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Sant'Alfonso Maria de Liguori
Storia delle Eresie

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CONFUT. II. ERESIA DI ARIO CHE NEGAVA LA DIVINITÀ DEL VERBO

 

§. 1. Si prova la divinità del Verbo colle sacre scritture.

 

1. Il dogma della chiesa cattolica è che il Verbo divino, cioè la persona del Figliuolo di Dio è per natura Dio, come il Padre, ed in tutto eguale al Padre, perfetto ed eterno, com'è il Padre, e consostanziale col Padre. Ario all'incontro bestemmiava che il Verbo non eraDio, né eterno, né consostanziale, né simile al Padre; ma che era una mera creatura fatta in tempo, ma più eccellente delle altre, a tal segno che per suo mezzo, come per un suo istromento, avea Dio create tutte le altre cose. Molti seguaci poi di Ario mitigarono la di lui dottrina: altri dissero che il Verbo era simile al Padre: altri dissero che era creato ab aeterno; ma niuno di essi volle mai accordargli l'essere consostanziale col Padre. Provata però che noi avremo la proposizione cattolica premessa, restano confutati non solo gli Ariani insieme cogli Anomei, Eunomiani ed Aeriani, che seguirono in tutto la dottrina di Ario, ma anche i Basiliani, che furono Semiariani; i quali così nel concilio Antiocheno dell'anno 341, come nel concilio Ancirano del 358., chiamarono il Verbo Omiusion Patri, cioè simile al Padre nella sostanza ma non vollero ammetterlo Omousion, cioè della stessa sostanza col Padre. Restano ancora confutati gli Acaciani, che tra gli Ariani e Semiariani tennero la via di mezzo, asserendo che il Verbo era Omion Patri, cioè simile al Padre, ma non già nella sostanza. Tutti costoro pertanto restano convinti col dimostrarsi che il Verbo non solo è in tutto simile al Padre, ma anche consostanziale col Padre, cioè della stessa sua sostanza. Restano per conseguenza anche convinti i Simoniani, i Cerintiani, gli Ebioniti, i Paulianisti, i Fotiniani, i quali furono i primi architetti di questa eresia, dicendo che Cristo era puro uomo, generato come gli altri da Maria santissima e s. Giuseppe, e che in niun modo esistesse prima di esser nato. Ma provata la verità cattolica che il Verbo è vero Dio come il Padre, tutti questi restan confutati; poiché il Verbo assunse in Cristo l'umanità in una persona, secondo parla s. Giovanni: Et Verbum caro factum est: onde provandosi che il Verbo è vero Dio, resta anche provato che Cristo non fu puro uomo, ma fu uomo e Dio.

 

2. Ciò si prova da più testi della scrittura, che qui riduciamo a tre classi. La prima classe contiene quei luoghi nei quali il verbo è appellato Dio, non già per grazia o predestinazione, come vogliono i Sociniani, ma vero Dio per natura e per sostanza. Scrive s. Giovanni


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nel suo vangelo: In principio erat Verbum, et Verbum erat apud Deum, et Deus erat Verbum. Hoc erat in principio apud Deum. Omnia per ipsum facta sunt, et sine ipso factum est nihil quod factum est; senza apporre il punto dopo la parola nihil, come avverte il Maldonato doversi leggere1. Questo luogo parvechiaro a favor della divinità del Verbo a s. Ilario, che scrisse2: Cum audio et Deus erat Verbum, non dictum solum audio Verbum Deum, sed demonstratum esse quod Deus est... Hic res significata substantia est cum dicitur Deus erat. Esse autem non est accidens nomen, sed subsistens veritas. Poco prima avea già il santo dottore preoccupata l'obbiezione di coloro i quali diceano che anche Mosè fu chiamato Dio di Faraone3, ed i giusti sono appellati Dei nel salmo 81 verso 6, onde il santo soggiunse: Aliud est Deum dari, aliud est Deum esse. In Pharaone enim Deus datus est (Moyses): ceterum non ei est et natura et nomen, ut Deus sit; vel sicut iusti Dii dicuntur: Ego dixi: Dii estis. Ubi enim refertur ego dixi, loquentis potius est sermo, quam rei nomen... et ubi se nuncupationis auctor ostendit, ibi per sermonem auctoris est nuncupatio, non naturale nomen in genere. At vero hic Verbum Deus est, res existit in Verbo, Verbi res enunciatur in nomine; Verbi enim appellatio in Dei Filio de sacramento nativitatis est. Sicché dice il santo che il nome di Dio rispetto a Mosè ed ai giusti descritti da Davide nel citato salmo 81 era un'appellazione data loro dal Signore per riguardo della loro autorità, ma non era già nome di essi loro; all'incontro parlandosi del Verbo, dice s. Giovanni che non solo il Verbo era appellato Dio, ma veramente era Dio, et Deus erat Verbum.

 

3. Ma oppongono per 2. i Sociniani che il testo di s. Giovanni non dee leggersi, come leggiamo noi, ma coll'interpunzione, o sia virgola dopo la parola erat, e mettendo il punto prima delle parole Hoc erat; sicché non dee leggersi: et Deus erat Verbum. Hoc erat in principio apud Deum. Ma così: et Deus erat, Verbum hoc erat in principio apud Deum. Ma questo sconvolgimento del vero senso non ha alcuno appoggio, ed è contrario non solo a tutte le nostre scritture approvate da' concilj, ma a tutta l'antichità, la quale sempre ha letto et Deus erat Verbum, senza divisione. Oltreché, se si ammettesse la lezione de' Sociniani, il senso del testo si renderebbe insulso; quasi che s. Giovanni ci volesse accertare che vi era Dio, dopo avere già detto che il Verbo era presso Dio. Si aggiunge che vi sono tanti altri testi, in cui il Verbo è appellato Dio; onde a' più dotti fra i Sociniani questa interpretazione è sembrata troppo inetta a favor della loro causa, e perciò han cercato altre vie per abbattere il testo presente: ma queste altre vie faremo vedere che anche sono insussistenti.

 

4. Oppongono per 3. gli Ariani, i quali fa maraviglia il vedere quanti cavilli inventarono per difendere i loro errori; oppongono, dico, che qui il Verbo è chiamato Dio, ma non quel Dio sommo per natura, che suol essere preceduto dall'articolo enfatico o' che qui manca. Ma noi osserviamo che in questo medesimo capo primo nel verso 6, parlando s. Giovanni del sommo Dio, dice: Fuit homo missus a Deo, cui nomen erat Ioannes; qui certamente parlò l'apostolo del sommo Dio, e pure l'o' vi manca, e lo stesso si osserva nei versi 12, 13, e 18. E così parimente in molti altri luoghi della scrittura si vede, parlandosi di Dio, tralasciato l'articolo o', come in s. Matteo 14, 33 e 27 43, in s. Paolo 1 Cor. 8, 4 e 6, a' Romani 1 7, agli Efesi 4 6. All'incontro vediamo che negli atti degli apostoli 7 43, nell'epist. 2 a' Corinti 4 4, ed a' Galati 4 8, appellandosi ivi l'idolo col nome di Dio, vi sta l'o'; ed è certo che s. Luca e s. Paolo non hanno mai pensato di canonizzare un idolo per sommo Dio. Del resto, come riflette s. Giovanni Grisostomo4, di cui è quasi tutta la risposta poco fa addotta, anche il


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Verbo è nominato Dio in qualche luogo con un articolo enfatico, siccome leggesi in s. Paolo: Ex quibus est Christus secundum carnem, qui est super omnia Deus benedictus in saecula1. Riflette di più s. Tommaso che nel luogo prima citato intanto si omette innanzi al nome di Dio l'o', perché ivi il nome di Dio tiene luogo, non di soggetto, ma di predicato: Ratio autem, son le parole di s. Tommaso, quare evangelista non apposuit articulum huic nomini Deus... est quod Deus ponitur hic in praedicato, et tenetur formaliter: consuetum erat autem quod nominibus in praedicato positis non ponitur articulus, cum discretionem importet2.

5. Oppongono per 4. che nel testo di s. Giovanni il Verbo è appellato Dio, non già perché fosse tale per natura e per sostanza, ma solo per dignità ed autorità, secondo la quale ragione dicono che il nome di Dio si accomoda nelle scritture anche agli angeli ed ai giudici. A ciò ha risposto già di sovra al num. 2. s. Ilario, che altro è dare ad un oggetto il nome di Dio, altro è dire che è Dio. Ma si aggiunge a questa un'altra risposta: è falso che il nome di Dio sia un nome appellativo, in modo che possa convenire assolutamente a chi non è Dio per natura, poiché sebbene alcune creature son nominate Dei, nondimeno a niuna di loro è dato il nome di Dio assolutamente, niuna è nominata vero Dio, o Dio altissimo, o in singolare, come si dice di Gesù Cristo in s. Giovanni: Et scimus, quoniam Filius Dei venit, et dedit nobis sensum, ut cognoscamus verum Deum, et simus in vero Filio eius3; in s. Paolo: Expectantes beatam spem et adventum gloriae magni Dei et Salvatoris nostri Iesu Christi4: ed a' Romani: Ex quibus est Christus secundum carnem qui est super omnia Deus benedictus in saecula5. Ed in s. Luca s. Zaccaria, profetando, disse al suo figliuolo Giovanni: Et tu puer propheta Altissimi vocaberis; praeibis enim ante faciem Domini parere vias eius... per viscera misericordiae Dei nostri, in quibus visitavit nos oriens ex alto6.

6. Dalle parole poi già prima riferite nel capo 1 di s. Giovanni ricavasi un altro chiaro argomento della divinità del Verbo. Dicesi ivi nelle parole seguenti: Omnia per ipsum facta sunt, et sine ipso factum est nihil quod factum est. Chi nega la divinità del Verbo, da queste parole bisogna che dica o che il Verbo non è stato fatto, ma è stato eterno, o che il Verbo si è fatto da se stesso. Ma il dire che il Verbo abbia fatto se stesso, ripugna evidentemente alla ragione, perché nemo dat quod non habet: dunque bisogna confessare che il Verbo non è stato fatto; altrimenti sarebbe falso quel che asserisce s. Giovanni, cioè che sine ipso factum est nihil quod factum est. Così argomenta s. Agostino7; e dalle predette parole il santo deduce con evidenza che il Verbo è della stessa sostanza del Padre: Neque enim dicit omnia, nisi quae facta sunt, idest omnem creaturam; unde liquido apparet ipsum factum non esse, per quem facta sunt omnia. Et si factum non est, creatura non est; si autem creatura non est, eiusdem cum Patre substantiae est. Omnis enim substantia quae Deus non est, creatura est; et quae creatura non est, Deus est. Et si non est Filius eiusdem substantiae, cuius Pater, ergo facta substantia est: si facta substantia est, non omnia per ipsum facta sunt. At omnia per ipsum facta sunt; ut unius igitur eiusdemque cum Patre substantiae est, et ideo non tantum Deus, sed et verus Deus. È un poco prolisso il passo di s. Agostino, ma è troppo convincente.

 

7. Veniamo alla seconda classe, che contiene quei luoghi dove si attribuisce al Verbo la stessa natura divina e la stessa sostanza del Padre. Ciò per 1. lo spiegò lo stesso Verbo Incarnato, allorché disse: Ego et Pater unum sumus8. Dicono gli Ariani che qui non si parla dell'unità di natura, ma


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dell'unità di consenso; e ciò lo disse anche Calvino, benché egli si protestava di non essere Ariano: Abusi sunt hoc loco veteres, ut probarent Christum esse Patri Omousion; neque enim Christus de unitate substantiae disputat, sed de consensu quem cum Patre habet. Ma i santi padri, che meritano più credito di Calvino e degli Ariani, l'intendono dell'unità di sostanza. Ecco come parla s. Atanasio1: Quod si duo unum sunt, necesse est illos duos quidem esse unum vere secundum divinitatem, et quatenus Filius Patri est consubstantialis... ita ut duo quidem sint, quia Pater est et Filius; unum autem, quia Deus unus est. Così l'intese anche s. Cipriano2: Dicit Dominus: Ego et Pater unum sumus. Et iterum de Patre et Filio et Spiritu sancto scriptum est: Et hi tres unum sunt. Così l'intese anche s. Ambrogio3, e l'intesero s. Agostino e s. Giovanni Grisostomo, come vedremo da qui a poco; e così l'intesero anche i giudei, i quali al sentire queste parole da Gesù Cristo, presero le pietre per lapidarlo, come si ha nel vangelo di s. Giovanni c. 10 32. Ed allora disse il Signore: Multa bona opera ostendi vobis ex Patre meo; propter quod bonum opus me lapidatis? Ed i giudei risposero: De bono opere non lapidamus te, sed de blasphemia, et quia tu, homo cum sis, facis te ipsum Deum. Scrive s. Agostino4: Ecce Iudaei intellexerunt quod non intelligunt Ariani. Ideo enim irati sunt, quoniam senserunt non posse dici: Ego et Pater unum sumus, nisi ubi aequalitas est Patris et Filii. Soggiunge qui s. Giovanni Grisostomo che, se i giudei avessero errato nel credere che il Salvatore con quelle parole avesse voluto farsi eguale al Padre nella potenza, tosto per quietarli avrebbele spiegate; ma non fece così: Non tamen, son le parole del santo, hanc Iesus abstulit suspicionem, quae si falsa fuisset, corrigenda fuisset, et dicendum: Cur hoc facitis? Non parem meam dico et Patris potestatem5. Anzi per contrario confermò loro il sospetto riprendendoli, come siegue a dire il Grisostomo: Sed nunc totum contrarium, eam confirmat, et maxime cum exasperarentur; neque se accusat ac si male dixisset, sed illos reprehendit. Ed ecco qual fu la riprensione colla quale bastantemente spiegò ch'egli era eguale al Padre: Si non facio opera Patris mei, nolite credere mihi; si autem facio, et si mihi non vultis credere, operibus credite, ut cognoscatis et credatis, quia Pater in me est, et ego in Patre6. Del resto nel concilio di Caifas, come di sovra si è accennato, dichiarò espressamente Cristo ch'egli era vero Figlio di Dio, secondo scrive s. Marco7: Rursum summus sacerdos interrogabat eum, et dixit ei: Tu es Christus Filius Dei benedicti? Iesus autem dixit illi: Ego sum. Posto ciò, chi mai ardirà di dire che Gesù Cristo non sia Figlio di Dio, quando egli stesso l'ha espressamente affermato?

 

8. Ma dicono gli Ariani che quando il Salvatore pregò il Padre per tutti i suoi discepoli, disse: Et ego claritatem quam dedisti mihi, dedi eis, ut sint unum, sicut et nos unum sumus8. Ecco, dicono, che qui si parla certamente di unità di volontà, e non già di sostanza. Ma si risponde che altro è dire: Ego et Pater unum sumus, altro è dire: Ut sint unum, sicut et nos unum sumus. Siccome altro è dire: Pater vester coelestis perfectus est, altro è dire: Estote ergo vos perfecti, sicut et Pater vester coelestis perfectus est9. La particola sicut dinota somiglianza, o sia imitazione, come spiega s. Atanasio le citate parole: Ut sint unum, sicut nos unum sumus; particulam sicut imitationem declarare, non eundem modum coniunctionis10. Onde siccome ci esorta il Signore ad imitare la perfezione divina, per quanto possiamo, così pregava che i discepoli giungessero ad unirsi con Dio per quanto n'erano capaci, il che certamente non può intendersi


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che dell'unione di volontà. Ma quando disse Gesù Cristo: Ego et Pater unum sumus, non parlava d'imitazione, ma di unità di sostanza, affermando con proposizione assoluta di essere una stessa cosa col Padre: unum sumus.

 

9. Ciò si conferma poi da due altri testi molto chiari. Disse il medesimo Signore: Omnia quaecumque habet Pater mea sunt1; e nel capo seguente 17 vers. 10 disse: Et mea omnia tua sunt, et tua mea sunt. Le quali parole dette senz'alcuna limitazione dimostrano ad evidenza la consostanzialità che Cristo ha col Padre; poiché asserendo ch'egli ha ogni cosa che ha il Padre, chi oserà di dire che il Padre ha qualche cosa di più che il Figlio non ha? E sarebbe negare al Figlio ogni cosa, se a lui si negasse la stessa sostanza del Padre; perché in tal caso sarebbe egli infinitamente minore del Padre: ma Gesù disse che ha tutto ciò che ha il Padre senza eccezione, e per conseguenza egli in tutto è eguale al Padre. Nihil, scrive s. Agostino, Patres minus habet ille qui dicit: Omnia quae habet Pater mea sunt; aequalis est igitur2.

10. Lo stesso confermò s. Paolo quando scrisse di Cristo: Qui cum in forma Dei esset, non rapinam arbitratus est esse se aequalem Deo, sed semetipsum exinanivit formam servi accipiens3. Dice dunque l'apostolo che Gesù Cristo si abbassò a prendere carne umana, semetipsum exinanivit formam servi accipiens: ciò non può intendersi altrimenti che delle due nature in cui fu Cristo; poiché si esinanì ad assumer la natura di servo, essendo già nella natura divina, come è chiaro dalle parole antecedenti, cum in forma Dei esset, non rapinam arbitratus est esse se aequalem Deo. Se Cristo ha stimato non esser usurpazione l'essersi dichiarato eguale a Dio, non può negarsi essere egli della stessa sostanza di Dio; altrimenti sarebbe stata rapina il dire ch'egli era eguale a Dio. E così dice s. Agostino intendersi quel che disse Gesù Cristo in altro luogo4: Pater maior me est, cioè ch'egli era minore del Padre secondo la forma presa di servo col farsi uomo, ma che secondo la forma presa di Dio che avea per natura, e non avea perduta col farsi uomo, non era già minore del Padre, ma eguale. Ecco le parole del santo: In forma Dei aequalem esse Deo, non ei rapina fuerat, sed natura... Propterea vero Patrem dicit esse maiorem, quia seipsum exinanivit formam servi accipiens, non amittens Dei5.

11. Lo stesso confermasi da quel che disse il medesimo nostro Salvatore: Quaecumque enim ille fecerit, haec et Filius similiter facit6. Da ciò s. Ilario conclude essere il Figlio di Dio vero Dio come il Padre: Filius est, quia ab se nihil potest: Deus est, quia quaecumque Pater facit, et ipse eadem facit: unum sunt, quia eadem facit, non alia7. Non può aver la stessa operazione indivisa col Padre chi non è consostanziale col Padre, mentre in Dio non vi è distinzione fra operazione e sostanza.

 

12. Nella terza classe si pongono quei luoghi della scrittura in cui si attribuiscono al Verbo gli attributi che non possono competere se non a chi è Dio per natura, ed ha la stessa sostanza col Padre. Per 1. si attribuisce al Verbo l'eternità dalle prime parole di s. Giovanni: In principio erat Verbum8. Il termine erat dinota che il Verbo sempre è stato; e perciò, come riflette s. Ambrogio9, s. Giovanni lo replica ivi quattro volte: Ecce quater erat; ubi impius invenit quod non erat? Oltre poi la parola erat, la stessa voce In principio conferma questa verità, che il Verbo era eterno. In principio erat Verbum, viene a dire: prima di tutte le cose esisteva il Verbo. Ed in vigor di questo testo appunto il concilio di Nicea I. condannò la proposizione degli Ariani, che diceano: Fuit aliquando tempus quando Filius Dei non erat.


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13. Dicono per 1. gli Ariani che s. Agostino1 interpretò questa voce: In principio per lo stesso Padre; secondo la quale interpretazione dicono che il Verbo poteva esistere in Dio prima di tutte le cose, ma senza esser eterno. Ma a ciò rispondiamo che, quantunque in principio si volesse intendere in Patre, sempre che si ammette che il Verbo era prima di tutte le cose, ne siegue che il Verbo è stato eterno, e non è stato mai fatto; poiché essendo state fatte da esso tutte le cose, Omnia per ipsum facta sunt, se il Verbo non fosse stato eterno, ma creato nel tempo, avrebbe dovuto il Verbo egli creare se stesso; il che è impossibile secondo la massima comune e certa già detta di sovra che Nemo dat quod non habet.

 

14. Dicono per 2. che la voce in principio s'intende secondo sta nel capo 1 della Genesi: In principio creavit Deus coelum et terram; sicché s'intende parimente della creazione del Verbo. Ma rispondiamo che Mosè disse: In principio creavit Deus, ma s. Giovanni non disse che il Verbo in principio fu creato, ma che erat, e che per esso sono state fatte tutte le cose.

 

15. Dicono per 3. che col nome di Verbo non s'intende una persona distinta dal Padre, ma la sapienza del Padre interna, da lui non distinta, per cui tutte le cose furon fatte. Ma neppure ciò può dirsi, perché s. Giovanni di questo Verbo, del quale dice: Omnia per ipsum facta sunt, soggiunge in fine dello stesso capo: Et Verbum caro factum est, et habitavit in nobis; le quali parole non possono intendersi della sapienza interna del Padre, ma certamente s'intendono di quel Verbo, per cui dicesi essere state fatte tutte le cose, e che poi si è fatto carne, essendo Figlio di Dio, come ivi stesso dichiarasi: Et vidimus gloriam eius, gloriam quasi unigeniti a Patre. E ciò vien confermato dall'apostolo dove scrisse che per mezzo del Figlio (il quale da s. Giovanni è chiamato Verbo) è stato fatto il mondo: Diebus istis locutus est nobis in Filio... per quem fecit et saecula2. Oltreché si prova l'eternità del Verbo colle parole dell'Apocalisse3: Ego sum alpha et omega, principium et finis... qui est et qui erat et qui venturus est. Di più col testo di s. Paolo agli ebrei4: Iesus Christus heri et hodie: ipse et in saecula.

 

16. Ario sempre negò che il Verbo era stato eterno; ma alcuni suoi ultimi discepoli convinti dalle Scritture vennero a concedere che il Verbo era stato eterno, ma era stata una creatura eterna, non già persona divina. A questo nuovo errore inventato dagli Ariani ho ritrovato che più teologi rispondono essere impossibile che una creatura, sia stata eterna: dicono che una creatura per potersi dire creata, bisogna che sia stata prodotta ex nihilo, sicché dal non essere sia passata all'essere; onde bisogna supporre che vi sia stato un tempo in cui quella creatura non era. Ma questa risposta non convince, né abbatte l'errore, perché s. Tommaso probabilissimamente insegna5 che per dirsi una cosa creata non è necessario che si dia un tempo in cui ella non è stata, sicché sia preceduto all'essere il non essere; ma dice esser sufficiente che quella creatura era niente per sua natura, o sia per se stessa, e che da Dio abbia avuto l'essere. Scrive il santo dottore che per dirsi una cosa fatta dal niente requiritur, sono le sue parole, ut non esse praecedat esse rei, non duratione, sed natura: quia videlicet, si ipsa sibi relinqueretur, nihil esset, esse vero solum ab alio habet. Posto dunque che per dirsi una cosa creata non si ricerca che sia preceduto un tempo in cui ella non era, ben poteva Iddio, il quale è eterno, darle ab aeterno quell'essere che la creatura per sua natura non avea. La risposta pertanto congruente e convincente parmi che sia questa, cioè che il Verbo, essendo eterno, come si è provato, non può mai dirsi essere stata creatura; mentre è di fede, come insegnano


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tutti i santi padri con s. Tommaso1, che di fatto non vi è stata mai alcuna creatura eterna, poiché tutte le creature sono state fatte in tempo, ed in quel principio descritto da Mosè, in cui fu creato il mondo: In principio creavit Deus coelum et terram. La creazione del cielo e della terra, secondo la dottrina di tutti i padri e teologi, comprende la creazione di tutte le cose, così materiali, come spirituali. Il Verbo all'incontro è stato esistente prima di esservi alcuna creatura, come sta scritto ne' proverbi, dove parla la Sapienza, cioè il Verbo, e dice: Dominus possedit me in initio viarum suarum, antequam quidquam faceret a principio2. Sicché il Verbo non è cosa creata, mentr'egli è stato prima che Dio facesse alcuna cosa.

 

17. Né da ciò potranno mai i moderni materialisti infierire che la materia abbia potuto essere eterna da sé; perché intanto noi diciamo che una creatura ha potuto essere ab aeterno, in quanto Dio ab aeterno ha potuto darle quell'essere che non avea, il che per altro non è mai stato: ma la materia come abbiam dimostrato nel libro della Verità della fede, non poteva esistere da se stessa, senza che Dio le avesse dato l'essere; poiché non poteva ella dare a sé quell'essere che non avea, per l'assioma più volte replicato che nemo dat quod non habet. Dalle parole poi di s. Giovanni, che parlando del Verbo dice: Omnia per ipsum facta sunt, non solo s'inferisce la sua eternità, ma ancora la potenza di creare, la quale non può competere che a Dio; mentre per creare vi bisogna una virtù ed una potenza infinita, che, come dicono tutti i teologi, Iddio non può comunicare ad una creatura. Ma ritornando al punto dell'eternità del Verbo, diciamo che se il Padre ha dovuto per necessità di natura ab aeterno generare il Figliuolo, essendo stato eterno il Padre, eterno ancora è stato sempre il Figliuolo, serbata sempre la ragion di origine al Padre e la ragion di originato al figliuolo. E così si confuta la falsa opinione de' materialisti moderni, che secondo il loro sistema costituiscono la materia eterna da sé.

 

18. Posto poi che dal Verbo sono state fatte tutte le cose, ne risulta per conseguenza necessaria che il Verbo non è stato fatto; altrimenti vi sarebbe una cosa fatta, ma non fatta dal Verbo; il che è opposto al detto di s. Giovanni: Omnia per ipsum facta sunt. E questo fu il grande argomento di s. Agostino3 contro gli Ariani, i quali diceano che il Verbo è stato fatto: Quomodo, gli stringe il santo, potest fieri ut Verbum Dei factum sit, quando Deus per Verbum fecit omnia? Si et Verbum Dei ipsum factum est, per quod aliud Verbum factum est? Si hoc dicis, quia hoc est Verbum Verbi per quod factum est; illud ipsum dico ego unicum Filium Dei. Si autem non dicis Verbum Verbi, concede non factum, per quod facta sunt omnia; non enim per seipsum fieri potuit, per quem facta sunt omnia.

 

19. Dicono gli Ariani, non avendo altro che rispondere a questo argomento che troppo li convince, dicono che s. Giovanni non dice: Omnia ab ipso, ma omnia per ipsum facta sunt; e da ciò inferiscono che il Verbo non è stata causa principale della creazione del mondo, ma solamente un istromento di cui nel crear tutte le cose il Padre si è servito, e quindi concludono che il Verbo non è Dio. Ma si risponde che la creazione del mondo descritta da Davide: Initio tu, Domine, terram fundasti; et opera manuum tuarum sunt coeli4, da s. Paolo nella lettera agli ebrei al capo I. nel verso 10, viene attribuita al Figliuolo di Dio, secondo apparisce in tutto il riferito capo 1, e specialmente nel verso 8: Ad Filium autem (dicit): Thronus tuus Deus etc. E nel verso 13 dicesi: Ad quem autem angelorum dixit aliquando: Sede a dextris meis? Sicché s. Paolo dichiara che quel figlio di Dio, il quale da s. Giovanni è chiamato Verbo, e che ha creato il cielo e la terra, è vero Dio, e come Dio è stato non già un semplice istromento, ma principal


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creatore del mondo. Né osta la miserabile difficoltà fatta dagli Ariani, che s. Giovanni dice: Omnia per ipsum (e non ab ipso) facta sunt; perché in più luoghi della scrittura trovasi la particola per congiunta colla causa principale: Possedi hominem per Deum1. Per me reges regnant2. Paulus vocatus apostolus Iesu Christi per voluntatem Dei3.

20. Di più si dimostra la divinità del Verbo col testo di s. Giovanni nel suo vangelo (5. 22), dove si dice che il Padre vuol che si renda al Figlio da tutti l'onore che si ad esso stesso: Pater omne iudicium dedit Filio, ut omnes honorificent Filium sicut honorificant Patrem. Di più si prova la divinità del Verbo e dello Spirito santo dal precetto dato agli apostoli: Euntes ergo docete omnes gentes, baptizantes eos in nomine Patris et Filii et Spiritus sancti4. Di quest'autorità ben si valsero i santi padri, s. Atanasio, s. Ilario, s. Fulgenzio ec. per convincere gli Ariani; poiché ordinandosi il battesimo in nome di tutte e tre le divine persone, si fa chiaro che le medesime hanno eguale autorità e virtù, e che sono Dio; altrimenti, se il Figlio e lo Spirito santo fossero creature, i cristiani riceverebbero il battesimo in nome del Padre ch'è Dio, e di due creature, il che severamente si vietò di credere da s. Paolo a' corinti: Ne quis dicat quod in nomine meo baptizati estis5.

21. Soggiungo finalmente due altri argomenti molto validi a provare la divinità del Verbo. Il primo si prende dalla potestà del Verbo, per quel fatto che narra s. Luca6, quando Gesù Cristo nel sanare il paralitico gli perdonò ancora i peccati, dicendogli: Homo, remittuntur tibi peccata tua. Il perdonare i peccati non può essere facoltà se non di Dio, come compresero gli stessi farisei, che in udir quelle parole, le stimarono una bestemmia, e sclamarono: Quis est hic, qui loquitur blasphemias? Quis potest dimittere peccata, nisi solus Deus?7

 

22. Il secondo argomento è la dichiarazione che fece di se stesso il medesimo nostro Salvatore di esser Figliuolo di Dio. Ciò lo dichiarò più volte; ma specialmente quando, avendo interrogati i discepoli chi mai stimassero chi egli fosse, ed avendo risposto s. Pietro: Tu es Christus Filius Dei vivi, il Signore gli rispose che questa era una rivelazione fattagli da Dio: Beatus es, Simon Bar-Iona, quia caro et sanguis non revelavit tibi, sed Pater meus, qui in coelis est8. Di più lo dichiarò, come si disse di sopra, quando Caifas lo interrogò: Tu es Christus Filius Dei benedicti? Ed egli rispose, come scrive san Marco9: Iesus autem dixit illi: Ego sum. Ora ecco l'argomento: gli Ariani dicono che Cristo non è vero Figliuolo di Dio, ma non dicono ch'egli è stato un empio, anzi lo predicano per un uomo più eccellente degli altri, per essere stato più ricco di virtù e di doni divini. Or se quest'uomo si fosse appellato Figlio di Dio, quando era una semplice creatura, oppure avesse permesso che altri lo stimasse per Figlio di Dio, e che altri tanto si scandalizzasse nel sentire che si chiamava Figlio di Dio, se egli non era tale, almeno dovea dichiarar la verità, altrimenti sarebbe stato un empio. Ma no; egli niente aggiunse non ostante che i giudei restassero nell'idea della sua bestemmia, e permise di esser condannato e crocefisso per tal causa; mentre questa fu l'accusa più grande che esposero contro di lui a Pilato, dicendo: Secundum legem debet mori, quia Filium Dei se fecit10. Ma finalmente replichiamo: dopo che Gesù Cristo espressamente dichiarò di esser Figlio di Dio, Ego sum, come notammo di sovra in s. Marco11 con tutto che tal dichiarazione gli dovesse costar la vita, chi ardirà di dire che Cristo non è Figlio di Dio?




1 Com. in Ioan. c. 1.



2 L. 7. de Trinit. n. 10.



3 Exod. 8. 19.



4 S. Ioan. Chrys. in Ioan.

1 Rom. 9. 5.



2 S. Thom. in c. 1. Io. lect. 1.



3 Ioan. 5. 20.



4 Ad Titum 2. 13.



5 Rom. 1. 25.



6 Luc. 1. 76.



7 L. de Trin c. 6.



8 Ioan. 10. 30.

1 Orat. 4. contra Arian. n. 9.



2 De unit. eccl.



3 L. 3. de Spir. sanct.



4 Tract. 48. in Ioan.



5 S. Chrysost. Hom. 60. in Ioan.



6 Ioan. 10. 37. et 38.



7 14. 61. et 62.



8 Ioan. 17. 22.



9 Matth. 5. 48.



10 S. Athan. orat. 4. adv. Arian.

1 Ioan. 16. 15.



2 S. August. l. 1. contra Maximum c. 24.



3 Phil. 2. 6.



4 Ioan. 14. 28.



5 S. Aug. ep. 66.



6 Ioan. 5. 19.



7 S. Hilar. l. 7. de Trin. n. 21.



8 C. 1. v. 1.



9 L. 1. de fide ad Gratiam c. 5.

1 L. 6. de Trin. c. 5.



2 Hebr. 1. 2.



3 1. 8.



4 13. 8.



5 S. Thom. quaest. disp. q. 3. de potentia a. 14. ad 7.

1 1. Part. q. 46. a. 2. e 3.



2 Prov. 8. 22.



3 Tract. in Ioan.



4 Psal. 101. 26.

1 Gen. 4.



2 Prov. 8.



3 1. Cor. 1.



4 Matth. 28. 19.



5 1. Cor. 1. 15.



6 C. 5. vers. 20.



7 Luc. 5. 21.



8 Matth. 16. 15. ad 17.



9 14. 61. et 62.



10 Ioan. 19. 7.



11 14. 62.




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