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S. Alfonso Maria de Liguori
Selva di materie predicabili

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§. 4. Del fine, de' mezzi e delle opere del sacerdote che ha zelo.

 

Se vogliamo ricevere da Dio il premio delle fatiche che spendiamo per le anime, dobbiamo far quel che facciamo non per rispetto umano né per nostro onor proprio o lucro temporale, ma solo per Dio e per la sua gloria; altrimenti invece di premio ne riporteremo castigo. Dicea il b. Giuseppe Calasanzio: «Sarebbe gran pazzia la nostra se, faticando come fatichiamo, pretendessimo premio temporale dagli uomini». Quest'officio di salvare anime per sé è molto pericoloso: Maximum periculum, dice s. Bernardo, de factis alterius rationem reddere. E s. Gregorio: Quot regendis subditis (sacerdos) praeest, reddendae apud eum rationis tempore, ut ita dicam, tot animas solus habet3. Coll'aiuto di Dio potremo uscirne senza peccarvi e con merito. Ma chi fa quest'officio per altro fine che per piacere a Dio, questi sarà abbandonato dall'aiuto divino: e come farà ad uscirne senza peccato? E come faranno, dice s. Bonaventura, quei che ad sacros ordines accedunt non salutem animarum, sed lucra quaerentes? E come scrisse s. Prospero: Non ut meliores, sed ut ditiores fiant; non ut sanctiores, sed ut honoratiores sint4. Dice Pietro Blessense: quando si ha da provvedere qualche beneficio, si dimanda forse qual lucro d'anime vi sia da fare? no, solo si dimanda quali rendite vi sono: In promotionibus prima quaestio est, quae sit summa reddituum. Molti, dice l'apostolo, quae sua sunt quaerunt, non quae sunt Iesu Christi5. Oh abuso detestabile, diceva il p. Giovanni d'Avila, ordinare il cielo alla terra! Avverte s. Bernardo che quando il Signore raccomandò a s. Pietro le sue pecorelle, disse: Pasce oves meas; non mulce, non tonde6. E l'autore dell'opera imperfetta scrisse: Mercenarii sumus conducti. Sicut ergo nemo conducit mercenarium ut solum manducet, sic et nos non ideo vocati sumus a Christo ut solum operemur quae ad nostrum pertinent usum, sed ad gloriam Dei7. Quindi conchiude s. Gregorio che i sacerdoti non praeesse se hominibus gaudeant, sed prodesse8.

 

L'unico fine dunque del sacerdote che fatica per le anime ha da essere la sola gloria di Dio. Parlando poi de' mezzi che dee adoperare per guadagnare anime al Signore, per prima dee attendere alla perfezione della propria anima. Il mezzo principale per convertire i peccatori è la santità del sacerdote. Dice s. Eucherio che i sacerdoti colle forze della santità sostengono il mondo: Hi onus totius orbis portant humeris sanctitatis9. Il sacerdote, come mediatore, ha l'officio di unire in pace gli uomini con Dio: Mediatoris officium est coniungere eos inter quos est mediator, dice s. Tommaso10. Ma chi è mediatore bisogna


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che non sia persona odiosa; altrimenti più irriterà l'animo di colui che si trova sdegnato: Cum is qui displicet ad intercedendum mittitur, irati animus ad deteriora provocatur1. Onde poi soggiunge il santo: Oportet munda sit manus quae diluere aliorum sordes curat2 Quindi conchiude s. Bernardo che, acciocché un sacerdote sia atto a convertire i peccatori, bisogna che prima purghi la coscienza propria e poi quella degli altri: Rectus ordo postulat ut prius propriam, deinde alienas curare studeas conscientias. Diceva s. Filippo Neri: «Datemi dieci sacerdoti di spirito, ed io vi do per convertito tutto il mondo». Che non fece un solo s. Francesco Saverio nell'oriente? Come dicono, egli solo convertì alla fede dieci milioni d'infedeli. Che non fece un s. Patrizio nell'Europa? ed un s. Vincenzo Ferrerio? Convertirà a Dio più anime un sacerdote di mediocre dottrina, ma che molto ama Dio, che cento sacerdoti di molta dottrina, ma di poco spirito.

 

Pertanto chi vuol raccogliere gran messe d'anime, bisogna in secondo luogo che molto attenda all'orazione; bisogna che prima nell'orazione riceva da Dio i sentimenti di spirito e poi li comunichi agli altri: Quod in aure auditis praedicate super tecta3. Bisogna, dice s. Bernardo, prima esser conca, poi canale: Sacerdos, concham te exhibebis, non canalem. Canales hodie in ecclesia multos habemus, conchas vero perpaucas4. I santi han convertite le anime più colle orazioni che colle loro fatiche.

 

Le opere poi in cui dee impiegarsi il sacerdote zelante sono le seguenti. Per dee attendere a correggere i peccatori. I sacerdoti che vedono le offese di Dio e non parlano sono chiamati da Isaia cani muti: Canes muti, non valentes latrare5. Ma a questi cani muti saranno imputati tutti i peccati che poteano impedire e non hanno impediti: Nolite tacere, ne populi peccata vobis imputentur6. Taluni sacerdoti lasciano di riprendere i peccatori, dicendo che non vogliono inquietarsi: ma dice s. Gregorio che costoro, per questa pace che desiderano, perderanno miseramente la pace con Dio: Dum pacem desiderant, pravos mores nequaquam redarguunt; et, consentiendo perversis, ab auctoris se pace disiungunt7. Gran cosa! scrive s. Bernardo. Cade un asinello e ben si trovano molti che si muovono a sollevarlo; cade un'anima e non si trova chi l'aiuti ad alzarsi: Cadit asinus, et est qui adiuvat; cadit homo, et non est qui sublevet. Quandoché, dice s. Gregorio, il sacerdote specialmente è costituito da Dio ad insegnar la buona via a chi erra: Eligitur viam errantibus demonstrare. Onde soggiunge s. Leone: Sacerdos qui alium ab errore non revocat, seipsum errare demonstrat. Scrive s. Gregorio che noi diamo la morte a tante anime quante ne vediamo andare a morire e lasciamo di ripararvi: Nos qui sacerdotes vocamur, quotidie occidimus quos ad mortem ire tepide videmus.

 

Per il sacerdote zelante dee impiegarsi nella predicazione. Per la predicazione si è convertito il mondo alla fede di Gesù Cristo, siccome dice l'apostolo: Fides ex auditu; auditus


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autem per verbum Christi1. E per la predicazione si conserva la fede e il timore di Dio ne' fedeli. I sacerdoti che non si sentono abili a predicare, almeno procurino, sempreché possono, trovandosi in conversazione di parenti o di amici, di dire qualche cosa di edificazione, col riferire qualche buono esempio di virtù praticato da' santi o coll'insinuare qualche massima eterna, v. gr. della vanità del mondo, dell'importanza della salute, della certezza della morte, della pace che gode chi sta in grazia di Dio e simili.

 

Per dee impiegarsi nell'aiuto dei moribondi, ch'è l'opera di carità più cara a Dio ed è la più utile alla salute delle anime; poiché in tempo di morte i poveri infermi da una parte si trovano più tentati da' demonj e dall'altra meno atti ad aiutarsi da se stessi. S. Filippo Neri vide più volte gli angeli che suggerivano le parole a' sacerdoti assistenti a' moribondi. Quest'opera s'appartiene a' parochi per obbligo di giustizia, ma per obbligo di carità s'appartiene ad ogni sacerdote. In quest'opera può applicarsi ogni sacerdote, ancorché non avesse talento per predicare: ed in tali occasioni può egli molto giovare non solo agl'infermi, ma a tutt'i parenti ed amici che si ritrovano in quelle case; poiché allora è il tempo più proprio di discorsi spirituali; anzi non conviene allora ad un sacerdote il parlare d'altro che dell'anima e di Dio. Avvertasi non però che in quel tempo chi fa quest'officio bisogna che stia con gran cautela e modestia, acciocché non gli sia occasione di ruina per sé e per gli altri. Taluni vanno ad aiutare i moribondi, e vi restano morti coll'anima. Inoltre, chi non può predicare almeno s'impieghi in far la dottrina a' figliuoli ed a' poveri villani, di cui se ne trovano molti nelle campagne che, per non poter assistere alle chiese, vivono ignoranti anche delle cose principali della fede.

 

Per ultimo bisogna persuadersi che l'esercizio più giovevole per salvare le anime è l'impiegarsi nel sentir le confessioni. Diceva il ven. p. Lodovico Fiorillo domenicano2, che col predicare si gittano le reti, ma col confessare si tirano al lido e si pigliano i pesci. Ma, dice taluno, questo è un officio di molto pericolo. Non ha dubbio, sacerdote mio, ti dice s. Bernardo, ch'è molto pericoloso il porsi a fare il giudice delle coscienze: ma incorrerai un maggior pericolo, se per pigrizia o per troppo timore lascerai di far quest'officio quando il Signore ti chiama a farlo: Vae tibi, si praees, parla il santo, sed vae gravius, si, quia praeesse metuis, praeesse refugis! Già si è parlato di sopra dell'obbligo che ha ogni sacerdote d'impiegare il talento donatogli da Dio a questo fine di salvare le anime, e che il sacerdote specialmente vien costituito, allorché si ordina, ad amministrare il sacramento della penitenza. Ma io, replica colui, non sono abile a quest'officio, perché non ho studiato. Ma non sai che il sacerdote è obbligato a studiare? Labiasacerdotis custodient scientiam; et legem requirent ex ore eius3. Se non volevi studiare per poter aiutare il prossimo, a che serviva il farti sacerdote? chi ti ha pregato, dice il Signore, a prendere gli ordini sacri? Quis quaesivit haec de manibus vestris, ut ambularetis in atriis meis4. Chi t'ha forzato, ripiglia il Grisostomo,


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a farti sacerdote? Quisnam ad id coegit? Prima di prendere il sacerdozio, soggiunge il santo, dovevi esaminare se osavi metterti a questo impiego. Ma ora che già sei sacerdote, bisogna che operi e non esamini: e se non sei abile, bisogna che ti abiliti: Tempus nunc agendi, non consultandi1. L'addurre ora per iscusa la tua ignoranza, siegue a parlare il santo dottore, è l'addurre un secondo delitto per iscusare il primo: Neque licet ad ignorantiam confugere, quando qui delegatus est ut alienam emendet ignorantiam, ignorantiam praetendere minime poterit: hoc nomine supplicium nulla excusatione poterit depellere, quamvis unius dumtaxat animae iactura acciderit2. Alcuni sacerdoti studiano tante cose inutili, e trascurano poi lo studio di quelle cose che giovano per salvare le anime. Dice s. Prospero che questi tali operano contro la giustizia: Contra iustitiam faciunt qui otiosum studium fructuosae utilitati regendae multitudinis anteponunt3.

 

In somma bisogna intendere che il sacerdote non dee attendere ad altro che a procurare la divina gloria e la salute delle anime. Perciò s. Silvestro volle che i giorni della settimana, a riguardo degli ecclesiastici, non si chiamassero con altro nome che di ferie o sieno vacanze: Quotidie clericus, abiecta ceterarum rerum cura, uni Deo prorsus vacare debet4. Gli stessi gentili diceano che i sacerdoti non debbono ad altro applicarsi che alle cose divine: onde proibivano a' lor sacerdoti l'esercitare i magistrati, acciocché fossero tutti impiegati nel culto de' loro dei. Mosè, essendo stato da Dio deputato ad attendere al culto del suo onore e della sua legge, si occupava in comporre liti; ma Ietro ben di ciò lo riprese, dicendogli: Stulto labore consumeris... Esto tu populo in his quae ad Deum pertinent5. Prima che tu fossi sacerdote, dice s. Atanasio, potevi attendere a fare quel che volevi; ma ora che sei sacerdote, bisogna che t'impieghi in adempiere l'officio a cui sei stato ordinato: Id scire oportet, te, priusquam ordinabaris, tibi vixisse; ordinatum autem, illis quibus ordinatus es6. E qual è quest'officio? uno de' più principali è attendere alla salute delle anime, come abbiam già dimostrato di sopra. E lo conferma s. Prospero dicendo: Sacerdotibus proprie animarum sollicitudo commissa est7.

 




3 24. mor. c. 30.



4 L. 1 de vita cont. c. 2.



5 Phil. 2. 21.



6 Declam. c. 11. n. 12.



7 Hom. 34. in Matth.



8 Pastor. 1. part. 1. c. 5.



9 Hom. 3.



10 Suppl. 36. q. 1. art. 2.



1 S. Greg. past. part. 1.



2 Ib. c. 9.



3 Matth. 10. 27



4 Serm. 18.



5 56. 10



6 Albinus epist. 18.



7 Past. n. 3. admon. 23.



1 Rom. 10. 17.



2 Vita lib. 3.



3 Malach. 2. 7.



4 Isa. 1. 12.



1 Chrys. de. sacerd. lib. 4. cap. 1.



2 Idem l. 6. c. 1.



3 Sive Iul. Pomer. de vita cont.



4 In lect. brev. die 31. dec.



5 Exod. 18. 18. et 19.



6 Epist. ad Dracont. n. 2.



7 L. 2. de vita cont. c. 2.






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