- CAPO II - De' beni dello stato religioso.
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CAPO
II - De' beni dello stato religioso.
1.
Ben si adatta alle religiose quel che fu detto al popolo d'Israele, quando fu
liberato dalla tirannia di Faraone ed uscì dall'Egitto: Dux fuisti in misericordia populo quem redemisti, et portasti eum in
fortitudine tua ad habitaculum sanctum tuum (Exod. XV, 13).1
Siccome gli Ebrei erano nell'antica legge il popolo diletto di Dio, a
differenza degli Egiziani, così lo sono nella nuova i religiosi a rispetto de'
secolari. E siccome gli Ebrei uscirono dall'Egitto, terra di fatiche e di
schiavitudine, e dove non si conosceva Dio, così i religiosi escono dal mondo,
che paga i suoi servi di amarezze e stenti, e dove poco si conosce Dio. Siccome
finalmente gli Ebrei nel deserto furon guidati per una colonna di fuoco alla
terra promessa, così i religiosi dalla luce dello Spirito Santo son guidati
alla religione, la quale è simile alla terra a noi promessa del cielo.
Nel
cielo non v'è appetito di ricchezze terrene, né
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di piaceri sensuali,
né vi è propria volontà; e nella religione, per mezzo de' santi voti di
povertà, castità e d'ubbidienza, si chiude la porta a questi nocivi desideri.
Nel cielo non si fa altro che lodare Dio: lo stesso si fa nella religione,
poiché tutto quel che ivi si opera, si riferisce a lodare il Signore. Laudas Deum, dice S. Agostino, cum agis negotium: laudas cum cibum et
potum capis: laudas cum requiescis et dormis (S. August., in Psal.
146).2 Tu, religiosa, lodi Dio quando tratti gli affari del monastero,
quando assisti alla sagrestia, alla ruota, alla porta: lodi Dio quando vai a
mensa: lodi Dio quando vai a riposo e dormi: in somma in quanto fai, in tutto
lodi Dio. In cielo in fine v'è una continua pace, mentre i beati in Dio trovano
ogni bene; e nella religione, perché ivi non si cerca altro che Dio, in Dio si
trova quella pace che supera tutte le delizie ed i contenti che può dare il
mondo. Avea ragione dunque di dire S. Maria Maddalena de' Pazzi che la
religiosa dee avere una grande stima del suo stato, mentre la vocazione alla
religione è la maggior grazia che Dio possa fare ad un'anima dopo il
battesimo.3
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2.
Voi dunque dovete stimare il vostro stato più che tutte le grandezze e regni
del mondo. Il vostro stato vi difende da' peccati che nel mondo commettereste,
vi occupa in continui esercizi santi, vi fa meritare in ogni giorno corone
eterne, vi rende sposa d'un Dio, e finalmente, dopo la vostra breve vita, vi
renderà regina del regno eterno del paradiso. Dove voi meritavate questa
grazia, che Dio vi preferisse a tante altre donzelle, che meglio di voi la
meritavano? Sareste troppo ingrata a Dio, se voi in ogni giorno non ne lo
ringraziate con tutto l'affetto.
Niuno
meglio di S. Bernardo descrive i gran beni che vi sono nello stato religioso;
dice il Santo così: Nonne haec est religio
sancta, in qua homo vivit purius, cadit rarius, surgit velocius, incedit
cautius, irroratur frequentius, quiescit securius, moritur confidentius,
purgatur citius, remuneratur copiosius? (S. Bern., De bono
relig.).4 Esaminiamo questi gran detti uno per uno, e vediamo i gran
tesori che ciascuno d'essi contiene.
3.
Per I. La religiosa vivit purius. -
Tutte l'opere che fa un religioso, per sé parlando, sono certamente più pure e
più care a Dio. La purità dell'opere non in altro consiste che nell'essere
fatte solo per piacere a Dio; onde le nostre azioni, quanto più in esse vi è di
volontà di Dio e meno di volontà nostra, tanto più elleno sono a Dio accette.
Nell'opere che fanno le persone secolari, per quanto elle sieno sante e fervorose,
sempre vi è più di volontà propria che nelle opere che fa una religiosa. La
secolare fa orazione quando vuole, si comunica quando vuole, sente la Messa, fa
la lezione, la disciplina, dice l'Officio quando vuole. Ma la religiosa fa
questi esercizi quando vuole l'ubbidienza, cioè quando vuole Dio, poiché per
mezzo dell'ubbidienza è Dio stesso quegli che parla. E per tal riguardo la
religiosa, ubbidendo
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alla regola ed alle superiore, non solo merita
quando fa orazione o altra azione spirituale, ma anche mentre fatica, mentre
cammina, mentre assiste alla ruota, mentre parla nella ricreazione, ed anche
mentre si ciba o si ricrea o va a riposo; perché facendo tutto, non per volontà
propria, ma per ubbidienza, in tutto fa la volontà di Dio, ed in tutto merita.
4.
Oh quante volte la propria volontà guasta l'opere più sante! Oimè, e a quante
persone nel giorno del giudizio, quando elle chiederanno il premio di ciò che
han fatto, e diranno: Quare ieiunavimus,
et non aspexisti: humiliavimus animas nostras, et nescisti? (Is. LVIII, 3)
sarà loro risposto: Ecce in die ieiunii
vestri invenitur voluntas vestra (Ibid.) Dirà loro il Signore: Voi che
pretendete? premio? Questo già l'avete avuto in far la vostra volontà, giacché
avete operato più per compiacere voi stesse che me. Disse pertanto Giliberto
abbate che le opere più picciole de' religiosi avanzano di merito le più grandi
de' secolari: Quod infimum est in vobis,
fortius est saecularibus (Gil., Serm. 37).5 Oltreché S. Bernardo
scrisse che se una persona del secolo facesse la quarta parte di ciò che fa una
religiosa, sarebbe adorata per santa: Credo
nullum hic esse qui, si quartam partem eorum quae facit, in saeculo actitaret,
non adoraretur ut sanctus (Serm. 4, in Ps. Qui habitat).6 Ed in fatti si è veduto colla sperienza più
volte che certe donzelle, le quali nel secolo risplendeano come soli, entrate
poi nel chiostro non sembravano neppure lucciole, a
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rispetto delle
religiose osservanti, che ivi han trovate. Per questa ragione dunque, che la
religiosa in tutto quel che opera fa la volontà di Dio, ella può veramente dire
d'esser tutta di Dio. La Ven. M. Maria di Gesù, fondatrice del monastero di
Tolosa, dicea che per due ragioni molto stimava la sua vocazione: l'una perché
la religiosa sta sempre con Gesù Cristo, che dimora seco nella stessa casa nel
SS. Sagramento; l'altra perché la religiosa per lo voto dell'ubbidienza è tutta
di Dio, avendo con quello sagrificata a Dio la sua volontà e tutta se
stessa.7
5.
Per II. Cadit rarius. - La religiosa
certamente è men soggetta a cadere, stando ella fuor del mondo. S. Antonio
abbate vide il mondo pieno di lacci;8 e prima di lui lo vide l'apostolo
S. Giovanni, onde disse che nel mondo non vi è altro che cupidigia di piaceri
sensuali, di ricchezze e di onori terreni:
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Omne quod est in mundo concupiscentia carnis est - sono i piaceri - concupiscentia oculorum - sono le
ricchezze - et superbia vitae - sono
gli onori, che rendon l'uomo superbo in questa vita. - Nella religione per
mezzo de' santi voti si chiudono queste fonti avvelenate: col voto della
castità si chiude la porta a' piaceri di senso, col voto della povertà si
toglie il desiderio delle ricchezze, e col voto dell'ubbidienza si estingue
l'ambizione de' vani onori.
6.
È vero che anche vivendo nel mondo potrebbe ciascuno viver distaccato da' beni
mondani; ma, come suol dirsi, chi tocca la pece facilmente ne resta imbrattato.
Totus mundus in maligno positus est,
dice lo stesso S. Giovanni (I Ep. V, 19). Spiega S. Ambrogio: Tutti quei che
vivono nel mondo, vivono sotto la misera e tirannica potestà del
peccato.9 L'aria del mondo è un'aria infetta e nociva per l'anima, dove
chi la respira facilmente v'incorre qualche infermità spirituale. I rispetti
umani, i mali esempi, le cattive conversazioni sono grandi incentivi, che
tirano le persone ad attaccarsi ai beni della terra e ad allontanarsi da Dio.
Ognuno sa che le male occasioni, le quali abbondano nel mondo, son la cagione
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per cui tante anime si perdono. Da queste occasioni è lontana la
religiosa che vive nel chiostro. Quindi S. Maria Maddalena de' Pazzi
abbracciava talvolta e baciava le mura del suo monastero, dicendo: O mura, o mura, da quanti pericoli voi mi
difendete!10 E perciò la B. Maria Maddalena degli Orsini, quando
vedea ridere nel suo monastero qualche religiosa: Ridi, dicea, sorella mia,
ridi, perché hai ragione di star contenta, stando fuori de' pericoli del mondo.11
7.
Per III. Surgit velocius. - Se mai
per disgrazia cade una religiosa in qualche colpa, almeno ha maggiori aiuti per
risorgerne. La regola che l'obbliga a confessarsi, la meditazione dove sente
ricordarsi le verità eterne, gli esempi delle buone compagne, le riprensioni
delle superiore sono grandi aiuti a risorgere. Vae soli, dice lo Spirito Santo, quia, cum ceciderit, non habet sublevantem se (Eccl. IV, 10). Chi
sta nel mondo, se pecca, difficilmente trova chi l'avverte e lo corregge, e
perciò facilmente resta perduto nella sua caduta; ma nella religione, si unus ceciderit, ab altero fulcietur
(Ibid.). Se cade una religiosa in qualche errore, sarà presto soccorsa dalle
sue compagne ad uscirne: Iuvatur a sociis
ad resurgendum, dice S. Tommaso l'Angelico, parlando appunto de'
religiosi.12
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8.
Per IV. Incedit cautius. - Oh quanti
maggiori aiuti ha una religiosa in quanto alla vita eterna, che non hanno i
primi principi e monarchi della terra! I monarchi hanno bensì gran ricchezze,
spassi, onori, eserciti e signori che li servono; ma non hanno una persona che
loro dica una parola di correzione o che almeno li avvisi de' propri doveri:
tutti tremano di parlare per timore di perdere la grazia del re, se l'avvertono
di qualche suo difetto; anzi molti, per maggiormente acquistarsi il suo favore,
applaudiscono e lodano gli stessi suoi disordini. Nella religione all'incontro
la monaca, se mai erra, ha molti occhi sopra per correggerla e farla ravvedere.
Le superiore, le zelatrici, le stesse compagne non lasceranno di avvertirla de'
suoi difetti o pericoli: gli stessi buoni esempi delle sue sorelle saranno
tutte correzioni de' suoi mancamenti. Questi aiuti, in quanto alla salute
dell'anima, ch'è l'affare più importante, anzi che solo importa in questo
mondo, sono certamente, per chi ha fede, beni più grandi che tutte le grandezze
e domini della terra.
9.
Siccome i secolari vivendo in mezzo al mondo hanno molti argini a fare il bene,
così le religiose nel monastero hanno molti argini a commettere il male.
L'attenzione specialmente che vi è ne' monasteri di evitare anche le colpe
leggiere, è un grand'argine ed antemurale per evitare poi le colpe gravi;
poiché la religiosa o vince la tentazione in materia di colpa veniale, ed ella
acquista più forze allora per resistere alle tentazioni di peccati gravi: o poi
per fragilità talvolta resta vinta, ed allora, se si perde un
rivellino13 della piazza, almeno non si perde la piazza; anzi alle
volte queste picciole perdite giovano, acciocché la piazza più si cauteli e si
fortifichi. La religiosa con quelle sue picciole cadute meglio vede la sua
debolezza, e perciò più si umilia, più diffida di se stessa, prende a ricorrere
più spesso e con più confidenza per aiuto a Gesù Cristo ed alla sua santa
Madre; e così quelle cadute non solo non le apporteranno gran nocumento, poiché
il Signore, umiliandosi ella, subito accorrerà colla sua mano a sovvenirla: Cum ceciderit (iustus), non collidetur,
quia Dominus supponit manum suam (Psal. XXXVI, 24); ma di
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più le
gioveranno in qualche modo, come si è detto, per più diffidare di sé e più
confidare in Dio. Diceva il B. Egidio francescano esser meglio l'avere un solo
grado di grazia nella religione, dove quel grado facilmente cresce e
difficilmente si perde, che dieci gradi nel mondo, dove difficilmente questi
gradi crescono e facilmente si perdono.14
10.
Per V. Irroratur frequentius. - Oh
Dio, e con quanti lumi, con quante dolcezze interne e voci d'amore va Gesù
coltivando le sue spose ne' chiostri, or nell'orazione, or nella comunione, ora
nel coro alla presenza del SS. Sagramento, ora nella cella a vista del
Crocifisso! L'anime in mezzo al secolo son piante poste in terra arida, dove della
rugiada del cielo poco ne scende, e questo poco rare volte si vede, perché
mancano i mezzi. Poveri secolari! Vorrebbero più trattenersi nell'orazione, più
frequentar la comunione, vorrebbero sentire più spesso la parola di Dio,
vorrebbero godere un poco di solitudine, per più star raccolti e più stringersi
con Dio; ma ciò loro non è permesso. Gli affari del mondo, i parenti, i
rispetti umani, le visite degli amici, le soggezioni del secolo ce
l'impediscono. Le religiose all'incontro son piante felici poste in terra
felice, dove continuamente abbonda la rugiada del cielo. Il Signore ne'
monasteri continuamente assiste alle sue spose co' lumi, ispirazioni e
consolazioni di spirito, che ricevono nelle meditazioni, ne' sermoni, nelle
lezioni de' sagri libri, ed anche nel vedere i buoni esempi delle sorelle. Con
ragione dunque dicea la madre Caterina di Gesù teresiana, quando taluno le
ricordava i travagli sofferti per la fondazione
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del monastero,
rispondea: Iddio mi ha ben pagato tutto
con un'ora sola di religione in casa della sua santa Madre.15
11.
Per VI. Quiescit securius.- I beni
del mondo non possono contentare il nostro cuore. Le bestie che son create per
la terra, restano contente coi beni di terra; ma l'uomo ch'è creato per Dio,
solo Dio può contentarlo. E ciò si vede colla sperienza, perché se questi beni
appagassero l'uomo, i ricchi, i principi della terra, che abbondano di danari,
di onori e di piaceri sensuali sarebbero felici: ma noi vediamo l'opposto,
mentre questi vivono più inquieti e tribulati degli altri; poiché dove più
abbondano le ricchezze e le dignità, ivi più abbondano i timori, le amarezze e
le angustie. Teodosio imperadore, entrando un giorno sconosciuto nella cella
d'un monaco solitario, dopo qualche discorso gli disse: Padre, voi sapete chi son io? io sono l'imperadore Teodosio. E poi
soggiunse: Oh beati voi, che menate qui
in terra una vita contenta, lontana da' guai del mondo! Io sono un gran signore
della terra, sono imperadore; ma per me, sappi, padre mio, che non v'è un
giorno in cui mi cibo con pace.16
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12.
Ma come vuol dar pace il mondo, se il mondo è luogo d'inganni, di gelosie, di
timori e di tumulti? Vi sono, sì, certi miseri piaceri, ma questi più affliggono
che contentano l'anima; mentre per brevi momenti dilettano il senso, ma
lasciano poi mille spine ed amarezze nel cuore. E quindi nasce che i più grandi
ed onorati del mondo vivono più afflitti, perché le loro grandezze, quanto sono
maggiori, tanto più vanno accompagnate da maggiori timori e disgusti. Dicasi
dunque che 'l mondo non è luogo di piaceri, ma d'inquietudini e di martiri;
poiché regnano in esso le passioni, quali sono l'ambizione degli onori, la
cupidigia delle ricchezze, l'avidità de' diletti; e perché questi beni non
possono mai aversi quanti e come si desiderano, ed avuti non contentano il
cuore, anzi portano seco mille amarezze; perciò l'uomo che de' beni del mondo
si pasce, si pasce di fiele e di veleno.
13.
Beata dunque quella religiosa che ama Dio e sa conoscere la grazia che il
Signore le ha fatta, di cavarla dal mondo e porla nella religione; dove
attendendosi per mezzo della santa mortificazione a vincer le passioni e negare
se stessa, godesi quella pace che, al dire dell'Apostolo, supera tutte le
delizie che dilettano i sensi: Pax Dei
quae exsuperat omnem sensum (Philip. IV, 7). Trovatemi, io dico, tra le
persone più fortunate del mondo, tra le prime principesse e regine, una
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più
contenta e felice di quella religiosa che, spogliata degli affetti mondani,
attende solamente a piacere a Dio. Non l'angustia la povertà, perché questa è
la ricchezza ch'ella volontariamente si ha eletta, e gode quando ne prova gli
effetti: non la mortificazione de' sensi, poiché a questo fine è venuta nella
religione, per mortificarli e crocifiggerli: non la soggezione dell'ubbidienza,
perché questo è il sagrificio più grato c'ha inteso di fare a Dio, di donargli
la propria volontà. Non l'affligge l'esser umiliata, perché a tal fine è
velluta nella casa di Dio: Elegi abiectus
esse in domo Dei mei, magis quam habitare in tabernaculis peccatorum (Ps.
LXXXIII, 11). Non l'affligge la clausura, anzi questa la consola, perché la
libera da' disturbi e dai pericoli del mondo. Non l'affligge il servir la
comunità, non l'essere disprezzata, non l'essere inferma, perché tutto ciò la
rende più cara a Gesù suo sposo. Non l'affligge finalmente l'osservanza delle
regole, perché tutte le fatiche e gl'incomodi che le regole apportano, son
peso, ma son peso d'ale, che le son necessarie per volare ed unirsi con Dio. Oh
che bel contento è il ritrovarsi una religiosa in quello stato, in cui non
tiene diviso il cuore, e può esclamare con S. Francesco: Deus meus et omnia!17
14.
È vero che alcune religiose anche nel chiostro fanno una vita scontenta, ma,
dimando, perché? perché non vivono da religiose. L'esser buona monaca e
contenta è la medesima cosa. Perciò bisogna intendere che la felicità d'una religiosa
sta nel tener sempre e tutta unita la sua volontà alla volontà divina. Chi
dunque non si unisce alla volontà di Dio, non può esser contenta, perché Dio
non può consolare l'anime che ripugnano a' suoi santi voleri. Soglio pertanto
io dire che una religiosa nel monastero o gode un paradiso anticipato o patisce
anticipatamente l'inferno. Che cosa è l'inferno? È il vivere lontano da Dio, il
non potere far la propria volontà, l'esser mirato di mal occhio dalle persone
con cui si vive, l'esser disprezzato, rimproverato, castigato, l'esser chiuso
in un luogo donde non può uscirsi; l'inferno in somma importa il vivere in un
continuo patire, senza provar mai un'ora di vera pace. E tutto ciò avviene ad
una religiosa cattiva, sicché la
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misera comincia da questa vita a
patire un inferno anticipato. All'incontro che cosa fa il paradiso? Lo fa il
viver lontano da' disturbi ed amarezze del mondo, il conversare co' santi, lo
stare unito con Dio, e 'l godere in Dio una continua pace. Tutti già questi
beni gode una buona religiosa, e perciò anche in questa terra ella gode un
paradiso anticipato.
15.
È vero ancora che anche le buone religiose soffrono qui in terra le loro croci,
perché questa terra è luogo di meriti, e perciò è luogo di patire. Gl'incomodi
della vita comune tormentano: le riprensioni delle superiore e le ripulse delle
domande dispiacciono: le mortificazioni de' sensi rincrescono: l'amor proprio
si lagna, quando soffre a torto disgusti e disprezzi dalle stesse compagne. Ma
ad una religiosa che vuol esser tutta di Dio, tutti questi patimenti diventano
consolazioni e delizie, pensando che nell'abbracciarli dà gusto a Dio. Dice S.
Bonaventura che l'amore a Dio è come il mele che rende dolci le cose più
amare.18 Il Ven. Cesare da Bussis scrisse una volta questo bel
sentimento ad un suo nipote che era religioso: «Nipote mio, quando guardi il
cielo, ricordati del paradiso: quando vedi il mondo, ricordati dell'inferno,
dove si patisce sempre senza un momento di pace: quando poi vedi il tuo
monastero, ricordati del purgatorio, dove si patisce sì, ma si patisce con pace
e con sicurezza della salute eterna.»19
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E che più bel patire,
se mai può dirsi patire, il patir colla coscienza tranquilla! patire in grazia
di Dio e colla sicurezza che ogni pena diventerà un giorno una gemma della
vostra corona in paradiso! giacché le gioie più belle delle corone de' beati in
cielo sono i patimenti sofferti con pazienza e rassegnazione in questa vita.
16.
Ma il nostro Dio è troppo grato e fedele; ben sa egli rimunerare da quando in
quando, anche in questa terra, con dolcezze interne, quel che con pazienza si
soffre per suo amore. La sperienza fa vedere che quelle religiose che si
procurano soddisfazioni e sollievi dalle creature, quelle vivono più scontente:
all'incontro quelle che vivono più mortificate, fanno vita più felice.
Persuadiamoci dunque che solo Dio contenta, non le soddisfazioni de' sensi, non
gli onori, non le ricchezze, non il mondo con tutti i suoi beni: solo Dio
contenta: chi trova Dio, trova tutto. Perciò dicea S. Scolastica che se gli
uomini conoscessero la pace che godono i buoni religiosi ne' loro monasteri,
tutto il mondo diventerebbe un convento;20 o pure, come dicea S. Maria
Maddalena de' Pazzi, darebbero la scalata a' monasteri e lascerebbero tutte le
delizie che dà loro il mondo.21 E S. Lorenzo Giustiniani disse che il
Signore ad arte nasconde agli uomini la felicità dello stato religioso, perché
se tutti la conoscessero, tutti farebbonsi
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religiosi: Consulto Deus gratiam religionis occultavit,
nam si eius felicitas cognosceretur, omnes, relicto saeculo, ad eam
concurrerent.22
17.
La sola solitudine, col silenzio e quiete che in quella si gode, non è ella un
saggio di paradiso in questa terra per un'anima che ama Dio? Il P. Carlo di
Lorena della Compagnia di Gesù, nato di sangue imperiale, dicea che per un
momento della pace che godea nella sua cella, ben gli pagava Dio quanto egli
avea lasciato nel mondo; e talvolta tanto era il gaudio che provava stando
nella sua cella, che in quella metteasi a danzare per giubilo.23 Il B.
Serafino d'Ascoli cappuccino dicea che non avrebbe cambiato un palmo del suo
cordone con tutti i regni della terra.24 Arnolfo cisterciense, mettendo
a confronto le ricchezze e gli onori della corte che avea lasciati e le
consolazioni che sentiva nel monastero, esclamava:
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«Troppo è vero,
Gesù mio, quel che avete promesso, di rendere il centuplo a chi lascia tutto
per voi.»25 I monaci di S. Bernardo faceano una vita così penitente, ma
in quella loro solitudine eran così accarezzati da Dio che temeano d'esser
rimunerati in questa terra per quel poco che faceano.26 Stringetevi in
tanto voi con Dio: abbracciatevi con
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pace le croci che vi manda:
amate il più perfetto, e fatevi forza nelle occasioni. Ma per aver questa
forza, pregate sempre, pregate nella meditazione, pregate nella comunione,
pregate nelle visite al Sagramento, pregate specialmente quando il demonio vi
tenta; e così entrerete nel numero delle persone più fortunate e contente, che
non sono tutte le principesse, le regine e le imperatrici della terra.
18.
Pregate il Signore che vi dia lo spirito di religiosa, che fa operare non
secondo le inclinazioni della natura, ma solamente secondo gl'impulsi della
grazia, cioè per solo fine di piacere a Dio. Questo è avere lo spirito di
religiosa. Che serve portar l'abito della religione, e poi vivere secondo lo spirito
del mondo, conservando un cuore tutto secolaresco? Ciò è lo stesso, dice S.
Bernardo, che avere un cuore apostata: Apostasia
cordis, sub habitu religionis cor saeculare gerere (Serm. 5, in Ps.
90).27 Lo spirito di religiosa importa dunque l'avere un'ubbidienza
esatta alle regole ed agli ordini delle superiore, con un grande affetto a
servir la religione.
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Alcune
religiose vorrebbero farsi sante, ma secondo il loro genio, con attendere a
stare in silenzio, a fare orazione, a leggere libri sagri, senza essere
impiegate in offici; onde se poi son poste alla ruota, alla porta o ad altri
impieghi che le distraggono dalle loro divozioni, s'inquietano, se ne lagnano,
e talvolta con ostinazione ricusano di ubbidire, con dire che tali offici sono
loro occasioni di peccati; questo non è spirito di religiosa. Quel ch'è secondo
la volontà di Dio, non può mai apportar nocumento. Inoltre, lo spirito di
religiosa importa l'avere un totale distacco dal commercio del mondo, un grande
affetto all'orazione, un gran desiderio d'essere umiliata, |28 un
grande amore al silenzio ed al raccoglimento, un gran zelo per l'osservanza, un
grande abbominio agli appetiti del senso, una gran carità verso tutti, e
finalmente un grande amore a Dio, che regni e domini sovra tutte le nostre
passioni. Questo è lo spirito che hanno le religiose. Almeno chi non ha questo
spirito, bisogna che n'abbia un desiderio efficace, e si faccia violenza e
domandi sempre con istanza l'aiuto a Dio per giungere ad acquistarlo. In somma
lo spirito di religiosa importa il discacciare dal cuore ogni cosa che non è
Dio, e non volere altro che Dio.
19.
Per VII. Moritur confidentius. -
Alcune donzelle temono di farsi religiose col pensiero che un giorno poi non
avessero, a pentirsene. Ma io vorrei ch'elle, in far l'elezione del loro stato,
si mettessero davanti gli occhi non il tempo della vita, ma il punto della
morte, da cui dipende la loro felicità o l'infelicità eterna; e poi vorrei loro
dimandare, se mai posson credere di fare una morte più contenta, morendo in una
casa del mondo, circondate da' secolari, inquiete per la passione de' figli che
lasciano, intricate nei pensieri del secolo ed afflitte da mille scrupoli di
coscienza; o morendo nella casa di Dio, assistite dalle sue sante compagne che
continuamente le parlano di Dio, che pregano per lei e l'animano al gran
passaggio.29 Figuratevi di vedere da una parte una
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principessa che muore nel suo palagio, in una stanza tutta addobbata,
con molti servi e serve d'intorno, col marito, figli e parenti che l'assistono;
e dall'altra parte immaginatevi di vedere una religiosa che muore nel suo
monastero, in una povera celletta, mortificata, umiliata, lontana da' parenti,
distaccata dagli affetti alla terra e spogliata di robe e di propria volontà.
Ditemi, di coteste due, chi pensate che muoia più contenta? quella ricca
principessa o quella povera monaca? Ah che l'aver godute ricchezze, onori e
piaceri in questo mondo, non son cose che consolano in punto di morte, ma
apportano afflizione e diffidenza della salute eterna! All'incontro la povertà,
le umiliazioni, le penitenze, il distacco dalla terra son cose che tutte
rendono dolce ed amabile la morte, ed accrescono la speranza di andare a godere
quella felicità che è vera felicità e non ha termine.
20.
È promessa di Gesù Cristo che chi lascia la sua casa ed i parenti per suo
amore, goderà la vita eterna: Omnis qui
reliquerit domum vel fratres aut patrem etc., propter nomen meum, centuplum
accipiet et vitam aeternam possidebit (Matth. XIX, 29).30 Moriva un
religioso della Compagnia di Gesù, e rideva in morte; in veder quel ridere, gli
altri religiosi che l'assistevano temerono di qualche illusione; onde
l'interrogarono perché così ridesse. Rispose il moribondo: «E come non voglio
ridere, s'io sto sicuro del paradiso? Non è stato il Signore che ha promesso di
dar la vita eterna a chi lascia il mondo per suo amore? Io già ho lasciato
tutto per lui, Dio non può mancare alle sue promesse, e perciò rido, perché sto
certo del paradiso.»31 Ma ciò ben prima lo disse S. Gio. Grisostomo,
- 54 -
scrivendo ad un religioso: Impossibile
est mentiri Deum. Promisit autem ille vitam aeternam ista relinquentibus. Tu
reliquisti omnia ista: quid igitur prohibet de huiusmodi promissione esse
securum? (S. Chrysost., Lib. de Prov.):32 Iddio non può mentire.
Egli ha promesso la vita eterna a chi lascia il mondo per lui: voi già l'avete
lasciato: che cosa dunque può farvi dubitare di una tale promessa?
21.
Scrive S. Bernardo ch'è facile il passare dalla cella al cielo, poiché è molto
difficile, dicea, che un religioso, morendo nella sua cella, non si salvi,
mentre è molto difficile che perseveri nella sua cella sino alla morte colui
che non è destinato per lo cielo: Est
facilis via de cella in caelum; moriens enim vix umquam aliquis e cella in
infernum descendit, quia vix umquam nisi e caelo praedestinatus in ea usque ad
mortem persistit (S. Bern., Tract. de Vita solit.).33
- 55 -
Quindi
dicea S. Lorenzo Giustiniani che la religione è la porta del paradiso, giacché
l'essere religioso è un grande indizio d'essere eletto per compagno de' beati: Illius caelestis civitatis iste est
introitus; magnum quippe electionis indicium est, huius fraternitatis habere
consortium (S. Laur. Iust., c. VII, de Discipl. mon.).34 Avea
ragione dunque Gerardo, fratello di S. Bernardo, morendo nel suo monastero, di
morire cantando,35 mentre Dio stesso dice: Beati mortui qui in Domino
- 56 -
moriuntur (Apoc. XIV, 13). E chi mai sono questi morti che muoiono
nel Signore, se non i religiosi che per mezzo de' santi voti, e specialmente
per lo voto d'ubbidienza, muoiono al mondo ed a se stessi, rinunziando a tutti
i propri voleri? Quindi dicea poi morendo il P. Francesco Suarez, ricordandosi
in morte che quanto avea operato nella religione tutto l'avea fatto per
ubbidienza, che non potea mai immaginarsi che 'l morire gli riuscisse così
dolce e caro.36
22.
Per VIII. Purgatur citius.- Insegna
S. Tommaso (2. 2. qu. ult. a. 3, ad 3) che per la professione religiosa si
rimette a' religiosi, nel giorno che fanno i santi voti, colpa e pena di tutti
i peccati commessi nel secolo: Rationabiliter
autem dici potest quod per ingressum religionis aliquis consequatur remissionem
omnium peccatorum. E ne adduce la ragione, perché la persona coll'entrare
in religione donasi tutta al servizio divino: In satisfactionem pro omnibus peccatis sufficit quod aliquis se
totaliter divinis obsequiis mancipet per religionis ingressum, quae excedit
omne genus satisfactionis. E conchiude leggersi nelle Vite de' Padri che i
religiosi ricevono in quel
- 57 -
giorno la stessa grazia che ricevono i
battezzati: Unde legitur in Vitis Patrum
quod eamdem gratiam consequuntur religionem intrantes quam consequuntur
baptizati.37 I difetti poi commessi nella religione dalle buone
religiose, ben si purgano nella stessa loro vita per mezzo delle opere pie
d'orazioni, comunioni e mortificazioni, che in ogni giorno adempiscono.
Ancorché poi una religiosa non finisse di soddisfare i suoi debiti in questa
vita, poco le toccherà di stare nel purgatorio. I molti sagrifici che per lei
si offeriscono in morte, le orazioni della comunità e delle sorelle in
particolare, presto la caveranno da quelle pene.
23.
Per IX. Remuneratur copiosius. - I
mondani son ciechi e perciò non conoscono il peso della vita eterna, a rispetto
di cui la vita presente non è che un punto. Se lo conoscessero con lume vivo,
senza dubbio lascerebbero le case proprie ed anche i regni, per ritirarsi in
qualche chiostro, affin d'attendere solamente al grande affare dell'eterna
salute, alla quale è molto difficile l'attendere come si dee stando nel mondo.
Benedite voi dunque e ringraziate sempre il vostro Dio, che vi ha data la luce
e la forza di uscire dall'Egitto e di ricoverarvi nella sua casa; siategliene
grata in servirlo con fedeltà e riconoscenza corrispondente a tanta grazia.
Mettete a confronto tutti i beni che può dare il mondo da una parte e la
felicita eterna che apparecchia Iddio a chi rinunzia questi beni per suo amore,
e vedrete che v'è più proporzione fra un acino d'arena e tutta la terra che tra
il valore di questi beni
- 58 -
mondani che presto finiscono ed i beni
celesti che si godono in eterno.
24.
Gesù Cristo ha promesso a chi lascia tutto per lui, di dargli il centuplo in
questo mondo e la vita eterna nell'altro; chi mai può dubitare di questa sua
promessa? Egli e pur troppo fedele in attendere quel che promette; ed inoltre è
più liberale nel premiare le opere buone che nel punir le cattive. Se egli ha
promesso di non lasciar senza paga una semplice bevuta d'acqua che si dona per
suo amore: Quisquis enim potum dederit
vobis calicem aquae in nomine meo, non perdet mercedem suam (Marc. IX,
40),38 come lascerà senza gran premio tante opere buone, tanti atti di
carità, tante astinenze, orazioni, offici, lezioni spirituali che fa ogni
giorno una religiosa che attende alla perfezione? E bisogna intendere che
queste opere eseguite per ubbidienza e per osservanza de' voti fatti, hanno
assai maggior merito che le buone opere de' secolari. Un fratello della
Compagnia di Gesù, chiamato fratello Lacci, apparve dopo morte ad una persona,
e le disse che cosi esso come il re Filippo II si erano già salvati; ma che
quanto maggiore era stata la grandezza di Filippo in questa terra, tanto più
grande di quella di Filippo era la gloria ch'esso godeva in cielo.39
25.
Egli è un gran pregio il martirio per la fede, ma lo stato religioso par che
abbia qualche cosa più eccellente del martirio. Il martire soffre i tormenti
per non perder l'anima, ma la religiosa li soffre per rendersi più grata a Dio;
ond'è che se il martire è martire della fede, la religiosa è martire della
perfezione. È vero che al presente lo stato religioso ha perduto molto del
primiero splendore, tuttavia ben può dirsi che anche al presente le anime più care
a Dio, che camminano con maggior perfezione e che più edificano col loro buon
odore
- 59 -
la Chiesa, comunemente parlando, non si ritrovano che nelle
case religiose. Ed in fatti dove sono e quante sono quelle persone anche
spirituali nel mondo, che levansi di notte a fare orazione ed a cantar le
divine lodi? che impiegano cinque o sei ore del giorno in questi e simili santi
esercizi? che fanno tanti digiuni, astinenze e mortificazioni? che osservano
tanto silenzio di regola? che stanno così attente in far la volontà altrui? E
pure tutto ciò ben l'adempiscono le religiose de' monasteri osservanti ed anche
degl'inosservanti, poiché in ogni monastero, rilasciato che sia, sempre si
ritrovano quelle che nel giorno del giudizio serviranno per giudici dell'altre,
le quali amano la perfezione ed osservano le regole, oltre poi l'altre opere
soprerogatorie che fanno in particolare. È certo che tutto quel che fanno
ordinariamente nel mondo l'anime pie, non può mettersi a confronto di quel che
fa una buona religiosa. Con ragione dunque disse S. Cipriano che le vergini
consagrate a Dio sono i fiori del giardino della Chiesa e la parte più nobile
del gregge di Gesù Cristo: Flos est iste
ecclesiastici germinis..., illustrior portio gregis Christi (S. Cypr., Lib.
de habit. virg.).40 E S. Gregorio Nazianzeno disse che i religiosi sono
le primizie del gregge del Signore, le colonne e corona della fede, e le pietre
preziose della Chiesa: Sunt gregis Domini
primitiae, columnae et corona fidei, margaritae templi (S. Greg. Nazian.,
Orat. ult. in Iulian.).41 Io tengo per certo
- 60 -
che la maggior
parte delle sedie de' Serafini, lasciate vuote dagl'infelici compagni di
Lucifero, non sarà occupata che dalle persone religiose. Nel secolo passato, di
sessanta persone poste dalla Chiesa nel catalogo de' santi o de' beati, non più
che cinque o sei non sono state religiose. Guai al mondo, disse un giorno Gesù
a S. Teresa, se non vi fossero i religiosi! (Riber., 1. I vit. c.
12).42 Dice Ruffino che non dee dubitarsi che il mondo sussista per li
meriti de' religiosi: Dubitari non debet
ipsorum meritis adhuc stare mundum (Rufin., Prol. in Vit. Patr.).43
Quando dunque vi spaventa il demonio con porvi avanti l'osservanza della
regola, l'annegazione di voi stessa e la vita mortificata che dovete fare per
salvarvi, alzate gli occhi al cielo, e la speranza di quella beatitudine eterna
vi darà coraggio e
- 61 -
forza per soffrire ogni cosa. Finiranno un giorno
le angustie, le mortificazioni e tutte le miserie di questa vita, e
succederanno a queste le delizie del paradiso, che saranno piene ed eterne,
senza timore che possano mai più finire o mancare.
1
Dux fuisti in misericordia tua populo
quem redemisti, et portasti eum in fortitudine tua ad habitaculum sanctum tuum.
Exod. XV, 13.
2
Ad aurium exhortationem canta voce; corde ne sileas, vita ne taceas. Non
cogitas in negotio fraudem, psalis Deo. Cum manducas et bibis, psalle: non
intermiscendo sonorum suavitates ad aures aptas, sed modeste et frugaliter et
temperanter manducando... Si ergo bene agis, quod et
manducas et bibis, et ad refectionem corporis sumis.... gratias agens ei qui
tibi praebuit mortali et fragili ista supplementorum solatia: et cibus tuus et
potus tuus laudat Deum; si vero modum naturae debitum immoderatione voracitatis
excedas, et vinolentia te ingurgites, quantaslibet laudes Dei lingua tua sonet,
vita blasphemat. Post cibum et potum requiescis ut dormias; nec in lectio
aliquid turpiter agas.... laudas Deum, nec omnino silebit laudatio tua. Quid,
cum somnus advenerit? Et cum dormis, non te excitet a quiete mala conscientia
tua, et innocentia somni tui laudat Deum. Si ergo laudas, non tantum lingua canta, sed etiam
assumpto bonorum operum psalterio:
quoniam bonus psalmus. Laudas cum agis negotium, laudas cum cibum et potum
capis, laudas cum in lecto requiescis, laudas cum dormis: quando non laudas?
Perficietur in nobis laudatio Dei, cum ad illam civitatem venerimus, quando
effecti fuerimus aequales angelis.... Ad illam perfectissimam laudem exerceamus
nos laudatione ista in bonis operibus.» S. AUGUSTINUS, Enarratio in Ps. 146, n. 2. ML 37- 1899, 1900.
3
«Nell' introdurre le novelle suore alla cognizione del nobile stato che appreso
aveano della Religione, si mostrava tenerissima d' affettuoso zelo, e dicea
loro: «Figliuole, siate grate a Dio principalmente, e poi a tutte queste Madri
e Sorelle, perché avete ricevuto per mezzo loro il più pregiato dono che Dio ci
conferisca in questa vita dopo il battesimo a' suoi eletti, cioè l' ingresso
nella santa Religione.» PUCCINI, Vita, Firenwe,
1611, parte 4, cap. 31. - Cf. PUCCINI, Vita,
Venezia, 1671: in fine, Detti e
sentenze, § 2, n. 1.
4
«Quae est ista, quaeso, fratres mei carissimi, tam pretiosa margarita, pro qua
universa dare debemus, id est nosmetipsos, quia totum Deo dedit qui se ipsum
obtulit, ut possimus eam habere? Nonne haec religio sancta, pura et immaculata,
in qua homo vivit purius, cadit rarius, surgit velocius, incedit cautius,
irroratur frequentius, quiescit securius, moritur fiducius, purgatur citius,
praemiatur copiosus?» Hoòilia in illud
Matthaei, cap. XIII, v, 45: Simile
est regnum caelorum homini negotiatori quaerenti bonas margaritas, n. 1. ML
l84-1131. Di questa omilia dice Mabillon (ML, l. c.): «Tribuitur communiter
Bernardo, quamquam nec illius esse videatur. Deest
apud Horsitum.»
5 «Quod enim infirmum est in vobis,
fortius est saecularibus. Illorum infirmitas quiescit in licitis; ad perfecta,
vestra laborat. Illorum infirmitas est uti concessis: vestra quidem citra
perfectum subsistere. Quid est in vobis esse infirmum, nisi non esse perfectum?
Quid est in vobis esse infirmum, nisi summum non apprehendatis, contendere? Et
quid forte, nisi, ut apprehendatis, contendere? Ideo infirmum nostrum fortius
est saecularibus, et, ut sic dicam, melior est infirmitas monachi, quam
saecularis benefaciens. Opera quae penes nos putantur infirma, quanti crederentur, si ab ipsis
fieri viderentur?» GILLEBERTUS Abbas, In
Cantica sermo 37, n. 3. ML 184-194.
6
«Thesaurum regni caelorum, qui invenit homo, abscondit (Matth. XIII, 44).
Propter quod etiam corporaliter in claustris et in silvis abscondimur. Et si
scire vultis quantum in hac absconsione lucramur, credo nullum hic esse qui, si
quartam partem eorum quae facit, in saeculo actitaret, non adoraretur ut
sanctus, reputaretur ut angelus: nunc autem quotidie tamquam negligens arguitur
et increpatur. Parumne hoc lucrum ducitis, quod non reputamini sancti antequam
sitis? An non timetis ne forte vili mercede hic recepta, in futuro mercedem non
habeatis?» S. BERNARDUS, In
Ps. Qui
habitat, sermo 4, n. 3. ML 183-194, 195.
7
La Madre Maria di Gesù nacque in Tolosa nel 1569; appena entrata nel settimo
anno, fece più volte istanze, purtroppo inutili, al confessore acciò le desse
la comunione; data in isposa ad un regio Consigliere del Parlamento di Tolosa,
continuò ad essere modello di tutte le virtù. Si servì di essa il celebre e
santo Padre Sebastiano Michaelis, riformatore dell' Ordine Domenicano, per
restituire alla Confraternita del SS. Rosario, ivi fondata da S. Domenico, l'
antico splendore, e per dare nuova vita al Terzo Ordine del medesimo. Nel 1601,
nel Capitolo Generale celebrato in Roma. Il P. Michaelis impetrò dal
Definitorio che fosse ricevuto sotto l' ubbidienza dell' Ordine il monastero
del secondo Ordine che intendeva fondare in Tolosa, sotto l' invocazione di S.
Caterina da Siena, e sotto la stretta regolare osservanza introdotta dal
Patriarca S. Domenico nel primo Monastero di Monache eretto da lui. Ai 21 di
novembre 1605, in età di 31 anno, ottenuta dal marito, con pubblica scrittura,
la licenza di monacarsi, Suor Maria, colle prime compagne, entrò in clausura.
Dopo cinque anni di durissimi contrasti, agli otto di maggio 1611, si ottenne
il Breve Pontificio per l' istituzione canonica: ricevuto il quale, Suor Maria
prese, con undici compagne, l' abito del Secondo Ordine, e fu eletta Priora.
Morì ai 2 di Settembre 1611, in età di 42 anni ed un mese. Tra le sue eroiche
virtù, risplendettero specialmente le due qui lodate da S. Alfonso: un amore
sviscerato verso Gesù Sacramentato, e l' ubbidienza. Di questa diede un raro
esempio, mentre deposta, dopo molte preghiere, dal Priorato, domandò e ottenne
di esser ricevuta nel Noviziato, e fino alla morte si considerò e si diportò
come l' ultima e la più umile delle Novizie. - Oltre il Monastero di S.
Caterina da Siena, ne fondò, da maritata, un altro in Tolosa, per le donne
penitenti. - Cf. MARCHESE, Sagro Diario
Domenicano, V, Napoli, 1679, pag. 4 e seg.
8 «Dixit sanctus abbas Antonius: Vidi
omnes diaboli laqueos super terra structos, ingemuique ideo et dixi: Vae generi
humano! Quis poterit eripi ab istis? Et dixerunt mihi: Humilitas salvat ab
istis, nec ad illam pertingere valent.» S. ANTONII MAGNI Abbatis sententiarum quarumdam expositio facta a quodam sene post
eius obitum. MG 40- 1089.
9 «Mundus in maligno positus est, ut dixit
Iannes (I Io. V, 19): ergo et saeculum in maligno est, mundus plenus peccati.» S. AMBROSIUS, Expositio in Ps. 118 sermo 12, n. 47. ML
15-1377.- Poco sopra, esponendo il verso 94 di questo Salmo 118 (Sermo 12, n. 37-41. ML 15-1374, 1375,
1376), S. Ambrogio dipinge al vivo il tirannico potere del peccato sulla
maggior parte degli uomini: «Tuus sum
ego.... Facilis vox, et communis videtur, sed paucorum
est.... Apostolorum itaque vox ista est, nec omium tamen apostolorum. Nam et
Iudas apostolus fuit..... et introivit in
eum Satanas, et coepit dicere. Non est tuus, Iesu, sed meus est... Non
potest dicere saecularis: Tuus sum; plures
enim dominos habet. Venit libido, et dicit: Meus es; quia ea quae sunt corporis
concupiscis: in illius adolescentuiae amore te mihi vendidisti..... Venit
avaritia, et dicit: Argentum et aurum quod habes, servitutis tuae pretium
est.... Venit luxuria, et dicit: Meus es; unius diei convivium, pretium tuae
vitae est.... Venit ambitio, et dicit tibi: Plane meus es.... Veniunt omnia vitia,
et singula dicunt: Meus es. Quem tanti competunt, quam vile mancipium est! Quomodo ergo tu qui
huiusmodi es, potes Christo dicere: Tuus
sum? Respondebit tibi ille: «.... Non est meus quem libido
succendit; quia mea est castitas. Non est meus quem eura spoliandi minores
exagitat; quia mea integritas est. Non est meus quem eura spoliandi minores
exagitat; quia mea integritas est. Non est meus quem ira mobilis inquietat;
quia mea tranquillitas est. Quid mihi ad eum de quo veniat diabolus, et dicat:
Meus est: nam mihi sua colla curvavit..... nomen sibi tuum vindicat, et meum
munus?».... Ego autem nunc Dei mei sum, nunc tristitiae, nunc iracundiae, nunc
verbi otiosi; et ideo qui plures dominos habet, non potest uni dicere: Domine
Iesu, tuus sum..... Ille (Paulus)...
dicebat: Christi sum; et respondebat ei Dominus: Meus es. Qui vere dicit: Tuus sum, audit a Domino: Meus es.»
10
«Vedevasi talora baciare con sommo affetto le muraglie del Monastero; e
domandata alcuna volta perché ciò faceva: «Non vi par forse, diceva ella, o
Sorelle mie, ch' io n' abbia cagione; poiché questi santi muri mi separano
dall' infelice mondo, e mi fanno sicuro il più pregiato tesoro ch' io possegga,
mediante 'l quale l' anima mia s' accende ad amar Gesù per possederlo, e per
goderlo perfettamente in patria.» PUCCINI, Vita,
Firenze, 1611, parte 1, cap. 63.
11
Maria Maddalena Orsini, nata nel 1534, sposò Lelio di Renzo da Ceri, ma poi,
rimasta vedova, si fece monaca del Terz' Ordine Domenicano. Nel 1583 vestì l'
abito del 2° Ordine e fondò il monastero di S. Maria Maddalena di Monte Cavallo
in Roma. Morta, dopo una santissima vita, il 25 maggio 1605, fu beatificata nel
1668. Il suo corpo riposa nella chiesa di S. Caterina in via Quattro Novembre.
La Vita fu scritta dal P. Bonaventura
Borselli, domenicano (Roma, 1668), ma non vi abbiamo trovato il detto riferito
dal nostro santo come neppure nel Sagro
Diario Domenicano del P. Marchese, ai 25 di maggio.
12
«Si vero religiosus non ex contemptu, sed ex infirmitate vel ignorantia,
aliquod peccatum quod non est contra votum suae professionis committit absque
scandalo, puta in occulto, levius peccat eodem genere peccati quam saecularis.
Quia peccatum eius, si sit leve, quasi absorbetur ex multis bonis operibus quae
facit. Et si sit mortale, facilius ab eo resurgit. Primo quidem, propter
intentionem quam habet erectam ad Deum: quae, etsi ad horam intercipiatur, de
facili ad pristina reparatur..... Iuvatur etiam a sociis ad resurgendum.» S. THOMAS, Sum. Theol., II.-II,
qu. 186, art. 10, c.
13
Rivellino,termine militare, significa
un posto avanzato della fortezza.
14
«Alio quodam ex ipso perquirente, possitne divinam sibi conciliare gratiam qui
in saeculo permaneat, ita ait: «Potest quidem, sed mallem ego gratiam unam in
monasterio, quam decem in saeculo. Quae enim in monasterio obtinetur gratia, ea
et crescit facile et bene custoditur: quod is, qui monasticum sectatur
institutum, ab omni mundi strepitu et sollicitudine perturbante.... seiunctus sit, aliique Fratres.... a malo eum retrahant et ad bonum
incitent. Porro gratia quae in saeculo percipitur, et cito solet amitti et
aegre conservatur: quod mundanarum tentationum sollicitudo, quae est
perturbationum et inquietudinum parens, divinae gratiae et impediat et perdat
suavitatem; tum quod alii saeculo dediti homines,... suasionibus et.... exemplis,... a bono revocent
fortiterque impellant ad perpetranda mala.... Satius est igitur una potiri
gratia in libertate, quam decem in eiusmodi timoribus et periculis.» Acta B.
AEGIDII Assisiatis, Ord. Min. (Acta Sanctorum Bollandiana, die 23 aprilis), pars 3, cap. 1, n. 83
(et pars 2, cap. 3, n. 51). -MARCO DA LISBONA, Croniche degli Ordini instituiti dal P. S. Francesco, parte 1, lib.
7, cap. 21.
15
«Una volta... una sorella le disse: «V. R., Madre, come ha servito molto N.
Signore, può stare tanto confidata, che non teme la morte.» A che rispose....:
«Non confido più in questo, che il maggiore assassino da strada possa confidare
nelle sue azione per salvarsi: si bene in che vedo il Figliuol di Dio
inchiodato per mio rimedio in una croce, e me vestita dell' abito di sua Madre
e in casa sua. Perché è onore de' Principi proteggere i servitori de' loro
padri e difenderli da' suoi nemici.» Questa gran stima e confidenza che le dava
il vedersi con l' abito della vergine, le nacque dall' antico sogno profetico (S. Teresa, Las Fundaciones, cap. 22; Obras, V, 190, 191) nel quale in ombra vide sé con
questo abito, e la Santissima Vergine per Madre e Protettrice di esso. Faceva
tanto gran stima di questo favore, che quando avanti di lei si trattava de'
travagli patiti in quella fondazione (di Veas o Beas), e delle difficoltà
grandi che aveva superate, diceva molto di ordinario: «N. Signore mi ha già
pagato tutto questo con un' ora sola di Religione in casa di sua Madre.»
FRANCESCO DI SANTA MARIA, Riforma de'
Scalzi di Nostra Signora del Carmine, lib. 7, cap. 32.
16
«Referebat autem beatus senior Poemen fratribus, dicens: quoniam fuit quidam
nuper monachus in Constantinopoli, temporibus Theodosii imperatoris. Habitabat autem parva cella foris civitatem.... Audiens autem imperator
quod ibi esset quidam monachus solitarius, qui numquam egrediebatur de cella,
coepit deambulando pergere ad eum locum.... praecepitque sequentibus se.... ut
nullus approximaret ad cellulam.... Ipse autem solus perrexit pulsavitque
ostium. Surrexit autem monachus et aperuit ei, et non cognivit eum quod esset
imperator.... Post orationem autem sederunt pariter, et interrogativ eum imperator
dicens: «Quomodo sancti Patres degunt in Aegypto?» Respondensque monachus ait:
«Omnes exorant Deum pro salute vestra.» Aspiciebat autem imperator intente
cellulam ipsam, et nihil in ea vidit nisi paucos panes siccos in sporta
pendentes, et dixit ei: «Da mihi benedictionem, abba, ut reficiamus.» Statimque
festinavit monachus, et misit aquam et sal, et misit buccellas, et comederunt
pariter, porrexitque ei calicem aquae, et bibit. Tum
Theodosius imperator dixit: «Scis quis ego sum?» Respondens
monachus dixit: «Nescio quis sis, domine.» Dixit
ei: «Ego sum Theodosius imperator, et ob devotionem veni huc.» Hoc cum audisset
monachus, prostravit se ante illum. At ille dixit ei: «Beati estis vos,
monachi, qui securi ac liberi de negotiis saeculi, tranquilla et quieta
perfruimini vita, et solummodo de salute animarum vestrarum habetis
sliicitudinem, quomodo ad vitam aeternam et ad caelestia praemia pervenire
possitis. In
veritate enim dico tibi quia certe in regno natus sum, et nunc in regno dego,
et numquam sine sollicitudine cibum capio.» Post
haec autem valde honorifice salutavit eum imperator, et ita egressus est ab
eo.» De vitis Patrum, lib. 3, auctore probabili RUFFINO, n.19. ML
73—749, 750. (Temendo però il monaco che molti, seguendo l' esempio dell'
Imperatore, venissero a visitarlo, e che così egli cominciasse a perdere la
virtù dell' umiltà, la stessa notte fuggì e se n' andò in Egitto, presso i
santi Padri nell' eremo.) - Cf. De vitis
Patrum, lib. 5, auctore graeco incerto, interprete Pelagio, libell. 15, n. 66. ML 73-965.
GEORGIUS CEDRENUS, Historiarum comendium,
MG 121-647.- Questo
imperatore è Teodosio II, detto Iuniore, figlio di Arcadio: nato nel 401, regnò
dal 408 al 450.
17
Oratio quotidiana B. P. Francisci; Opera S.
FRANCISCI, Pedeponti 1739, I, 20. - MARCO DA LISBONA, Croniche del P. S. Francesco, parte 1, lib. 1, cap. 8.
18 «Nihil est plenius delectatione quam
amare Deum. Si
quis diceret: Ecce mel tantae dulcedinis, quod una gutta dulcescat totum mare,
et gustata una gutta, videantur omnia dulcia extranei generis esse amara: hoc
mel diceretur valde dulce. Sed haec dulcedo est in amore divino, quia omnes
amaritudines convertit in dulcedinem et quidquid est tribulationis mundanae:
similiter gustata eius dulcedine, omnia dulcia extranei generis videntur amara,
quia, «gustato spiritu, desipit omnis caro (S. Bernardus, epist. 111, n. 3).»
S. BONAVENTURA, Sermones de Sanctis,
Sermo II de S. Maria Magdalena,I, 4°. Opera,
IX, ad Claras Aquas, 1901, pag. 559, col. 1.
19
Il Ven. P. Cesare de Bus - negli antichi documenti il nome della
famiglia, a cui apparteneva S. Francesca Romana, si trova anche scritto de Bustis: il padre di S. Francesca vien
chiamato «Paulus Buxa» «Paolo del Busso»-
nacque in Cavaglione di Provenza nel 1544; morì in Avignone il giorno di Pasqua
1607. Fondò la Congregazione della Dottrina Cristiana, la quale venne tosto
approvata dal Sommo Pontefice Clemente VIII: prima Congregazione di Sacerdoti
con voti semplici. Ebbe il P. Cesare molti nipoti, essendo stato egli il
settimo tra 13 figli: di quel suo nipote però di cui parla S. Alfonso, non
abbiamo trovato menzione in quelle Vite di
lui, che abbiamo potuto rintracciare; molte altre ne furono scritte in varie
lingue. Fin dalla sua morte fu oggetto di vero culto: ma questo venne ridotto a
giusti termini, dopo i decreti di Urbano VIII. Le sue virtù furon dichiarate
eroiche da Pio VII nel 1821. La causa di beatificazione, tanto tempo sospesa,
si riprende ora con buona speranza di felice esito. Il Cardinal Tarugi, figlio
tanto amato di S. Filippo in Roma e affezionatissimo al P. Cesare in Avignone,
chiamava questo suo amico un altro Filippo Neri.
20
Queste parole, come non sono di S. Scolastica, così certamente debbono
attribuirsi alla B. Maria Maddalena Orsini (vedi sopra, nota 11). «Solea ella
dire alle sue discepole: «.... Ah che se alle persone del mondo fossero note le
delizie che nella Religione si godono e l' altissimo grado de' suoi familiari
in che Iddio ha collocati i Religiosi, tutti diverrebbero Religiosi, e si
disertaria il secolo.» MARCHESE, Sagro
Diario Domenicano, III, Napoli, 1672, 25 maggio, pag. 200.
21
«Altra volta dicea: «Se gli uomini mondani capissero quanti siano i gusti che
aspettano nell' altra vita quelli che vivono vergini insino alla morte, come
cervi assetati correrebbono a riserrarsi nelle più aspre Religioni, per
conservarsi intatti e puri;» (PUCCINI, Vita,
Firenze, 1611, parte 1, cap. 63) «perché quanto più è circondata la vigna
da siepe, tanto più sta sicura» (PUCCINI, Vita,
1671, cap. 121).- «La Religione è un paradiso terrestre, nel quale l' anima si
unisce con Dio più strettamente, partecipa pià abbondantemente i tesori della
Chiesa, gode una dolcissima pace che divinamente l' imbalsama, e la fa divenire
una piccola deità in terra.» PUCCINI, Vita,
1671, in fine: Detti e sentenze, §
2, n. 2.
22
«(Dicebatque).... consulto Deum gratiam religionis hominibus occultasse, nam,
si cognosceretur illius felicitas, omnes ad eam concurrerent.» Bernardus IUSTINIANUS, Vita B. Laurentii Iustiniani, Venetiis,
1721, cap. 9.
23
Carlo di Lorena, cugino del duca di Lorena, nacque nel 1590; promosso al
vescovado di Verdun, e consacrato vescovo in età di 24 anni, entrò nella
Compagnia di Gesù nel 1622. «Il novizio Carlo, vestito d' una vesticciuola
rappezzata, godeva tra le umiliazioni, e quasi tripudiava spazzando la casa,
acconciando le lucerne, lavando i piatti, e facendo altri simili ministeri.» Al
Papa Urbano VIII disse «che avendo in vita sua maneggiato tre diversi bastoni,
quel di comando colla lancia in età più tenera, il pastorale nell' età più
matura, e la scopa in quel tempo presente, i primi due gli erano riusciti di
peso e d' aggravio, quest' ultimo di consolazione e allegrezza.» Al P. Lebrun,
già suo confessore nel secolo, scriveva: «Ho già passati nove mesi nella
Compagnia in braccio d' un' allegrezza continua, e mai interrotta. La dolcezza
e soavità dello spirito, che qui provo, è sì grande che anche ridonda nel
corpo.... Nell' Egitto non fu così. In niun altro luogo o condizione di vita
fui più felice, né in veruna posso sperare di esserlo.» In una lettera ad un
altro Padre, si protestava che si sarebbe il giorno stesso messo in viaggio,
se, per aver la grazia di cui godeva, fosse stato necessario andarla a cercare
a piedi fino nel Giappone. I due giorni del suo ingresso in Religione e della
sua professione, riputò sermpre i più segnalati della sua vita. Dopo aver
governato successivamente, con non lievi fatiche e travagli, le due case di
Bordeaux e di Tolosa, morì in quest' ultima, ai 28 di aprile 1631, in età di 40
anni. PATRIGNANI, Menologio, II,
Venezia, 1730, pag. 267 e seg.
24
«Un giorno, pià acceso che mai di questo divino amore, giunse a protestar con
un sacerdote ch' egli non avrebbe cambiato un palmo della sua corda con tutta
la gran monarchia delle Spagne, e ne apportò questa ragione, dicendo: «E quale
dovizia di beni potrebbero mai recarmi tanti regni anche pacificamente
posseduti, in comparazione del minimo comodo che mi dà la Religione di amare il
vero e sommo bene che è Dio?» Fra SILVESTRO
DA MILANO, cappuccino, Vita del B.
Serafino da Monte Granaro (detto pure d' Ascoli), Venezia, 1730, lib. 1,
cap. 6, pag. 79.
25
«Laborabat aliquando athleta Dei Arnulfus doloribus viscerum.... Cumque aliuqamdiu mutus et insensibilis iaceret, de vita ipsius desperatum
est, et ob hoc oleo infirmorum inunctus est. At ubi primum respirare potuti,
erumpens in vocem confessionis et laudis, ait: «Vera sunt omnia quae dixisti,
Domine Iesu.» Quod cum saepius iteraret.... quidam.... dicebant quod prae
acerbitate doloris cerebro turbatus esset.... Quibus ille....: «Non est ita,
fratres, sed sano capite et mente sobria dico, quia vera sunt omnia quae
locutus est Dominus Iesus.... Dominus dicit in Evangelio, quia si quis
affectibus parentum et divitiis mundi propter amorem ipsius renuntiaverit,
centuplum accipiet in hoc saeculo, et vitam aeternam in futuro. Ego itaque vim
sermonis huius in praesenti experior, et centuplum meum iam nunc in hac vita
recipio. Siquidem immensa doloris istius acerbitas adeo mihi sapit propter spem
divinae miserationis, quae in ea reposita est mihi, ut hac ipsa caruisse me nolim
pro centuplicata mundi substantia, quam reliqui.... Vere etenim spirituale
gaudium, quod modo est in spe, centies millies exsuperat saeculare gaudium,
quod nunc est in re. Si quis autem.... centuplum istud accipere non meretur,
constat profecto quod adhuc omnia perfecte non reliquit, sed ex propria
voluntate, quae est mala proprietas, secum retinet aliquid.» Hoc illo dicente, mirati
sunt universi ab homine laico et illitterato sententiam talem esse prolatam.» S. Bernardi Vita prima, liber 7, ex
Exordio Magno Cisterciensi, cap. 22, n. 38. ML 185-436, 437. - «Arnulfus,
nomine de Maiorca, dives et delicatus nimis,» fu convertito da S. Bernardo,
«dum (is) aliquando provinciam Flandriae intrasset.» Ibid., n. 35, col. 434. Della sua conversione disse S. Bernardo,
dinanzi a tutti i monaci: «De conversione fratris Arnulfi nec minus
glorificandus est Christus quam de resuscitatione Lazari quatriduani, eo
videlicet quod in deliciis tantis ciausus atque sepultus, velut in tumulo
iacebat, et quasi vivens mortuus erat.» Ibid. n. 36, col. 435.
26 «Domibus vero et habitaculis
simplicibus victus inhabitantium persimilis erat..... Cibaria quaeque vix erant
aliquid saporis habentia, praeterquam quod fames seu amor Dei faciebat, Sed et
ipsum novitii fervoriis simplicitas sibi tollebat, cum, quasi venenum
arbitrantes quidquid comedentem utcumque delectaret, recusarent dona Dei
propter gratiam quam in eis sentiebant. Cum enim circa omne genus carnalis
tolerantiae, cum adiutorio gratiae Dei, studiu, spiritualis Patris hoc in eis
effecisset ut plurima, quae homini in carne constituto impossibilia prius
videbantur, iam non solum constanter peragerent et sine murmuratione, sed etiam
cum ingenti delectatione: ipsa delectatio aliam in eis pepererat
murmurationem.... Persuasum quippe habentes.... inimicam esse animae omnem
delectationem carnism quidquid carnem cum qualibet delectatione mutrire
videretur, fugiendum arbitrabantur. Quasi enim per aliam viam reduci se
putabant in regionem suam, cum, prae dulcedine amoris interioris, amara aeque
ac dulcia delectabiliter edendo, delectabilius vivere sibi viderentur in eremo
quam prius vixissent in saeculo. Cumque in hoc suspectam aliquatenus haberent
spiritualis Patris quotidianam correptionem, quasi carni eorum plusquam
spiritui deferentem, aliquando ad iudicium praedicti Catalaunensis episcopi,
qui tunc forte aderat, res delata est. Super quo vir ille potens in verbo, sermonem ad eos
aggressus ad eum finem perduxit, ut omnem hominem, quicumque dona Dei
recusaverit propter gratiam Dei, inimicum esse gratiae Dei, et Spiritui Sancto
resistere pronuntiaret. Adducta siquidem historia de Eliseo propheta et filiis
Prophetarum cum eo in desertis locis vitam eremiticam ducentibus, cum aliquando
ad horam refectionis ventum esset, amaritudo quaedam mortis in olla decoctionis
eorum inventa, per virtutem Dei et ministerius prophetae, per infusionem
farinulae dulcorata est (IV Reg. IV, 39-41):«Olla,» inquit, «illa prophetica,
olla vestra est, nil in se nisi amaritudinem habens: farina vero amaritudinem
in dulcedinem convertens, gratia Dei operans est in vobis. Sumite ergo securi, et cum gratiarum actione, quod eum naturaliter minus
aptum fuerit usibus humanis, ad hoc per gratiam Dei vestris est usibus aptatum,
ut utamini et comedatis. In quo si inobedientes et increduli permanetis, resistitis Spiritui
Sancto, et gratiae eius ingrati estis.» GUILLELMUS, ex Abbate Sancti Theoderici
monachus Signiacensis, Vitae S. Bernardi liber primus, cap. 7, n. 36, 37. ML 185-248, 249.
27 «Quid enim vobis (qui divitias huius
saeculi penitus reliquistis) ultra pavendum est? Unum utique, idque gravissimum, peccatum
Iudae, peccatum apostasiae.... Hoc, inquam, omnino timendum est ne quis, aut
corde solo, aut etiam corpore ad vomitum revertatur. Legimus enim de filiis
Israel, quia corde redierunt in Aegyptum (Num. XIV, 3). Nam corpore reverti,
clausum post eorum talos Rubrum mare prohinenat. Hoc est quod vehementer
singulis quibusque timendum est, ne quando forte eatenus Deum offendant, ut
manifeste abiiciantur et evomantur ab eo: aut si pudor neget apostasiam
corporis, tepor ipse paulatim ingerat apostasiam cordis; ut videlicet sub
habitu religionis cor saeculare gerant, et quidquid saecularis consolationis
invenire potuerint, amplectantur.» S. BERNARDUS, In Ps. Qui habitat sermo 3, n. 5. ML 183-193.
28
Questa frase manca nelle edizioni napoletane del 1768 e 1781.
29
Nell' ultima parte del periodo, il discorso, non sappiamo se per distrazione o
per errore dell' amanuense - in questo tempo S. Alfonso, a causa delle sue
infermità, usava alle volte dettare - passa dal plurale al singolare. Qualche
editore posteriore l' aveva accomodato; l' abbiamo restituito come nelle
edizioni coeve del santo.
30 Et
omnis qui reliquerit domum, vel fratres, aut sorores, aut patrem, aut matrem,
aut uxorem, aut filios, aut agros, propter nomen meum, centuplum accipiet et
vitam aeternam possidebit. Matth. XIX, 29.
31
Forse accenna qui S. Alfonso al P. Giuseppe Scammaca
(al.
Scammacca). Narra il Patrignani,
Menologio, I, 8 gennaio 1627, la sua placidissima morte. Raggiunto l' anno
settantesimo settimo di sua età, chiese al suo Provinciale la licenza di
mettersi a letto, «perché, diceva, voglio morire». Nei venti giorni che
sopravvisse senza febbre, senza dolori, si preparò ad andarsene con Dio, quasi
scherzando con se stesso e con gli altri, e fissò il giorno in cui avesse da
morire: e così avvenne. - Il P. Giovanni RHO', Variae virtutum historiae, Lugduni, 1644, lib. 2, cap. 3. Pars 2,
n. 4, riferisce un detto del santo moribondo, il quale ha qualche somiglianza
con quello riportato da S. Alfonso: «Placide ac quasi per ludum a nobis ad
pauciores abeuntem, eaque saepius usurpantem: Laetatus sum in his quae dicta sunt mihi, in domum Domini ibimus, et,
Fulcite me floribus, stipate me malis, rogavit
adstantium quispiam, aeternae hereditatis capessendae essetne illi certa spes? Tum ille paulum commotus. «Numquid ego Mahometo servivi per tantum aevi, ut nunc de Domini mei
bonitate dubitem?»
32
«Quoties ergo tibi in mentem venit parentes te, et patriam, domum, amicos,
propinquos, opesque innumeras, et gloriam illam ingentem abiecisse propter
Christum, deindeque huiusmodi vexationem pati, noli deiicere teipsum.Nam ex
quibus cogitationum haesitatio gignitur, ex eisdem rursus solvetur. Quonam
modo? Impossibile est mentiri Deum (Hebr. VI, 18): promisit autem ille vitam
aeternam ista relinquentibus. Reliquisti tu omnia ista, et abiecisti: quid
igitur prohibet de huiusmodi confidere promissione?» S. Io. CHRYSOSTOMUS, Ad Stagirium ascetam a daemone vexatum, lib.
1, n. 6. MG 47-438. (Stagirio, giovane di nobile schiatta, aveva abbracciato la
vita monastica contro la volontà del padre; ma era monaco poco studioso di
avanzarsi nelle virtù. Per indurlo a maggior perfezione, volle il Signore che
venisse tormentato dal demonio, fino a sentirsi alle volte quasi precipitar
nella disperazione. All' amico, fatto già più diligente per le tristi
condizioni in cui versava, ma oppresso da immensa mestizia, mandò il Grisostomo
tre libri, molto atti a consolare le anime.)
33
«Cellae siquidem et caeli habitatio cognatae sunt; quia sicut caelum et cella
ad invicem videntur aliquam habere cognationem nominis, sic et pietatis. A
celando enim caelum et cella nomen habere videntur, qt quod celatur in caelis,
hoc et in cellis; quod geritur in caelis, hoc et in cellis. Quidnam est hoc? Vacare Deo, frui Deo. Quod cum secundum ordinem pie et fideliter
celebratur in cellis, audeo dicere, sancti angeli Dei cellas habent pro caelis,
et aeque delectantur in cellis ac in caelis. Nam cum in cella iugiter caelestia
actitantur, caelum cellae et sacramenti similitudine, et pietatis affectu, et
similis operis affectu (lege: effectu)
proximum efficitur; nec iam spiritui oranti, vel etiam a corpore exeunti, a
cella in caelum longa vel difficilis via invenitur. A cella enim in caelum
saepe ascenditur; vix autem umquam a cella in infernum descenditur, nisi sicut
dicit Psalmista: Descendant in infernum
viventes (Ps. LIV, 16), videlicet, ne descendant morientes. Hoc enim modo saepe cellarum
incolae in infernum descendunt. Sicut enim assidue contemplando
revisere amant gaudia caelestia, ut ardentius ea appetant, sic et dolores
inferni, ut horreant et refugiant. Et hoc est quod imprecantur inimicis suis
orantes, scilicet ut descendant in
infernum viventes. Moriens autem vix
aut numquam aliquis a cella in infernum descendit; quia vix umquam aliquis,
nisi caelo praedestinatus, in ea usque ad mortem persistit.» S. BERNARDUS, Epistola seu Tractatus, ad Fratres de Monte
Dei, de vita solitaria, cap. 4, n. 10. ML 184-314. - Questo trattato
crediamo doversi restituire a S. Bernardo. Vedi Appendice, 3.
34
«In humanis rebus et in hac peregrinatione, nihil tam efficaciter gerit in se
imaginem caelestis patriae quam monastica conversatio, et congregatio divino
cultui dedicata. Supernis namque civibus una est mansio, una gloria, commumis
laetitia, concors voluntas, mutua dilectio, et sempiterna securitas. Aeque in
congregationibus uniformiter degentibus reperitur....In hoc potissimum distant,
quod illi cum Christo regnant, isti autem pro Christo pugnant. Illa
triuphantium, haec congregatio dicitur militantium. Maxima illorum multitudo
primo huic militiae ascripta fuit, postea vero, perfecto certamine, angelicis
sociata spiritibus. Nam quod illi tenent in re, isti habent in spe. Illius caelestis civitatis iste est introitus. Iste nempe est locus de quo
ait sanctus Iacob: Vere non est hic aliud
nisi domus Dei et porta caeli. Secure speret post
hanc peregrinationem ad illam supernam intrare Hierusalem, quicumque in
iustorum congregationem fuerit vocatus. Magnum quippe electionis
indicium est huius fraternitatis habere consortium. S. LAURENTIUS IUSTINIANUS, De disciplina et perfectione monasticae
conversationis, cap. 7. Opera, Venetiis,
1721, pag. 73.
35 «Utinam non te amiserim, sed
praemiserim!.... Non enim dubium quim ad illos ieris, quos circa medium
extremae noctis tuae invitabas ad laudem, cum in vultu et voce exsultationis
subito erupisti in illud Davidicum, stupentibus qui assistebant: Laudate Dominum de caelis, laudate eum in
excelsis (Ps. CXLVIII, 1). Iam tibi, frater mi, nocte adhuc media
diescebat, et nox sicut dies illuminabatur. Prorsus illa nox illuminatio tua in
deliciis tuis. Accitus sum ego ad id miraculi, videre exsultantem in morte
hominem, et insultantem morti. Ubi est, mors, victoria tua? Ubi est, mors,
stimulus tuus? Iam non stimulus, sed iubilus. Iam cantando moritur homo, et moriendo
cantat. Usurparis ad laetitiam, mater maeroris; usurparis ad gloriam, gloriae
inimica; usurparis ad introitum regni, porta inferi; et fovea perditionis, ad
inventionem salutis: idque ab homine peccatore. Iuste nimirum, quia tu inique in hominem innocentem
et iustum potestatem temeraria usurpasti. Mortua es, o mors, et perforata hamo
quem incauta glutiisti, cuius illa vox est in propheta: O mors, ero mors tua; morsus tuus ero, inferne (Osee, XIII, 14). Illo, inquam, hamo
perforata, transeuntibus per medium tui fidelibus latum laetumque exitum pandis
ad vitam. Girardus (al.
Gerardus) te non formidat, larvalis effigies. Girardus per medias fauces tuas
transit ad patriam, non modo securus, sed et laetabundus et laudans. Cum ego
supervenissem, et extrema iam psalmi, me audiente, clara voce complesset,
suspiciens in caelum, ait: Pater, in
manus tuas commendo spiritum meum (Luc. XXIII, 46). Et repetens eumdem
sermonem, ac frequenter ingeminans: Pater,
Pater, conversus ad me, exhilarata quidem facie: «Quanta,» inquit,
«dignatio Dei, patrem hominum esse! quanta hominum gloria, Dei filios esse et
heredes! Nam si filii, et heredes.» Sic cantabat quem nos lugemus: in quo et
meum, fateor, luctum pene in cantum convertit, dum intentus gloriae eius,
propriae fere miseriae obliviscor. Sed revocat me ad me pungens dolor,
facileque a sereno illo intuitu, tamquam a levi excitat somno perstringens
anxietas. Plangam igitur, sed super me, quia super illum iam vetat ratio.» S. BERNARDUS, In Cantica, sermo 26, n. 11, 12. ML 183-910,
911.
36
«Si era ritirato a Lisbona, per trovarvi, insieme col riposo, l' opportunità di
terminare i suoi trattati de Gratia.
«Otium quaerentem procellae horribiles occuparunt», a causa di una questione di
giurisdizione, sorta tra il Senato del Regno e il Legato Pontificio; nella
quale occasione il celebre teologo si meritò un breve assai lusinghiero del
Sommo Pontefice Paolo V. «Saeviente iam mitius tempestate, coepit se Soario
portus aeternitatis optatissimus aperire. Incidit in morbum.... Solus ipse
hilaris, atque animo alacer,.... ingeminabat identidem illa verba: Exspectans exspectavi Dominum. Quam dilecta
tabernacula tua, Domine, etc... Inter eas voces, animo collabente defecit,
mortuo similis. Paulo post sibi redditus, ac caelesti illo, quod iam
praegustaverat, gaudio delibutus: «Non putabam, inquit, tam suave, tam dulce
esse mori.» Tandem, sacramentis rite susceptis, vir immortalitate plane dignus
exstinguitur in domo professa, 25 die septembris, anno 1617, aetatis fere 70.» R. P. Francisci Suarez, S. I., Vita: Operum tom. 1, Venetiis, 1740
(senza paginazione).
37
«Rationabiliter autem dici potest quod etiam per ingressum religionis aliquis
consequatur remissionem omnium peccatorum. Si enim aliquibus eleemosynis factis
homo potest statim satisfacere de peccatis suis, secundum illud Dan. IV, 24: Peccata tua eleemosynis redime; multo
magis in satisfactionem pro omnibus peccatis sufficit quod aliquis se totaliter
divinis obsequiis mancipet per religionis ingressum, quae excedit omne genus
satisfactionis, etiam publicae poenitentiae, ut habetur in Decretis, XXXIII
caus., qu. 2, cap. Admonere; sicut etiam holocaustum
excedit sacrificium, ut Gregorius dicit, super
Ezech., hom. 20. Unde in Vitis
Patrum (lib. 6, libell. 1, n. 9) legitur quod eamdem gratiam consequuntur
religionem ingredientes quam consequuntur baptizati.» S. THOMAS, Sum. Th., II-II, qu. 189, art. 3, ad 3.
- «Fuit quidam magnus inter praevidentes; hic affirmabat dicens: quia virtutem,
quam vidi stare super baptisma, vidi etiam super vestimentum monachi, quando
accipit habitum spiritualem.» Vitae Patrum, liber 6, auctore graeco
incerto, interprete Ioanne S. R. E.
subdiacono, libell. 1, n. 9. ML 73-994.
38
Quisquis enim potum dederit vobis calicem
aquae in nomine meo, quia Christi estis: amen dico vobis, non perdet mercedem
suam. Marc. IX, 40.
39
Questo fratello morì a Napoli ai 2 di settembre 1598; Filippo II, ai 13 dello
stesso mese. Patrignani (Menologio, tom.
3, 2 settembre) loda assai le virtù del Lacci. L' apparizione, la quale avvenne
nei primi giorni dell' anno seguente, viene a lungo riferita dal P. SCHINOSI, Istoria della C. d. G. appartenente al Regno
di Napoli, lib. 4, cap. 4. Le parole pronunziate dall' apparizione furon
queste: «Il Re si trova anch' esso in cielo, dove tanto la mia condizione è più
sollevata e fortunata della sua, quanto qui nella bassa terra era la sua più
che non la mia.»
40 «Nunc nobis ad virgines sermo est;
quarum quo sublimior gloria est, maior et cura est. Flos est ille ecclesiastici
germinis, decus atque ornamentum gratiae spiritalis, laeta indoles, laudis et
honoris opus integrum atque incorruptum, Dei imago respondens ad sanctimoniam
Domini, illustrior portio gregis Christi. Gaudet per illas atque in illis largiter
floret Ecclesiae matris gloriosa foecunditas; quantoque plus copiosa virginitas
numero suo addit, tanto plus gaudium matris augescit.» S. CYPRIANUS, Liber de habitu virginum, n. 3. ML 4-443.
41
Giuliano - non già l' imperatore apostata - amico di S. Gregorio, ottimo uomo e
magistrato, «exaequandis tributis praefectus» a Nazianzo, era stato pregato,
con lettere e con una poesia, dal santo amico di usar misericordia verso i
poveri, i chierici e i «filosofi», cioè i monaci. Acconsentì Giuliano, col
patto però che Gregorio avesse pagato il proprio «tributo» con un discorso. Non
senza difficoltà per amore alla solitudine, ma vinto dall' amore ai poveri,
fece S. Gregorio l' «Oratio XIX, ad
Iulianum tributorum exaequatorem,» verso la fine della quale (n. 16, MG
35-1062, 1063) così interpella l' amico: «Tu quidem orationi meae mercedem
persolvisti, quamcumque tandem, persolvisti; at illa tibi dono pauperes affert,
totum sacerdotum chorum ac philosophorum coetum, qui nullo vinculo humi
tenentur, qui sola corpora, ac ne ea quidem tota, possident, qui Caesari nihil
habent, Deo omnia tribuunt, hymnos preces, vigilias, lacrymas, opes quae
manibus arripi nequeunt, mundo emori. Christo vivere, carnem macerare, animam a
corpore abstrahere. His parcens, qut etiam omnino Deo reddens Dei famulos et
mysteriorum conscios, caelestiumque rerum inspectores, has, inquam, generis
nostri primitias, haec columina, has fidei coronas, has pretiosas margaritas,
hos templi illius, praeclari, inquam, Ecclesiae coetus, lapides, cuius
fundamentum et lapis angularis est Christus: pulcherrime utique, et ipsis, et
tibi, et nobis omnibus consulueris. Ac tibi has potius a
nobis divitias optarim, quam magnos auri atque argenti thesauros, qui nunc
exsistunt, ac paulo post non erunt.»
42
«Habiendo un dia comulgado, mandòme mucho Su Majestad lo procurase con todas
mis fuerzas (cioè l' erezione del primo monastero), hacièmdome grandes promesas
de que no se dejaria de hacer el monesterio, y que se serviria mucho en èl, y
que se llamase San Josef, y que a la una puerta nos guardaria El y Nuestra
Senora la otra, y que Cristo andaria con nosotras, y que seria una estrella que
diese de si gran resplandor; y, que, aunque las Religiones estaban relajadas,
que no pensase se servia poco en ellas; que què seria de el mundo si no fuese
por los religiosos; que dijese a mi confesor esto que me mandaba, y que le
rogaba El que no fuese contra ello ni me lo estorbase.» S. TERESA, Libro de la Vida, cap. 32. Obras, I (Burgos, 1915), 268. - Cf.
YEPES, Vita, lib. 2, cap. 1; RIBERA, Vita, lib. 1, cap. 12.
43
«Plurimi eorum, si in aliquo forte necessariis ad usus corporis eguerint, non
ad humana perfugia, sed ad Deum versi, et ab ipso tamquam a patre poscentes,
quae poposcerint illico consequuntur. Tanta namque in eis fides est, quae etiam
montibus, ut transferantur, valeat imperare.... Plurima atque innumera signa,
quae ab Apostolis et Prophetis antiquitus gesta fuerant, consummaverunt, ut
dubitari non debeat ipsorum meritis adhuc stare mundum.» Historia Monachorum seu Liber de Vitis Patrum (de Vitis
Patrum liber 2), auctore RUFFINO, Aquileiensi presbytero, Prologus. ML 21-389, 390. - «Vere mundum
quis dubitet meritis stare sanctorum, horum, scilicet, quorum, in hoc volumine
vita praefulget, qui omnem luxuriae notam tota mente fugerunt, mundoque
relicto, eremi vasta secreta rimantur, ibique per terribiles rupes,
formidolosis antris excubantes, non esuriunt neque sitiunt, quia dextera Dei
sustentat et pascit eos.» Vitae Patrum, liber 3, auctore probabili
RUFFINO, Prologus. ML 73-739, 740.
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