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Sant'Alfonso Maria de Liguori
Storia delle Eresie

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CONFUT. XIV. DELL'ERESIA DI MICHELE MOLINOS

 

1. Due erano le massime di questo eresiarca: con una toglieva il bene e coll'altra ammetteva il male. La prima sua massima era che l'anima contemplativa dee sfuggire e discacciare tutti gli atti sensibili d'intelletto e di volontà, i quali secondo lui impediscono la contemplazione, e con ciò privava l'uomo di tutti quei mezzi che ci ha dati Iddio per conseguir la salute. Dicea che quando l'anima si è donata tutta a Dio, ed ha annichilata la sua volontà, rassegnandola totalmente nelle di lui mani, ella resta perfettamente con Dio unita: onde allora di nulla più dee curare circa la sua salute; dee licenziare da sé le meditazioni, i ringraziamenti, le preghiere, le divozioni verso le sacre immagini ed anche verso l'umanità santissima di Gesù Cristo; deve astenersi da tutti gli affetti divoti di speranza, di offerta di se stessa, di amore verso Dio; in somma dicea che dee discacciare tutti i pensieri ed atti buoni, perché tutti questi son contrarj alla contemplazione ed alla perfezione dell'anima.

 

2. Per conoscere più addentro il veleno di questa massima, vediamo che cosa sia la meditazione e che cosa sia contemplazione. Nella meditazione si va cercando Dio colla fatica del discorso


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e cogli atti buoni. Nella contemplazione senza fatica si contempla Dio già trovato. Nella meditazione opera l'anima cogli atti delle sue potenze; nella contemplazione opera Dio e l'anima patitur, e solo riceve i doni infusi dalla grazia. Ond'è che quando l'anima sta assorta in Dio colla contemplazione passiva, ella non dee sforzarsi di fare atti e riflessioni, perché allora lo stesso Dio la mantiene unita con sé in amore. Allora, dicea s. Teresa, Iddio occupa colla sua luce l'intelletto, e gli impedisce di pensare ad altro: Quando Dio, son parole della santa, vuol che cessi l'intelletto di discorrere, l'occupa e gli un conoscimento superiore a quello, al quale noi possiamo arrivare, onde lo fa restar sospeso. Ma la stessa santa dice poi che questo dono della contemplazione e sospensione delle potenze, quando viene da Dio, produce buoni effetti; ma quando è procurato da noi, non produce effetto alcuno, e l'anima resta più arida di prima: Alle volte, siegue a dire, nell'orazione abbiamo un principio di divozione che viene da Dio, e vogliamo passar da noi in questa quiete di volontà; allorché ella è procurata da noi, non fa effetto, finisce presto, e lascia aridità. E questo è quel difetto che notava s. Bernardo in coloro che vogliono passare dal piede alla bocca, alludendo al passo dei sacri cantici, dove si parla della sacra contemplazione: Obsculetur me osculo oris sui1. Soggiunge s. Bernardo: Longus saltus et arduus de pede ad os.

 

3. Ma opporrà alcuno che il Signore dice per Davide: Vacate et videte, quoniam ego sum Deus2. Ma la parola Vacate non dinota già che l'anima dee stare incantata nell'orazione senza meditare, senza fare affetti, senza chieder grazie: vocate viene a dire che per conoscere Dio e la sua immensa bontà bisogna astenersi da' vizj, allontanarsi dalle cure mondane, reprimere le voglie dell'amor proprio, e staccarsi dai beni terreni. Insegna la maestra di orazione s. Teresa, e dice: Bisogna che per parte nostra ci prepariamo all'orazione; quando Dio ci porterà più alto, a lui solo ne sia la gloria. Sicché nell'orazione quando Iddio ci tira alla contemplazione, e ci fa sentire che egli vuol parlarci, e non vuole che parliamo noi, allora noi non dobbiamo porci ad operare, perché impediremmo l'opera divina; dobbiamo allora solo applicare un'amorosa attenzione alle voci di Dio e dire: Loquere, Domine, quia audit servus tuus. Ma quando Dio non parla, allora dobbiamo parlar noi con Dio colle preghiere, con fare atti di contrizione, atti d'amore, buoni propositi, e non istare a perdere il tempo senza far niente. Dice s. Tommaso: Contemplatio diu durare non potest, licet quantum ad alios contemplationis actus possint diu durare3. Dice che la vera contemplazione, in cui l'anima assorta in Dio nulla può operare, poco dura; ma posson durare gli effetti di quella, sicché ritornata l'anima nello stato attivo, dee ritornare ad operare per conservare il frutto della contemplazione ricevuta, con leggere, ripensare, fare affetti pii e simili atti divoti; poiché, come confessa s. Agostino, egli dopo essere stato esaltato a qualche insolito stringimento con Dio, sentivasi come da un peso di nuovo tirato alle miserie terrene, onde bisognava di nuovo si aiutasse cogli atti dell'intelletto e della volontà per tenersi unito con Dio: Aliquando, sono le sue parole, intromittis me in affectum inusitatum... sed recido in haec aerumnosis ponderibus, et resorbeor solitis4.

 

4. Andiamo ora esaminando le perniciose proposizioni del Molinos, delle quali qui ne adduco solamente alcune più principali, che ben dichiarano il suo empio sistema. Nella proposizione 1 dicea: Oportet hominem suas potentias annihilare; et haec est via interna. Nella 2: Velle operari active est Deum offendere, qui vult esse ipse solus agens; et ideo opus est seipsum in Deo totum et totaliter derelinquere, et postea permanere,


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velut corpus exanime. Sicché volea Molinos che l'uomo, dopo essersi abbandonato tutto in Dio, dovesse restare come un corpo morto, che non fa nulla; e che allora il voler far qualche atto buono d'intelletto o di volontà, era un offendere Dio, che vuole esser solo ad operare: e questa chiamava egli l'annichilazione delle potenze che divinizza l'anima, e la trasforma in Dio, come diceva nella proposizione 5: Nihil operando anima se annihilat, et ad suum principium redit et ad suam originem, quae est essentia Dei, in quem transformata remanet, ac divinizata... et tunc non sunt amplius duae res unitae, sed una tantum. Quanti errori in poche parole!

 

5. Quindi proibiva l'aver cura, ed anche l'aver desiderio della propria salute, e che perciò non dee l'anima perfetta pensare né all'inferno né al paradiso: Qui suum liberum arbitrium Deo donavit, de nulla re debet curam habere, nec de inferno, nec de paradiso; nec desiderium propriae perfectionis, nec propriae salutis, cuius spem purgare debet. Si noti spem purgare; dunque è difetto sperar la propria salute con far atti di speranza? Ed è difetto meditare i novissimi? Quando il Signore c'insegna che la memoria delle massime eterne ci manterrà lontani da' peccati: Memorare novissima tua, et in aeternum non peccabis1. Il perfido proibiva inoltre di fare atti di amore verso i santi, verso la divina Madre ed anche verso Gesù Cristo, dicendo che dobbiamo discacciare dal cuore tutti gli oggetti sensibili. Ecco come parla nella proposizione 35.: Nec debent elicere actus amoris erga b. Virginem, sanctos, aut humanitatem Christi; quia cum ista obiecta sensibilia sint, talis est amor erga illa. Oh Dio! proibire anche gli atti di amore verso Gesù Cristo! E perché? Perché Gesù Cristo è oggetto sensibile, e c'impedisce l'unione con Dio. E quando noi andiamo a Gesù Cristo, dice s. Agostino, a chi andiamo se non a Dio? Mentre egli è uomo e Dio. E come, soggiunge il santo, possiamo andare a Dio, se non per mezzo di Gesù Cristo? Quo imus, scrive il santo dottore, nisi ad Iesum? et qua imus, nisi per ipsum?

 

6. Questo appunto è quel che dice s. Paolo: Quoniam per ipsum (Christum) habemus accessum ambo in uno spiritu ad Patrem2. Dice lo stesso Salvatore in s. Giovanni3: Ego sum ostium: per me si quis introierit, salvabitur; et ingredietur et egredietur, et pascua inveniet. Io son la porta: chi entrerà per me sarà salvo: et ingredietur et egredietur; spiega un autore antico presso Cornelio a Lapide: Ingredietur ad divinitatem meam et egredietur ad humanitatem, et in utriusque contemplatione mira pascua inveniet. Sicché l'anima o consideri Gesù Cristo come Dio o come uomo, resta sempre appieno pascolata. Santa Teresa avendo una volta letto in un libro di questi falsi mistici che il fermarsi in Gesù Cristo impediva il passare a Dio, cominciò a praticare questo mal documento; ma poi non cessava di sempre dolersi di averlo seguito, dicendo: Ed è possibile che voi, Signore, mi aveste ad essere d'impedimento a maggior bene? E donde mi vennero tutti i beni, se non da voi? E poi soggiungea: Ho veduto che per contentare Dio, ed affinché ci faccia grazie grandi, egli vuole che passi ciò per le mani di questa umanità sacratissima, in cui disse di compiacersi.

 

7. Inoltre Molinos col proibire di pensare a Gesù Cristo, proibiva per conseguenza di pensare anche alla di lui passione, quando tutti i santi altro non han fatto in tutta la lor vita che meditare i patimenti e le ignominie del nostro amante Salvatore. S. Agostino scrisse: Nihil tam salutiferum quam quotidie cogitare quanta pro nobis pertulit Deus homo. E s. Bonaventura disse: Nihil enim in anima ita operatur universalem sanctificationem, sicut meditatio passionis Christi. E prima di tutti disse l'apostolo che egli non volea sapere altro che Gesù crocifisso:


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Non enim iudicavi me scire aliquid inter vos nisi Iesum Christum, et hunc crucifixum1. E Molinos dice che non si dee pensare all'umanità di Gesù Cristo!

 

8. Di più insegna questo empio maestro che l'anima spirituale non dee chiedere alcuna cosa a Dio: perché il chiedere è difetto di propria volontà. Ecco nella proposizione 14 come parla: Qui divinae voluntati resignatus est non convenit ut a Deo rem aliquam petat; quia petere est imperfectio, cum sit actus propriae voluntatis. Illud autem Petite et accipietis non est dictum a Christo pro animabus internis etc. Ecco come toglie alle anime il mezzo più efficace per ottenere la perseveranza nella buona vita e per giungere alla perfezione. Gesù Cristo par che altro non ci esorti ne' vangeli, che a pregare e non cessare mai di pregare: Oportet semper orare et non deficere2. Vigilate itaque omni tempore orantes3. S. Paolo scrive: Sine intermissione orate4. Orationi instate vigilantes in ea5. E Molinos vuole che non si preghi, perché il pregare è imperfezione! Dice s. Tommaso6 che la preghiera continua è necessaria all'uomo sino che sarà salvo: poiché, quantunque gli siano stati rimessi i peccati, non lascerà il mondo e l'inferno di combatterlo sino alla morte: Licet remittantur peccata, remanet tamen fomes peccati nos impugnans interius, et mundus et daemones, qui impugnant exterius. Ed in questo combattimento non possiamo noi vincere se non coll'aiuto divino, che non si dona se non a chi prega; insegnando s. Agostino che, tolte le prime grazie, come sono la vocazione alla fede o alla penitenza, tutte le altre grazie, e specialmente la perseveranza, non si danno se non a coloro che pregano: Deus nobis dat aliqua non orantibus, ut initium fidei; alia nonnisi orantibus praeparavit, sicut perseverantiam.

 

9. Ma veniamo alla seconda massima che ammette il male per cosa innocente, come accennammo da principio. Egli dicea che quando l'anima si è data a Dio, tutto ciò che avviene nel corpo non s'imputa a colpa, ancorché si avverta esser la cosa illecita; perché allora, come dicea, stando data la volontà a Dio, quel che accade nella carne si attribuisce alla violenza del demonio e della passione; onde la persona in tal caso non dee fare altra resistenza che negativa, e dee permettere che si commuova la natura ed operi il demonio. Ecco come parla nella proposizione 17: Tradito Deo libero arbitrio, non est amplius habenda ratio tentationum, nec eis alia resistentia fieri debet nisi negativa, nulla adhibita industria; et si natura commovetur, oportet sinere ut commoveatur, quia est natura. E nella proposizione 47 dice: Cum huiusmodi violentiae occurrunt, sinere oportet ut Satanas operetur... etiamsi sequantur pollutiones et peiora... et non opus est haec confiteri.

 

10. Così diceva l'ingannatore; ma non dice così il Signore. Il Signore dice per s. Giacomo: Resistite autem diabolo, et fugiet a vobis7. Non basta allora negative se habere: poiché non possiamo noi allora permettere che il demonio operi e resti soddisfatta la nostra concupiscenza: vuole Dio che allora vi resistiamo con tutte le nostre forze. È falsissimo poi quel che dice nella proposizione 41: Deus permittit, et vult ad nos humiliandos... quod daemon violentiam inferat corporibus, et actus carnales committere faciat etc. Falso, falsissimo. S. Paolo ci fa sapere che Dio non mai permette che noi siamo tentati oltre le nostre forze: Fidelis autem Deus est, qui non patietur vos tentari supra id quod potestis, sed faciet etiam cum tentatione proventum, ut possitis sustinere. Viene a dire che il Signore nelle tentazioni non manca di darci aiuto bastante a resistere colla nostra volontà; e così allora, resistendo


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noi, le tentazioni ci apporteranno profitto. Iddio poi permette al demonio di istigarci a peccare, ma non mai che ci faccia violenza, come dice s. Girolamo: Persuadere potest, praecipitare non potest. E s. Agostino1: Latrare potest, sollicitare potest, mordere omnino non potest nisi volentem. E siasi la tentazione quanto si voglia forte, chi si raccomanda a Dio non mai cadrà: Invoca me.. eruam te2. Laudans invocabo Dominum, et ab inimicis meis salvus ero3. Onde scrisse poi s. Bernardo4: Oratio daemonibus omnibus praevalet. E s. Giovanni Grisostomo diceva: Nihil potentius homine orante.

 

11. Molinos nella proposizione 45 oppone il passo di s. Paolo, dicendo: S. Paulus huiusmodi daemonis violentias in suo corpore passus est; unde scripsit - Non quod volo bonum, hoc ago; sed quod nolo malum, hoc facio - Ma si risponde che per le parole hoc facio, altro l'apostolo non intendea di dire, se non che non potea evitare i moti disordinati della concupiscenza, e che li pativa involontariamente; onde dopo le citate parole soggiunge: Nunc autem iam non ego operor illud, sed quod habitat in me, peccatum, cioè la natura corrotta dal peccato5. Molinos adduce poi nella proposizione 49 l'esempio di Giobbe: Iob ex violentia daemonis se propriis manibus polluebat eodem tempore, quo mundas habebat ad Deum preces. Oh bravo interprete della scrittura sacra! il testo di Giobbe dice così: Haec passus sum absque iniquitate manus meae, cum haberem mundas ad Deum preces6. Dove si nomina qui polluzione neppure per ombra? Nella versione ebraica ed in quella dei settanta, come scrive il Du-Hamel, si volta così: Neque Deum neglexi, neque nocui alteri. Sicché per le parole: Haec passus sum absque iniquitate manus meae, Giobbe intendea dire ch'egli non mai avea fatto male al prossimo, spiegando le mani per l'opera, come spiega il Menochio: Cum manus supplices ad Deum elevarem, quas neque rapina, neque alio scelere contaminaveram. Di più Molinos nella proposizione 51. porta per sua difesa l'esempio di Sansone: In sacra scriptura multa sunt exempla violentiarum ad actus externos peccaminosos, ut illud Samsonis, qui per violentiam seipsum occidit, cum philisthaei etc. Ma si risponde con s. Agostino che ciò fece Sansone per puro istinto dello Spirito Santo: e ciò si raccoglie dall'antica fortezza soprannaturale restituitagli allora da Dio a questo fine in castigo dei Filistei; poiché egli, già pentito del suo peccato, prima di afferrar le colonne che sosteneano l'edificio, pregò il Signore a rendergli il primiero vigore, come dice la scrittura: At ille, invocato Domino, ait: Domine Deus, memento mei, et redde mihi nunc fortitudinem pristinam7. Quindi s. Paolo poselo tra il numero de' santi con Iefte, Davide, Samuele ed i profeti, dicendo: Samson, Iephte, David, Samuel et prophetis, qui per fidem vicerunt regna, operati sunt iustitiam etc.8. Ecco qual era l'empio sistema di questo sozzo impostore. Ringrazi egli la misericordia di Dio che lo fece morir penitente dopo più anni di carcere, come narrammo nella storia al capo 12 num. 180; altrimenti troppo penoso sarebbe stato il suo inferno per tante sue iniquità commesse e fatte commettere agli altri.

 




1 Cant. 1. 1.



2 Psa. 45. 11.



3 S. Thom. 2. 2. q. 180. a. 8. ad 2.



4 S. Aug. conf. l. 10. c. 40.

1 Eccl. 7. 40.



2 Eph. 2. 18.



3 C. 10. vers. 9.

1 1. Cor. 2. 2.



2 Luc. 18. 1.



3 Luc. 21. 36.



4 1. Thess. 5. 17.



5 Coloss. 4. 2.



6 3. Part. q. 39. a. 5.



7 Iac. 4. 7.

1 L. 5. de civit. c. 20.



2 Psal. 49. 15.



3 Ps. 17. 4.



4 Serm. 49. de modo ben. viv. a. 7.



5 Rom. 7. 17.



6 Iob. 16. 18.



7 Iudic. 16. 28.



8 Hebr. 11. 32. et 33.




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