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S. Alfonso Maria de Liguori Selva di materie predicabili IntraText CT - Lettura del testo |
§. 2. Della disposizione delle parti proprie della predica.
Le parti della predica sono nove, cioè: esordio, proposizione, divisione, introduzione, prova, confutazione, epilogo, amplificazione o sia moralità e mozione degli affetti. Ma tutte queste si riducono a tre parti principali, cioè all'esordio, alla prova ed alla perorazione: poiché all'esordio vanno unite la proposizione e la divisione de' punti; alla prova vanno unite l'introduzione che la precede e la confutazione che la siegue; e finalmente alla perorazione o sia conchiusione vanno uniti insieme l'epilogo, la moralità e la mozione degli affetti. Si avverta nonperò che le mentovate nove parti non sempre tutte debbon ritrovarsi nella predica, mentre la maggior parte di loro sono accidentali; solamente la proposizione e la prova sono le parti sostanziali ed assolutamente necessarie: ma a riguardo delle prediche di missione dico doversi dir necessarie e sostanziali anche la moralità e mozione degli affetti. Parliamo di ciascuna delle dette parti in particolare.
Dell'esordio.
L'esordio può cavarsi da innumerabili fonti; ma notiamo qui i fonti più principali. 1. ex visceribus causae, v. g.: se la proposizione o sia l'intento è di voler provare quanto debba temersi una mala morte, l'esordio può esser questo: ogni uomo che nasce, nasce per morire; poiché in questa terra ci stiamo di viaggio per passare all'eternità ecc. 2. Ab opinione sive iudicio, v. g.: il voler credere che sia facile il fare una buona morte dopo una vita licenziosa è pazzia; o pure: il voler differire la penitenza e volersi dannare bisogna persuadersi ch'è la stessa cosa. 3. A contrario, ed è quando si comincia da una proposizione contraria a quella che vuol provarsi, v. gr.: certamente è stata una gran sorte quella di alcuni peccatori, che, dopo una mala vita, in morte si son convertiti e salvati. Ma troppo rari son questi casi;
ordinariamente avviene che chi fa mala vita fa mala morte (ch'è, per esempio, la proposizione della predica). 4. Ab exemplo, cominciandosi a parlare da qualche fatto, che si adatta poi alla proposizione della predica. 5. Ab expositione, cioè si espone qualche testo di scrittura o pure l'importanza della materia che vuol trattarsi, v. gr.: chi pensa all'inferno non va all'inferno. Voglio pertanto, uditori miei, mettervi oggi avanti gli occhi le pene dell'inferno, acciocché niuno di voi abbia da andare a provarle. 6. Ex abundanti, cioè quando il predicatore premette di aver per le mani una materia molto vasta, e perciò si restringe ad uno o pochi punti, dicendo ch'elegge quelli, per esser più importanti. 7. Ex adiunctis, cioè quando si comincia da qualche circostanza di persona, di luogo o di tempo. 8. Ex abrupto (l'esordio ricavato da' fonti precedenti dicesi legittimo; questo ex abrupto dicesi straordinario e rare volte si fa), ed è quando si comincia, senza alcuna preparazione, da qualche esclamazione d'increpazione o di commiserazione o di maraviglia, v. gr.: peccatore, quando la finirai di fuggire da Dio che da tanti anni ti va appresso? O pure: poveri peccatori! poveri pazzi che fate una vita infelice in questo mondo, per andare poi a fare una vita più infelice nell'altro! O pure: o Dio onnipotente, come potete sopportare quegli uomini ingrati che da voi illuminati e chiamati seguitano sempre ad offendervi? Si noti qui che l'esordio può rendersi vizioso per essere o troppo lungo o troppo comune, sì che possa applicarsi ad ogni predica, o per esser separato, che poca connessione abbia colla predica; mentre l'esordio dee esser proprio della predica che si fa.
Le parti poi dell'esordio sono sette, secondo s'assegnano da' rettorici, cioè 1. Introduzione. 2. Proposizione generale o sia d'assunto. 3. Confermazione. 4. Reddizione. 5. Complessione. 6. Proposizione particolare. 7. Divisione. E per 1. l'introduzione è una piccola insinuazione per venire alla proposizione generale, che si chiama anche proposizione d'assunto. Per 2. la proposizione generale è quella che si premette per venire poi alla proposizione particolare o sia principale della predica. Per 3. la confermazione è una breve ragione della proposizione generale già premessa. Per 4. la reddizione è una ripetizione della stessa proposizione generale per discendere poi alla proposizione particolare della predica. Per 5. la complessione è il mezzo o sia attacco con cui si unisce la proposizione generale alla particolare. Per 6. la proposizione particolare è la principale, cioè quella che vuol provarsi; che perciò nominandosi la proposizione sempre s'intende la particolare. Per 7. la divisione è la partizione de' punti della predetta proposizione particolare.
Avvertasi che non tutte queste parti dell'esordio son necessarie, specialmente nelle prediche di missione, nelle quali, come diremo, bastano solamente tre parti di tutte le altre mentovate, cioè la proposizione generale o sia d'assunto, la complessione, ch'è l'attacco, e la proposizione particolare o sia principale della predica, colla divisione dei punti. Per esempio, volendosi provare quanto sia difficile che faccia buona morte chi ha fatta mala vita, si dirà: È necessario salvarsi, perché chi non si salva dee esser dannato; non
v'è via di mezzo. Ma per salvarsi bisogna far buona morte, con terminar la vita in grazia di Dio. Ma è difficile che faccia buona morte chi ha fatta mala vita ecc. La proposizione generale è quella: È necessario ecc. L'attacco è quello: ma per salvarsi ecc. La proposizione particolare o sia principale poi della predica è quella: ma è difficile ecc. La proposizione generale può ampliarsi in diversi modi, v. gr.: non è necessario a noi l'esser nobili o ricchi su questa terra, ma è necessario il salvarsi.
Parlando poi della proposizione particolare o sia principale, questa dee ricavarsi dalla predica che vuol farsi; poiché ella ha da essere il centro a cui come tante linee hanno da unirsi le prove della predica. Inoltre la detta proposizione dee esser chiara, breve e probabile, evitando le proposizioni stravaganti. Di più è regola irrefragabile che nella proposizione dee osservarsi l'unità; poiché altrimenti non sarebbe una predica, ma più prediche. Questa unità nondimeno non impedisce la divisione de' punti, la quale serve per rendere gli uditori più attenti e per meglio imprimere ne' loro animi la proposizione che si predica; ma sempre i punti debbono collimare a formare una sola proposizione. Questa divisione può farsi in diversi modi. O dalla Qualità del soggetto, per esempio: dobbiamo star sempre apparecchiati alla morte; prima perché la morte è certa, secondo perché l'ora della morte è incerta. O pure dagli effetti, per esempio: il mal abito rende molto difficile il salvarsi, prima perché acceca la mente, secondo perché indura il cuore. O pure per la moltiplicità delle cagioni, per esempio: la morte del peccatore sarà pessima, prima per le tentazioni del demonio, secondo per la memoria de' peccati fatti, terzo per l'abbandono di Dio sdegnato. O pure per l'enumerazione delle parti, per esempio: il giudizio universale sarà terribile prima per la comparsa, secondo per l'esame, terzo per la sentenza: O pure per la diversità delle circostanze contenute nel verso mentovato di sopra: Quis, quid, ubi, quibus auxiliis, cur, quomodo, quando. Per esempio: quis, il peccatore offende Dio, ch'è il suo creatore, il suo redentore, il suo conservatore. Quid, il peccato 1. è disgusto di Dio; 2. è rovina dell'anima. E così similmente parlando delle altre circostanze. La regola poi de' punti è che sieno brevi, ridotti quanto si può in poche parole, e sieno pochi, che non passino il numero di due o al più di tre. È errore poi il dividere i punti in altri punti. All'incontro non è errore il restringere la predica al solo assunto della proposizione particolare, senza far divisione di punti; v. gr.: chi s'abusa della divina misericordia resterà dalla divina misericordia abbandonato. O pure: il peccato è il delitto più grave fra tutti, poiché è disprezzo di Dio; e simili. Ciò alle volte riesce utile per aver maggior campo di dilatarsi circa la materia della predica, non essendovi i confini de' punti che prescrivono i termini.
Delle prove e del modo di servirsene.
Già dicemmo di sopra che la prova contiene tre parti, cioè l'introduzione, le prove medesime e la confutazione. E per 1. l'introduzione non è altro che una preparazione per entrar nelle prove. Quest'introduzione può cavarsi o dalla definizione; v. gr., parlando dello scandalo se ne addurrà
la definizione secondo s. Tomaso: lo scandalo est dictum vel factum minus rectum praebens alteri ruinam; e poi si spiegherà. O pure dalla distinzione; v. g., parlando dell'occasione l'introduzione sarà questa: e per proceder con ordine, bisogna distinguere l'occasione prossima dalla rimota; l'occasione prossima è quella ecc. O pure dalla difficoltà del soggetto; v. gr., parlandosi della malizia del peccato mortale può dirsi: per comprendere il gran male ch'è il peccato mortale, bisognerebbe comprendere il gran bene ch'è Dio; ma chi mai potrà comprendere la bontà, la potenza, la sapienza di questo Dio? ecc. O pure da qualche proposizione generale per discendere poi alla particolare; v. gr., parlando della confessione sacrilega, può cominciarsi a descrivere la malizia del sacrilegio in genere. O pure da qualche sillogismo o entimema, dalla cui conseguenza si passa poi a provar la proposizione. O pure da qualche celebre questione o da qualche sentimento di s. padre o da qualche istoria. Ma si avverta che queste introduzioni debbono essere brevi e prossime: brevi, passando presto alle prove; prossime, prendendole da' principj intrinseci del soggetto di cui si tratta.
Per 2. in quanto alle prove, bisogna intendere che il corpo del discorso dee esser composto dalle prove della proposizion principale; e perciò il discorso, affin di persuadere gli uditori, dee aver la forma di un perfetto raziocinio, non già a modo di logici, ma d'oratori, cioè in modo più chiaro e disteso; avvertendo di più esser sempre meglio apportar poche parole, le più convincenti e bene spiegate, che ammassarne molte con poca ponderazione. Le varie forme d'argomentare de' rettorici sono 1. il sillogismo, ch'è composto di maggiore, minore e conseguenza, ma, come si è detto, in modo più ampio e provando la maggiore prima di passare alla minore e così anche la minore prima di venire alla conseguenza. Ciò s'intende nondimeno quando la maggiore o la minore han bisogno di prova; altrimenti, se sono per sé note e certe, basta ampliarle senza provarle. 2. L'entimema, che consta solo di antecedente e conseguenza, aggiungendo la prova all'antecedente, se ne ha bisogno. Dee nonperò in ciò avvertire il predicatore di vestire talmente il sillogismo o l'entimema che non compariscano tali. 3. Il dilemma, ch'è un raziocinio per due proposizioni opposte e divise, delle quali se ne negasi una parte, necessariamente deesi concedere l'altra; v. gr.: o Dio ci inganna o s'inganna l'uomo; Dio non può ingannare; dunque certamente l'uomo s'inganna. 4. L'induzione, ricavandosi qualche conclusione da alcuna premessa certa; v. gr., se tremano i santi, che vivono tra le penitenze, orazioni ecc., quanto più ha da tremare un peccatore che vive tra gli spassi, onori ecc.! 5. La sorite, cioè quando da più conseguenze o verità premesse se ne inferisce una particolar conclusione; v. gr.: la bestemmia non apporta onore, non diletto; dunque perché bestemmiare? 6. L'esempio, argomentando dall'uno all'altro simile. Si avverta qui che giova sempre il variar le prove, ora col sillogismo, ora col dilemma ecc., or anche coll'interrogare o coll'increpare ecc.
Inoltre, parlando delle prove, vogliono alcuni esser meglio cominciar
dalle minori, avanzarsi poi colle più forti e concludere colle maggiori. Altri all'incontro, secondo il mio sentimento, stimano meglio che si apportino in primo luogo le ragioni forti, e le più deboli in mezzo, aggruppandole insieme, acciocché almeno unite facciano più forza; perché il mettere a principio le ragioni più deboli può far cattiva impressione ad alcuno degli uditori. Del resto ordinariamente in primo luogo debbon porsi le ragioni convincenti, in secondo le amplificanti, e quelle che sono poi più atte a muovere gli affetti nel fine. L'arte in somma sta a mettere le cose non già a caso l'una dopo l'altra, ma tutte con ordine tra di loro.
Circa i passaggi o sieno transizioni da un punto all'altro, questi debbono farsi con naturalezza, conservandosi sempre l'unione della predica. I modi più bassi di tali passaggi sono questi: vediamo nell'altro punto ecc. dopo aver veduto ecc. E passando da una ragione all'altra, può dirsi: aggiungete; di più; tanto più che ecc. Vi sono poi altri modi più eleganti, v. g. col connettere l'ultima cosa del punto o ragione antecedente colla prima del punto o ragione susseguente. Almeno questa connessione facciasi nelle parole, se non può aversi nella sostanza delle cose. Ma non mai si passi con salto da una cosa ad un'altra disparata. In questi passaggi giovano le figure di preterizione, di concessione, di preoccupazione e simili.
Circa l'amplificazione delle prove, altra è la reale per rapporto alle cose, e questa riguarda il persuadere l'intelletto colla dilatazione delle prove; altra è la verbale per rapporto alle parole, e questa riguarda il muovere la volontà. L'amplificazione reale può aversi o dalla congerie di più cose, v. gr., secondo l'apostolo: Domino servientes, spe gaudentes, in tribulatione patientes, orationi instantes1. O pure dall'incremento, v. gr.: è virtù il sopportare i disprezzi con pazienza, maggior virtù è il desiderarli, maggiore il godere ne' disprezzi. O pure dalla raziocinazione, che si fa amplificando le circostanze della cosa. O pure dalla comparazione, che si fa paragonando la cosa ad un'altra che stimasi grande, per dimostrare che sia maggior di quella la cosa di cui si tratta. L'amplificazione verbale poi può aversi dalle parole espressive e dagli epiteti e sinonini ed anche dalle figure di metafore e d'iperbole. Ma s'avverta che quel vano affascinar di parole che usano alcuni apporta tedio agli uditori e più presto indebolisce il sermone che l'amplifica. Inoltre s'avverta che non tutte le cose che si dicono debbono ampliarsi, ma solamente le più principali. Ciò che poi si è detto dell'amplificazione si dice anche dell'estenuazione; poiché, come dice Quintiliano, chi sa la via salire, sa ancora la via di scendere. Circa poi le digressioni alle moralità, si avverta che sebbene il luogo proprio delle moralità sarebbe nella perorazione, nondimeno ben si permette il moralizzare nel decorso della predica, scendendo al particolare di qualche vizio o virtù; specialmente dopo che abbastanza siensi portate le prove, e specialmente poi nelle prediche di missione. Avvertendo sempre che queste moralità non debbono essere così lunghe che costituiscano un'altra predica dentro la stessa predica, né così stirate che sembrino,
come suol dirsi, attaccate con la colla, né così frequenti che rendano tedioso e languido il discorso, come fanno alcuni specialmente nel riferir qualche fatto fanno tante digressioni di moralità. Il far qualche moralità per incidenza, ben è lecito; ma il troppo muove a stomaco gli uditori. Non v'ha dubbio non però che le prediche di missione debbon essere più piene di moralità; poiché queste moralità sono quelle che fanno più impressione a' rozzi, de' quali ordinariamente si compone l'uditorio nelle missioni; nulladimeno sempre le moralità debbono esser proprie secondo la predica e poste a luogo proprio, sì che non isnervino la forza delle prove.
Per 3. dopo le prove seguita la confutazione delle ragioni che posson addursi in contrario. I modi di confutare sono: 1. colla negazione, scoprendo la falsità dell'argomento contrario; 2. colla contenzione, dimostrando che la proposizione di cui si tratta è più probabile dell'opposta; 3. colla dissimulazione, prevenendo nelle ragioni che si adducono le difficoltà contrarie; 4. coll'opporre agli avversarj altre difficoltà maggiori; 5. col disprezzare le ragioni contrarie, dicendo semplicemente ch'è chiara la loro falsità; 6. col controsillogismo, cioè ritorcendo l'argomento. Regolarmente poi parlando, il luogo delle confutazioni sarebbe dopo le prove; ma qualche volta elle si mettono immediatamente dopo qualche ragione esposta, sovra cui può farsi la difficoltà.
Della perorazione.
Tre sono le parti della perorazione o sia conclusione, cioè l'epilogo, la moralità e la mozione degli affetti. E per 1. in quanto all'epilogo, l'epilogo non è altro che un ricapitolamento della predica: il quale dee esser breve, sicché non sembri una nuova predica, ma dee contener le ragioni più convincenti del discorso fatto, dette con nuova maniera ed ordinate alla mozione degli affetti, che dee seguire; in modo che nello stesso recapitolare che fa il predicatore dee andar movendo gli affetti.
Per 2. in quanto alla moralità, per prima nel correggere i vizj bisogna guardarsi di offendere le persone particolari, giacché tali correzioni fatte in pubblico non servono ad altro che a sdegnare i loro animi ed a più imperversarsi, concependo odio contra il predicatore e contra la missione, per lo rossore di vedersi scornate in pubblico. Inoltre bisogna avvertire che per moralità non solo s'intendono le increpazioni e i rimproveri che si fanno contro de' vizj, ma anche le insinuazioni de' rimedj e de' mezzi per viver bene. Per tanto avvertano i missionarj che l'affare più importante e di maggior frutto per li popoli nelle missioni è l'insegnare loro cose di pratica, cioè i rimedj per astenersi da' vizi ed i mezzi per perseverare nella buona vita, come sono il fuggir le occasioni, per esempio le taverne, la case pericolose ed i mali compagni; il farsi forza nei moti di sdegno, con metter loro in bocca qualche detto per evitare le bestemmie e le imprecazioni, v. g.: Signore, dammi pazienza; Madonna, aiutami; Dio ti faccia santo, e simili; l'entrare in qualche congregazione; il sentir la messa ogni giorno; confessarsi ogni settimana; leggere ogni giorno qualche libro spirituale; fa la visita al ss. Sacramento ed alla b. Vergine in qualche
sua immagine; ogni mattina rinnovare il proposito di non offendere Dio, cercando a Dio l'aiuto per la perseveranza; la sera far l'esame di coscienza coll'atto di dolore; dopo aver commesso qualche peccato far subito un atto di contrizione col proposito e poi confessarsene quanto più presto; sovra tutto ricorrere a Dio ed a Maria ss. in tempo di tentazioni, replicando allora spesso i santissimi nomi di Gesù e di Maria, con seguitare ad invocarli in aiuto finché non cessa la tentazione. Questi rimedj e mezzi dal predicatore debbon ripetersi ed insinuarsi più e più volte nel decorso delle prediche, e non dee atterrirlo il timore d'esser criticato da qualche letterato, il quale dicesse che il predicatore dice sempre una cosa. Il predicatore e specialmente il missionario non ha da andar cercando le lodi de' letterati, ma il gusto di Dio e la salute delle anime e particolarmente de' poveri rozzi che concorrono alle missioni, e che non tanto cavan profitto dalle sentenze e ragioni intese quanto da quelle facili pratiche che loro saran dette e replicate. Dico replicate, perché le menti di legno di questi rozzi facilmente si scordano di ciò che loro s'insegna, se non è ad essi replicato più volte, come si sa per esperienza.
Per 3. in quanto alla mozione degli affetti, questa è una parte più importante e necessaria di tutta la predica e precisamente nelle missioni; poiché il profitto degli uditori non tanto consiste nel persuadersi delle verità cristiane, quanto nel risolversi a mutar vita e a darsi a Dio. E perciò il predicatore di missioni non dee fare come fanno alcuni che, terminata la predica, mettonsi subito a gridare al popolo: Cercate perdono a Dio, gridate misericordia: e pigliando il crocifisso, funi, torce di pece, si contentano di quello schiamazzo del popolo; il quale riuscirà bensì strepitoso, ma di poco frutto. Chi vuol frutto bisogna che si studii a vedere come meglio può muovere gli affetti degli ascoltanti e procurare una vera e non già apparente compunzione de' cuori. È vero che il compungere i cuori è opera della mano di Dio, ma vuole il Signore che noi ci cooperiamo a farla riuscire per parte nostra la miglior che possa desiderarsi. Onde giova parlar qui con modo speciale di questa mozione d'affetti e del modo di regolar le passioni, le quali sono morbi dell'anima, che offuscano la mente ed indeboliscono la volontà. Oh che ci vuole a muovere un appassionato! vi bisogna la mano divina. Onde il predicatore bisogna che predichi più colle ginocchia che colle parole; altrimenti i suoi uditori saranno come quelli di s. Agostino, che mirabantur et non convertebantur. Diranno: oh che bravo predicatore! che bella predica! e frattanto resteranno a dormire ne' loro vizj. Inoltre, per muovere gli altri, molto giova che il predicatore si dimostri anch'egli mosso da quelle verità di cui tratta.
Le passioni umane son molte: altre appartengono alla concupiscibile, altre all'irascibile. Secondo s. Tomaso, quelle della concupiscibile sono per 1. l'amore, che ha per oggetto il bene; e questa è la passione più forte di tutte le altre. Onde sovra tutto dee studiarsi il predicatore di muovere il popolo all'amore verso Dio e verso il prossimo coi suoi proprj motivi: verso Dio, perché lo merita, prima per la sua bontà e poi
per li beneficj a noi fatti; verso il prossimo, perché lo comanda Dio. Per 2. l'odio, che dee insinuarsi contro il peccato, facendone vedere la malizia e i danni che apporta. A toglier poi l'odio contro il prossimo bisogna dimostrare quanto piace a Dio e quanto bene arreca all'anima il perdonare le ingiurie. Per 3. il desiderio, ch'è un moto dell'anima con cui si porta verso qualche bene lontano. Quindi dimostrerà il predicatore quanto i beni di terra son piccioli, brevi e di pericolo per la salute eterna, ed all'incontro che i beni dell'altra vita sono immensi ed eterni. Per 4. la fuga, che si oppone al desiderio e ci fa avere orrore alle cose di nostro danno. Per 5. il gaudio, ch'è un compiacimento del bene posseduto. E tra le altre cose molto giova al profitto de' popoli il far loro vedere la pace che apporta la grazia di Dio a chi la possiede. Per 6. la tristezza o sia il dolore, ch'è una dispiacenza del male presente; e si dimostrerà la pena che apporta a' peccatori il rimorso della coscienza. Le passioni poi dell'irascibile sono per 1. la speranza, ch'è un movimento verso un bene lontano, ma possibile. Per 2. la disperazione, colla quale si cercherà di persuadere ch'è impossibile il farsi felici co' beni mondani. Per 3. il timore, ch'è un movimento nato dall'apprensione di qualche male futuro. Per 4. l'audacia, che è un movimento il quale dà forza a non temere gli ostacoli per conseguire il bene desiderato. Quindi gioverà eccitarla dimostrando il premio che tocca a chi combatte coraggiosamente contro del vizio. Per 5. l'ira, ch'è un moto che conduce alla vendetta. Per questa passione può eccitarsi l'amore alla penitenza, castigando il corpo, per cui s'è offeso Dio; poiché secondo s. Agostino il vero penitente non è altro che un uomo che giustamente si adira contro di sé stesso. Avvertasi generalmente che nella mozione di questi affetti il predicatore non sia troppo lungo; perché altrimenti più presto perderà che guadagnerà.