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S. Alfonso Maria de Liguori
Sermoni compendiati

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Secondo teatro del pretorio.

 

Giunto che fu al pretorio l'amabile Gesù, al comando de' ministri egli stesso si spoglia delle sue vesti, abbraccia la colonna, e poi vi applica le mani per esservi legato. Oh Dio; già si principio al crudele tormento! Angeli del cielo, venite ad assistere a questo doloroso spettacolo: e se non vi è permesso di liberare il vostro re dal barbaro strazio che gli preparano gli uomini, almeno venite a piangere per compassione. E tu, anima cristiana, imaginati di trovarti presente a questa orrenda carnificina del tuo amato Redentore. Guardalo come sta egli il tuo afflitto Gesù col capo dimesso guardando la terra, e tutto verecondo per lo rossore, aspettando la crudele carnificina. Ecco che que' barbari, come tanti cani arrabbiati, già si avventano co' flagelli su l'innocente Agnello. Vedi chi batte il petto, chi percuote le spalle, chi ferisce i fianchi, e chi le gambe: anche la sacra testa e la sua bella faccia non vanno esenti dalle percosse. Oimè, già scorre quel sangue divino da tutte le parti, già di sangue sono pieni i flagelli, le mani de' carnefici, la colonna e la terra! Laeditur (piange s. Pier Damiani) totoque flagris corpore laniatur; nunc scapulas, nunc crura cingunt; vulnera vulneribus, et plagas plagis recentibus addunt.

 

Ah crudeli, con chi tanto incrudelite? fermate, fermate: quest'uomo che voi tormentate è innocente e santo; noi siamo i rei, a noi toccano i flagelli e i tormenti. Eterno Padre, e come voi potete soffrire che il vostro diletto figliuolo a tanti spasimi soggiaccia, e non soccorrerlo? Che delitto ha egli mai commesso, che meriti una carnificina così vergognosa e così fiera? Propter scelus populi mei percussi eum. So ben, dice l'eterno Padre, che questo mio Figliuolo è santo, innocente e illibato; ma poiché egli si è offerto a soddisfare la mia giustizia per tutti i peccati degli uomini, conviene che io così l'abbandoni al furore de' suoi più fieri nemici.

 

Barbari, siete contenti? no, non sono contenti. Quei carnefici dopo averlo così flagellato, vogliono renderlo re di burla: e che fanno? lo fan sedere sopra una pietra, gli pongono sulle spalle impiagate uno straccio rosso in segno di porpora regale, una canna in mano in segno di scettro, e per corona un fascio di spine sulla testa, a modo di celata, che copriva tutto il capo dalla fronte sino al collo; ed acciocché le spine entrino più dentro, le ribattono colla canna: Acceperunt arundinem et percutiebant caput eius.

 

Non contenti di ciò se gl'inginocchiano avanti e lo deridono, dicendogli: ti salutiamo, o re de' giudei; e poi alzandosi con risa e scherni, gli davano schiaffi: Et genuflexi ante eum illudebant ei, dicentes: Ave, rex


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iudaeorum; et dabant ei alapas1. Va, anima divota, e riconoscilo tu per tuo Signore, mentre i suoi nemici lo straziano e lo deridono. Egli è re, ma ora è fatto re di dolore: è nondimeno ancora re di amore, mentre per l'amore che ti porta tanto patisce.

 

Dopo averlo così flagellato e coronato di spine, lo prendono, e così come stava tutto pieno di piaghe e di sangue, lo portano a Pilato. Pilato, vedendolo così ridotto, credette di quietare i giudei col farlo ad essi solamente vedere così lacerato come stava: onde menatolo fuori della loggia, lo mostrò loro, dicendo: ecco l'uomo: Exivit Pilatus foras, et dixit eis: ecce homo2. Come dicesse: Ecco quell'uomo del quale avevate paura che si facesse vostro re: eccol ridotto a stato in cui non può più vivere; lasciatelo andar a morire in sua casa giacché poco può restargli di vita. Eccolo ora ridotto in tale stato che appena sembra più uomo, e poco può restargli di vita: sicché permettetegli ch'egli resti in libertà, essendo abbastanza soddisfatto il vostro furore. Ma se voi contuttociò pretendete ch'io lo condanni a morte, vi dico che non posso farlo, mentre non trovo ragione di condannarlo: Non invenio in eo causam.

 

Ma siccome Pilato dalla loggia dimostra Gesù a quel popolo, così nel tempo stesso l'eterno Padre dal cielo presentava a noi il suo diletto Figliuolo, con dirci similmente: Ecce Homo; ecco quest'uomo che è l'unico mio diletto Figliuolo da me amato quanto me stesso: Hic est filius meus dilectus, in quo mihi bene complacui. Ecco l'uomo, vostro Salvatore, da me promesso e da voi tanto aspettato. Eccolo diventato l'uomo de' dolori. Vedete a quale compassionevole stato si è ridotto per l'amore che vi ha portato. Deh miratelo ed amatelo, e se non vi muovono i suoi pregi divini, almeno vi muovano ad amarlo questi dolori e queste ignominie che egli soffre per voi.

 

Ma alle voci di Pilato si placa forse la crudeltà de' nemici di Gesù? Ecco che i pontefici alzano di sotto la voce e gridano: Tolle, tolle, crucifige eum. Pilato, a che farcelo vedere? levacelo davanti gli occhi, non ce lo far vedere più con farlo morir crocifisso. Ma ciò non ostante, Pilato ancor ripugnava di condannarlo; onde minacciarono di accusarlo come nemico di Cesare, se non lo condannava: Si hunc dimittis, non es amicus Caesaris3. E così riuscì loro di ottener la condanna da Pilato, il quale allora prima si lavò le mani, dichiarando ch'egli non aveva nessuna colpa nella morte di quell'uomo: Innocens ego sum a sanguine iusti huius; vos videritis4. O ingiustizia non più intesa nel mondo! il giudice dichiara innocente l'accusato, e nello stesso tempo lo condanna alla morte!

 

Poveri giudei! voi diceste allora: Sanguis eius super nos et super filios nostros5. Voi stessi v'imprecaste il gastigo, il quale già vi è arrivato; i vostri figli già portano la pena di quel sangue innocente, e la porteranno sino alla fine del mondo.

 

Si legge la sentenza; Gesù, ubbidiente, l'accetta in pena de' nostri peccati: Humiliavit semetipsum, factus obediens usque ad mortem, mortem autem crucis6.


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Pubblicata la sentenza, gli rimettono le sue vesti, acciocché sia riconosciuto, mentre stava così maltrattato. Gli presentano la croce, Gesù l'abbraccia e se l'assume sulle spalle: Et baiulans sibi crucem exivit in eum qui dicitur Calvariae locum1. Esce la giustizia co' condannati, e tra questi va il nostro Redentore, portando quel legno in cui doveva lasciar la vita. O Dio! quel Messia che pochi giorni prima era stato acclamato nella domenica delle Palme (Benedictus qui venit in nomine Domini), si vide poi per le stesse vie andar legato e maledetto da tutti, a morire da malfattore. Che maraviglia vedere un Dio giustiziato! Faceva una vista così lagrimevole Gesù in questo viaggio, che movea tutti a piangere: Sequebatur illum turba populi et mulierum, quae plangebant et lamentabantur eum2. Guardatelo ancora voi, anime amanti di Gesù Cristo, vedete come va colle carni così lacerate scorrendo sangue con quel fascio di spine sulla testa, con quel pesante legno su le spalle; e mentre un di quei ministri lo tira violentemente con una fune, vedetelo come va col corpo curvo, colle ginocchia tremanti, scorrendo sangue, e cammina con tanta pena, che pare ad ogni passo spiri l'anima! O Agnello divino, non siete ancor sazio di dolori? Quanto caro vi costò il farmi comprendere la carità che avete avuta per me! Deh! concedetemi adunque quegli aiuti per amarvi, che mi avete meritati con tante pene. Donatemi quel santo fuoco che voi siete venuto ad accendere in terra col morire per noi. Ricordatemi sempre la vostra morte, acciò che io non mi scordi mai di amarvi.

 

Factus est principatus super humerum eius3. La croce appunto, dice Tertulliano, fu il nobile strumento con cui Gesù Cristo s'acquistò tante anime. Sì, perché morendo in quella egli pagò la pena de' nostri peccati, e così ci riscattò dall'inferno, e ci fece suoi: Quia peccata nostra ipse pertulit in corpore super lignum4. Dunque, o Gesù mio, se l'eterno Padre vi caricò di tutti i peccati degli uomini, posuit in eo iniquitatem omnium nostrum, io co' miei peccati vi rendei più pesante la croce che portaste al Calvario.

 

Ah mio dolcissimo Salvatore, già voi vedevate allora tutte l'ingiurie ch'io avea da farvi, con tutto ciò voi non lasciaste d'amarmi e di prepararmi tante misericordie che poi m'avete usate! Se io dunque a voi sono stato così caro, io vilissimo ed ingrato peccatore che tanto v'ho offeso, è ragione che ancora a me siate voi caro, voi mio Dio, bellezza e bontà infinita, che tanto mi avete amato. Ah! non vi avessi mai disgustato! Ora conosco, Gesù mio, il torto che v'ho fatto. O peccati miei maledetti, che avete fatto! Voi mi avete fatto amareggiare il cuore innamorato del mio Redentore; cuore che mi ha tanto amato. Deh! Gesù mio, perdonatemi, ch'io mi pento d'avervi disprezzato. Per l'avvenire voi avete da essere l'unico oggetto del mio amore. V'amo, o amabile infinito, con tutto il mio cuore, o risolvo di non amare altri che voi. Signore, perdonatemi, e datemi il vostro amore, e niente più vi domando. Amorem tui solum (vi dico con s. Ignazio) cum gratia tua mihi dona, et dives sum satis.




1 Matth. 27. 29. et Io. 19. 3.

2 Io. 19. 4. 5.

3 Io. 19. 12.

4 Matth. 27. 24.

5 Matth. 27. 25.

6 Phil. 2. 8.

1 Io. 19. 17.

2 Luc. 33. 25.

3 Is. 9.

4 1. Petri 2.




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