «O suavitatem! o gratiam! o amoris vim! Summus omnium imus factus est omnium. Quis hoc fecit? Amor, dignitatis nescius, dignatione dives, affectu potens, suasu efficax. Quid violentius? Triumphat de Deo amor.» Tractatus de caritate, cap. 6, n. 29. ML 184-599, inter Opera S. Bernardi. - L' autore, o meglio compilatore, di questo Trattato  non è S. Bernardo; ma i capitoli 5-9 altro non sono che un tessuto di testi di S. Bernardo, principalmente dei suoi Commentari sulla Cantica. Il testo di S. Bernardo è questo: «O suavitatem! o gratiam! o amoris vim! Itane summus omnium unus  factus est omnium? Quis hoc fecit? Amor, dignitatis nescius, dignatione dives, affectu potens, suasu efficax. Quid violentius? Triumphat de Deo amor. Quid tamen tam non violentum? Amor est.» S. BERNARDUS, In Cantica, sermo 64, n. 10. ML 183-1088. - Parla ivi S. Bernardo della familiarità del divino Sposo, il quale, invece di dire: Capite mihi, dice: Capite nobis vulpes parvulas (Cant. II, 15), considerandosi come uno di noi. S. Alfonso sembra abbia preso il testo dai Sermoni sulla Cantica, giacché restituisce Itane, soppresso dal compilatore. Però, conoscendo i due testi, gli piacque quella sostituzione di imus a unus, facendo meglio per l' intento suo, ed accordandosi col pensiero di S. Bernardo, quando parla altrove delle umiliazioni ed obbrobri di Gesù Cristo.



7 «Tam copioso munere ipsa redemptio agitur, ut homo Deum valere videatur.» Liber de diligendo Deo, cap. 6. ML 40-853, inter Opera S. Augustini. Questo libro non è di s. Agostino: il compilatore, pio e non poco erudito, sembra che sia Alcherio, Monaco di Cistercio.

8 «Dilexisti me plus quam te, quia mori voluisti pro me.» Soliloquia animae ad Deum, cap. 13. ML 40-874, inter Opera S. Augustini. Anche questa operetta, cavata da S. Agostino e da altri, par che sia di Alcherio, citato nella nota precedente.



9 Vedi Appendice, 14.



10 «Misericordiam vero Dei, quae tibi perire videbatur cum iustitiam Dei et peccatum hominis considerabamus, tam magnam tamque concordem iustitiae invenimus, ut nec maior nec iustior cogitari possit. Nempe quid misericordius intelligi valet, quam cum peccatori tormentis aeternis damnato, et unde se redimat non habenti, Deus Pater dicit: Accipe Unigenitum meum, et da pro te; et ipse Filius: Tolle me, et redime te?... Quid etiam iustius quam ut ille cui datur pretium maius omni debito, si debito datur affectu, dimittat omne debitum? « S. ANSELMUS, Cur Deus homo, lib. 2, cap. 21. ML 158-430.




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