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S. Alfonso Maria de Liguori
Sermoni compendiati

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SERMONE III. - PER LA DOMENICA III. DELL'AVVENTO

 

Dei mezzi necessarj alla salute.

Ego vox clamantis in deserto: Dirigite viam Domini.(Ioan. 1. 23.)

 

Tutti vorrebbero salvarsi ed andare a godere in paradiso; ma per giungere al paradiso bisogna prendere la via diritta che conduce al paradiso. Questa via diritta è l'osservanza de' divini precetti. Quindi il Battista predicava: Dirigite viam Domini. Acciocché poi possiamo sempre camminare per questa via del Signore senza torcere a destra o a sinistra, dobbiamo prendere i mezzi. I mezzi sono:

I. Diffidenza di noi stessi,

II. Confidenza in Dio,

III. Resistenza alle tentazioni.

 

MEZZO I. Diffidenza di noi stessi.

 

Dice l'Apostolo: Cum metu et tremore vestram salutem operamini4. Per acquistar la vita eterna bisogna che sempre temiamo, anzi tremiamo di noi stessi (cum metu et tremore) diffidando affatto delle nostre proprie forze; giacché noi senza la divina grazia niente possiamo fare: Sine me, disse Gesù Cristo, nihil potestis facere: niente possiamo fare di bene per le anime nostre. Dice s. Paolo che noi da per noi non siamo capaci neppure di fare un buon pensiero.


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Non quod sufficientes simus cogitare aliquid a nobis quasi ex nobis, sed sufficientia nostra ex Deo est1. Non possiamo neppure nominar Gesù utilmente con merito, senza l'aiuto dello Spirito santo: Et nemo potest dicere: Dominus Iesus, nisi in Spiritu sancto2.

 

Misero chi nella via di Dio confida in se stesso! Questa disgrazia ben la sperimentò s. Pietro, allorché Gesù Cristo, predicendogli che in quella notte l'avrebbe negato: In hac nocte, antequam gallus cantet, ter me negabis3: egli confidando nelle sue proprie forze e nella sua buona volontà, rispose: Etiam si oportuerit me mori tecum, non te negabo4. Ma che avvenne? Quando si trovò dopo la cattura di Gesù Cristo in quella notte nel cortile di Caifas, appena che fu ivi rimproverato di esser egli uno de' discepoli del Salvatore, preso dal timore rinnegò tre volte il suo Maestro, attestando che non l'avea mai conosciuto. Gran cosa! E tanto necessario a noi l'essere umili e diffidare di noi stessi, che Iddio si contenta più presto di permettere alle volte che noi cadiamo in qualche peccato, affinché così acquistiamo quest'umiltà e cognizione della nostra debolezza. Questa disgrazia avvenne anche a Davide, e perciò egli dopo il suo peccato confessa: Priusquam humiliarer, ego deliqui5.

 

Quindi lo Spirito santo chiama beato quell'uomo che sempre teme: Beatus homo qui semper est pavidus6. Chi teme di cadere, diffidando delle proprie forze, fugge quanto può le occasioni pericolose, si raccomanda spesso a Dio, e così si mantiene libero da' peccati. Ma chi non teme e confida in se stesso, facilmente si espone ai pericoli di cadere, poco si raccomanda a Dio e così cade. Figuriamoci che taluno stesse sulla cima di un monte, appeso ad una fune tenuta da un altro sopra d'un gran precipizio. Ora vedendosi costui in tal pericolo, non farebbe altro che pregare e dire a chi lo sostiene colla fune: Tieni, tieni forte per carità, non lasciare. Così sta ognuno di noi nel pericolo di cadere nell'abisso di tutte le scelleraggini, se Dio non ci sostiene colla sua mano. Perciò continuamente dobbiamo pregarlo che non ci tolga le mani da sopra e ci soccorra in tutti i pericoli.

 

S. Filippo Neri ogni mattina in levarsi diceva a Dio: Signore, tieni le mani oggi sopra Filippo, perché se no, Filippo ti tradisce. Ed un giorno, come si narra nella sua vita, camminando il santo per la città di Roma, e considerando la sua miseria, andava dicendo: son disperato, son disperato. Fu inteso ciò dire da un certo religioso, il quale, credendo ch'egli fosse veramente tentato di disperazione, lo corresse e l'animò a sperare nella divina bontà, ma il santo rispose allora: Io son disperato di me stesso, ma confido in Dio. Così bisogna che ancor noi passiamo questa vita, in cui troviamo tanti pericoli di perdere Dio, bisogna che viviamo sempre disperati di noi stessi, ma confidati in Dio.

 

MEZZO II. Della confidenza in Dio.

 

Scrive s. Francesco di Sales che se noi non attendessimo che a diffidare di noi, guardando solamente la nostra debolezza, ciò non servirebbe ad altro, che a renderci pusillanimi


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con gran pericolo di abbandonarci alla vita rilassata, oppure alla disperazione. Quanto più diffidiamo delle nostre forze, tanto più bisogna che confidiamo nella divina misericordia. Questa è una bilancia, dice il medesimo santo, nella quale quanto più s'innalza la coppa della confidenza in Dio, tanto più discende la coppa della diffidenza di noi stessi.

 

Uditemi, peccatori, che per vostra disgrazia per lo passato avete offeso Dio, e siete stati condannati all'inferno: se il demonio vi dice che poca speranza vi è per voi della vostra eterna salute, rispondetegli che la sacra scrittura dice: Nullus speravit in Domino et confusus est1: niun peccatore mai ha confidato nel Signore e si è perduto. E così voi abbiate fermo proposito di non più peccare, abbandonatevi nelle braccia della bontà di Dio, e non dubitate che Dio avrà pietà di voi, e vi salverà dall'inferno: Iacta super Dominum curam tuam, et ipse te enutriet2. Disse un giorno il Signore a s. Geltrude, come scrive Blosio: «Chi confida in me, mi fa tanta violenza, ch'io non posso far di meno di esaudirlo in ciò che mi domanda».

 

Dice il profeta Isaia: Qui autem sperant in Domino, mutabunt fortitudinem, assument pennas sicut aquilae, current, et non laborabunt, ambulabunt, et non deficient3: quei che pongono la loro confidenza in Dio, muteranno fortezza, lascieranno la debolezza propria, ed acquisteranno la fortezza divina, voleranno nella via del Signore come aquile, senza affaticarsi e senza mai mancare. Dice di più Davide: Sperantem autem in Domino misericordia circumdabit4. Chi spera nel Signore, sarà circondato talmente dalla sua misericordia, che da quella non potrà mai restare abbandonato.

 

Scrive s. Cipriano che la misericordia divina è una fonte d'infinita grandezza: chi vi porta un vaso più grande di confidenza, quegli ne riporta più grazie. Onde disse il profeta reale: Fiat misericordia tua, Domine, super nos, quemadmodum speravimus in te5. Quando dunque il demonio ci spaventa col porci davanti gli occhi tante difficoltà nel perseverare in grazia di Dio in mezzo a tante occasioni e pericoli che vi sono in questa vita, senza rispondergli, alziamo gli occhi a Dio, e speriamo nella sua bontà, che certamente da lui ci verrà l'aiuto per resistere ad ogni insulto: Levavi oculos meos in montes, unde veniet auxilium mihi6. E quando il nemico ci rappresenta la nostra debolezza, diciamo coll'Apostolo: Omnia possum in eo qui me confortat7. Io per me non posso nulla, ma confido in Dio, che colla sua grazia potrò tutto.

 

Perciò in mezzo a tanti pericoli, in cui ci troviamo di perderci, dobbiamo continuamente star rivolti a Gesù Cristo, con abbandonarci nelle mani di colui che ci ha redenti colla sua morte, e con dirgli: In manus tuas commendo spiritum meum: redemisti me, Domine Deus veritatis8. E dicendo così, dobbiamo conservare una gran confidenza di giungere alla vita eterna, soggiungendo: In te, Domine, speravi, non confundar in aeternum9.

 


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MEZZO III. Della resistenza alle tentazioni.

 

È troppo vero che nelle occasioni pericolose, quando con confidenza ricorriamo a Dio egli ci soccorre; ma talvolta in certe occasioni più istiganti vorrà il Signore che ci mettiamo anche la parte nostra con farci violenza a resistere. Non basterà allora che una o due volte ricorriamo a Dio, ma bisognerà che replichiamo le preghiere, con andare più volte a gemere davanti la beata Vergine ed a' piedi del crocifisso, esclamando con lagrime: Madre mia, Maria, aiutatemi: Gesù mio Salvatore, salvatemi; per pietà non mi abbandonate, non permettete ch'io vi abbia da perdere.

 

Ricordiamoci del vangelo che dice: Quam angusta porta, et arcta via est, quae ducit ad vitam! et pauci sunt, qui inveniunt eam1. La via del paradiso è stretta; come suol dirsi, non vi passa la carrozza; chi vuole andarvi in carrozza, non vi potrà entrare; e perciò pochi giungono al paradiso, perché pochi voglion farsi forza a resistere alle tentazioni: Regnum coelorum vim patitur, et violenti rapiunt illud2. Il regno de' cieli vim patitur, spiega un autore, vi quaeritur, invaditur, occupatur; bisogna cercarlo, ed acquistarlo con farsi violenza; chi vuole acquistarlo senza incomodo, con menare una vita sciolta e molle, non l'acquisterà e ne resterà escluso.

 

I santi per salvarsi sono andati chi a vivere in un chiostro, chi ad intanarsi in una grotta, chi ad abbracciare i tormenti e la morte, come hanno fatto i santi martiri: Violenti rapiunt illud. Alcuni si lamentano che non hanno confidenza in Dio; ma non si avvedono che la loro poca confidenza nasce dalla loro poca risoluzione di servire a Dio. Dicea s. Teresa: Di anime irresolute non ha paura il demonio. E scrisse il Savio: Desideria occidunt pigrum3. Alcuni vorrebbero salvarsi, vorrebbero farsi santi, ma non mai si risolvono a pigliarne i mezzi, la meditazione, la frequenza dei sacramenti, il distacco dalle creature; oppure pigliano e lasciano. Si pascono in somma di desiderj inefficaci, e frattanto seguono a vivere in disgrazia di Dio, oppure nella loro tepidezza, che finalmente li porta a perdere Dio, e così si avvera che desideria occidunt pigrum.

 

Se dunque vogliamo salvarci e farci santi, bisogna che facciamo una forte risoluzione, non solo in generale di darci a Dio, ma anche in particolare di prendere i mezzi opportuni; e dopo averli presi di non tralasciarli; e perciò bisogna che non lasciamo mai di pregare Gesù Cristo e la sua ss. madre, affinché ci ottengano la s. perseveranza.

 




4 Phil. 2. 12.

1 2. Cor. 3. 5.

2 1. Cor. 12. 3.

3 Matth. 26. 34.

4 Ibid. v. 35.

5 Ps. 118. 67.

6 Prov. 28. 14.

1 Eccl. 2. 11.

2 Ps. 54. 23.

3 Isa. 40. 31.

4 Ps. 31. 10.

5 Ps. 32. v.22.

6 Ps. 120. 1

7 Phil. 4. 13.

8 Ps. 30. 6.

9 Ibid. v. 1.

1 Matth. 7. 14.

2 Matth. 11. 12.

3 Prov. 21. 25.




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