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S. Alfonso Maria de Liguori
Sermoni compendiati

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SERMONE XXVI. - PER LA DOMENICA V. DOPO PASQUA

 

Condizione della preghiera.

Petite et accipietis. (Ioan. 16. 24.)

 

Nel sermone trigesimonono dimostrerò quanto è necessaria a noi la preghiera, e quanto ella è efficace per ottenerci tutte le grazie che possono giovarci a conseguire la salute eterna: Omnipotens est oratio, scrisse s. Cipriano, et una cum sit omnia potest. E l'Ecclesiastico disse che niuno mai ha chiamato Dio in aiuto, e Dio l'ha disprezzato col non esaudirlo: Quis invocavit eum, et despexit illum3? No, questo non può succedere, perché il Signore ha promesso di esaudir chi lo prega: Petite et accipietis. Ma ciò s'intende quando lo prega, come dee pregarlo. Molti pregano, ma perché malamente pregano perciò non ottengono le grazie che desiderano: Petitis et non accipitis, eo quod male petatis4. Per pregare come si dee, dobbiam pregare

 

Punto I. Con umiltà;

 

Punto II. Con confidenza;

 

Punto III. Con perseveranza.

 

PUNTO I. Si dee pregare con umiltà.

 

Scrisse s. Giacomo che Iddio non esaudisce le preghiere de' superbi: Deus superbis resistit, humilibus autem dat gratiam5. Egli non può soffrire i superbi, alle loro preghiere resiste e non le sente. Avvertano ciò quei superbi che confidano nelle loro forze, e si stimano migliori degli altri; sappiano che le loro preghiere saranno ributtate dal Signore.

 

All'incontro il Signore non fa partire da sé le preghiere degli umili senza esaudirle: Oratio humiliantis se nubes penetrabit, et non discedet donec Altissimus aspiciat6. E Davide scrisse: Respexit Deus in orationem humilium7. La preghiera di chi si umilia penetra i cieli, e non si parte finché Dio la guardi e l'esaudisca: Humilias te, Deus venit ad te, dice s. Agostino: exaltas te, Deus fugit a te. Quando tu ti umilii Dio stesso


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da sé viene ad abbracciarti; ma se ti esalti e vanti della tua sapienza, delle tue azioni, allora Dio fugge da te e ti abbandona a te stesso.

 

Anche i peccatori che sono stati più dissoluti, quando si pentono di cuore de' loro peccati e si umiliano dinanzi a Dio, confessandosi indegni di ricevere ogni grazia, Dio non sa disprezzarli: Cor contritum et humiliatum Deus non despicies1. Passiamo a parlare degli altri punti, ove sono molte cose da dire.

 

PUNTO II. Si dee pregare con confidenza.

 

Nullus speravit in Domino et confusus est2. Oh che bel coraggio danno a' peccatori queste parole! Abbiano essi commesse le iniquità più enormi, sentano quel che loro dice lo Spirito santo: Nullus speravit in Domino et confusus est; non vi è stato mai alcuno che abbia riposta la sua confidenza nel Signore e sia restato abbandonato. Chi lo prega con confidenza ottiene tutto ciò che dimanda: Omnia quaecumque orantes petitis, credite quia accipietis et evenient vobis3. Quando le grazie che cerchiamo son grazie spirituali, utili all'anima, crediamo sicuramente di ottenerle, e certamente le otterremo. Perciò il Salvatore ci insegnò che domandando noi le grazie a Dio, non lo chiamiamo con altro nome che di Padre, Pater noster, acciocché ricorriamo a lui con quella confidenza, con cui ricorre un figlio ad un padre che l'ama.

 

Or attesa la promessa di Gesù Cristo di esaudir chi lo prega, chi può temere, scrive s. Agostino, che abbia a mancargli ciò che gli promette la stessa verità? Quis falli metuet, dum promittit veritas? Forse Iddio, dice la Scrittura, è simile agli uomini che promettono e poi non attendono, o perché nel promettere mentiscono, o perché dopo di aver promesso mutano intenzione? Non est Deus quasi homo, ut mentiatur, nec ut filius hominis ut mutetur; dixit ergo, et non faciet4? Il nostro Dio non può mentire, perché è la stessa verità, né può mutarsi, perché quanto egli dispone tutto è giusto e santo.

 

E perché molto desidera il nostro bene, perciò con tanta premura ci esorta ed inculca a domandare le grazie che ci bisognano: Petite et dabitur vobis: quaerite et invenietis: pulsate et aperietur vobis5. E perché mai, dice s. Agostino, tanto ci esorterebbe il Signore a cercargli le grazie, se non avesse la volontà di darcele? Non nos hortaretur ut peteremus, nisi dare vellet6. Tanto più che colla promessa fatta egli si è obbligato ad esaudire le nostre preghiere, con darci quel che gli domandiamo con confidenza di ottenerlo: Promittendo debitorem se fecit7.

 

Ma, dice taluno, io ho poca confidenza in Dio, perché son peccatore; troppo gli sono stato ingrato, e perciò vedo che non merito di essere esaudito. Ma gli fa sapere s. Tomaso che le nostre preghiere in impetrare le grazie non si appoggiano ai nostri meriti, ma alla divina misericordia: Oratio in impetrando non innititur nostris meritis, sed soli divinae misericordiae8. Sempre che noi gli chiediamo cose utili alla nostra eterna salute e lo preghiamo con confidenza, Iddio ci esaudisce. Ho


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detto cose utili alla salute, perché altrimenti se son cose che nuocono all'anima, il Signore non ci esaudisce né può esaudirci. Per esempio, se uno volesse vendicarsi di qualche ingiuria o volesse tirare a fine un affare di offesa a Dio, e lo pregasse a dargli aiuto, allora il Signore non lo sente, poiché allora, dice il Grisostomo, questo temerario nella stessa sua preghiera l'offende; non lo prega, ma in certo modo lo delude: Qui orat et peccat, non rogat Deum, sed eludit1.

 

Così ancora, se tu domandi il divino soccorso e vuoi che il Signore ti aiuti, bisogna che non vi metti un qualche impedimento che ti renda indegno di essere esaudito: come per esempio, se tu pregassi Dio a darti forza di non ricadere in quel peccato, e frattanto non vuoi toglier l'occasione del peccato, non vuoi astenerti di andare a quella casa, non allontanarti da quell'oggetto o da quel compagno cattivo; allora, se preghi, Iddio non ti ascolta, e perché? Opposuisti nubem tibi ne transeat oratio2. Se poi ricadi, non ti lagnare di Dio dicendo: io ho pregato il Signore a darmi forza di non cadere, ma egli non mi ha esaudito. Ma tu non vedi che non togliendo l'occasione hai frapposta una densa nuvola, colla quale hai impedito alla tua preghiera ne transeat, che non passasse a farsi udire da Dio?

 

Di più dee avvertirsi che la promessa di Gesù Cristo di esaudir chi lo prega non s'intende fatta per tutte le grazie temporali che noi gli cerchiamo, come sono il vincer quella lite, il fare una buona raccolta, l'esser liberato da quell'infermità o da quella persecuzione; queste grazie anche le concede Iddio quando è pregato, ma solo quando elle sono utili alla salute spirituale; altrimenti le nega, e le nega perché ci ama, vedendo che tali grazie sarebbero per noi disgrazie che ci nuocerebbero all'anima. Dice s. Agostino: Quid infirmo sit utile magis novit medicus, quam aegrotus3. E soggiunge che Dio nega ad alcuno per misericordia quel che concede ad un altro per castigo: Deus negat propitius, quae concedit iratus. Perciò s. Giovanni Damasceno scrisse che alle volte quando noi non otteniamo le grazie che cerchiamo, allora meglio le riceviamo, essendo meglio per noi l'esserci quelle negate, che concesse: Etiam si non accipias, non accipiendo accepisti, interdum enim non accipere, quam accipere satius est4. Spesso noi cerchiamo il veleno che ci uccide. Quanti se avessero finita la vita loro in quell'infermità o povertà che pativano, si sarebbero salvati: ma perché hanno ricuperata la sanità, o perché sono stati abbondantemente provveduti di robe e di dignità, sono cresciuti in superbia, si sono scordati di Dio, e così si sono dannati! Perciò ci esorta il Grisostomo: Orantes in eius potestate ponamus, ut nos illud petentes exaudiat, quod ipse nobis expedire cognoscit5. Le grazie temporali dunque noi dobbiamo chiederle a Dio sempre colla condizione se giovano all'anima.

 

All'incontro, quando sono grazie spirituali, come sono il perdono de' peccati, la perseveranza nel bene, l'amore di Dio, la luce per accettare la sua divina volontà; queste dobbiamo


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cercarle assolutamente, con ferma speranza di ottenerle: Si vos, cum sitis mali, nostis bona data dare filiis vestris, quanto magis Pater vester de coelo dabit spiritum bonum petentibus se1? Dice Gesù Cristo: se voi che siete così attaccati alle vostre robe, non sapete negare a' vostri figli i beni che vi sono stati dati da Dio, quanto più il vostro Padre celeste (che in se stesso è infinitamente ricco, e desidera più esso di farci bene che noi di riceverlo) darà lo spirito buono, cioè il pentimento delle colpe, il divino amore, la rassegnazione al divino volere, a chi glielo domanda? Quando Deus negabit, dice s. Bernardo, petentibus, qui etiam non petentes hortatur ut petant2? Come Dio potrà negare le grazie giovevoli alla salute a coloro che le chiedono, mentr'egli esorta a chiederle anche coloro che non le domandano?

 

Né allora che vien pregato il Signore, va cercando se chi prega sia giusto o peccatore; egli ha detto generalmente per tutti: Omnis enim qui petit, accipit3. Commenta l'autore dell'opera imperfetta, e dice: Omnis, sive iustus sive peccator sit4. E Gesù Cristo per animarci a pregare ed a cercare con gran confidenza queste grazie spirituali, ci disse: Amen, amen dico vobis, si quid petieritis Patrem in nomine meo, dabit vobis5. Come dicesse: peccatori, se voi non avete merito di ottener le grazie, l'ho ben io appresso mio Padre; cercate dunque in nome mio, cioè per i meriti miei, ed io vi prometto che otterrete quanto dimandate.

 

PUNTO III. Si dee pregare con perseveranza.

 

Sopra tutto bisogna pregare perseverantemente sino alla morte, senza cessar mai di pregare. Ciò significano quelle scritture che dicono: Oportet semper orare6. Vigilate itaque, omni tempore orantes7. Sine intermissione orate8. Quindi ci ammonisce l'Ecclesiastico dicendo: Non impediaris orare semper9. E vuol dire che non solo noi sempre dobbiamo pregare, ma dobbiamo anche attendere a togliere le occasioni che c'impediscono il pregare, perché lasciando di pregare resteremo privi degli aiuti divini, e saremo vinti dalle tentazioni. La perseveranza in grazia di Dio è dono tutto gratuito che da noi non può meritarsi, come dichiarò il concilio di Trento10, ma dice s. Agostino che questo dono può meritarsi colle preghiere, cioè si ottiene pregando: Hoc Dei donum suppliciter emereri potest, idest supplicando impetrari11. Onde scrisse il cardinal Bellarmino che la grazia della perseveranza Quotidie petenda est, ut quotidie obtineatur: dee cercarsi ogni giorno, altrimenti in quel giorno che lasceremo di chiederla, cadremo in peccato.

 

Se vogliamo dunque perseverare e salvarci, perché senza la perseveranza niuno si salva, bisogna che continuamente preghiamo. La nostra perseveranza sino alla morte dipende non da un solo soccorso, ma da mille soccorsi che in tutta la nostra vita speriamo ottenere da Dio per conservarci nella sua grazia: or a questa catena di soccorsi divini bisogna che corrisponda anche una catena di nostre preghiere, senza le


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quali il Signore ordinariamente non dispensa le grazie: se noi spezzeremo questa catena delle preghiere, e lasceremo di pregare, si spezzerà ancora la catena degli aiuti divini, e perderemo la perseveranza. Disse Gesù Cristo a' suoi discepoli, come abbiamo in s. Luca1: se ad alcuno di voi viene di notte a trovarlo un amico che gli dice: dammi in prestito tre pani, perché è giunto in mia casa un certo mio conoscente e non ho che dargli; esso gli risponderà: ora sto a letto è chiusa la porta non posso alzarmi. Ma se colui seguisse a bussar la porta, e non volesse partirsi, finalmente, non già per causa dell'amicizia, ma per la di lui importunità si alzerà e gli darà tutti i pani che tiene: Etsi non dabit illi surgens, eo quod amicus eius sit, propter improbitatem tamen eius surget, et dabit illi quotquot habet necessarios2. Or se quegli darebbe all'amico i suoi pani per la di lui importunità; quanto magis, dice s. Agostino, dabit Deus qui hortatur ut petamus, cui displicet si non petamus? Quanto più il Signore, se siamo perseveranti a pregare, ci darà le sue grazie, mentr'egli stesso ci esorta a cercarle, e gli diamo disgusto se non gliele cerchiamo?

 

Gli uomini s'infastidiscono in sentirsi chiedere più volte importunamente una cosa; ma Iddio ci esorta a replicar le preghiere, e non s'infastidisce, ma si compiace di vedersi replicatamente pregato. Scrive Cornelio a Lapide3 che il Signore vult nos esse perseverantes in oratione, usque ad importunitatem: vuole che siamo importuni nel domandargli le grazie. E prima lo scrisse s. Girolamo4: Haec importunitas apud Dominum opportuna est. Ciò significano quelle sue replicate parole, che soggiunge s. Luca5: Petite et accipietis; quaerite et invenietis; pulsate et aperietur vobis. Bastava l'aver detto petite, ma no, volle aggiungere, quaerite, pulsate: poiché volle con ciò farci intendere che noi in tutta la nostra vita dobbiamo fare, nel domandare le grazie, come fanno i mendicanti che sono importuni nel domandare le limosine; e benché licenziati, non lasciano di gridare, di bussare le porte e d'insistere a chiederle, finché non le ricevano.

 

Se dunque vogliamo la perseveranza da Dio, bisogna che siamo sempre importuni in domandargliela, quando ci leviamo nella mattina, quando facciamo la meditazione, quando udiamo la messa, quando visitiamo il ss. sacramento, quando andiamo a letto la sera, e specialmente poi quando siamo tentati dal demonio a commettere qualche peccato; sicché dobbiamo star sempre colla bocca aperta a pregare e dire: Signore, aiutatemi, assistetemi, datemi luce, datemi forza, tenetemi le mani sopra, non mi abbandonate. Bisogna far forza a Dio: Haec vis grata Deo, dice Tertulliano, questa forza che facciamo a Dio colle nostre preghiere, non lo tedia, ma gli piace e la gradisce. Soggiunge s. Gio. Climaco: Oratio pie Deo vim infert; le nostre orazioni costringono il Signore, ma con suo piacere, a farci le grazie che noi gli domandiamo. E perché egli molto si compiace di vedere onorata la sua divina Madre, perciò, come dice s. Bernardo, vuole che tutte le grazie che noi riceviamo, passino per mano di lei,


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quindi consiglia il santo: Quaeramus gratiam, et per Mariam quaeramus; quia mater est et frustrari non potest1. Quando noi per qualche grazia ci raccomandiamo a Maria, ella benignamente ci ascolta e prega per noi, e le preghiere di Maria non hanno mai ripulsa.

 




3 Eccl. 2. 12.

4 Iac. 4. 3.

5 Iac. 4. 6.

6 Eccl. 35. 21.

7 Psal. 101. 18.

1 Psal. 50. 19.

2 Eccl. 2. 11.

3 Marc. 11. 24.

4 Num. 23. 19.

5 Matth. 7. 7.

6 De Verb. Dom. serm. 5.

7 S. Aug. ibid. serm. 2.

8 2. 2. qu. 178. a. 2. ad 1.

1 Hom. 11. in Matth. 6.

2 Thren. 3. 44.

3 Tom. 3. c. 212.

4 Paral. l. 3. c. 15.

5 Hom. 15. in Matth.

1 Luc. 11. 13.

2 Serm. 2. de s. Andr.

3 Luc. 11. 10.

4 Hom. 18.

5 Ioan. 16. 23.

6 Luc. 18. 1.

7 Luc. 21. 36.

8 1. Thess. 5. 17.

9 Eccl. 18. 22.

10 Sess. 6. c. 13.

11 De dono persev. cap. 6.

1 Cap. 11. ex vers. 5.

2 Luc. 11. 8.

3 In Luc. 11.

4 In c. 11. Luc.

5 11. 9.

1 S. Bern. de Aquaed.




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