Copertina | Indice: Generale - Opera | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText |
S. Alfonso Maria de Liguori Selva di materie predicabili IntraText CT - Lettura del testo |
§. 3. Discorso alle zitelle divote.
S. Ignazio martire scrivendo ai suoi discepoli, molto loro esortava l'attendere alla coltura delle vergini, acciocché fossero costanti a Gesù C. in osservargli la promessa fatta della loro verginità, ch'è un dono troppo caro a Dio. Il drappello delle vergini consacrate all'amore del divino Sposo vien chiamato da s. Cipriano la parte più nobile della Chiesa: Illustrior portio gregis Christi1. Quindi molti santi padri, come s. Efrem, s. Ambrogio, s. Gio. Grisostomo, s. Cipriano ed altri, hanno scritte opere intiere in lode della verginità. Il glorioso apostolo s. Matteo, come narra Dionisio Cartusiano, non volle permettere che la vergine s. Ifigenia, consacrata a Gesù Cristo, si sposasse con quel monarca che la pretendeva, ancorché quegli promettesse di abbracciar la fede esso con tutto il suo regno. Il Signore è giunto anche coi miracoli a difendere la purità delle vergini. Riferisce il Cantipratense2 che in Roma la sorella del conte della Puglia, promessa dal fratello in matrimonio ad un signore, se ne fuggì travestita da uomo per non essere costretta a maritarsi; ma inseguita dal fratello e raggiunta vicino ad una rupe che sporgeva sul mare, ella, fidata in Dio, si gittò da quel precipizio e camminò poi sull'onde sino ad un deserto della Grecia, dove si mantenne illibata. Ho voluto premettere ciò per far intendere non essere opera inutile, ma molto cara a Dio quella de' sacerdoti che si adoperano in esortare le zitelle a consacrare a Gesù Cristo il giglio della loro verginità. Perciò nelle nostre missioni suol farsi in una mattina degli ultimi giorni, dentro qualche luogo raccolto, da un padre coll'assistenza di qualche altro sacerdote vecchio, un sermone a posta a tutte le zitelle.
Esempio del sermone alle zitelle.
Sorelle mie, io non mi stendo a spiegarvi in questa mattina i pregi ed i beni che acquistano quelle donne che consacrano a Gesù Cristo la loro verginità; solamente voglio accennarli. Primieramente elle diventano agli occhi di Dio belle come gli angeli del cielo: Erunt sicut angeli Dei in coelo3. Narra il Baronio4 che morendo una s. verginella, chiamata Georgia, si videro volarle d'intorno una gran moltitudine di colombe; e quando poi fu portato il suo corpo alla chiesa, quelle colombe si posarono su quella parte del tetto che corrispondeva al luogo del cadavere, e di là non si partirono sino che non fu seppellito. Quelle colombe da tutti furono giudicati angeli che facean corteggio a quel corpo verginale.
Inoltre una donzella che lascia il mondo e si dedica all'amore di Gesù Cristo diventa sposa di Gesù C. Nel vangelo il nostro Redentore or si chiama padre, or maestro, or pastore delle anime; ma a riguardo delle vergini egli si fa chiamare sposo: Exierunt obviam sponso5. Ora una zitella che vuol pigliare stato nel mondo, se ella è prudente, procura prima d'informarsi con diligenza chi sia tra coloro che la pretendono il più nobile e il più ricco. Informiamoci dunque dalla sposa de' sacri Cantici, che ben sa i pregi di questo sposo divino, chi egli sia. Dimmi, o sacra sposa, qual è il tuo diletto che ti rende fra tutte le donne la più
fortunata? Dilectus meus, ella risponde, candidus et rubicundus, electus ex millibus1. Il mio diletto, dice, è tutto bianco per la purità ed anche rubicondo per l'amore di cui arde; egli in somma è così bello, così nobile e così affabile che si rende il più amabile tra tutti. Ebbe ragione dunque la gloriosa vergine s. Agnese, come narra s. Ambrogio2, quando le fu offerto per isposo il figlio del prefetto di Roma, di rispondere ch'ella avea trovato un partito assai più vantaggioso: Sponsum offertis? meliorem reperi. Lo stesso disse s. Domitilla, nipote dell'imperator Domiziano, ad alcune donne le quali volean persuaderla che ben poteva maritarsi col conte Aureliano, sempre che quegli si contentava ch'ella restasse cristiana. «Ma ditemi, rispose la santa, se ad una donzella fosse offerto un monarca da una parte e un villano da un'altra, chi mai ella si eleggerebbe per isposo tra questi? Se io, per maritarmi con Aureliano, ho da lasciare il re del cielo, sarebbe una pazzia il farlo: non voglio farlo». E così per conservarsi fedele a Gesù Cristo, a cui avea già consacrata la sua verginità, si contentò di morir bruciata viva, come la fece morire il suo barbaro amante3.
Queste spose di Gesù Cristo, che per suo amore lasciano il mondo, diventano le dilette di Gesù Cristo. Elle son chiamate le primizie dell'agnello: Primitiae Deo et agno4. Perché primizie? perché, dice Ugon cardinale, siccome i primi frutti son più grati degli altri, così le vergini son più care a Dio delle altre persone. Tra' gigli si pasce lo sposo divino: Qui pascitur inter lilia5. E chi sono mai questi gigli, se non quelle donzelle divote che donano la loro verginità a Gesù Cristo? Scrisse il ven. Beda che il canto delle vergini, cioè la lode che danno a Dio le vergini con serbargli intatto il giglio della loro purità, piace più al Signore che il canto di tutti gli altri santi. Sì, perché lo Spirito santo disse non esservi prezzo che possa compensare il pregio della verginità: Non est digna ponderatio continentis animae6. E perciò avvertì Ugon cardinale che negli altri voti ben si dà la dispensa, ma non già nel voto della verginità; e questa è la ragione, perché il pregio della verginità non può compensarsi con qualunque tesoro del mondo. E perciò dicono anche i dottori che la ss. Vergine Maria sarebbe stata pronta a rinunziare la gran dignità di Madre di Dio prima che perdere la gioia della sua verginità.
Chi poi qui in terra potrà mai capire la gloria che Dio apparecchia a queste vergini sue spose in paradiso? Dicono i dottori che le vergini in cielo hanno la loro laureola particolare, ch'è una certa corona o sia un gaudio speciale di cui son prive le altre sante che non sono state vergini. Ma veniamo a quel che più importa al presente discorso. Dirà quella zitella: ma se io mi marito, non posso farmi anche santa? Non voglio che sentiate da me la risposta, ma da s. Paolo; e sentite insieme la differenza che vi è tra le vergini e le maritate: Mulier innupta et virgo cogitat quae Domini sunt, ut sit sancta corpore et spiritu. Quae autem nupta est cogitat quae sunt mundi, quomodo placeat
viro1. E poi soggiunge l'apostolo: Porro hoc ad utilitatem vestram dico... ad id quod honestum est et quod facultatem praebeat sine impedimento Dominum obsecrandi. Primieramente dico che le maritate possono esser sante bensì collo spirito ma non col corpo; all'incontro le vergini sante, son sante coll'anima e col corpo, avendo consacrata a Gesù Cristo la loro verginità: sancta corpore et spiritu. Inoltre notate queste parole: quod facultatem praebeat sine impedimento Dominum obsecrandi. Oh quanti impedimenti hanno le povere maritate a farsi sante! E se sono elle più nobili, hanno maggiori impedimenti. Per farsi santa una donna, bisogna che prenda i mezzi e specialmente che faccia molta orazione mentale, che molto frequenti i sacramenti e pensi sempre a Dio. Ma che tempo può avere una maritata di pensare alle cose di Dio? Nupta cogitat quae sunt mundi, dice s. Paolo, et quomodo placeat viro. La maritata ha da pensare a provveder la famiglia di cibi, di vesti; ha da pensare ad educare i figli, a contentare il marito e i parenti del marito: onde, come dice lo stesso apostolo, il suo cuore è diviso, tenendo diviso l'affetto tra il marito, i figli e Dio. Che tempo può avere una maritata di far molta orazione e di prendere spesso la comunione, se non ha tempo che le basti neppure per attendere a' bisogni della casa? Il marito vuol essere servito; i figli or piangono, or gridano, or cercano mille cose. Andate a fare orazione in mezzo a tanti pensieri e disturbi! Appena poi le sarà permesso di andare alla chiesa a raccogliersi e comunicarsi nelle domeniche. Le resterà il buon desiderio, ma le sarà difficilissimo l'attendere alle cose di Dio come dovrebbe. È vero che in quella stessa privazione potrebbe meritare, rassegnandosi alla volontà di Dio, che in quella stato non altro da lei esige che rassegnazione e pazienza; ma in mezzo a tante distrazioni e disturbi, senza orazione, senza sacramenti, sarà moralmente impossibile l'avere questa virtuosa pazienza e rassegnazione.
Ma volesse Dio che le povere maritate non incorressero altro male che d'esser private di far le loro divozioni! Il maggior male si è il gran pericolo in cui le misere trovansi continuamente di perdere la grazia di Dio, dovendo praticare co' cognati o con altri parenti o amici del marito, così in casa propria, come nelle case degli altri. Ciò non l'intendono le zitelle, ma ben lo sanno le maritate, che tali pericoli alla giornata incontrano, e ben lo sanno i confessori che le confessano. Lasciamo poi da parte la vita infelice che fanno tutte le maritate. Maltrattamenti da' mariti, disgusti da' figli, bisogni di casa, soggezioni di suocere e cognate, dolori di parto (sempre con pericolo di morte), gelosie, scrupoli di coscienza circa l'educazione de' figli compongono una continua tempesta, nella quale vivono sempre gemendo le povere maritate. E Dio faccia che in questa tempesta non vi perdano anche l'anima, sicché non abbiano a patire un inferno in questa vita ed un altro nell'altra vita. Questa è la bella sorte che si procurano le donzelle che vanno al mondo. Ma come? replica quella zitella, fra tutte le maritate non ve n'è niuna santa? Sì, rispondo, ve n'è alcuna, ma chi? quella che si fa santa tra i
martirj, con soffrirli tutti per Dio, senza difettarvi e con somma pazienza. Ma quante se ne ritrovano di maritate di questa perfezione? sono mosche bianche. E poi se ne ritroverete alcuna, sentirete che sempre piange per dolore d'essere andata al mondo, quando poteva consacrarsi a Gesù Cristo. Io tra tutte le maritate divote mi ricordo di averne trovata neppur una contenta del suo stato.
La vera fortuna dunque è di quelle donzelle che si consacrano a Gesù Cristo. Elle non hanno i pericoli in cui son necessitate a ritrovarsi le maritate. Elle non son legate coll'affetto né a' figli né ad uomini di terra, né a robe né a vesti né a galanterie; perché, dove alle maritate bisognano veste pompose ed ornamenti per comparire da loro pari e compiacere i mariti, ad una zitella che si è data a Gesù Cristo basta ogni misera veste che la copra, e darebbe scandalo se altrimenti vestisse e si adornasse. Di più le vergini non hanno cura di casa, di figli né di marito; tutto il lor pensiero e cura è di piacere a Gesù Cristo, a cui han consacrata l'anima, il corpo e tutto il loro amore. Ond'è ch'elle hanno la mente più libera per pensare a Dio ed anco più tempo di fare orazione e di frequentar la comunione.
Ma veniamo alle scuse che apportano alcune donzelle fredde nell'amore di Gesù Cristo. Dice quella: io lascerei il mondo se potessi entrare in qualche monastero, almeno se potessi andare sempre alla chiesa a far le mie divozioni; ma non mi fido di restare alla casa, dove ho mali fratelli che mi maltrattano, ed all'incontro i miei parenti non mi vogliono mandare alla chiesa. Ma io dimando: tu vuoi lasciare il mondo per far vita comoda o per farti santa? per far la volontà tua o la volontà di Gesù Cristo? E se vuoi lasciarlo per farti santa e dar gusto a Gesù Cristo, ti dimando un'altra cosa: dimmi, dove consiste la santità? La santità non consiste già nello stare nel monastero o tutto il giorno alla chiesa, ma in far l'orazione e la comunione quando puoi e in ubbidire, in servire la casa, star ritirata e sopportare le fatiche e i disprezzi. E se andassi al monastero, che cosa pensi che faresti? star sempre nel coro o nella cella e poi andare al refettorio e stare a spasso? Nel monastero v'è bensì il tempo assegnato all'orazione, alla messa ed alla comunione; ma nell'altro tempo le monache anche hanno da servire il monastero, e specialmente le laiche, le quali, perché non vanno al coro, sono assegnate alla fatica e perciò han meno tempo di far orazione. Tutte dicono: monastero, monastero! Oh quanto hanno più comodo di fare orazione e di farsi sante le zitelle divote, che sono povere, nelle case loro, che nel monastero! Quante di costoro, che io so, si son pentite d'essere entrate in monastero! specialmente se il monastero è numeroso, dove alle povere laiche appena in certe parti si dà tempo per dire il rosario. Ma, padre mio, a casa mia ho padre e madre fastidiosi, ho fratelli impertinenti, tutti mi maltrattano, non ci posso stare. E bene? se vai al mondo, non avrai chi ti maltratta? Suocera, cognate, figli insolenti, marito... Oh Dio! se non fosse altro, potrete, o zitelle, sopportare i maltrattamenti de' mariti, che a principio promettono gran cose, ma poi tra poco tempo diventano non più mariti, ma tiranni
delle povere mogli, trattandole non più da compagne, ma da schiave? Dimandatelo, dimandatelo a tutte le maritate, se è vero quel che vi dico. Ma, senza dimandarlo, voi stesse già lo saprete nell'esempio delle vostre madri. Almeno quando voi vi siete date a Dio, quel che patite nelle vostre case lo patirete per amore di Gesù Cristo, e Gesù Cristo vi renderà leggiera e dolce la croce. Ma che pena patire, e patire per lo mondo e senza merito! Eh via, se Gesù vi chiama al suo amore, e vi vuole per sue spose, allegramente, che sarà suo pensiero di mantenervi consolate anche in mezzo a' patimenti.
Ciò però s'intende sempre che voi l'amerete e viverete da sue spose. Sentite dunque per ultimo i mezzi che avete da prendere per vivere da vere spose di Gesù Cristo e farvi sante. Per farsi santa una vergine non basta che conservi la sua verginità e sia chiamata sposa di Gesù Cristo, ma bisogna che pratichi le virtù di sposa di Gesù Cristo. Si dice nel vangelo che il cielo è simile alle vergini, ma a quali vergini? non già alle stolte, ma alle prudenti. Le prudenti furono introdotte alle nozze, ma alle stolte fu serrata la porta in faccia, dicendo loro lo sposo: Nescio vos, voi siete vergini, ma io non vi conosco per mie spose. Le vere spose di Gesù Cristo sieguono il loro sposo dov'egli va: Sequuntur agnum quocumque ierit1. Che cosa è seguir lo sposo? Lo spiega s. Agostino, è l'imitarlo seguendolo coll'anima e col corpo. Dopo che gli avete consacrato il corpo, bisogna che gli consacriate tutto il cuore, sì che il vostro cuore sia tutto applicato ad amarlo. E perciò bisogna prendere i mezzi acciocché siate tutte di Gesù Cristo.
Il primo mezzo é l'orazione mentale, alla quale dovete molto attendere. Ma non pensate che per fare orazione sia necessario star nel monastero o trattenervi tutto il giorno nella chiesa. È vero che nelle vostre case spesso vi sono romori e disturbi per le persone che vi praticano; nulladimeno quelle che vogliono ben sanno trovarsi il luogo e il tempo per far l'orazione, cioè quando la casa sta più quieta o pure nella mattina prima che gli altri s'alzino o nella sera quando vanno a letto. Né per fare orazione è necessario star sempre in ginocchio; l'orazione può farsi anche faticando ed anche camminando (quando non vi fosse altro comodo) con alzar la mente a Dio, pensando alla passione di Gesù Cristo e ad altro punto divoto.
Il secondo mezzo è la frequenza de' sacramenti della confessione e comunione. Per la confessione bisogna che ciascuna si elegga il suo direttore, dall'ubbidienza del quale in tutto dipenda, altrimenti non camminerà mai diritto. In quanto alla comunione poi bisogna ch'ella dipenda dall'ubbidienza; ma dee ella desiderarla e domandarla. Questo pane divino desidera fame. Gesù Cristo vuol esser desiderato. La comunione frequente è quella che rende le spose fedeli a Gesù Cristo, specialmente in conservar loro la santa purità. Il ss. sacramento conserva nell'anima tutte le virtù; ma par che l'effetto suo più particolare sia di conservare intatto il giglio della verginità, secondo parla il profeta, che chiama questo sacramento: Frumentum electorum et vinum germinans virgines2.
Il terzo mezzo è la ritiratezza e la cautela: Sicut lilium inter spinas, sic amica mea inter filias1. Una donzella che voglia mantenersi fedele a Gesù Cristo in mezzo alle conversazioni, alle burle o altre tresche del mondo, è impossibile; bisogna ch'ella si conservi tra le spine dell'astinenze e mortificazioni, usando specialmente cogli uomini non solo tutta la riserva e tutta la modestia nel guardare e nel parlare, ma tutta ancora l'austerità ed anche la rozzezza, quando bisogna: queste sono le spine che conservano i gigli; intendano le zitelle, altrimenti presto saran perdute. Il Signore chiama le guance della sua sposa belle come quelle della tortorella: Pulchrae sunt geneae tuae sicut turturis2. E perché? perché la tortorella per naturale istinto fugge la compagnia degli altri uccelli e se la fa sempre sola. Quella vergine allora comparirà bella agli occhi di Gesù Cristo quando sarà solitaria e farà quanto può per nascondersi dagli occhi altrui e non comparire. Dice s. Girolamo che questo sposo è geloso: Zelotypus est Iesus. Ond'è che molto gli dispiace di vedere una vergine che si è dedicata al suo amore e poi va cercando di comparire e di piacere agli uomini. Le donzelle sante procurano più presto di diventare brutte per non essere desiderate. La venerabile suor Caterina di Gesù, che fu poi monaca teresiana, si lavava coll'acqua lorda delle galline, e poi si metteva al sole a posta acciocché la sua faccia perdesse il buon colore. S. Andregesina vergine, come riferisce il Bollando, essendo stata promessa in matrimonio ad un uomo, pregò il Signore che la facesse diventare deforme, e subito fu esaudita, mentre subito comparve piena di lebbra, in modo che tutti la schifavano: ma poi sciolti che furono gli sponsali, le fu restituita l'antica bellezza. Narra di più Giacomo di Vitriaco3 che in un monastero vi stava una sacra vergine, degli occhi di cui erasi invaghito un certo principe, il quale minacciava di mettere a fuoco il monastero, se quella non l'avesse compiaciuto; onde ella che fece? si cavò gli occhi e glie l'inviò in un bacile, mandandogli a dire così: «Ecco quelle saette che ti hanno ferito il cuore; prendile e lasciami intatta l'anima». Narra di più lo stesso autore4 di s. Eufemia che, essendo ella stata promessa dal padre ad un certo conte che non lasciava mezzo per ottenerla in isposa, onde liberarsene, un giorno con un coltello tagliossi il naso e le labbra, dicendo a se stessa: «Vana mia bellezza, non sarai più a me occasione di peccato». Similmente narra s. Antonino, e lo conferma il Baronio5 di s. Ebba badessa del monastero colligamense che, temendo ella l'invasione de' barbari, con un rasoio si tagliò il naso e il labbro superiore sino a' denti; ed a suo esempio tutte le altre monache sino a trenta fecero lo stesso. Vennero giù i barbari e, vedendole così deformate, per rabbia posero fuoco al monastero e le fecero morire tutte bruciate vive. Onde la chiesa poi, come scrive lo stesso Baronio, le pose nel luogo de' martiri. Ciò non è lecito farlo ad altre: quelle sante lo fecero per impulso dello Spirito santo. Del resto vedete che han fatto le vergini amanti di Gesù Cristo per non farsi desiderare dagli uomini. Le altre
vergini divote debbon dunque almen procurare d'andar modeste e di farsi vedere quanto meno si può dagli uomini. Che se mai accadesse che una vergine ricevesse a caso e senza sua colpa dagli uomini qualche affronto per violenza, sappia ch'ella resterebbe pura come era. Così appunto rispose s. Lucia al tiranno che minacciava di volerla far disonorare: «Se farai, disse, ch'io sia offesa contro mia voglia, a me si raddoppierà la corona». È comune il proverbio: non il senso, ma il consenso è quel che nuoce. Ma sentite: una vergine che va modesta e riserbata, gli uomini non hanno animo di tentarla.
Il quarto mezzo per conservar la purità è la mortificazione de' sensi. Dice s. Basilio: Nulla in parte moechari convenit virginem; non lingua, non aure, non oculis, non tactu, multoque minus animo1. Una vergine, per mantenersi pura, dee essere onesta colla lingua, parlando sempre modestamente, e non mai cogli uomini, se non per necessità, ed allora con poche parole: onesta coll'orecchio, sfuggendo di ascoltare discorsi di cose di mondo: onesta cogli occhi, tenendoli o chiusi o rivolti alla terra in presenza degli uomini: onesta col tatto, usando in ciò tutta la cautela e con gli altri e con se stessa: soprattutto dee essere onesta coll'animo, procurando di resistere a tutti i pensieri impuri col ricorrere subito per aiuto a Gesù ed a Maria. Ed a questo fine bisogna che anche mortifichi il corpo con digiuni, astinenze, discipline, catenelle: ma queste cose non dee praticarle, se non coll'ubbidienza del confessore; altrimenti più presto le nuoceranno all'anima, rendendola superba. Queste penitenze dunque non bisogna farle senza l'ubbidienza, ma bisogna desiderarle e domandarle al confessore, altrimenti il direttore, se non ne vede il desiderio nella penitente, non gliele dà. Gesù è sposo di sangue, che si è sposato colle anime sulla croce, dove finì di darci tutto il suo sangue: Sponsus sanguinum tu mihi es2. Perciò le spose che l'amano amano il patire; e le tribolazioni, infermità, dolori, maltrattamenti, ingiurie le ricevono non solo con pazienza, ma anche con allegrezza: così intendesi quel passo che le vergini sieguono l'agnello dove va: Sequuntur agnum quocumque ierit3. Sieguono il loro sposo Gesù con lodi ed allegrezza dove esso va, o agli obbrobrj o alle pene; come han fatto tante verginelle sante che sono andate a' tormenti ed alla morte giubilando e ridendo.
Finalmente, sorelle, acciocché possiate ottener la perseveranza nella vita santa, bisogna vi raccomandiate spesso e molto alla regina delle vergini Maria ss. Ella è la mezzana che tratta e conchiude questi sponsalizj, ed ella conduce le vergini a sposarsi col suo Figlio: Adducentur... virgines post eam4. Ella finalmente è quella che a queste spose elette ottiene la fedeltà; altrimenti queste, senza l'aiuto di Maria, diventerebbero tutte spose infedeli.
Dopo che il predicatore avrà fatto inginocchiar tutte a' piedi del crocifisso o pure di qualche statuetta di Gesù bambino, la quale sarebbe più propria per questo sermone, dirà così: Orsù, voi che intendete di non esser del mondo ma di Gesù Cristo
(parlo per quelle zitelle che si sentono chiamate da questo divino sposo a lasciar il mondo per suo amore), non voglio già che questa mattina facciate voto né vi obblighiate ad osservar castità perpetua; questo voto lo farete poi quando ve l'inspira Dio e vi consente il confessore; voglio solamente che con un semplice atto, senza obbligo, ringraziate Gesù Cristo della grazia che vi fa di chiamarvi al suo amore, e vi offeriate ad esser tutte sue in questa vita. Ditegli dunque così: ah Gesù mio, mio Dio e mio Redentore, che siete morto per me, compatite se ardisco di chiamarvi anche sposo mio; ardisco, perché vedo che voi a quest'onore mi chiamate. E di questa grazia non so come ringraziarvi: io a quest'ora dovrei stare all'inferno; e voi, in vece di castigarmi, mi chiamate ad essere sposa vostra. Sì, sposo mio, io lascio il mondo, lascio tutto per amor vostro, e tutta a voi mi dono. Che mondo? che mondo? Gesù mio, da oggi innanzi voi avete da essere l'unico mio bene, l'unico amor mio. Già vedo che volete tutto il mio cuore, ed io tutto ve lo voglio dare. Accettatemi voi per pietà, non mi discacciate, come io merito. Scordatevi di tutti i disgusti che vi ho dati per lo passato, de' quali mi pento con tutta l'anima: fossi morta prima e non avessi mai offeso! Perdonatemi voi, infiammatemi del vostro santo amore e datemi l'aiuto vostro, acciocché io vi sia fedele e non vi lasci più. Voi, sposo mio, vi siete dato tutto a me: eccomi, io mi dono tutta a voi. Deh regina e madre mia, Maria, legate ed incatenate voi il cuor mio con Gesù Cristo; ma legatelo in modo che non se ne sciolga mai più. - In fine il predicatore darà loro la benedizione col crocifisso, dicendo: Ora voglio benedirvi, e con questa benedizione intendo di legarvi con Gesù Cristo, affinché non abbiate a lasciarlo mai più. E voi, mentre io vi benedico, mandate il vostro cuore a Gesù Cristo, dicendogli: Gesù mio, sposo mio, da oggi avanti te solo voglio amare e niente più.