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Sant'Alfonso Maria de Liguori
Storia delle Eresie

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CAP. IV. ERESIE DEL SECOLO IV.

 

ART. I. Scisma ed eresia de' Donatisti

1. e 2. Dello scisma. 3. Dell'eresia. 4. e 5. Confutazione di s. Agostino. 6. Circoncellioni. 7. Conferenza ordinata da Onorio. 8. Morte di s. Marcellino e concilio di Cartagine.

 

1. Per ben intendere la storia dei Donatisti bisogna distinguere lo scisma


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dall'eresia; mentr'essi prima furono scismatici e poi eretici. Nello scisma ebbero per capo il primo Donato, nell'eresia poi ebbero per capo il secondo Donato, che da essi fu detto il Grande, come qui appresso spiegheremo. Nel principio del secolo IV. Mensurio vescovo di Cartagine fu accusato al tiranno Massenzio di aver occultato presso di sé un certo Felice diacono, autore d'una lettera fatta contro l'imperatore. Mensurio andò in Roma a difendersi, e nel ritorno che fece di , terminò la vita; onde in suo luogo fu eletto da tutto il popolo Ceciliano, e fu ordinato da Felice vescovo di Aptongo, o sia Aptungia e da altri prelati. Contro Ceciliano fu opposto da' suoi avversari che la sua ordinazione era nulla, per essere stata fatta da quei vescovi ch'erano stati traditori delle sacre scritture a' pagani; e di più caricavano esso Ceciliano di aver proibito di portare il vitto a' confessori carcerati per la fede. Or di questi congiurati si fece capo Donato vescovo delle Case Nere nella Numidia: e la congiura si fece potente pel favore di Lucilla dama spagnuola e facoltosa, la quale, ritrovandosi in Cartagine, ed essendo stata ripresa da Ceciliano, mentr'era diacono, perché malamente venerava anche con atti esterni come martire un certo defunto che non ancora era stato riconosciuto come tale dalla chiesa, per vendicarsene si unì co' congiurati, e sedusse per via di danaro molti vescovi. I quali adunatisi poi in numero di settanta con Secondo primate della Numidia in un conciliabolo deposero Ceciliano che stava assente, ed elessero Maiorino domestico di Lucilla, il quale fu ordinato vescovo dallo stesso Donato1.

2. Ciò non ostante Ceciliano si manteneva nella sua fede; onde i Donatisti ricorsero all'imperatore Costantino, il quale rimise la decisione di questa discordia a s. Melchiade papa; e s. Melchiade nell'anno 315., o secondo altri 316. in un concilio con 19 altri vescovi, dichiarò Ceciliano innocente e valida la sua ordinazione. Gli scismatici di tal sentenza scontenti di nuovo ricorsero a Costantino; e Costantino pose tutti i mezzi per sedarli, ma non poté ottenerlo: onde, seguendo i Donatisti a mantener la discordia, impose ad Eliano proconsole dell'Africa che avesse appurato se Felice, il quale aveva ordinato Ceciliano, era veramente reo del delitto appostogli di aver dati i libri sacri agl'idolatri. I congiurati, sapendo ciò, sedussero con danaro un notaio detto Ingenzio a dire il falso; ma quegli poi in comparire avanti il proconsole dichiarò che così Felice come Ceciliano erano innocenti. L'imperatore informato di ciò, restò ben persuaso della loro innocenza; ma per dar maggior soddisfazione a' Donatisti e vederli quietati, fece adunare un altro concilio in Arles, al quale s. Silvestro, succeduto a s. Melchiade nell'anno 314., mandò ancora i suoi legati a presedervi in suo nome; ed in quello stesso anno, o nel seguente furon di nuovo dichiarati innocenti Felice e Ceciliano da quel concilio2.

3. Con tutto ciò i Donatisti non si quietarono, ma crebbero in numero, ed il loro scisma si stese sino a Roma, come scrive Fleury3. Ed allora aggiunsero allo scisma l'eresia, tenendo per capo l'altro Donato chiamato il Grande, il quale, essendo ancora intinto dell'eresia Ariana, come rapporta s. Agostino4, era succeduto a Maiorino, con introdursi anch'egli iniquamente nel vescovado di Cartagine. Allora cominciò a disseminarsi nell'Africa l'eresia de' Donatisti5, la quale consisteva in un falso principio, da cui deduceano poi altri errori. Il loro principio falso era nel dire che la chiesa è composta solamente de' buoni, e che i mali son fuori della chiesa; e ciò intendeano provarlo col testo di s. Paolo, ove si dice


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che la chiesa di Gesù Cristo è immune da ogni macchia: Christus dilexit ecclesiam, et seipsum tradidit pro ea... ut exhiberet ipse sibi gloriosam ecclesiam non habentem maculam aut rugam etc.1. E con quell'altro testo dell'Apocalisse: Non intrabit in eam aliquod coinquinatum2. Da questa erronea proposizione inferivano poi3 due conseguenze peggiori ed eretiche; poiché, dicendo che la chiesa è composta solamente de' buoni, ne inferivano per 1. che la chiesa romana era perita, perché, avendo il papa cogli altri vescovi ammessi alla loro comunione i traditori, quali essi diceano essere Felice e Ceciliano, siccome il cattivo fermento corrompe tutta la massa, così la chiesa, essendo stata da essi corrotta, era mancata e perita; e solamente era rimasta pura nella parte dell'Africa, che aderiva a Donato: ed a provar ciò inettamente servivansi delle parole della sposa de' cantici: Indica mihi quem diligit anima mea, ubi pascas, ubi cubes in meridie4, applicando tal passo all'Africa, che trovasi posta nella parte meridionale del mondo. Ne inferivano per 2. che tutti i battesimi conferiti fuori della chiesa di Donato erano nulli, come dati in una chiesa già perita; e perciò essi ribattezzavano tutti coloro che non erano stati battezzati nella chiesa di Donato.

 

4. Ma queste due pessime conseguenze e marcie eresie da sé cadeano a terra, essendo evidentemente falsa la prima proposizione, che consista la chiesa nell'unione de' soli buoni; e ben li convinse s. Agostino nella conferenza, di cui parleremo qui a poco, dimostrando che quei testi di s. Paolo e di s. Giovanni della Chiesa immacolata riguardavano la chiesa trionfante; ma parlando della militante, il nostro medesimo Salvatore avea dichiarato in più luoghi ch'ella era composta di buoni e mali: poiché in un luogo l'assomigliò all'aia, in cui vi è frumento e paglia: Et permundabit aream suam, et congregabit triticum suum in horreum; paleas autem comburet igni inextinguibili5, in un altro la comparò ad un campo seminato, dicendo: Sinite utraque crescere usque ad messem, et in tempore messis dicam messoribus: Colligite primum zizania, et alligate ea in fasciculos ad comburendum, triticum autem congregate in horreum meum6.

5. Divenuti pertanto i Donatisti eretici, caddero poi in mille scelleraggini. Mandavano a terra gli altari de' Cattolici, rompeano i calici, spargeano al suolo il crisma, e davano a' cani la ss. eucaristia. Ma scrisse s. Ottato Milevitano7 su tal fatto che iidem canes accensi rabie ipsos dominos suos, quasi latrones sancti corporis reos, dente vindice, tamquam ignotos et inimicos, laniaverunt. E davano ancora in crudeltà contro de' Cattolici non solo vivi, ma anche morti, estraendoli dalle sepolture8. Da essi poi nello stesso tempo si tiene che cominciassero i Circoncellioni, ch'ebbero per capi Maxido e Farser, detti così, perché scorreano d'intorno alle città ed alle case. Questi, chiamati da Donato capi de' santi, si vantavano di essere i riparatori delle ingiustizie; ma essi ingiustissimamente senza alcuna autorità davano la libertà agli schiavi, e liberavano i debitori da ogni loro obbligo. Erano fanatici e crudeli: poiché andavano armati in truppe, ed uccideano coloro che non si accordavano colla lor credenza. Ma la maraviglia fu il vederli infierire ancora contro se stessi: giacché si ammazzavano volontariamente. Alcuni si precipitavano dall'alto delle rupi, altri si gittavano nel fuoco o nell'acqua, altri si tagliavano la gola, persuadendo anche gli altri ad imitarli, e dicendo i miseri che, facendo così, morivano martiri. Martiri però del demonio. Anche le donne all'esempio de' mariti davano in tali pazzie. Narra s. Agostino che alcune, essendo gravide, si gettarono in certi precipizj. Erano per altro


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essi in ciò rimproverati dagli stessi vescovi Donatisti, che per moderar la loro crudeltà implorarono l'autorità de' magistrati; ma non poteano negare che quelli erano loro allievi, caduti in tante malvagità, per essere stati imbevuti de' loro errori1.

6. Gl'imperatori Costantino e Costante figli di Costantino Magno e Valentiniano cercarono con severe leggi di sopprimere le insolenze e le ostinazioni de' Donatisti; ma poco o niente fecero. Al tempo poi dell'imperatore Onorio verso l'anno 410., abusando i Donatisti della libertà conceduta agli eretici di professar le loro sette, si adoprarono i vescovi dell'Africa con Onorio, acciocché rivocasse tal licenza, e l'ottennero: poiché Onorio pubblicò la legge (che è la legge 51. del codice Teodosiano) con cui proibì il professare qualunque religione fuori della cattolica, colla pena della proscrizione de' beni ed anche del sangue per coloro che tentassero di adunarsi pubblicamente per conferire o esercitare le pratiche della loro setta2. Ed a riguardo de' Donatisti impose a Marcellino tribuno imperiale, uomo molto dotto e prudente, di andare in Africa, e adunare in Cartagine tutti i vescovi cattolici e Donatisti, e fare ivi una conferenza per isgombrare gli errori, e mettere in chiaro la verità, a fine di stabilire una pace comune. I Donatisti prima ricusarono d'intervenire a tal conferenza; ma poi costretti dai nuovi ordini di Onorio vennero in Cartagine, ove si fece la conferenza nelle terme Gargiliane. I Donatisti furono 279. e i Cattolici 286. Marcellino per evitar la confusione non volle che tutti assistessero a tal conferenza, ma solo 36., con eleggersi 18. vescovi per parte. Gli scismatici poi ricusavano il giudizio di Marcellino: onde posero in campo molte questioni inutili, per tenere a bada l'assemblea; e specialmente concertarono fra di loro di non venire a trattare del punto, qual fosse la vera chiesa. Ma senza volerlo si trovarono un giorno impegnati da loro stessi a parlar della causa; del che essendosi accorti, non poterono trattenersi di lagnarsene3, dicendo: Ecco siamo insensibilmente condotti nel fondo della causa. Ed allora fu, come di sopra riferimmo, che s. Agostino pose in chiaro lume il punto, che la chiesa non è composta de' soli buoni, come diceano i Donatisti, ma in essa vi sono i buoni ed i mali, come nell'aia vi è frumento e paglia4. In somma dopo molti dibattimenti Marcellino pronunziò la sentenza a favor de' Cattolici5.

7. Ed allora molti scismatici si convertirono. Ma gli ostinati ne appellarono ad Onorio, il quale non diede loro udienza, anzi con suo decreto condannò ad una grave multa tutti coloro che non si fossero uniti alla società cattolica, minacciando l'esilio a' vescovi e chierici pertinaci. Essi dopo ciò diedero in furore contro i Cattolici; fecero morire Restituto, perché difendeva la chiesa6, e si adoprarono ancora col conte Marino, acciocché avesse fatto morire s. Marcellino: come in fatti avvenne; poiché Marino col pretesto che s. Marcellino fosse complice della ribellione fatta da Eracliano, del che era affatto innocente, dopo aver dato giuramento a Ceciliano suo amico di liberare s. Marcellino col suo fratello Aprinsio dalla prigione, in cui stavano per detta causa, nel giorno seguente li fece decapitare in un luogo insolito. Tutto ciò il cardinal Orsi7 lo ricava dalle opere di Orosio, s. Girolamo e s. Agostino. Sicché s. Marcellino morì martire, e Marino pagò la pena della sua ingiustizia; poiché tosto fu richiamato dall'Africa da Onorio, e fu spogliato di tutte le sue dignità. Nel concilio poi di Cartagine nell'anno 348. o 349., come riferisce Hermant8, che fu chiamato il Primo, i vescovi cattolici dell'Africa in gran numero si unirono a ringraziare il Signore di aver posto


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fine alla setta de' Donatisti, essendosi uniti ad essi i vescovi scismatici. In quel concilio si proibì di ribattezzare coloro che erano stati battezzati nella fede della Trinità, contro l'errore de' Donatisti, che diceano esser nullo il battesimo dato fuori della loro comunione. Di più fu proibito di onorare come martiri coloro che si erano uccisi da se stessi, a' quali solo per compassione si accordava la sepoltura. Ma, come scrive il cardinal Baronio1, i Donatisti persisterono sino al tempo di s. Gregorio Magno, il quale si affaticò per estirparli in tutto. In somma soggiugne Baronio2 che questi eretici posero in ruina la chiesa dell'Africa.

 




1 Baron. an. 303. n. 29. et an. 306. n. 74. et 75. Nat. Alex. t. 8. a. 1. §. 1. Fleury t. 2. l. 9. n. 34. Orsi t. 4. p. 358. Van-Ranst p. 66. Hermant t. 1. c. 75.



2 Hermant c. 78. 79. et 80.



3 t. 2. l. 10. n. 26.



4 L. de Haeres. c. 69.



5 Orsi t. 4. l. 11. n. 51. et 52.

1 Ephes. 5. 25. et 27.



2 Apoc. 21.27.



3 Nat. Al. t. 8. c. 3. a. 1. §. 1. et seq. Hermant t. 1. c. 75. Orsi t. 4. l. 11. n. 32. Van-Ranst. p. 66.



4 Cant. 1. 6.



5 Matth. 3. 12.



6 Matth. 13. 30. - Vide Nat. Al. t. 9. diss. 31.



7 S. Opt. l. 2. de Donatist.



8 Baron. an. 357. n. 152. Van-Ranst. p. 66. in fin. ex s. Optato in l. 6. contra Donatist. p. 95. et 96.



1 Fleury t. 2. l. 11. n. 46. Hermant c. 81.



2 Orsi t. 11. l. 25. n. 1.



3 Orsi n. 17. ex s. August.



4 Orsi ibid. n. 19.



5 Orsi n. 21. ad 24. Baron. A. 411. n. 24.



6 Baron. an. 412. n. 1. et seq. Orsi t. 28 et 29.



7 Ibid n. 69.



8 C. 99.

1 An 591. n. 29.



2 Idem. an. 596. n. 16.






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