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Sant'Alfonso Maria de Liguori Storia delle Eresie IntraText CT - Lettura del testo |
§. 8. Dell'autorità de' concilj generali.
73. La fede non può essere che una; poiché essendo ella invisibil compagna della verità, siccome la verità è una, così non può essere che una la fede. Da ciò si deduce, come si è detto,
che nelle controversie circa i dogmi della fede è stato e sarà sempre necessario che vi sia un giudice infallibile, al giudizio del quale tutti debbono sottoporsi. La ragione è evidente: perché altrimenti, se dovesse aspettarsi il giudizio di ciascun fedele, secondo vogliono i settarj, oltre l'esser ciò difforme dalle sacre scritture, come vedremo, è contrario anche alla ragion naturale; mentre l'unire i pareri di tutti i fedeli, e formarne un giudizio distinto nelle definizioni de' dogmi di fede, sarebbe una cosa impossibile, ed i contrasti sarebbero eterni, e non vi potrebbe essere più l'unità della fede, ma vi sarebbero tante fedi diverse, quante sono le teste degli uomini. Ad accertarci poi delle verità che dobbiamo credere non basta la sola scrittura, perché molte scritture possono avere diversi sensi, veri e falsi; onde quelli che vorranno prendere i testi in senso perverso, la scrittura per essi non sarà più regola di fede, ma fonte di errori. Scrive s. Girolamo: Non putemus in verbis scripturarum esse evangelium, sed in sensu; interpretatione enim perversa de evangelio Christi fit hominis evangelium aut diaboli. E donde mai ne' dubbj della fede deve aversi il vero senso delle scritture? Deve aversi dal giudizio della chiesa, la quale, come scrisse l'apostolo, è la colonna e il firmamento della verità.
74. Che poi fra tutte le chiese la cattolica romana sia l'unica vera, e tutte le altre che da quella si son separate, siano false, è cosa evidente da ciò che si è detto: perché la chiesa romana, come confessano gli stessi settarj, è stata certamente la prima fondata da Gesù Cristo; a questa egli promise la sua assistenza sino alla fine del mondo; e questa chiesa, come disse a s. Pietro, non sarà mai abbattuta dalle porte dell'inferno; per le quali porte, come spiega s. Epifanio, s'intendono le eresie e gli eresiarchi. Pertanto in tutti i dubbj di fede noi sottoporci dobbiamo alle dichiarazioni di questa chiesa, cattivando al suo giudizio il giudizio nostro, in ossequio di Cristo, che ci comanda di ubbidire alla chiesa, come ne insegna s. Paolo: Et in captivitatem redigentes omnem intellectum in obsequium Christi1.
75. La chiesa poi c'istruisce per mezzo dei concilj ecumenici; e perciò la perpetua tradizione di tutti i fedeli ha tenute sempre per infallibili le definizioni de' concilj generali, e per eretici coloro che a quelle non han voluto sottoporsi. Tali sono stati i Luterani e i Calvinisti, dicendo che i concilj generali non sono infallibili. Ecco come parlava Lutero2, e nell'articolo 30 fra gli articoli 41 condannati dal papa Leone X.: Via nobis facta est enervandi auctoritatem conciliorum, et iudicandi eorum decreta, et confidenter confitendi quidquid verum videtur, sive prolatum fuerit, sive reprobatum a quocunque concilio. Lo stesso scrisse Calvino, e questa falsa opinione è stata poi abbracciata dagli altri Luterani e da' Calvinisti; mentre anche Calvino con Beza, come scrive un autore3, dissero che tutti i concilj, per santi che siano, possono errare in ciò che spetta alla fede. All'incontro la facoltà di Parigi, censurando l'articolo 30 di Lutero, dichiarò: Certum est concilium generale legitime congregatum in fidei et morum determinationibus errare non posse. Ed in verità è troppa ingiustizia il negare l'infallibilità de' concilj ecumenici: poiché essi rappresentano la chiesa universale; sicché se potessero errare in materia di fede, potrebbe errare tutta la chiesa, ed in tal caso potrebbero dire gli atei che Dio non ha provveduto abbastanza all'unità della fede, alla quale era tenuto a provvedere, volendo che da tutti una sola fede si tenesse.
76. Onde dee tenersi di fede che i concilj generali, per quel che tocca ai dogmi ed ai precetti morali, non possono errare. Ciò si prova per 1. dalle divine scritture. Disse Gesù Cristo; Ubi sunt duo vel tres congregati in nomine
meo, ubi sum in medio eorum1. Oppone a ciò Calvino: dunque anche il concilio di due persone non può errare, se si congregano in nome di Dio. Ma, come spiegò già il concilio di Calcedonia nella lettera a s. Leone papa2, e il sinodo VI.3, le parole in nomine meo non dinotano già il congresso di persone private che si uniscono per risolvere affari spettanti a' soli privati interessi, ma l'unione di coloro che congregansi per le definizioni de' punti che riguardano tutta la società cristiana. Si prova per 2. dalle parole di s. Giovanni: Spiritus veritatis docebit vos omnem veritatem4. E prima nel capo 14 verso 16 sta scritto: Et ego rogabo Patrem et alium Paraclitum dabit vobis, ut maneat vobiscum in aeternum, spiritum veritatis etc. Colle parole ut maneat vobiscum in aeternum ben si fa noto che lo Spirito santo dovea restar nella chiesa ad ammaestrare nelle verità della fede non solo gli apostoli, che non erano già eterni in questa vita mortale, ma i vescovi ch'erano loro successori. Altrimenti fuori di tal congregazione de' vescovi non può intendersi dove lo Spirito santo avrebbe insegnate tali verità.
77. Per 3. si prova dalle promesse fatte dal Salvatore di sempre assistere alla sua chiesa, affinché non erri: Et ecce ego vobiscum sum omnibus diebus usque ad consummationem saeculi5. Et ego dico tibi, quia tu es Petrus, et super hanc petram aedificabo ecclesiam meam, et portae inferi non praevalebunt adversus eam6. Il concilio generale, come si è detto, e come dichiarò il sinodo VIII. Act. 5, rappresenta la chiesa universale; onde nel concilio di Costanza fu ordinato che i sospetti di eresia s'interrogassero: An non credant concilium generale universam ecclesiam repraesentare. E lo stesso scrissero s. Atanasio, s. Epifanio, s. Cipriano, s. Agostino e s. Gregorio7. Se dunque la chiesa, come si è dimostrato, non può errare; neppure può errare il concilio che rappresenta la chiesa. Si prova inoltre da quei testi in cui si comanda ai fedeli di ubbidire a' prelati della chiesa: Obedite praepositis vestris, et subiacete eis8. Qui vos audit, me audit9. Euntes ergo docete omnes gentes10. Questi prelati, stando separati, ben possono errare, e spesso discordano fra di loro ne' punti controversi; dunque dobbiamo udirli come Cristo infallibili solo quando si trovano congregati ne' concilj. E quindi i santi padri han giudicati eretici tutti coloro che han contraddetto a' dogmi definiti dai concilj generali; così s. Gregorio Nazianzeno, s. Basilio, s. Cirillo, s. Ambrogio, s. Atanasio, s. Agostino, s. Leone11.
78. Alle suddette prove si aggiunge la ragione che, se i concilj ecumenici potessero errare, non vi sarebbe nella chiesa alcun fermo giudizio, col quale terminassero le discordie circa i punti dogmatici, e si conservasse l'unità della fede. Si aggiunge di più che se i concilj non fossero nel loro giudizio infallibili, niuna eresia potrebbe dirsi condannata e vera eresia. Inoltre non vi sarebbe certezza di molti libri della scrittura, come dell'epistola di s. Paolo agli ebrei, dell'epistola 2 di s. Pietro, dell'epistola 3 di s. Giovanni, delle epistole di s. Giacomo e di s. Giuda e dell'Apocalisse di s. Giovanni; i quali libri, benché sieno stati ricevuti dai Calvinisti, nondimeno da altri sono stati posti in dubbio, finché furon dichiarati canonici dal concilio IV. Per ultimo aggiungesi che, se potessero errare i concilj, avverrebbe che tutti i medesimi avrebbero commesso un errore intollerabile di proporre a credere di fede cose, di cui non consta se sieno vere o false; e così cadrebbero a
terra anche i simboli del Niceno, del Costantinopolitano, dell'Efesino e del Calcedonese, ove furon dichiarati di fede più dogmi che prima non eran tenuti per tali: e pure questi quattro concilj sono stati ricevuti di fede dagli stessi novatori. Ma veniamo alle loro molte ed importune opposizioni.
79. Oppone per 1. Calvino1 più luoghi della scrittura, dove i profeti, sacerdoti e pastori son chiamati bugiardi ed ignoranti: Propheta usque ad sacerdotem cuncti faciunt mendacium2. Speculatores eius caeci omnes... et pastores ipsi nihil sciunt3. Si risponde che più volte nella scrittura per alcuni cattivi si riprendono tutti, come avverte s. Agostino4 in quel passo: Omnes quaerunt quae sua sunt5. Il che certamente non fu negli apostoli, che cercavano la sola gloria di Dio; e perciò s. Paolo esorta i Filippesi: Imitatores mei estote, fratres, et observate eos qui ita ambulant6. Di più si risponde che ne' primi testi citati si parla dei sacerdoti e pastori separati tra di loro che ingannavano la gente, ma non di coloro che parlano congregati in nome di Dio. Si aggiunge che la chiesa del nuovo testamento ha ricevute promesse molto più ferme, che non aveva la sinagoga, la quale non fu già chiamata come la nostra, Ecclesia Dei vivi, columna et firmamentum veritatis7. Replica Calvino8 che anche nella nuova legge vi sono molti falsi profeti e seduttori, come si dice in s. Matteo9: Et multi pseudoprophetae surgent et seducent multos. E ciò anche è vero; ma questo testo ben dovea Calvino applicarlo a se stesso, a Lutero, a Zuinglio, e non già ai concilj ecumenici de' vescovi, a' quali sta promessa l'assistenza dello Spirito santo, onde ben possono dire: Visum est Spiritui sancto et nobis10.
80. Oppone per 2. Calvino a' concilj l'iniquità del concilio di Caifas, che fu ben generale di tutti i principi de' sacerdoti, ed ivi fu condannato Gesù Cristo come reo di morte11. Dunque ne deduce che anche i concilj ecumenici sono fallibili. Si risponde che noi diciamo infallibili i soli concilj generali legittimi, a' quali assiste lo Spirito santo; ma come può dirsi legittimo ed assistito dallo Spirito santo quel concilio, ove si condannava come bestemmiatore Gesù Cristo, per avere attestato di esser figlio di Dio, dopo tante prove che egli ne avea date di esser tale? E dove si procedea con inganni subornando i testimonj, e si operava per invidia, come conobbe lo stesso Pilato? Sciebat enim quod per invidiam tradidissent eum12.
81. Oppone per 3. Lutero13 che s. Giacomo nel concilio di Gerusalemme mutò la sentenza data da s. Pietro; giacché s. Pietro disse che i gentili non fossero tenuti ai precetti legali, ma s. Giacomo disse che doveano astenersi dalle carni sacrificate agl'idoli, dalla fornicazione, dal sangue e dagli animali soffocati, il che era un vero giudaizzare. Si risponde con s. Agostino e s. Girolamo14 che quella proibizione non fu mutare la sentenza di s. Pietro, né fu propriamente imporre l'osservanza della legge vecchia, ma fu un precetto temporale di disciplina, affin di quietare i giudei che non poteano soffrire in quei principj di vedere che i gentili si cibassero di sangue e carni da loro così abborrite; ma questo fu un semplice precetto che, passato quel tempo, non ebbe più vigore, come avverte lo stesso s. Agostino15.
82. Si oppone per 4. che nel concilio di Neocesarea, ricevuto già dal sinodo niceno I., come si attesta nel concilio fiorentino, trovasi l'errore di proibirsi le seconde nozze con queste parole: Presbyterum convivio secundarum nuptiarum interesse non debere. Ma, dicono, come potea farsi questa proibizione, contro l'epistola di s. Paolo che dice: Si
dormierit vir eius, liberata est: cui vult nubat, tantum in Domino1? Si risponde che nel concilio Neocesarese non già si vietarono le seconde nozze, ma solamente la solenne celebrazione di esse ed i conviti che sono nelle prime si usavano; e perciò si proibì al prete di assistere, non già al matrimonio, ma al convito che riguardava la solennità. Oppone per 5. Lutero che nel concilio di Nicea fu proibita la milizia, quando il Battista la diede per lecita2. Si risponde che nel concilio non si proibì la milizia ma il sacrificare agli idoli per ottenere il cingolo militare; attesoché, siccome scrive Ruffino3, non si dava il cingolo se non ai sacrificanti; e solo questi furon condannati dal concilio nel canone 2. Per 6. oppone lo stesso Lutero che nel detto concilio si ordinò di ribattezzare i Paoliniani; quando all'incontro in un altro concilio, nominato Plenario da s. Agostino (quale si crede il concilio celebrato da tutta la Francia in Arles) fu proibito di ribattezzare gli eretici, secondo ordinò s. Stefano papa contro il sentimento di s. Cipriano. Si risponde che intanto si ordinò dal niceno che i Paoliniani si ribattezzassero, perché questi eretici, credendo Cristo puro uomo, corrompeano la forma del battesimo, e non battezzavano in nome delle tre persone, e perciò il loro battesimo era affatto nullo; a differenza degli altri eretici che battezzavano in nome della Trinità, benché non credeano essere egualmente Dio le tre persone.
83. Oppongono per 7. i novatori che nel concilio Cartaginese III. al can. 47. si numerano per libri sacri Tobia, Giuditta, Baruch, la Sapienza, l'Ecclesiastico e i Macabei; all'incontro nel concilio di Laodicea al capo ultimo quei libri si ributtano. Si risponde per 1. che ambedue questi concilj non furono ecumenici; il primo non però fu provinciale di 22 vescovi, ma il Cartaginese fu nazionale di 44 vescovi; e di più questo fu confermato dal papa Leone IV., come si legge nel can. de libellis dist. 20, e fu posteriore a quello di Laodicea onde può dirsi che emendasse il primo. Si risponde per 2. che il concilio di Laodicea non già ributtò i mentovati libri, ma solo tralasciò di annoverarli tra i canonici, perché allora ciò era cosa dubbia; ma nel secondo di Cartagine, chiarita meglio la verità, furono rettamente ammessi per sacri. Oppongono per 8. che in alcuni canoni del sinodo VI. furono espressi più errori, come il dover ribattezzare gli eretici, esser nulle le nozze de' cattolici cogli eretici. Si risponde col Bellarmino4 che quei canoni furono supposti dagli eretici; onde nel sinodo VII., nell'azione 4 fu dichiarato che tali canoni non erano già del sinodo VI., ma che furon fatti molti anni dopo in un concilio illegittimo a tempo di Giulio II., che fu anzi riprovato dal papa, come attesta il venerabile Beda5. Oppongono per 9. che il sinodo VII., cioè il niceno II., fu opposto al costantinopolitano celebrato sotto l'imperator Copronimo intorno al culto delle immagini, dove tal culto fu proibito. Si risponde che questo costantinopolitano non fu legittimo né fu generale, ma fu di pochi vescovi, senza l'intervento de' legati pontificj e de' tre patriarchi, cioè dell'alessandrino, antiocheno e gerosolimitano, che doveano intervenirvi secondo la disciplina di quei tempi.
84. Oppongono per 10. che il sinodo niceno II. fu riprovato dal concilio di Francfort. Ma si risponde col Bellarmino nel luogo citato, che ciò avvenne per errore; mentre quello di Francfort suppose che nel sinodo di Nicea era stabilito che le sacre immagini dovessero venerarsi con culto di latria, e che quel concilio era stato celebrato senza consenso del papa: ma ambedue queste cose furono false, come apparisce dagli stessi atti del niceno. Oppongono per 11. che nel concilio lateranese IV. fu definita di
fede la transostanziazione del pane e del vino nel corpo e sangue di Gesù Cristo, quando che nel concilio efesino si fulminò l'anatema contro chi proferisse altro simbolo fuori di quello fatto dal niceno I. Si risponde per 1. che il lateranese non compose già un nuovo simbolo, ma solo definì la quistione che allora si agitava. Si risponde per 2. che l'efesino anatematizzò chi facesse un simbolo contrario a quello di Nicea, ma non già un simbolo nuovo, ove si dichiarasse qualche punto prima non dichiarato. Oppongono per 12. che ne' concilj, definendosi i punti colla maggior parte dei voti, facilmente può definirsi un errore per causa di un voto di più; e così può accadere che la miglior parte resti vinta dalla maggiore. Si risponde che l'errore ben può accadere ne' congressi puramente umani, che la maggiore vinca la migliore, ma non già ne' concilj ecumenici, dove presiede lo Spirito santo ed assiste Gesù Cristo secondo le divine promesse che ne abbiamo.
85. Si oppone per 13. che al concilio non altro spetta che far ricerca della verità, ma il decidere i dubbj tocca alla scrittura; onde le definizioni non dipendono già dalla maggioranza de' voti ma da quel giudizio che più alla scrittura si uniforma; e perciò dicono poi che ciascuno ha diritto di esaminare i decreti del concilio per vedere se uniformansi alla parola divina; così Lutero, Calvino1 ed altri protestanti. Ma noi rispondiamo che ne' concilj ecumenici i vescovi son quei che formano il giudizio infallibile de' dogmi, al quale senza esaminare debbono tutti ubbidire. Ciò si prova dal Deuteronomio, ove ordinò il Signore che i dubbj si decidessero dal sacerdote che presiede al concilio, e fu imposta la pena di morte a chi non ubbidiva: Qui autem superbierit, nolens obedire sacerdotis imperio, morietur homo ille.2 Si prova poi maggiormente dal vangelo, ove sta detto: Si ecclesiam non audierit, sit tibi sicut ethnicus et publicanus3. Ora il concilio ecumenico, come si è detto, per sentenza comune rappresenta questa chiesa a cui si deve ubbidire. Si aggiunge che nel concilio di Gerusalemme4 si definì la quistione de' legali, non già colla scrittura, ma co' voti degli apostoli, ed al loro giudizio restaron tutti obbligati ad ubbidire. Dunque, replicano i settarj, l'autorità del concilio è maggiore di quella della scrittura. Questa è bestemmia, esclama Calvino5. Rispondiamo che la parola di Dio, così la scritta, qual'è la sacra scrittura, come la non iscritta, qual'è la tradizione, è certamente preferita a tutti i concilj: ma i concilj non già formano la parola di Dio, ma solamente dichiarano quali sieno le vere scritture o le vere tradizioni, e quale sia il vero lor senso; sicché non danno loro l'autorità della infallibilità, ma dichiarano quella che già aveano, deducendola dalle stesse scritture, e così definiscono i dogmi che debbon tenersi poi da' fedeli. In tal modo il niceno definì che il Verbo è Dio e non creatura; e il tridentino che nell'eucaristia vi è il vero corpo, e non la sola figura di Gesù Cristo.
86. Ma dicono gli eretici che questa chiesa non è composta solamente dai vescovi, ma da tutti i fedeli, ecclesiastici e secolari; e perché poi i concilj si han da celebrare dai soli vescovi? Disse pertanto Lutero che ne' concilj debbono esser giudici tutti i cristiani, di qualunque genere si siano. Ciò pretendeano i protestanti nel tempo del concilio di Trento, di avere anch'essi la voce decisiva dei punti dogmatici; e ciò fu quando furono i medesimi invitati di nuovo a venire al concilio per esporre le loro ragioni sulle materie controverse, avendo il concilio con un nuovo salvocondotto promessa loro tutta la sicurezza nel tempo della loro dimora, e tutta la libertà di conferire coi padri, e di partirsi da Trento quando loro piacesse. Vennero i loro ambasciatori, e sul principio dissero che la sicurtà loro
data non bastava; mentre il concilio di Costanza avea determinato non doversi osservare la fede pubblica a' rei di religione. Ma rispondeasi a ciò dai padri di Trento che il salvocondotto dato dal concilio di Costanza a Giovanni Hus non gli era stato concesso dal concilio, a cui spetta il procedere in materia di fede, ma dall'imperator Sigismondo; onde ben poteva il concilio sovra di lui esercitar la sua giurisdizione. Oltreché, come riferimmo nella storia1, il salvocondotto dato ad Hus dall'imperatore era solo per gli altri delitti che gli erano stati apposti, ma non già per gli errori contro la fede, e perciò quando Giovanni Hus fu di ciò avvertito, non seppe che rispondere. Rispondeasi pertanto da' padri di Trento ai protestanti che di altra maggior sicurezza era il salvocondotto dato loro dal concilio, di quello che l'Hus aveasi procurato. Affacciarono poi gli ambasciatori tre pretensioni, tutte ingiuste nel caso che i dottori luterani fossero venuti a Trento2. Cercarono per 1. che le quistioni di fede si fossero decise colla sola scrittura: il che non potea concedersi; mentre il concilio nella sessione 6. avea già dichiarato che le tradizioni conservate nella chiesa cattolica meritavano la stessa venerazione che le sacre scritture. Per 2. richiedeano che si fossero disputati da capo tutti gli articoli già definiti antecedentemente dal concilio: il che neppure si potea concedere, perché sarebbe stato lo stesso che dichiarare non essere infallibile il concilio nelle definizioni già fatte; onde sarebbesi data la vittoria a' protestanti prima della disputa. Per 3. dimandavano che i loro dottori sedessero nel concilio come giudici egualmente che i vescovi nel definire i dogmi.
87. Rispondiamo. S. Paolo scrive che la chiesa è un corpo in cui il Signore ha distribuiti gli officj e le obligazioni di ciascuno: Vos autem estis corpus Christi et membra de membro, et quosdam quidem posuit Deus in ecclesia primum apostolos, secundo prophetas, tertio doctores3. Ed in altro luogo dice: Alios autem pastores et doctores4. E poi soggiunge: Nunquid omnes doctores5? No, altri Dio ha posti nella chiesa per pastori che reggano il gregge: altri per dottori che insegnino la vera dottrina: ad altri poi ha imposto che non si lascino ingannare dalle nuove dottrine: Doctrinis variis et peregrinis nolite abduci6; ma che ubbidiscano e si sottomettano a' maestri loro dati: Obedite praepositis vestris et subiacete eis; ipsi enim pervigilant quasi rationem pro animabus vestris reddituri7. Ora quali sono quei maestri ai quali il Signore promise la sua assistenza sino alla fine del mondo? furono già gli apostoli in primo luogo a cui disse: Et ecce ego vobiscum sum omnibus diebus usque ad consummationem saeculi8; promettendo loro che lo Spirito santo sarebbe restato sempre con essi ad ammaestrarli in tutte le verità: Et ego rogabo Patrem, et alium Paraclitum dabit vobis ut maneat vobiscum in aeternum9. E prima avea già loro detto: Cum autem venerit ille spiritus veritatis, docebit vos omnem veritatem10. Ma gli apostoli essendo mortali, doveano un giorno partirsi da questo mondo. Come dunque può intendersi che lo Spirito santo dovea restare perpetuamente con essi a fine d'istruirli nelle verità della fede, ed acciocché essi poi ne avessero istruiti gli altri? S'intende dunque che sarebbero loro successori altri, i quali con l'assistenza divina avrebbero retto ed ammaestrato il popolo cristiano. E questi successori degli apostoli sono stati appunto i vescovi posti da Dio a reggere il gregge di Cristo, come disse l'Apostolo: Attendite vobis et universo gregi, in quo vos Spiritus sanctus posuit episcopos regere ecclesiam Dei, quam acquisivit sanguine suo11. Scrive Estio12 sovra detto luogo:
Illud - in quo vos Spiritus sanctus posuit etc. – de iis proprie episcopi sunt, intellexit. Onde poi il concilio di Trento1 dichiarò: Declarat, praeter ceteros ecclesiasticos gradus, episcopus qui in apostolorum locum successerunt... positos a Spiritu sancto regere ecclesiam Dei, eosque presbyteris superiores esse. Sicché i vescovi ne' concilii sono i testimonj e i giudici della fede, e dicono, come dissero gli apostoli nel concilio di Gerusalemme: Visum est Spiritui sancto et nobis2.
88. Quindi scrisse s. Cipriano3: Ecclesia est in episcopo. E s. Ignazio martire4 prima disse: Episcopus omnem principatum et potestatem ultra omnes obtinet. Nel concilio calcedonese5 si disse: Synodus episcoporum est, non clericorum; superfluos foras mittite. E nel concilio di Costanza, sebbene furono ammessi a dire i loro voti anche i teologi, i giureconsulti e i ministri dei principi, si dichiarò nondimeno che ciò correva circa la sola materia dello scisma affin di estinguerlo, ma non già intorno ai dogmi di fede. Si sa ancora che nell'assemblea del Clero di Francia dell'anno 1656 i parrochi di Parigi si protestarono con una pubblica scrittura, ch'essi non riconosceano per giudici della fede se non i soli vescovi. L'arcivescovo di Spalatro, Marcantonio de Dominis, ch'era poco sano nella fede scrisse: Consensus totius ecclesiae in aliquo articulo non minus intelligitur in laicis, quam etiam in praelatis; sunt enim etiam laici in ecclesia, imo maiorem partem constituunt. Questa proposizione dalla facoltà della Sorbona fu condannata come eretica. Haec propositio est haeretica, quatenus ad fidei propositiones statuendas consensum laicorum requirit.
89. È vero che ne' concilj ecumenici si ammettono anche i generali degli ordini e gli abati a dare il voto decisivo; ma ciò è solo per privilegio e consuetudine. Del resto di legge ordinaria i soli vescovi sono i giudici, secondo la tradizione de' padri, come scrivono s. Cipriano, s. Ilario, s. Ambrogio, s. Girolamo, Osio, s. Agostino, s. Leone Magno6, ed altri. Ma dicono che nel concilio di Gerusalemme intervennero non solo gli apostoli, ma anche i seniori: Convenerunt apostoli et seniores7, ed anch'essi diedero il loro parere: Tunc placuit apostolis et senioribus etc.8. Si risponde da alcuni intendersi per seniori i vescovi che in quel tempo erano stati già consacrati dagli apostoli. Da altri si risponde che quei seniori furon chiamati non come giudici, ma consultori per dare il loro parere, e così quietare maggiormente il popolo. Né vale il dire che molti vescovi son portati da' pregiudizj o sono di mali costumi, a cui manca la divina assistenza, o sono ignoranti, a cui manca la necessaria dottrina. Perché si risponde che, avendo Dio promessa l'infallibilità alla sua chiesa e per essa al concilio che la rappresenta, Dio stesso dispone che nel definirsi i dogmi della fede vi concorrano tutti i mezzi che vi bisognano. Onde, sempreché non apparisce per certo il difetto di qualche definizione per mancanza di qualche requisito assolutamente necessario, ogni fedele dee sottoporsi al giudizio fatto dal concilio.
90. Parlando poi degli altri errori che professano i settari contro la tradizione, contro i sacramenti, contro la messa, contro la comunione sotto la sola specie del pane e contro l'invocazione de' santi e venerazione delle loro feste, reliquie ed immagini e contro il purgatorio, le indulgenze e il celibato degli ecclesiastici, lascio qui di scriverne, perché già sufficientemente gli ho confutati nella mia opera dogmatica sul concilio di Trento contro i riformati9. Ma per far concetto dello spirito di questi nuovi maestri di fede, voglio qui notare una bella proposizione di Lutero, che disse in pubblico in una predica al popolo10. Stando egli
allora sdegnato contro alcuni tumultuanti che non avevano voluto dipendere dal suo consiglio, asserì per metter loro timore: Io rivocherò quanto ho scritto ed insegnato, e farò la mia ritrattazione. Ecco la bella fede che insegnava questo nuovo riformatore della chiesa, pronto a rivocarla quando non si vedesse rispettato! E simile è la fede di tutti gli altri settarj, i quali non possono esser mai stabili nella loro credenza, allorché si trovano usciti dalla vera chiesa che è l'unica arca di salute.