Copertina | Indice: Generale - Opera | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText
S. Alfonso Maria de Liguori
Sermoni compendiati

IntraText CT - Lettura del testo
Precedente - Successivo

Clicca qui per nascondere i link alle concordanze

- 386 -


SERMONE XI. - PER LA DOMENICA VI. DOPO L'EPIFANIA.

 

Della morte dei giusti.

Simile est regnum coelorum fermento, quod acceptum mulier abscondit in farinae satis tribus, donec fermentatum est totum. (Matth. 13. 33.)

 

Nel presente evangelio si dice che la donna dopo aver posto il fermento nella pasta di farina, aspetta che quella sia tutta fermentata, e, come volgarmente si dice, che sia cresciuta abbastanza. Quindi il Signore ci fa intendere che il regno de' cieli, cioè l'acquisto della beatitudine eterna, è simile a tal fermento: per il fermento s'intende la grazia di Dio, la quale fa che l'anima acquisti meriti per la vita eterna: ma questa vita eterna allora si ottiene, quando totum est fermentatum, cioè quando l'anima è giunta al termine della vita presente ed al compimento de' suoi meriti. Quindi oggi parleremo della morte de' giusti, la quale non dee già temersi, ma desiderarsi con tutto l'animo, poiché scrive s. Bernardo: Triplex in morte congratulatio, hominem ab omni labore, peccato et periculo liberari. Dice il santo che l'uomo nella sua morte dee seco congratularsi di tre cose:

 

Per I. Perché la morte ci libera dalla fatica, cioè dal patire le miserie di questa vita ed i combattimenti de' nostri nemici;

 

Per II. Perché ci libera da' peccati attuali;

 

Per III. Perché ci libera dal pericolo di cader nell'inferno e ci apre il paradiso.

 

PUNTO I. La morte ci libera dalle miserie di questa vita e da' combattimenti de' nemici.

 

Che cosa è la morte? Risponde s. Eucherio: Terminus aerumnarum mors est. Disse Giobbe che la nostra vita, quantunque sia breve, nondimeno è ripiena di miserie, d'infermità, di traversie, di persecuzioni e di timori: Homo natus de muliere, brevi vivens tempore, repletur multis miseriis2. Gli uomini che desiderano di seguitare a vivere in questa terra, che altro desiderano, dice s. Agostino, che di seguitare a patire? Quid est diu vivere, nisi diu torqueri3? Sì, perché, secondo avverte s. Ambrogio, la vita presente non ci è data per riposare e godere, ma per faticare e patire, e colle fatiche e patimenti meritarci il paradiso: Haec vita homini non ad quietem


- 387 -


data est, sed ad laborem1. Quindi dice lo stesso s. dottore, che sebbene la morte sia stata data all'uomo in pena del peccato, non però son tanti i travagli di questa vita, che la morte par che siaci data per sollievo, non già per castigo: Ut mors remedium videatur esse, non poena.

 

I travagli poi più duri che patiscono in questa vita quei che amano Dio, sono gli assalti dell'inferno per far loro perdere la divina grazia; onde dice s. Dionigi l'Areopagita che essi allegramente vanno ad incontrare la morte, come termine de' loro combattimenti; e l'abbracciano con gioia, sapendo che facendo, come sperano, una buona morte, escono dal timore di cadere più in peccato: Divino gaudio ad mortis terminum tamquam ad finem certaminum tendunt, non amplius metuentes perverti2. Un'anima che ama Dio, quel che più la consola in sentir la nuova della morte, è il pensare che così sarà liberata da tante tentazioni, da tante angustie di coscienza e da tanti pericoli di offendere Dio. Ah che mentre viviamo, dice s. Ambrogio, inter laqueos ambulamus, camminiamo sempre tra i lacci dei nemici che c'insidiano la vita della grazia. Questo pericolo era quello che fece dire a s. Pietro d'Alcantara, mentre stava morendo: Fratello, scostati, era quegli un frate che in aiutarlo lo toccava, scostati, poiché ancora sto in vita, ed in pericolo di dannarmi. Questo pericolo ancora facea consolare s. Teresa ogni volta che sentiva suonare l'orologio, rallegrandosi che fosse passata un'altra ora di combattimento, poiché diceva: In ogni momento di vita si può peccare e perdere Dio. Ond'è che i santi alla nuova della morte non si accorano, ma giubilano, pensando che presto finiscono le battaglie ed i pericoli di perdere la divina grazia.

 

Iustus autem, si morte praeoccupatus fuerit, in refrigerio erit3. Chi sta preparato a morire, vivendo in mezzo a tanti pericoli temori di questa vita, prende in refrigerio la morte, qualunque ella sia. Dice s. Cipriano, se uno abitasse in una casa dove le mura son cadenti, e il solaio ed i tetti tremano, sicché tutto minaccia ruina, costui certamente desidererebbe di uscire quanto più presto può. Su questa terra tutto minaccia ruina alla povera anima, il mondo, i demonj, la carne, le passioni, tutti ci tirano al peccato ed alla morte eterna; perciò s. Paolo esclama: Quis me liberabit de corpore mortis huius4? Chi mi libererà da questo mio corpo, che vive continuamente moribondo per i combattimenti che prova? Onde poi stimava di fare un gran guadagno col morire, acquistando colla morte Gesù Cristo, che era la sua vera vita. Beati dunque coloro che muoiono nel Signore, mentre escono dalle pene e fatiche, e vanno al riposo: Beati mortui qui in Domino moriuntur. Amodo iam dicit Spiritus, ut requiescant a laboribus suis5. Si narra nelle vite de' padri antichi, che stando in morte un padre vecchio, gli altri piangeano, ma egli rideva; dimandato perché ridesse, rispose: e voi perché piangete vedendo che io vo al riposo? Ex labore ad requiem vado, et vos ploratis? Lo stesso diceva s. Caterina da Siena stando in morte: consolatevi meco, che lascio questa terra


- 388 -


di pene e vado al regno della pace. La morte de' santi è chiamata sonno, cioè riposo che Dio concede a' suoi diletti in premio delle loro fatiche: Cum dederit dilectis suis somnum, ecce haereditas Domini1. Quindi ogni anima che ama Dio, alla nuova della morte, non piange, né si turba, ma abbracciata col crocifisso ardendo di amore dice: In pace in idipsum dormiam et requiescam2.

 

Quel profisciscere de hoc mundo, che tanto spaventa i peccatori in punto di morte, non già spaventa i santi: Iustorum autem animae in manu Dei sunt, et non tanget illos tormentum mortis3. I santi non si affliggono, come i mondani, in dover lasciare i beni di questa terra, perché ne han tenuto distaccato il cuore: ciascuno di essi sempre è andato dicendo in vita che Dio era l'unico Signore del suo cuore e tutta la ricchezza che bramava: Quid mihi est in coelo? Et a te quid volui super terram? Deus cordis mei, et pars mea Deus in aeternum4. Non si affliggono in lasciare gli onori, perché l'unico onore da loro bramato è stato di amare e di esser amati da Dio; e tutti gli onori del mondo gli han tenuti per fumo e vanità, come sono. Non si affliggono in lasciare i parenti, perché gli hanno amati solo in Dio; morendo li lasciano raccomandati a quel Padre celeste che gli ama più di essi; ed avendo una sicura confidenza di salvarsi, sperano di poterli meglio aiutare dal paradiso, che da questa terra. In somma quel che spesso han detto in vita, Deus meus et omnia, con maggiore affetto lo van replicando in morte.

 

In oltre non perdono la loro pace per i dolori che porta seco la morte; ma vedendo che già sta in fine la loro vita, onde non resta loro più tempo di patire per Dio, e di offerirgli altri segni del loro amore, accettano allegramente quei dolori per offerirgli a Dio, quali ultime reliquie della loro vita, unendo la loro morte colla morte di Gesù Cristo, e così l'offeriscono alla divina maestà.

 

Inoltre, sebbene li affliggerà, nondimeno non li disturberà la memoria delle colpe commesse; poiché lo stesso pentimento che ne provano li assicura del perdono, sapendo che il Signore si è protestato di volersi scordare de' peccati de' veri penitenti: Si impius egerit poenitentiam... omnium iniquitatum eius non recordabor5. Dimanda s. Basilio, come taluno può persuadersi per certo che Dio l'abbia perdonato? Quomodo certo persuasus esse quis potest, quod Deus ei peccata dimiserit? E risponde: Nimirum si dicat, iniquitatem odio habui, et abominatus sum6. Chi detesta le sue colpe, e per quelle offerisce a Dio la sua morte, ben può star sicuro che Dio gli ha perdonato. Dice s. Agostino: Mors quae in lege naturae erat poena peccati, in lege gratiae est hostia pro peccato7: La morte che nella legge di natura era castigo della colpa, nella legge della grazia è divenuta sacrificio di penitenza, per cui la colpa vien perdonata.

 

Lo stesso amore che porta a Dio, lo assicura della sua grazia, e lo libera dal timore di dannarsi: Caritas mittit foras timorem8. Se voi trovandovi in morte non volete perdonare


- 389 -


al nemico, non volete restituire ciò che non è vostro, se volete mantener quell'amicizia disonesta: allora temete della vostra salute eterna, perché avete molta ragione di temere; ma se volete fuggire il peccato, e conservate nel cuore qualche testimonio di amore verso Dio, siate sicuri che Dio sta con voi, e se Dio è con voi, che timore avete? E se volete assicurarvi di avere in voi l'amor divino, abbracciate con pace, ed offerite di cuore la vostra morte a Dio: chi offerisce a Dio la sua morte fa un atto di amore il più perfetto che può fare, poiché abbracciando di buon animo la morte per piacere a Dio, ed in quel tempo e modo che piace a Dio, egli si rende simile a' ss. martiri, nei quali tutto il merito del loro martirio consiste in patire e morire per dar gusto a Dio.

 

PUNTO II. La morte ci libera dai peccati attuali.

 

In questa vita non si può vivere senza commettere qualche colpa, almeno leggiera: Septies enim cadet iustus1. Chi finisce di vivere, finisce di dar disgusto a Dio; onde s. Ambrogio chiamò la morte la sepoltura de' vizi, che colla morte restano sepolti e non compariscono più: Quid est mors, nisi sepultura vitiorum2? Il venerabile p. Vincenzo Caraffa, stando in punto di morte, con questo pensiero tutto si consolava dicendo: or che termino di vivere, termino di offendere più il mio Dio. Chi muore in grazia di Dio si mette nel felice stato di amarlo per sempre e di non potere più offenderlo: Mortuus nescit peccare; dicea lo stesso s. Ambrogio. Quindi scrisse: Quid tantopere vitam istam desideramus, in qua quanto diutius quis fuerit, tanto maiori oneratur sarcina peccatorum? Come mai, dice il santo, possiamo desiderare questa vita, essendo che quanto ella è più lunga, tanto maggiore in noi si farà la somma de' peccati?

 

Perciò il Signore loda più i morti, che qualunque uomo che vive: Laudavi magis mortuos quam viventes3. Sì, perché ogni uomo che vive, per santo che sia in questa terra non è esente da' peccati. Una persona spirituale ordinò che nella sua morte chi gliene avesse portato l'avviso, le dicesse così: «Consolati, perché giunto è quel tempo in cui non offenderai più Dio».

 

Soggiunge s. Ambrogio che Iddio ha voluto che la morte entrasse nel mondo, affinché gli uomini morendo cessassero di peccare: Passus est Dominus subintrare mortem, ut culpa cessaret4. È grande errore dunque il pensare che la morte sia castigo per colui che ama Dio; ella è segno di amore che Dio gli porta, mentre gli abbrevia la vita per toglierlo da mezzo ai peccati, da' quali non può restar libero, finché vive: Placita enim erat Deo anima illius, propter hoc properavit educere illum de medio iniquitatis5.

 

PUNTO III. La morte ci libera dal pericolo di cadere nell'inferno e ci apre il paradiso.

 

Pretiosa in conspectu Domini mors sanctorum eius6. La morte mirata secondo il senso, spaventa e si fa temere: ma secondo la fede, consola e si fa desiderare. Quanto ella comparisce terribile a' peccatori, altrettanto si dimostra amabile e preziosa ai santi: Pretiosa, scrive s.


- 390 -


Bernardo, tanquam finis laborum, victoriae consummatio, vitae ianua. L'allegrezza che ebbe il coppiere di Faraone quando intese da Giuseppe che fra breve dovea uscire dalla prigione, e ritornare al suo posto nella corte del re, fu molto minore di quella che avrà un'anima amante di Dio in sentire che dee esser liberata dall'esilio di questa terra, e andar nella patria a godere Dio. Dice l'apostolo che mentre viviamo col corpo nel mondo, andiamo vagando fuori della nostra patria in terra aliena e lontani dalla vita, che è la vita di Dio: Dum sumus in corpore, peregrinamur a Domino1. Onde scrive s. Brunone che la nostra morte non dee chiamarsi morte, ma principio della vita: Mors dicenda non est, sed vitae principium. Oppure come scrisse s. Atanasio: Non est iustis mors, sed translatio. La morte ai giusti non è altro che un passaggio dalle miserie di questa terra alle delizie eterne del paradiso. O morte amabile, dicea s. Agostino, e chi sarà che non ti desideri, giacché tu sei il termine de' mali, la fine della fatica, ed il principio del riposo eterno: O mors desiderabilis, malorum finis, laboris clausula, quietis principium!

 

Niuno può entrare nel cielo a vedere Dio, se non passa per questa porta della morte: Haec porta Domini, iusti intrabunt in eam2. Perciò s. Girolamo pregava la morte e le diceva: Aperi mihi, soror mea: morte, sorella mia, se tu non mi apri la porta, io non posso andare a godere il mio Dio. E s. Carlo Borromeo vedendo dipinto uno scheletro di morto con una falce in mano in un quadro che stava in sua casa, chiamò il pittore e gli ordinò che cancellasse quella falce e vi dipingesse una chiave d'oro, poiché la morte è quella che ci apre il paradiso. Se una regina stesse carcerata in una prigione oscura, quanto si rallegrerebbe in sentire che già si aprono le porte per trasportarla da quella carcere alla reggia? Ciò appunto Davide chiedeva a Dio, quando diceva: Educ de custodia animam meam3. Questa anche fu la grazia che il santo vecchio Simeone dimandò a Gesù bambino, quando l'ebbe tra le braccia, l'esser liberato colla morte dalla carcere della presente vita: Nunc dimittis servum tuum, Domine. Dice s. Ambrogio: Quasi necessitate teneretur, dimitti petit: come se s. Simeone fosse tenuto per forza a vivere in questa terra, cercò di essere liberato colla morte.

 

Ha ben ragione di temere la morte, dice s. Cipriano, il peccatore che dalla sua morte temporale ha da passare alla morte seconda, cioè alla morte eterna: Mori timeat qui ad secundam mortem de hac morte transibit; ma non già chi stando in grazia di Dio spera di passare dalla morte alla vita eterna che è la vera vita. Narrasi che un uomo ricco diede una buona somma a s. Giovanni Limosinario, acciocché ne facesse limosine, ed ottenesse da Dio una lunga vita all'unico figlio che aveva; ma il figlio poco tempo dopo se ne morì. Il padre si lagnava della morte del figlio, ma Dio per consolarlo gli mandò a dire per un angelo: tu hai cercata lunga vita al tuo figlio, e il Signore ti ha esaudito, mentre il tuo figlio sta in cielo ove gode una vita eterna. Questa fu la grazia che ci ottenne


- 391 -


il Redentore, secondo la promessa fatta per Osea1: Ero mors tua, o mors. Gesù Cristo colla sua redenzione diede morte alla morte, e fece che la morte per noi diventasse vita. Così disse s. Pionio martire, quando fu dimandato come potesse andare così allegro alla morte? Rispose: state in errore, io non vo alla morte, ma alla vita: Erratis, non ad mortem, sed ad vitam contendo2. Così parimente santa Sinforosa animava al martirio il suo figlio s. Sinforiano: Nate, tibi vita non eripitur, sed mutatur in melius.

 

Scrive s. Agostino che chi ama Dio, desidera di presto vederlo, e perciò patisce vivendo, e si rallegra morendo: Patienter vivit, delectabiliter moritur3. S. Teresa dicea che la vita per lei era una morte, onde compose quella sua celebre canzone: Muoio, perché non muoio. Alla gran serva di Dio d. Sancia Carriglio penitente del p.m. d'Avila fu rivelato un giorno che non le restava altro che un anno di vita, ma ella che rispose? «Oimè, disse, ho da stare un altro anno lontana da Dio! Oh anno lagrimevole, che mi sembrerà più lungo di un secolo!» Così parlano le anime che di cuore amano Dio. È segno di poco amore, il non aver desiderio di andar presto a vederlo.

 

Ma dirà taluno: io desidero di andare a veder Dio, ma temo la morte, temo i combattimenti che avrò allora coll'inferno: sento che ancora i santi han tremato in punto di morte, quanto più debbo tremar io? Rispondo: è vero che l'inferno non lascia d'insultare anche i santi nella morte, ma è vero ancora che Iddio non lascia di assistere a' servi suoi in quel punto; e dove cresce il pericolo egli accresce gli aiuti, dice s. Ambrogio: Ibi plus auxilii, ubi plus periculi4. Restò atterrito il servo di Eliseo quando vide la città che stava tutta circondata da' nemici; ma il santo gli fece coraggio, facendogli vedere molti angeli mandati da Dio in difesa; onde poi gli disse: Noli timere, plures enim nobiscum sunt quam cum illis5. Farà bensì l'inferno i suoi sforzi contro il moribondo, ma verrà l'angelo suo custode a confortarlo: verranno i suoi santi avvocati: verrà s. Michele destinato da Dio a difendere i servi fedeli in quell'ultimo contrasto co' demonj: verrà la Madre di Dio ad assistere al suo divoto: verrà Gesù Cristo a custodire dagli assalti infernali la sua pecorella, per la quale è morto in croce: egli le darà confidenza e forza da resistere, onde ella tutta coraggio dirà: Dominus illuminatio mea et salus mea, quem timebo6? Troppo vero è quel che dice Origene, che preme più a Dio la nostra salvezza, che al demonio la nostra perdizione, essendo molto più grande l'amore che Dio ci porta, dell'odio che ha per noi il demonio: Maior illi cura est ut nos ad veram pertrahat salutem, quam diabolo ut nos ad aeternam damnationem impellat7.

 

Dio è fedele, non mai permetterà che siamo tentati oltre le nostre forze: Fidelis Deus non patietur vos tentari supra id quod potestis8. È vero che alcuni santi in punto di morte han patiti grandi timori, ma questi sono stati pochi; il Signore l'ha permesso affin di purgarli in morte


- 392 -


da qualche loro difetto, come scrive il Belluacense: Iusti quandoque dure moriendo purgantur in hoc mundo. Del resto, comunemente parlando, si sa che i servi di Dio sono morti col riso in bocca. Il p. Giuseppe Scamacca, uomo di santa vita, dimandato se moriva con confidenza in Dio, rispose: e che forse ho servito a Maometto, che io abbia ora a dubitare della bontà del mio Dio, che non mi voglia salvare? Ah che il signore sa ben consolare i servi suoi nella loro morte. Anche tra i dolori della morte fa loro sentire certe grandi dolcezze, come saggi di quel paradiso, che loro tra poco vuol dare. Siccome quei che muoiono in peccato, cominciano sin da quel letto a sentire certi saggi d'inferno, certi straordinarj spaventi, rimorsi e lampi di disperazione; così all'incontro i santi cogli atti ferventi d'amore che allora fanno verso Dio, e colla confidenza e col desiderio che provano di presto vederlo, già prima di morire assaggiano quella pace, che pienamente poi goderanno in cielo.

 

Il p. Suarez morì con tanta pace, che morendo giunse a dire: Non avrei mai potuto pensare che fosse così dolce il morire. Il cardinal Baronio ammonito dal medico a non pensarefissamente alla morte, rispose: e perché? Acciocché forse il timor della morte non mi abbrevii la vita; ma io la morte non la temo, ma l'amo e la desidero. Il cardinal Ruffense, come narra il Sandero, andando a morir per la fede, condannato da Arrigo VIII., si pose le migliori vesti che avea, dicendo che andava alle nozze. Quando poi fu a vista del patibolo, buttò il suo bastoncello, e disse: camminate presto, piedi miei, poco siam lontani dal paradiso: Ite, pedes, parum a paradiso distamus. E prima di morire volle dire il Te Deum in ringraziamento a Dio, che lo facea morire per la s. fede; e così tutto allegro pose la testa sotto la mannaia. S. Francesco d'Assisi cantava morendo. Fra Elia gli disse: padre, morendo bisogna piangere, non cantare. Ma io, rispose il santo, non posso astenermi di cantare, vedendo che tra poco anderò a godere Dio. Una monaca Teresiana in punto di morte disse alle tre monache che piangeano: «Oh Dio, perché piangete? Io vo a ritrovare Gesù Cristo mio; se mi amate non piangete, ma rallegratevi meco1».

 

Narra il p. Granata che un certo cacciatore trovò nel bosco un solitario che steso sulla terra stava morendo e cantava. Come, gli disse, stando in tale stato puoi cantare? Rispose il romito: fratello, tra me e Dio non si frappone che il muro di questo mio corpo; ora vedo che cadendo a pezzi questa mia carne, si sfabbrica la carcere, ed io presto anderò a vedere Dio, e perciò mi rallegro e canto. S. Ignazio martire per lo stesso desiderio di andare a veder Dio dicea che se le fiere non fossero venute a sbranarlo, egli le avrebbe irritate per restarne divorato: Ego vim faciam ut devorer. S. Caterina da Genova si maravigliava, come taluni tenessero la morte per disgrazia, e diceva: «O morte amata, quanto sei malveduta! E perché non vieni a me che giorno e notte ti chiamo2

 

Ed oh che morte felice fanno specialmente i divoti della Madre di Dio! Il p. Binetti narrava che essendo andato ad assistere ad un moribondo che era stato divoto della b.


- 393 -


Vergine, colui gli disse: «Padre, non potete credere la consolazione che porta in morte il ricordarsi di aver servito alla Madonna. Ah padre mio, se sapeste qual contento io provo per aver servito a questa madre mia! Io non so spiegarlo». Qual gaudio poi apporterà agli amanti di Gesù Cristo la di lui venuta nel ss. viatico! Oh chi potesse allora dirgli, come gli disse s. Filippo Neri, stando in punto di morte, quando vide giunto il venerabile sacramento: Ecco l'amor mio, ecco il mio amore, datemi il mio amore! Ma per dire ciò bisogna avere amato assai Gesù Cristo in vita.

 




2 Iob. 14. 1.

3 Serm. 17. de Verb. Dom.

1 Serm. 43.

2 De Hier. Eccl. c. 7.

3 Sap. 4. 7.

4 Rom. 7. 24.

5 Apoc. 14. 13.

1 Psal. 126. 2.

2 Psal. 4. 9.

3 Sap. 3. 1.

4 Ps. 72. 25. et 26.

5 Ezech. 18. 22.

6 S. Bas. in Reg. inter 12.

7 L. 4. de Trin. c. 22.

8 1. Ioan. 4. 18.

1 Prov. 24. 16.

2 De Bono mortis, c. 4.

3 Eccl. 4. 2.

4 Loco supra cit.

5 Sap. 4. 14.

6 Psal. 115. 15.

1 2. Cor. 5. 6.

2 Psal. 117. 20.

3 Psal. 141. 8.

1 13. 14.

2 Apud. Euseb. l. 4. c. 14.

3 Tract. 9. in ep. Ioan.

4 Ad Ios. c. 5.

5 4. Reg. 6. 16.

6 Psal. 26. 1.

7 Homil. 20.

8 1. Cor. 10. 13.

1 Dising. Parol. 1. §. 6.

2 Vita c. 7.




Precedente - Successivo

Copertina | Indice: Generale - Opera | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText

IntraText® (V89) © 1996-2006 EuloTech