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S. Alfonso Maria de Liguori
La vera Sposa di Gesù Cristo

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CAPO II - De' beni dello stato religioso.

1. Ben si adatta alle religiose quel che fu detto al popolo d'Israele, quando fu liberato dalla tirannia di Faraone ed uscì dall'Egitto: Dux fuisti in misericordia populo quem redemisti, et portasti eum in fortitudine tua ad habitaculum sanctum tuum (Exod. XV, 13).1 Siccome gli Ebrei erano nell'antica legge il popolo diletto di Dio, a differenza degli Egiziani, così lo sono nella nuova i religiosi a rispetto de' secolari. E siccome gli Ebrei uscirono dall'Egitto, terra di fatiche e di schiavitudine, e dove non si conosceva Dio, così i religiosi escono dal mondo, che paga i suoi servi di amarezze e stenti, e dove poco si conosce Dio. Siccome finalmente gli Ebrei nel deserto furon guidati per una colonna di fuoco alla terra promessa, così i religiosi dalla luce dello Spirito Santo son guidati alla religione, la quale è simile alla terra a noi promessa del cielo.

Nel cielo non v'è appetito di ricchezze terrene, né


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di piaceri sensuali, né vi è propria volontà; e nella religione, per mezzo de' santi voti di povertà, castità e d'ubbidienza, si chiude la porta a questi nocivi desideri. Nel cielo non si fa altro che lodare Dio: lo stesso si fa nella religione, poiché tutto quel che ivi si opera, si riferisce a lodare il Signore. Laudas Deum, dice S. Agostino, cum agis negotium: laudas cum cibum et potum capis: laudas cum requiescis et dormis (S. August., in Psal. 146).2 Tu, religiosa, lodi Dio quando tratti gli affari del monastero, quando assisti alla sagrestia, alla ruota, alla porta: lodi Dio quando vai a mensa: lodi Dio quando vai a riposo e dormi: in somma in quanto fai, in tutto lodi Dio. In cielo in fine v'è una continua pace, mentre i beati in Dio trovano ogni bene; e nella religione, perché ivi non si cerca altro che Dio, in Dio si trova quella pace che supera tutte le delizie ed i contenti che può dare il mondo. Avea ragione dunque di dire S. Maria Maddalena de' Pazzi che la religiosa dee avere una grande stima del suo stato, mentre la vocazione alla religione è la maggior grazia che Dio possa fare ad un'anima dopo il battesimo.3


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2. Voi dunque dovete stimare il vostro stato più che tutte le grandezze e regni del mondo. Il vostro stato vi difende da' peccati che nel mondo commettereste, vi occupa in continui esercizi santi, vi fa meritare in ogni giorno corone eterne, vi rende sposa d'un Dio, e finalmente, dopo la vostra breve vita, vi renderà regina del regno eterno del paradiso. Dove voi meritavate questa grazia, che Dio vi preferisse a tante altre donzelle, che meglio di voi la meritavano? Sareste troppo ingrata a Dio, se voi in ogni giorno non ne lo ringraziate con tutto l'affetto.

Niuno meglio di S. Bernardo descrive i gran beni che vi sono nello stato religioso; dice il Santo così: Nonne haec est religio sancta, in qua homo vivit purius, cadit rarius, surgit velocius, incedit cautius, irroratur frequentius, quiescit securius, moritur confidentius, purgatur citius, remuneratur copiosius? (S. Bern., De bono relig.).4 Esaminiamo questi gran detti uno per uno, e vediamo i gran tesori che ciascuno d'essi contiene.

3. Per I. La religiosa vivit purius. - Tutte l'opere che fa un religioso, per sé parlando, sono certamente più pure e più care a Dio. La purità dell'opere non in altro consiste che nell'essere fatte solo per piacere a Dio; onde le nostre azioni, quanto più in esse vi è di volontà di Dio e meno di volontà nostra, tanto più elleno sono a Dio accette. Nell'opere che fanno le persone secolari, per quanto elle sieno sante e fervorose, sempre vi è più di volontà propria che nelle opere che fa una religiosa. La secolare fa orazione quando vuole, si comunica quando vuole, sente la Messa, fa la lezione, la disciplina, dice l'Officio quando vuole. Ma la religiosa fa questi esercizi quando vuole l'ubbidienza, cioè quando vuole Dio, poiché per mezzo dell'ubbidienza è Dio stesso quegli che parla. E per tal riguardo la religiosa, ubbidendo


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alla regola ed alle superiore, non solo merita quando fa orazione o altra azione spirituale, ma anche mentre fatica, mentre cammina, mentre assiste alla ruota, mentre parla nella ricreazione, ed anche mentre si ciba o si ricrea o va a riposo; perché facendo tutto, non per volontà propria, ma per ubbidienza, in tutto fa la volontà di Dio, ed in tutto merita.

4. Oh quante volte la propria volontà guasta l'opere più sante! Oimè, e a quante persone nel giorno del giudizio, quando elle chiederanno il premio di ciò che han fatto, e diranno: Quare ieiunavimus, et non aspexisti: humiliavimus animas nostras, et nescisti? (Is. LVIII, 3) sarà loro risposto: Ecce in die ieiunii vestri invenitur voluntas vestra (Ibid.) Dirà loro il Signore: Voi che pretendete? premio? Questo già l'avete avuto in far la vostra volontà, giacché avete operato più per compiacere voi stesse che me. Disse pertanto Giliberto abbate che le opere più picciole de' religiosi avanzano di merito le più grandi de' secolari: Quod infimum est in vobis, fortius est saecularibus (Gil., Serm. 37).5 Oltreché S. Bernardo scrisse che se una persona del secolo facesse la quarta parte di ciò che fa una religiosa, sarebbe adorata per santa: Credo nullum hic esse qui, si quartam partem eorum quae facit, in saeculo actitaret, non adoraretur ut sanctus (Serm. 4, in Ps. Qui habitat).6 Ed in fatti si è veduto colla sperienza più volte che certe donzelle, le quali nel secolo risplendeano come soli, entrate poi nel chiostro non sembravano neppure lucciole, a


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rispetto delle religiose osservanti, che ivi han trovate. Per questa ragione dunque, che la religiosa in tutto quel che opera fa la volontà di Dio, ella può veramente dire d'esser tutta di Dio. La Ven. M. Maria di Gesù, fondatrice del monastero di Tolosa, dicea che per due ragioni molto stimava la sua vocazione: l'una perché la religiosa sta sempre con Gesù Cristo, che dimora seco nella stessa casa nel SS. Sagramento; l'altra perché la religiosa per lo voto dell'ubbidienza è tutta di Dio, avendo con quello sagrificata a Dio la sua volontà e tutta se stessa.7

5. Per II. Cadit rarius. - La religiosa certamente è men soggetta a cadere, stando ella fuor del mondo. S. Antonio abbate vide il mondo pieno di lacci;8 e prima di lui lo vide l'apostolo S. Giovanni, onde disse che nel mondo non vi è altro che cupidigia di piaceri sensuali, di ricchezze e di onori terreni:


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Omne quod est in mundo concupiscentia carnis est - sono i piaceri - concupiscentia oculorum - sono le ricchezze - et superbia vitae - sono gli onori, che rendon l'uomo superbo in questa vita. - Nella religione per mezzo de' santi voti si chiudono queste fonti avvelenate: col voto della castità si chiude la porta a' piaceri di senso, col voto della povertà si toglie il desiderio delle ricchezze, e col voto dell'ubbidienza si estingue l'ambizione de' vani onori.

6. È vero che anche vivendo nel mondo potrebbe ciascuno viver distaccato da' beni mondani; ma, come suol dirsi, chi tocca la pece facilmente ne resta imbrattato. Totus mundus in maligno positus est, dice lo stesso S. Giovanni (I Ep. V, 19). Spiega S. Ambrogio: Tutti quei che vivono nel mondo, vivono sotto la misera e tirannica potestà del peccato.9 L'aria del mondo è un'aria infetta e nociva per l'anima, dove chi la respira facilmente v'incorre qualche infermità spirituale. I rispetti umani, i mali esempi, le cattive conversazioni sono grandi incentivi, che tirano le persone ad attaccarsi ai beni della terra e ad allontanarsi da Dio. Ognuno sa che le male occasioni, le quali abbondano nel mondo, son la cagione


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per cui tante anime si perdono. Da queste occasioni è lontana la religiosa che vive nel chiostro. Quindi S. Maria Maddalena de' Pazzi abbracciava talvolta e baciava le mura del suo monastero, dicendo: O mura, o mura, da quanti pericoli voi mi difendete!10 E perciò la B. Maria Maddalena degli Orsini, quando vedea ridere nel suo monastero qualche religiosa: Ridi, dicea, sorella mia, ridi, perché hai ragione di star contenta, stando fuori de' pericoli del mondo.11

7. Per III. Surgit velocius. - Se mai per disgrazia cade una religiosa in qualche colpa, almeno ha maggiori aiuti per risorgerne. La regola che l'obbliga a confessarsi, la meditazione dove sente ricordarsi le verità eterne, gli esempi delle buone compagne, le riprensioni delle superiore sono grandi aiuti a risorgere. Vae soli, dice lo Spirito Santo, quia, cum ceciderit, non habet sublevantem se (Eccl. IV, 10). Chi sta nel mondo, se pecca, difficilmente trova chi l'avverte e lo corregge, e perciò facilmente resta perduto nella sua caduta; ma nella religione, si unus ceciderit, ab altero fulcietur (Ibid.). Se cade una religiosa in qualche errore, sarà presto soccorsa dalle sue compagne ad uscirne: Iuvatur a sociis ad resurgendum, dice S. Tommaso l'Angelico, parlando appunto de' religiosi.12


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8. Per IV. Incedit cautius. - Oh quanti maggiori aiuti ha una religiosa in quanto alla vita eterna, che non hanno i primi principi e monarchi della terra! I monarchi hanno bensì gran ricchezze, spassi, onori, eserciti e signori che li servono; ma non hanno una persona che loro dica una parola di correzione o che almeno li avvisi de' propri doveri: tutti tremano di parlare per timore di perdere la grazia del re, se l'avvertono di qualche suo difetto; anzi molti, per maggiormente acquistarsi il suo favore, applaudiscono e lodano gli stessi suoi disordini. Nella religione all'incontro la monaca, se mai erra, ha molti occhi sopra per correggerla e farla ravvedere. Le superiore, le zelatrici, le stesse compagne non lasceranno di avvertirla de' suoi difetti o pericoli: gli stessi buoni esempi delle sue sorelle saranno tutte correzioni de' suoi mancamenti. Questi aiuti, in quanto alla salute dell'anima, ch'è l'affare più importante, anzi che solo importa in questo mondo, sono certamente, per chi ha fede, beni più grandi che tutte le grandezze e domini della terra.

9. Siccome i secolari vivendo in mezzo al mondo hanno molti argini a fare il bene, così le religiose nel monastero hanno molti argini a commettere il male. L'attenzione specialmente che vi è ne' monasteri di evitare anche le colpe leggiere, è un grand'argine ed antemurale per evitare poi le colpe gravi; poiché la religiosa o vince la tentazione in materia di colpa veniale, ed ella acquista più forze allora per resistere alle tentazioni di peccati gravi: o poi per fragilità talvolta resta vinta, ed allora, se si perde un rivellino13 della piazza, almeno non si perde la piazza; anzi alle volte queste picciole perdite giovano, acciocché la piazza più si cauteli e si fortifichi. La religiosa con quelle sue picciole cadute meglio vede la sua debolezza, e perciò più si umilia, più diffida di se stessa, prende a ricorrere più spesso e con più confidenza per aiuto a Gesù Cristo ed alla sua santa Madre; e così quelle cadute non solo non le apporteranno gran nocumento, poiché il Signore, umiliandosi ella, subito accorrerà colla sua mano a sovvenirla: Cum ceciderit (iustus), non collidetur, quia Dominus supponit manum suam (Psal. XXXVI, 24); ma di


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più le gioveranno in qualche modo, come si è detto, per più diffidare di sé e più confidare in Dio. Diceva il B. Egidio francescano esser meglio l'avere un solo grado di grazia nella religione, dove quel grado facilmente cresce e difficilmente si perde, che dieci gradi nel mondo, dove difficilmente questi gradi crescono e facilmente si perdono.14

10. Per V. Irroratur frequentius. - Oh Dio, e con quanti lumi, con quante dolcezze interne e voci d'amore va Gesù coltivando le sue spose ne' chiostri, or nell'orazione, or nella comunione, ora nel coro alla presenza del SS. Sagramento, ora nella cella a vista del Crocifisso! L'anime in mezzo al secolo son piante poste in terra arida, dove della rugiada del cielo poco ne scende, e questo poco rare volte si vede, perché mancano i mezzi. Poveri secolari! Vorrebbero più trattenersi nell'orazione, più frequentar la comunione, vorrebbero sentire più spesso la parola di Dio, vorrebbero godere un poco di solitudine, per più star raccolti e più stringersi con Dio; ma ciò loro non è permesso. Gli affari del mondo, i parenti, i rispetti umani, le visite degli amici, le soggezioni del secolo ce l'impediscono. Le religiose all'incontro son piante felici poste in terra felice, dove continuamente abbonda la rugiada del cielo. Il Signore ne' monasteri continuamente assiste alle sue spose co' lumi, ispirazioni e consolazioni di spirito, che ricevono nelle meditazioni, ne' sermoni, nelle lezioni de' sagri libri, ed anche nel vedere i buoni esempi delle sorelle. Con ragione dunque dicea la madre Caterina di Gesù teresiana, quando taluno le ricordava i travagli sofferti per la fondazione


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del monastero, rispondea: Iddio mi ha ben pagato tutto con un'ora sola di religione in casa della sua santa Madre.15

11. Per VI. Quiescit securius.- I beni del mondo non possono contentare il nostro cuore. Le bestie che son create per la terra, restano contente coi beni di terra; ma l'uomo ch'è creato per Dio, solo Dio può contentarlo. E ciò si vede colla sperienza, perché se questi beni appagassero l'uomo, i ricchi, i principi della terra, che abbondano di danari, di onori e di piaceri sensuali sarebbero felici: ma noi vediamo l'opposto, mentre questi vivono più inquieti e tribulati degli altri; poiché dove più abbondano le ricchezze e le dignità, ivi più abbondano i timori, le amarezze e le angustie. Teodosio imperadore, entrando un giorno sconosciuto nella cella d'un monaco solitario, dopo qualche discorso gli disse: Padre, voi sapete chi son io? io sono l'imperadore Teodosio. E poi soggiunse: Oh beati voi, che menate qui in terra una vita contenta, lontana da' guai del mondo! Io sono un gran signore della terra, sono imperadore; ma per me, sappi, padre mio, che non v'è un giorno in cui mi cibo con pace.16


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12. Ma come vuol dar pace il mondo, se il mondo è luogo d'inganni, di gelosie, di timori e di tumulti? Vi sono, sì, certi miseri piaceri, ma questi più affliggono che contentano l'anima; mentre per brevi momenti dilettano il senso, ma lasciano poi mille spine ed amarezze nel cuore. E quindi nasce che i più grandi ed onorati del mondo vivono più afflitti, perché le loro grandezze, quanto sono maggiori, tanto più vanno accompagnate da maggiori timori e disgusti. Dicasi dunque che 'l mondo non è luogo di piaceri, ma d'inquietudini e di martiri; poiché regnano in esso le passioni, quali sono l'ambizione degli onori, la cupidigia delle ricchezze, l'avidità de' diletti; e perché questi beni non possono mai aversi quanti e come si desiderano, ed avuti non contentano il cuore, anzi portano seco mille amarezze; perciò l'uomo che de' beni del mondo si pasce, si pasce di fiele e di veleno.

13. Beata dunque quella religiosa che ama Dio e sa conoscere la grazia che il Signore le ha fatta, di cavarla dal mondo e porla nella religione; dove attendendosi per mezzo della santa mortificazione a vincer le passioni e negare se stessa, godesi quella pace che, al dire dell'Apostolo, supera tutte le delizie che dilettano i sensi: Pax Dei quae exsuperat omnem sensum (Philip. IV, 7). Trovatemi, io dico, tra le persone più fortunate del mondo, tra le prime principesse e regine, una


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più contenta e felice di quella religiosa che, spogliata degli affetti mondani, attende solamente a piacere a Dio. Non l'angustia la povertà, perché questa è la ricchezza ch'ella volontariamente si ha eletta, e gode quando ne prova gli effetti: non la mortificazione de' sensi, poiché a questo fine è venuta nella religione, per mortificarli e crocifiggerli: non la soggezione dell'ubbidienza, perché questo è il sagrificio più grato c'ha inteso di fare a Dio, di donargli la propria volontà. Non l'affligge l'esser umiliata, perché a tal fine è velluta nella casa di Dio: Elegi abiectus esse in domo Dei mei, magis quam habitare in tabernaculis peccatorum (Ps. LXXXIII, 11). Non l'affligge la clausura, anzi questa la consola, perché la libera da' disturbi e dai pericoli del mondo. Non l'affligge il servir la comunità, non l'essere disprezzata, non l'essere inferma, perché tutto ciò la rende più cara a Gesù suo sposo. Non l'affligge finalmente l'osservanza delle regole, perché tutte le fatiche e gl'incomodi che le regole apportano, son peso, ma son peso d'ale, che le son necessarie per volare ed unirsi con Dio. Oh che bel contento è il ritrovarsi una religiosa in quello stato, in cui non tiene diviso il cuore, e può esclamare con S. Francesco: Deus meus et omnia!17

14. È vero che alcune religiose anche nel chiostro fanno una vita scontenta, ma, dimando, perché? perché non vivono da religiose. L'esser buona monaca e contenta è la medesima cosa. Perciò bisogna intendere che la felicità d'una religiosa sta nel tener sempre e tutta unita la sua volontà alla volontà divina. Chi dunque non si unisce alla volontà di Dio, non può esser contenta, perché Dio non può consolare l'anime che ripugnano a' suoi santi voleri. Soglio pertanto io dire che una religiosa nel monastero o gode un paradiso anticipato o patisce anticipatamente l'inferno. Che cosa è l'inferno? È il vivere lontano da Dio, il non potere far la propria volontà, l'esser mirato di mal occhio dalle persone con cui si vive, l'esser disprezzato, rimproverato, castigato, l'esser chiuso in un luogo donde non può uscirsi; l'inferno in somma importa il vivere in un continuo patire, senza provar mai un'ora di vera pace. E tutto ciò avviene ad una religiosa cattiva, sicché la


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misera comincia da questa vita a patire un inferno anticipato. All'incontro che cosa fa il paradiso? Lo fa il viver lontano da' disturbi ed amarezze del mondo, il conversare co' santi, lo stare unito con Dio, e 'l godere in Dio una continua pace. Tutti già questi beni gode una buona religiosa, e perciò anche in questa terra ella gode un paradiso anticipato.

15. È vero ancora che anche le buone religiose soffrono qui in terra le loro croci, perché questa terra è luogo di meriti, e perciò è luogo di patire. Gl'incomodi della vita comune tormentano: le riprensioni delle superiore e le ripulse delle domande dispiacciono: le mortificazioni de' sensi rincrescono: l'amor proprio si lagna, quando soffre a torto disgusti e disprezzi dalle stesse compagne. Ma ad una religiosa che vuol esser tutta di Dio, tutti questi patimenti diventano consolazioni e delizie, pensando che nell'abbracciarli gusto a Dio. Dice S. Bonaventura che l'amore a Dio è come il mele che rende dolci le cose più amare.18 Il Ven. Cesare da Bussis scrisse una volta questo bel sentimento ad un suo nipote che era religioso: «Nipote mio, quando guardi il cielo, ricordati del paradiso: quando vedi il mondo, ricordati dell'inferno, dove si patisce sempre senza un momento di pace: quando poi vedi il tuo monastero, ricordati del purgatorio, dove si patisce sì, ma si patisce con pace e con sicurezza della salute eterna19


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E che più bel patire, se mai può dirsi patire, il patir colla coscienza tranquilla! patire in grazia di Dio e colla sicurezza che ogni pena diventerà un giorno una gemma della vostra corona in paradiso! giacché le gioie più belle delle corone de' beati in cielo sono i patimenti sofferti con pazienza e rassegnazione in questa vita.

16. Ma il nostro Dio è troppo grato e fedele; ben sa egli rimunerare da quando in quando, anche in questa terra, con dolcezze interne, quel che con pazienza si soffre per suo amore. La sperienza fa vedere che quelle religiose che si procurano soddisfazioni e sollievi dalle creature, quelle vivono più scontente: all'incontro quelle che vivono più mortificate, fanno vita più felice. Persuadiamoci dunque che solo Dio contenta, non le soddisfazioni de' sensi, non gli onori, non le ricchezze, non il mondo con tutti i suoi beni: solo Dio contenta: chi trova Dio, trova tutto. Perciò dicea S. Scolastica che se gli uomini conoscessero la pace che godono i buoni religiosi ne' loro monasteri, tutto il mondo diventerebbe un convento;20 o pure, come dicea S. Maria Maddalena de' Pazzi, darebbero la scalata a' monasteri e lascerebbero tutte le delizie che loro il mondo.21 E S. Lorenzo Giustiniani disse che il Signore ad arte nasconde agli uomini la felicità dello stato religioso, perché se tutti la conoscessero, tutti farebbonsi


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religiosi: Consulto Deus gratiam religionis occultavit, nam si eius felicitas cognosceretur, omnes, relicto saeculo, ad eam concurrerent.22

17. La sola solitudine, col silenzio e quiete che in quella si gode, non è ella un saggio di paradiso in questa terra per un'anima che ama Dio? Il P. Carlo di Lorena della Compagnia di Gesù, nato di sangue imperiale, dicea che per un momento della pace che godea nella sua cella, ben gli pagava Dio quanto egli avea lasciato nel mondo; e talvolta tanto era il gaudio che provava stando nella sua cella, che in quella metteasi a danzare per giubilo.23 Il B. Serafino d'Ascoli cappuccino dicea che non avrebbe cambiato un palmo del suo cordone con tutti i regni della terra.24 Arnolfo cisterciense, mettendo a confronto le ricchezze e gli onori della corte che avea lasciati e le consolazioni che sentiva nel monastero, esclamava:


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«Troppo è vero, Gesù mio, quel che avete promesso, di rendere il centuplo a chi lascia tutto per voi.»25 I monaci di S. Bernardo faceano una vita così penitente, ma in quella loro solitudine eran così accarezzati da Dio che temeano d'esser rimunerati in questa terra per quel poco che faceano.26 Stringetevi in tanto voi con Dio: abbracciatevi con


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pace le croci che vi manda: amate il più perfetto, e fatevi forza nelle occasioni. Ma per aver questa forza, pregate sempre, pregate nella meditazione, pregate nella comunione, pregate nelle visite al Sagramento, pregate specialmente quando il demonio vi tenta; e così entrerete nel numero delle persone più fortunate e contente, che non sono tutte le principesse, le regine e le imperatrici della terra.

18. Pregate il Signore che vi dia lo spirito di religiosa, che fa operare non secondo le inclinazioni della natura, ma solamente secondo gl'impulsi della grazia, cioè per solo fine di piacere a Dio. Questo è avere lo spirito di religiosa. Che serve portar l'abito della religione, e poi vivere secondo lo spirito del mondo, conservando un cuore tutto secolaresco? Ciò è lo stesso, dice S. Bernardo, che avere un cuore apostata: Apostasia cordis, sub habitu religionis cor saeculare gerere (Serm. 5, in Ps. 90).27 Lo spirito di religiosa importa dunque l'avere un'ubbidienza esatta alle regole ed agli ordini delle superiore, con un grande affetto a servir la religione.


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Alcune religiose vorrebbero farsi sante, ma secondo il loro genio, con attendere a stare in silenzio, a fare orazione, a leggere libri sagri, senza essere impiegate in offici; onde se poi son poste alla ruota, alla porta o ad altri impieghi che le distraggono dalle loro divozioni, s'inquietano, se ne lagnano, e talvolta con ostinazione ricusano di ubbidire, con dire che tali offici sono loro occasioni di peccati; questo non è spirito di religiosa. Quel ch'è secondo la volontà di Dio, non può mai apportar nocumento. Inoltre, lo spirito di religiosa importa l'avere un totale distacco dal commercio del mondo, un grande affetto all'orazione, un gran desiderio d'essere umiliata, |28 un grande amore al silenzio ed al raccoglimento, un gran zelo per l'osservanza, un grande abbominio agli appetiti del senso, una gran carità verso tutti, e finalmente un grande amore a Dio, che regni e domini sovra tutte le nostre passioni. Questo è lo spirito che hanno le religiose. Almeno chi non ha questo spirito, bisogna che n'abbia un desiderio efficace, e si faccia violenza e domandi sempre con istanza l'aiuto a Dio per giungere ad acquistarlo. In somma lo spirito di religiosa importa il discacciare dal cuore ogni cosa che non è Dio, e non volere altro che Dio.

19. Per VII. Moritur confidentius. - Alcune donzelle temono di farsi religiose col pensiero che un giorno poi non avessero, a pentirsene. Ma io vorrei ch'elle, in far l'elezione del loro stato, si mettessero davanti gli occhi non il tempo della vita, ma il punto della morte, da cui dipende la loro felicità o l'infelicità eterna; e poi vorrei loro dimandare, se mai posson credere di fare una morte più contenta, morendo in una casa del mondo, circondate da' secolari, inquiete per la passione de' figli che lasciano, intricate nei pensieri del secolo ed afflitte da mille scrupoli di coscienza; o morendo nella casa di Dio, assistite dalle sue sante compagne che continuamente le parlano di Dio, che pregano per lei e l'animano al gran passaggio.29 Figuratevi di vedere da una parte una


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principessa che muore nel suo palagio, in una stanza tutta addobbata, con molti servi e serve d'intorno, col marito, figli e parenti che l'assistono; e dall'altra parte immaginatevi di vedere una religiosa che muore nel suo monastero, in una povera celletta, mortificata, umiliata, lontana da' parenti, distaccata dagli affetti alla terra e spogliata di robe e di propria volontà. Ditemi, di coteste due, chi pensate che muoia più contenta? quella ricca principessa o quella povera monaca? Ah che l'aver godute ricchezze, onori e piaceri in questo mondo, non son cose che consolano in punto di morte, ma apportano afflizione e diffidenza della salute eterna! All'incontro la povertà, le umiliazioni, le penitenze, il distacco dalla terra son cose che tutte rendono dolce ed amabile la morte, ed accrescono la speranza di andare a godere quella felicità che è vera felicità e non ha termine.

20. È promessa di Gesù Cristo che chi lascia la sua casa ed i parenti per suo amore, goderà la vita eterna: Omnis qui reliquerit domum vel fratres aut patrem etc., propter nomen meum, centuplum accipiet et vitam aeternam possidebit (Matth. XIX, 29).30 Moriva un religioso della Compagnia di Gesù, e rideva in morte; in veder quel ridere, gli altri religiosi che l'assistevano temerono di qualche illusione; onde l'interrogarono perché così ridesse. Rispose il moribondo: «E come non voglio ridere, s'io sto sicuro del paradiso? Non è stato il Signore che ha promesso di dar la vita eterna a chi lascia il mondo per suo amore? Io già ho lasciato tutto per lui, Dio non può mancare alle sue promesse, e perciò rido, perché sto certo del paradiso31 Ma ciò ben prima lo disse S. Gio. Grisostomo,


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scrivendo ad un religioso: Impossibile est mentiri Deum. Promisit autem ille vitam aeternam ista relinquentibus. Tu reliquisti omnia ista: quid igitur prohibet de huiusmodi promissione esse securum? (S. Chrysost., Lib. de Prov.):32 Iddio non può mentire. Egli ha promesso la vita eterna a chi lascia il mondo per lui: voi già l'avete lasciato: che cosa dunque può farvi dubitare di una tale promessa?

21. Scrive S. Bernardo ch'è facile il passare dalla cella al cielo, poiché è molto difficile, dicea, che un religioso, morendo nella sua cella, non si salvi, mentre è molto difficile che perseveri nella sua cella sino alla morte colui che non è destinato per lo cielo: Est facilis via de cella in caelum; moriens enim vix umquam aliquis e cella in infernum descendit, quia vix umquam nisi e caelo praedestinatus in ea usque ad mortem persistit (S. Bern., Tract. de Vita solit.).33


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Quindi dicea S. Lorenzo Giustiniani che la religione è la porta del paradiso, giacché l'essere religioso è un grande indizio d'essere eletto per compagno de' beati: Illius caelestis civitatis iste est introitus; magnum quippe electionis indicium est, huius fraternitatis habere consortium (S. Laur. Iust., c. VII, de Discipl. mon.).34 Avea ragione dunque Gerardo, fratello di S. Bernardo, morendo nel suo monastero, di morire cantando,35 mentre Dio stesso dice: Beati mortui qui in Domino


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moriuntur (Apoc. XIV, 13). E chi mai sono questi morti che muoiono nel Signore, se non i religiosi che per mezzo de' santi voti, e specialmente per lo voto d'ubbidienza, muoiono al mondo ed a se stessi, rinunziando a tutti i propri voleri? Quindi dicea poi morendo il P. Francesco Suarez, ricordandosi in morte che quanto avea operato nella religione tutto l'avea fatto per ubbidienza, che non potea mai immaginarsi che 'l morire gli riuscisse così dolce e caro.36

22. Per VIII. Purgatur citius.- Insegna S. Tommaso (2. 2. qu. ult. a. 3, ad 3) che per la professione religiosa si rimette a' religiosi, nel giorno che fanno i santi voti, colpa e pena di tutti i peccati commessi nel secolo: Rationabiliter autem dici potest quod per ingressum religionis aliquis consequatur remissionem omnium peccatorum. E ne adduce la ragione, perché la persona coll'entrare in religione donasi tutta al servizio divino: In satisfactionem pro omnibus peccatis sufficit quod aliquis se totaliter divinis obsequiis mancipet per religionis ingressum, quae excedit omne genus satisfactionis. E conchiude leggersi nelle Vite de' Padri che i religiosi ricevono in quel


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giorno la stessa grazia che ricevono i battezzati: Unde legitur in Vitis Patrum quod eamdem gratiam consequuntur religionem intrantes quam consequuntur baptizati.37 I difetti poi commessi nella religione dalle buone religiose, ben si purgano nella stessa loro vita per mezzo delle opere pie d'orazioni, comunioni e mortificazioni, che in ogni giorno adempiscono. Ancorché poi una religiosa non finisse di soddisfare i suoi debiti in questa vita, poco le toccherà di stare nel purgatorio. I molti sagrifici che per lei si offeriscono in morte, le orazioni della comunità e delle sorelle in particolare, presto la caveranno da quelle pene.

23. Per IX. Remuneratur copiosius. - I mondani son ciechi e perciò non conoscono il peso della vita eterna, a rispetto di cui la vita presente non è che un punto. Se lo conoscessero con lume vivo, senza dubbio lascerebbero le case proprie ed anche i regni, per ritirarsi in qualche chiostro, affin d'attendere solamente al grande affare dell'eterna salute, alla quale è molto difficile l'attendere come si dee stando nel mondo. Benedite voi dunque e ringraziate sempre il vostro Dio, che vi ha data la luce e la forza di uscire dall'Egitto e di ricoverarvi nella sua casa; siategliene grata in servirlo con fedeltà e riconoscenza corrispondente a tanta grazia. Mettete a confronto tutti i beni che può dare il mondo da una parte e la felicita eterna che apparecchia Iddio a chi rinunzia questi beni per suo amore, e vedrete che v'è più proporzione fra un acino d'arena e tutta la terra che tra il valore di questi beni


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mondani che presto finiscono ed i beni celesti che si godono in eterno.

24. Gesù Cristo ha promesso a chi lascia tutto per lui, di dargli il centuplo in questo mondo e la vita eterna nell'altro; chi mai può dubitare di questa sua promessa? Egli e pur troppo fedele in attendere quel che promette; ed inoltre è più liberale nel premiare le opere buone che nel punir le cattive. Se egli ha promesso di non lasciar senza paga una semplice bevuta d'acqua che si dona per suo amore: Quisquis enim potum dederit vobis calicem aquae in nomine meo, non perdet mercedem suam (Marc. IX, 40),38 come lascerà senza gran premio tante opere buone, tanti atti di carità, tante astinenze, orazioni, offici, lezioni spirituali che fa ogni giorno una religiosa che attende alla perfezione? E bisogna intendere che queste opere eseguite per ubbidienza e per osservanza de' voti fatti, hanno assai maggior merito che le buone opere de' secolari. Un fratello della Compagnia di Gesù, chiamato fratello Lacci, apparve dopo morte ad una persona, e le disse che cosi esso come il re Filippo II si erano già salvati; ma che quanto maggiore era stata la grandezza di Filippo in questa terra, tanto più grande di quella di Filippo era la gloria ch'esso godeva in cielo.39

25. Egli è un gran pregio il martirio per la fede, ma lo stato religioso par che abbia qualche cosa più eccellente del martirio. Il martire soffre i tormenti per non perder l'anima, ma la religiosa li soffre per rendersi più grata a Dio; ond'è che se il martire è martire della fede, la religiosa è martire della perfezione. È vero che al presente lo stato religioso ha perduto molto del primiero splendore, tuttavia ben può dirsi che anche al presente le anime più care a Dio, che camminano con maggior perfezione e che più edificano col loro buon odore


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la Chiesa, comunemente parlando, non si ritrovano che nelle case religiose. Ed in fatti dove sono e quante sono quelle persone anche spirituali nel mondo, che levansi di notte a fare orazione ed a cantar le divine lodi? che impiegano cinque o sei ore del giorno in questi e simili santi esercizi? che fanno tanti digiuni, astinenze e mortificazioni? che osservano tanto silenzio di regola? che stanno così attente in far la volontà altrui? E pure tutto ciò ben l'adempiscono le religiose de' monasteri osservanti ed anche degl'inosservanti, poiché in ogni monastero, rilasciato che sia, sempre si ritrovano quelle che nel giorno del giudizio serviranno per giudici dell'altre, le quali amano la perfezione ed osservano le regole, oltre poi l'altre opere soprerogatorie che fanno in particolare. È certo che tutto quel che fanno ordinariamente nel mondo l'anime pie, non può mettersi a confronto di quel che fa una buona religiosa. Con ragione dunque disse S. Cipriano che le vergini consagrate a Dio sono i fiori del giardino della Chiesa e la parte più nobile del gregge di Gesù Cristo: Flos est iste ecclesiastici germinis..., illustrior portio gregis Christi (S. Cypr., Lib. de habit. virg.).40 E S. Gregorio Nazianzeno disse che i religiosi sono le primizie del gregge del Signore, le colonne e corona della fede, e le pietre preziose della Chiesa: Sunt gregis Domini primitiae, columnae et corona fidei, margaritae templi (S. Greg. Nazian., Orat. ult. in Iulian.).41 Io tengo per certo


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che la maggior parte delle sedie de' Serafini, lasciate vuote dagl'infelici compagni di Lucifero, non sarà occupata che dalle persone religiose. Nel secolo passato, di sessanta persone poste dalla Chiesa nel catalogo de' santi o de' beati, non più che cinque o sei non sono state religiose. Guai al mondo, disse un giorno Gesù a S. Teresa, se non vi fossero i religiosi! (Riber., 1. I vit. c. 12).42 Dice Ruffino che non dee dubitarsi che il mondo sussista per li meriti de' religiosi: Dubitari non debet ipsorum meritis adhuc stare mundum (Rufin., Prol. in Vit. Patr.).43 Quando dunque vi spaventa il demonio con porvi avanti l'osservanza della regola, l'annegazione di voi stessa e la vita mortificata che dovete fare per salvarvi, alzate gli occhi al cielo, e la speranza di quella beatitudine eterna vi darà coraggio e


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forza per soffrire ogni cosa. Finiranno un giorno le angustie, le mortificazioni e tutte le miserie di questa vita, e succederanno a queste le delizie del paradiso, che saranno piene ed eterne, senza timore che possano mai più finire o mancare.




1 Dux fuisti in misericordia tua populo quem redemisti, et portasti eum in fortitudine tua ad habitaculum sanctum tuum. Exod. XV, 13.



2 Ad aurium exhortationem canta voce; corde ne sileas, vita ne taceas. Non cogitas in negotio fraudem, psalis Deo. Cum manducas et bibis, psalle: non intermiscendo sonorum suavitates ad aures aptas, sed modeste et frugaliter et temperanter manducando... Si ergo bene agis, quod et manducas et bibis, et ad refectionem corporis sumis.... gratias agens ei qui tibi praebuit mortali et fragili ista supplementorum solatia: et cibus tuus et potus tuus laudat Deum; si vero modum naturae debitum immoderatione voracitatis excedas, et vinolentia te ingurgites, quantaslibet laudes Dei lingua tua sonet, vita blasphemat. Post cibum et potum requiescis ut dormias; nec in lectio aliquid turpiter agas.... laudas Deum, nec omnino silebit laudatio tua. Quid, cum somnus advenerit? Et cum dormis, non te excitet a quiete mala conscientia tua, et innocentia somni tui laudat Deum. Si ergo laudas, non tantum lingua canta, sed etiam assumpto bonorum operum psalterio: quoniam bonus psalmus. Laudas cum agis negotium, laudas cum cibum et potum capis, laudas cum in lecto requiescis, laudas cum dormis: quando non laudas? Perficietur in nobis laudatio Dei, cum ad illam civitatem venerimus, quando effecti fuerimus aequales angelis.... Ad illam perfectissimam laudem exerceamus nos laudatione ista in bonis operibus.» S. AUGUSTINUS, Enarratio in Ps. 146, n. 2. ML 37- 1899, 1900.



3 «Nell' introdurre le novelle suore alla cognizione del nobile stato che appreso aveano della Religione, si mostrava tenerissima d' affettuoso zelo, e dicea loro: «Figliuole, siate grate a Dio principalmente, e poi a tutte queste Madri e Sorelle, perché avete ricevuto per mezzo loro il più pregiato dono che Dio ci conferisca in questa vita dopo il battesimo a' suoi eletti, cioè l' ingresso nella santa Religione.» PUCCINI, Vita, Firenwe, 1611, parte 4, cap. 31. - Cf. PUCCINI, Vita, Venezia, 1671: in fine, Detti e sentenze, § 2, n. 1.



4 «Quae est ista, quaeso, fratres mei carissimi, tam pretiosa margarita, pro qua universa dare debemus, id est nosmetipsos, quia totum Deo dedit qui se ipsum obtulit, ut possimus eam habere? Nonne haec religio sancta, pura et immaculata, in qua homo vivit purius, cadit rarius, surgit velocius, incedit cautius, irroratur frequentius, quiescit securius, moritur fiducius, purgatur citius, praemiatur copiosus?» Hoòilia in illud Matthaei, cap. XIII, v, 45: Simile est regnum caelorum homini negotiatori quaerenti bonas margaritas, n. 1. ML l84-1131. Di questa omilia dice Mabillon (ML, l. c.): «Tribuitur communiter Bernardo, quamquam nec illius esse videatur. Deest apud Horsitum.»



5 «Quod enim infirmum est in vobis, fortius est saecularibus. Illorum infirmitas quiescit in licitis; ad perfecta, vestra laborat. Illorum infirmitas est uti concessis: vestra quidem citra perfectum subsistere. Quid est in vobis esse infirmum, nisi non esse perfectum? Quid est in vobis esse infirmum, nisi summum non apprehendatis, contendere? Et quid forte, nisi, ut apprehendatis, contendere? Ideo infirmum nostrum fortius est saecularibus, et, ut sic dicam, melior est infirmitas monachi, quam saecularis benefaciens. Opera quae penes nos putantur infirma, quanti crederentur, si ab ipsis fieri viderentur?» GILLEBERTUS Abbas, In Cantica sermo 37, n. 3. ML 184-194.



6 «Thesaurum regni caelorum, qui invenit homo, abscondit (Matth. XIII, 44). Propter quod etiam corporaliter in claustris et in silvis abscondimur. Et si scire vultis quantum in hac absconsione lucramur, credo nullum hic esse qui, si quartam partem eorum quae facit, in saeculo actitaret, non adoraretur ut sanctus, reputaretur ut angelus: nunc autem quotidie tamquam negligens arguitur et increpatur. Parumne hoc lucrum ducitis, quod non reputamini sancti antequam sitis? An non timetis ne forte vili mercede hic recepta, in futuro mercedem non habeatis?» S. BERNARDUS, In Ps. Qui habitat, sermo 4, n. 3. ML 183-194, 195.



7 La Madre Maria di Gesù nacque in Tolosa nel 1569; appena entrata nel settimo anno, fece più volte istanze, purtroppo inutili, al confessore acciò le desse la comunione; data in isposa ad un regio Consigliere del Parlamento di Tolosa, continuò ad essere modello di tutte le virtù. Si servì di essa il celebre e santo Padre Sebastiano Michaelis, riformatore dell' Ordine Domenicano, per restituire alla Confraternita del SS. Rosario, ivi fondata da S. Domenico, l' antico splendore, e per dare nuova vita al Terzo Ordine del medesimo. Nel 1601, nel Capitolo Generale celebrato in Roma. Il P. Michaelis impetrò dal Definitorio che fosse ricevuto sotto l' ubbidienza dell' Ordine il monastero del secondo Ordine che intendeva fondare in Tolosa, sotto l' invocazione di S. Caterina da Siena, e sotto la stretta regolare osservanza introdotta dal Patriarca S. Domenico nel primo Monastero di Monache eretto da lui. Ai 21 di novembre 1605, in età di 31 anno, ottenuta dal marito, con pubblica scrittura, la licenza di monacarsi, Suor Maria, colle prime compagne, entrò in clausura. Dopo cinque anni di durissimi contrasti, agli otto di maggio 1611, si ottenne il Breve Pontificio per l' istituzione canonica: ricevuto il quale, Suor Maria prese, con undici compagne, l' abito del Secondo Ordine, e fu eletta Priora. Morì ai 2 di Settembre 1611, in età di 42 anni ed un mese. Tra le sue eroiche virtù, risplendettero specialmente le due qui lodate da S. Alfonso: un amore sviscerato verso Gesù Sacramentato, e l' ubbidienza. Di questa diede un raro esempio, mentre deposta, dopo molte preghiere, dal Priorato, domandò e ottenne di esser ricevuta nel Noviziato, e fino alla morte si considerò e si diportò come l' ultima e la più umile delle Novizie. - Oltre il Monastero di S. Caterina da Siena, ne fondò, da maritata, un altro in Tolosa, per le donne penitenti. - Cf. MARCHESE, Sagro Diario Domenicano, V, Napoli, 1679, pag. 4 e seg.



8 «Dixit sanctus abbas Antonius: Vidi omnes diaboli laqueos super terra structos, ingemuique ideo et dixi: Vae generi humano! Quis poterit eripi ab istis? Et dixerunt mihi: Humilitas salvat ab istis, nec ad illam pertingere valent.» S. ANTONII MAGNI Abbatis sententiarum quarumdam expositio facta a quodam sene post eius obitum. MG 40- 1089.



9 «Mundus in maligno positus est, ut dixit Iannes (I Io. V, 19): ergo et saeculum in maligno est, mundus plenus peccati.» S. AMBROSIUS, Expositio in Ps. 118 sermo 12, n. 47. ML 15-1377.- Poco sopra, esponendo il verso 94 di questo Salmo 118 (Sermo 12, n. 37-41. ML 15-1374, 1375, 1376), S. Ambrogio dipinge al vivo il tirannico potere del peccato sulla maggior parte degli uomini: «Tuus sum ego.... Facilis vox, et communis videtur, sed paucorum est.... Apostolorum itaque vox ista est, nec omium tamen apostolorum. Nam et Iudas apostolus fuit..... et introivit in eum Satanas, et coepit dicere. Non est tuus, Iesu, sed meus est... Non potest dicere saecularis: Tuus sum; plures enim dominos habet. Venit libido, et dicit: Meus es; quia ea quae sunt corporis concupiscis: in illius adolescentuiae amore te mihi vendidisti..... Venit avaritia, et dicit: Argentum et aurum quod habes, servitutis tuae pretium est.... Venit luxuria, et dicit: Meus es; unius diei convivium, pretium tuae vitae est.... Venit ambitio, et dicit tibi: Plane meus es.... Veniunt omnia vitia, et singula dicunt: Meus es. Quem tanti competunt, quam vile mancipium est! Quomodo ergo tu qui huiusmodi es, potes Christo dicere: Tuus sum? Respondebit tibi ille: «.... Non est meus quem libido succendit; quia mea est castitas. Non est meus quem eura spoliandi minores exagitat; quia mea integritas est. Non est meus quem eura spoliandi minores exagitat; quia mea integritas est. Non est meus quem ira mobilis inquietat; quia mea tranquillitas est. Quid mihi ad eum de quo veniat diabolus, et dicat: Meus est: nam mihi sua colla curvavit..... nomen sibi tuum vindicat, et meum munus?».... Ego autem nunc Dei mei sum, nunc tristitiae, nunc iracundiae, nunc verbi otiosi; et ideo qui plures dominos habet, non potest uni dicere: Domine Iesu, tuus sum..... Ille (Paulus)... dicebat: Christi sum; et respondebat ei Dominus: Meus es. Qui vere dicit: Tuus sum, audit a Domino: Meus es.»



10 «Vedevasi talora baciare con sommo affetto le muraglie del Monastero; e domandata alcuna volta perché ciò faceva: «Non vi par forse, diceva ella, o Sorelle mie, ch' io n' abbia cagione; poiché questi santi muri mi separano dall' infelice mondo, e mi fanno sicuro il più pregiato tesoro ch' io possegga, mediante 'l quale l' anima mia s' accende ad amar Gesù per possederlo, e per goderlo perfettamente in patria.» PUCCINI, Vita, Firenze, 1611, parte 1, cap. 63.



11 Maria Maddalena Orsini, nata nel 1534, sposò Lelio di Renzo da Ceri, ma poi, rimasta vedova, si fece monaca del Terz' Ordine Domenicano. Nel 1583 vestì l' abito del 2° Ordine e fondò il monastero di S. Maria Maddalena di Monte Cavallo in Roma. Morta, dopo una santissima vita, il 25 maggio 1605, fu beatificata nel 1668. Il suo corpo riposa nella chiesa di S. Caterina in via Quattro Novembre. La Vita fu scritta dal P. Bonaventura Borselli, domenicano (Roma, 1668), ma non vi abbiamo trovato il detto riferito dal nostro santo come neppure nel Sagro Diario Domenicano del P. Marchese, ai 25 di maggio.



12 «Si vero religiosus non ex contemptu, sed ex infirmitate vel ignorantia, aliquod peccatum quod non est contra votum suae professionis committit absque scandalo, puta in occulto, levius peccat eodem genere peccati quam saecularis. Quia peccatum eius, si sit leve, quasi absorbetur ex multis bonis operibus quae facit. Et si sit mortale, facilius ab eo resurgit. Primo quidem, propter intentionem quam habet erectam ad Deum: quae, etsi ad horam intercipiatur, de facili ad pristina reparatur..... Iuvatur etiam a sociis ad resurgendum.» S. THOMAS, Sum. Theol., II.-II, qu. 186, art. 10, c.



13 Rivellino,termine militare, significa un posto avanzato della fortezza.



14 «Alio quodam ex ipso perquirente, possitne divinam sibi conciliare gratiam qui in saeculo permaneat, ita ait: «Potest quidem, sed mallem ego gratiam unam in monasterio, quam decem in saeculo. Quae enim in monasterio obtinetur gratia, ea et crescit facile et bene custoditur: quod is, qui monasticum sectatur institutum, ab omni mundi strepitu et sollicitudine perturbante.... seiunctus sit, aliique Fratres.... a malo eum retrahant et ad bonum incitent. Porro gratia quae in saeculo percipitur, et cito solet amitti et aegre conservatur: quod mundanarum tentationum sollicitudo, quae est perturbationum et inquietudinum parens, divinae gratiae et impediat et perdat suavitatem; tum quod alii saeculo dediti homines,... suasionibus et.... exemplis,... a bono revocent fortiterque impellant ad perpetranda mala.... Satius est igitur una potiri gratia in libertate, quam decem in eiusmodi timoribus et periculis.» Acta B. AEGIDII Assisiatis, Ord. Min. (Acta Sanctorum Bollandiana, die 23 aprilis), pars 3, cap. 1, n. 83 (et pars 2, cap. 3, n. 51). -MARCO DA LISBONA, Croniche degli Ordini instituiti dal P. S. Francesco, parte 1, lib. 7, cap. 21.



15 «Una volta... una sorella le disse: «V. R., Madre, come ha servito molto N. Signore, può stare tanto confidata, che non teme la morte.» A che rispose....: «Non confido più in questo, che il maggiore assassino da strada possa confidare nelle sue azione per salvarsi: si bene in che vedo il Figliuol di Dio inchiodato per mio rimedio in una croce, e me vestita dell' abito di sua Madre e in casa sua. Perché è onore de' Principi proteggere i servitori de' loro padri e difenderli da' suoi nemici.» Questa gran stima e confidenza che le dava il vedersi con l' abito della vergine, le nacque dall' antico sogno profetico (S. Teresa, Las Fundaciones, cap. 22; Obras,  V, 190, 191) nel quale in ombra vide sé con questo abito, e la Santissima Vergine per Madre e Protettrice di esso. Faceva tanto gran stima di questo favore, che quando avanti di lei si trattava de' travagli patiti in quella fondazione (di Veas o Beas), e delle difficoltà grandi che aveva superate, diceva molto di ordinario: «N. Signore mi ha già pagato tutto questo con un' ora sola di Religione in casa di sua Madre.» FRANCESCO DI SANTA MARIA, Riforma de' Scalzi di Nostra Signora del Carmine, lib. 7, cap. 32.



16 «Referebat autem beatus senior Poemen fratribus, dicens: quoniam fuit quidam nuper monachus in Constantinopoli, temporibus Theodosii imperatoris. Habitabat autem parva cella foris civitatem.... Audiens autem imperator quod ibi esset quidam monachus solitarius, qui numquam egrediebatur de cella, coepit deambulando pergere ad eum locum.... praecepitque sequentibus se.... ut nullus approximaret ad cellulam.... Ipse autem solus perrexit pulsavitque ostium. Surrexit autem monachus et aperuit ei, et non cognivit eum quod esset imperator.... Post orationem autem sederunt pariter, et interrogativ eum imperator dicens: «Quomodo sancti Patres degunt in Aegypto?» Respondensque monachus ait: «Omnes exorant Deum pro salute vestra.» Aspiciebat autem imperator intente cellulam ipsam, et nihil in ea vidit nisi paucos panes siccos in sporta pendentes, et dixit ei: «Da mihi benedictionem, abba, ut reficiamus.» Statimque festinavit monachus, et misit aquam et sal, et misit buccellas, et comederunt pariter, porrexitque ei calicem aquae, et bibit. Tum Theodosius imperator dixit: «Scis quis ego sum?» Respondens monachus dixit: «Nescio quis sis, domine.» Dixit ei: «Ego sum Theodosius imperator, et ob devotionem veni huc.» Hoc cum audisset monachus, prostravit se ante illum. At ille dixit ei: «Beati estis vos, monachi, qui securi ac liberi de negotiis saeculi, tranquilla et quieta perfruimini vita, et solummodo de salute animarum vestrarum habetis sliicitudinem, quomodo ad vitam aeternam et ad caelestia praemia pervenire possitis. In veritate enim dico tibi quia certe in regno natus sum, et nunc in regno dego, et numquam sine sollicitudine cibum capio.» Post haec autem valde honorifice salutavit eum imperator, et ita egressus est ab eo.» De vitis Patrum, lib. 3, auctore probabili RUFFINO, n.19. ML 73—749, 750. (Temendo però il monaco che molti, seguendo l' esempio dell' Imperatore, venissero a visitarlo, e che così egli cominciasse a perdere la virtù dell' umiltà, la stessa notte fuggì e se n' andò in Egitto, presso i santi Padri nell' eremo.) - Cf. De vitis Patrum, lib. 5, auctore graeco incerto, interprete Pelagio, libell. 15, n. 66. ML 73-965. GEORGIUS CEDRENUS, Historiarum comendium, MG 121-647.- Questo imperatore è Teodosio II, detto Iuniore, figlio di Arcadio: nato nel 401, regnò dal 408 al 450.



17 Oratio quotidiana B. P. Francisci; Opera S. FRANCISCI, Pedeponti 1739, I, 20. - MARCO DA LISBONA, Croniche del P. S. Francesco, parte 1, lib. 1, cap. 8.



18 «Nihil est plenius delectatione quam amare Deum. Si quis diceret: Ecce mel tantae dulcedinis, quod una gutta dulcescat totum mare, et gustata una gutta, videantur omnia dulcia extranei generis esse amara: hoc mel diceretur valde dulce. Sed haec dulcedo est in amore divino, quia omnes amaritudines convertit in dulcedinem et quidquid est tribulationis mundanae: similiter gustata eius dulcedine, omnia dulcia extranei generis videntur amara, quia, «gustato spiritu, desipit omnis caro (S. Bernardus, epist. 111, n. 3).» S. BONAVENTURA, Sermones de Sanctis, Sermo II de S. Maria Magdalena,I, 4°. Opera, IX, ad Claras Aquas, 1901, pag. 559, col. 1.



19 Il Ven. P. Cesare de Bus -  negli antichi documenti il nome della famiglia, a cui apparteneva S. Francesca Romana, si trova anche scritto de Bustis: il padre di S. Francesca vien chiamato «Paulus Buxa» «Paolo del Busso»- nacque in Cavaglione di Provenza nel 1544; morì in Avignone il giorno di Pasqua 1607. Fondò la Congregazione della Dottrina Cristiana, la quale venne tosto approvata dal Sommo Pontefice Clemente VIII: prima Congregazione di Sacerdoti con voti semplici. Ebbe il P. Cesare molti nipoti, essendo stato egli il settimo tra 13 figli: di quel suo nipote però di cui parla S. Alfonso, non abbiamo trovato menzione in quelle Vite di lui, che abbiamo potuto rintracciare; molte altre ne furono scritte in varie lingue. Fin dalla sua morte fu oggetto di vero culto: ma questo venne ridotto a giusti termini, dopo i decreti di Urbano VIII. Le sue virtù furon dichiarate eroiche da Pio VII nel 1821. La causa di beatificazione, tanto tempo sospesa, si riprende ora con buona speranza di felice esito. Il Cardinal Tarugi, figlio tanto amato di S. Filippo in Roma e affezionatissimo al P. Cesare in Avignone, chiamava questo suo amico un altro Filippo Neri.



20 Queste parole, come non sono di S. Scolastica, così certamente debbono attribuirsi alla B. Maria Maddalena Orsini (vedi sopra, nota 11). «Solea ella dire alle sue discepole: «.... Ah che se alle persone del mondo fossero note le delizie che nella Religione si godono e l' altissimo grado de' suoi familiari in che Iddio ha collocati i Religiosi, tutti diverrebbero Religiosi, e si disertaria il secolo.» MARCHESE, Sagro Diario Domenicano, III, Napoli, 1672, 25 maggio, pag. 200.



21 «Altra volta dicea: «Se gli uomini mondani capissero quanti siano i gusti che aspettano nell' altra vita quelli che vivono vergini insino alla morte, come cervi assetati correrebbono a riserrarsi nelle più aspre Religioni, per conservarsi intatti e puri;» (PUCCINI, Vita, Firenze, 1611, parte 1, cap. 63) «perché quanto più è circondata la vigna da siepe, tanto più sta sicura» (PUCCINI, Vita, 1671, cap. 121).- «La Religione è un paradiso terrestre, nel quale l' anima si unisce con Dio più strettamente, partecipa pià abbondantemente i tesori della Chiesa, gode una dolcissima pace che divinamente l' imbalsama, e la fa divenire una piccola deità in terra.» PUCCINI, Vita, 1671, in fine: Detti e sentenze, § 2, n. 2.



22 «(Dicebatque).... consulto Deum gratiam religionis hominibus occultasse, nam, si cognosceretur illius felicitas, omnes ad eam concurrerent.» Bernardus IUSTINIANUS, Vita B. Laurentii Iustiniani, Venetiis, 1721, cap. 9.



23 Carlo di Lorena, cugino del duca di Lorena, nacque nel 1590; promosso al vescovado di Verdun, e consacrato vescovo in età di 24 anni, entrò nella Compagnia di Gesù nel 1622. «Il novizio Carlo, vestito d' una vesticciuola rappezzata, godeva tra le umiliazioni, e quasi tripudiava spazzando la casa, acconciando le lucerne, lavando i piatti, e facendo altri simili ministeri.» Al Papa Urbano VIII disse «che avendo in vita sua maneggiato tre diversi bastoni, quel di comando colla lancia in età più tenera, il pastorale nell' età più matura, e la scopa in quel tempo presente, i primi due gli erano riusciti di peso e d' aggravio, quest' ultimo di consolazione e allegrezza.» Al P. Lebrun, già suo confessore nel secolo, scriveva: «Ho già passati nove mesi nella Compagnia in braccio d' un' allegrezza continua, e mai interrotta. La dolcezza e soavità dello spirito, che qui provo, è sì grande che anche ridonda nel corpo.... Nell' Egitto non fu così. In niun altro luogo o condizione di vita fui più felice, né in veruna posso sperare di esserlo.» In una lettera ad un altro Padre, si protestava che si sarebbe il giorno stesso messo in viaggio, se, per aver la grazia di cui godeva, fosse stato necessario andarla a cercare a piedi fino nel Giappone. I due giorni del suo ingresso in Religione e della sua professione, riputò sermpre i più segnalati della sua vita. Dopo aver governato successivamente, con non lievi fatiche e travagli, le due case di Bordeaux e di Tolosa, morì in quest' ultima, ai 28 di aprile 1631, in età di 40 anni. PATRIGNANI, Menologio, II, Venezia, 1730, pag. 267 e seg.



24 «Un giorno, pià acceso che mai di questo divino amore, giunse a protestar con un sacerdote ch' egli non avrebbe cambiato un palmo della sua corda con tutta la gran monarchia delle Spagne, e ne apportò questa ragione, dicendo: «E quale dovizia di beni potrebbero mai recarmi tanti regni anche pacificamente posseduti, in comparazione del minimo comodo che mi dà la Religione di amare il vero e sommo bene che è Dio?» Fra SILVESTRO DA MILANO, cappuccino, Vita del B. Serafino da Monte Granaro (detto pure d' Ascoli), Venezia, 1730, lib. 1, cap. 6, pag. 79.



25 «Laborabat aliquando athleta Dei Arnulfus doloribus viscerum.... Cumque aliuqamdiu mutus et insensibilis iaceret, de vita ipsius desperatum est, et ob hoc oleo infirmorum inunctus est. At ubi primum respirare potuti, erumpens in vocem confessionis et laudis, ait: «Vera sunt omnia quae dixisti, Domine Iesu.» Quod cum saepius iteraret.... quidam.... dicebant quod prae acerbitate doloris cerebro turbatus esset.... Quibus ille....: «Non est ita, fratres, sed sano capite et mente sobria dico, quia vera sunt omnia quae locutus est Dominus Iesus.... Dominus dicit in Evangelio, quia si quis affectibus parentum et divitiis mundi propter amorem ipsius renuntiaverit, centuplum accipiet in hoc saeculo, et vitam aeternam in futuro. Ego itaque vim sermonis huius in praesenti experior, et centuplum meum iam nunc in hac vita recipio. Siquidem immensa doloris istius acerbitas adeo mihi sapit propter spem divinae miserationis, quae in ea reposita est mihi, ut hac ipsa caruisse me nolim pro centuplicata mundi substantia, quam reliqui.... Vere etenim spirituale gaudium, quod modo est in spe, centies millies exsuperat saeculare gaudium, quod nunc est in re. Si quis autem.... centuplum istud accipere non meretur, constat profecto quod adhuc omnia perfecte non reliquit, sed ex propria voluntate, quae est mala proprietas, secum retinet aliquid.» Hoc illo dicente, mirati sunt universi ab homine laico et illitterato sententiam talem esse prolatam.» S. Bernardi Vita prima,  liber 7, ex Exordio Magno Cisterciensi, cap. 22, n. 38. ML 185-436, 437. - «Arnulfus, nomine de Maiorca, dives et delicatus nimis,» fu convertito da S. Bernardo, «dum (is) aliquando provinciam Flandriae intrasset.» Ibid., n. 35, col. 434. Della sua conversione disse S. Bernardo, dinanzi a tutti i monaci: «De conversione fratris Arnulfi nec minus glorificandus est Christus quam de resuscitatione Lazari quatriduani, eo videlicet quod in deliciis tantis ciausus atque sepultus, velut in tumulo iacebat, et quasi vivens mortuus erat.» Ibid. n. 36, col. 435.



26 «Domibus vero et habitaculis simplicibus victus inhabitantium persimilis erat..... Cibaria quaeque vix erant aliquid saporis habentia, praeterquam quod fames seu amor Dei faciebat, Sed et ipsum novitii fervoriis simplicitas sibi tollebat, cum, quasi venenum arbitrantes quidquid comedentem utcumque delectaret, recusarent dona Dei propter gratiam quam in eis sentiebant. Cum enim circa omne genus carnalis tolerantiae, cum adiutorio gratiae Dei, studiu, spiritualis Patris hoc in eis effecisset ut plurima, quae homini in carne constituto impossibilia prius videbantur, iam non solum constanter peragerent et sine murmuratione, sed etiam cum ingenti delectatione: ipsa delectatio aliam in eis pepererat murmurationem.... Persuasum quippe habentes.... inimicam esse animae omnem delectationem carnism quidquid carnem cum qualibet delectatione mutrire videretur, fugiendum arbitrabantur. Quasi enim per aliam viam reduci se putabant in regionem suam, cum, prae dulcedine amoris interioris, amara aeque ac dulcia delectabiliter edendo, delectabilius vivere sibi viderentur in eremo quam prius vixissent in saeculo. Cumque in hoc suspectam aliquatenus haberent spiritualis Patris quotidianam correptionem, quasi carni eorum plusquam spiritui deferentem, aliquando ad iudicium praedicti Catalaunensis episcopi, qui tunc forte aderat, res delata est. Super quo vir ille potens in verbo, sermonem ad eos aggressus ad eum finem perduxit, ut omnem hominem, quicumque dona Dei recusaverit propter gratiam Dei, inimicum esse gratiae Dei, et Spiritui Sancto resistere pronuntiaret. Adducta siquidem historia de Eliseo propheta et filiis Prophetarum cum eo in desertis locis vitam eremiticam ducentibus, cum aliquando ad horam refectionis ventum esset, amaritudo quaedam mortis in olla decoctionis eorum inventa, per virtutem Dei et ministerius prophetae, per infusionem farinulae dulcorata est (IV Reg. IV, 39-41):«Olla,» inquit, «illa prophetica, olla vestra est, nil in se nisi amaritudinem habens: farina vero amaritudinem in dulcedinem convertens, gratia Dei operans est in vobis. Sumite ergo securi, et cum gratiarum actione, quod eum naturaliter minus aptum fuerit usibus humanis, ad hoc per gratiam Dei vestris est usibus aptatum, ut utamini et comedatis. In quo si inobedientes et increduli permanetis, resistitis Spiritui Sancto, et gratiae eius ingrati estis.» GUILLELMUS, ex Abbate Sancti Theoderici monachus Signiacensis, Vitae S. Bernardi  liber primus, cap. 7, n. 36, 37. ML 185-248, 249.



27 «Quid enim vobis (qui divitias huius saeculi penitus reliquistis) ultra pavendum est? Unum utique, idque gravissimum, peccatum Iudae, peccatum apostasiae.... Hoc, inquam, omnino timendum est ne quis, aut corde solo, aut etiam corpore ad vomitum revertatur. Legimus enim de filiis Israel, quia corde redierunt in Aegyptum (Num. XIV, 3). Nam corpore reverti, clausum post eorum talos Rubrum mare prohinenat. Hoc est quod vehementer singulis quibusque timendum est, ne quando forte eatenus Deum offendant, ut manifeste abiiciantur et evomantur ab eo: aut si pudor neget apostasiam corporis, tepor ipse paulatim ingerat apostasiam cordis; ut videlicet sub habitu religionis cor saeculare gerant, et quidquid saecularis consolationis invenire potuerint, amplectantur.» S. BERNARDUS, In Ps. Qui habitat sermo 3, n. 5. ML 183-193.



28 Questa frase manca nelle edizioni napoletane del 1768 e 1781.



29 Nell' ultima parte del periodo, il discorso, non sappiamo se per distrazione o per errore dell' amanuense - in questo tempo S. Alfonso, a causa delle sue infermità, usava alle volte dettare - passa dal plurale al singolare. Qualche editore posteriore l' aveva accomodato; l' abbiamo restituito come nelle edizioni coeve del santo.



30 Et omnis qui reliquerit domum, vel fratres, aut sorores, aut patrem, aut matrem, aut uxorem, aut filios, aut agros, propter nomen meum, centuplum accipiet et vitam aeternam possidebit. Matth. XIX, 29.



31 Forse accenna qui S. Alfonso al P. Giuseppe Scammaca  (al. Scammacca). Narra il Patrignani, Menologio, I, 8 gennaio 1627, la sua placidissima morte. Raggiunto l' anno settantesimo settimo di sua età, chiese al suo Provinciale la licenza di mettersi a letto, «perché, diceva, voglio morire». Nei venti giorni che sopravvisse senza febbre, senza dolori, si preparò ad andarsene con Dio, quasi scherzando con se stesso e con gli altri, e fissò il giorno in cui avesse da morire: e così avvenne. - Il P. Giovanni RHO', Variae virtutum historiae, Lugduni, 1644, lib. 2, cap. 3. Pars 2, n. 4, riferisce un detto del santo moribondo, il quale ha qualche somiglianza con quello riportato da S. Alfonso: «Placide ac quasi per ludum a nobis ad pauciores abeuntem, eaque saepius usurpantem: Laetatus sum in his quae dicta sunt mihi, in domum Domini ibimus, et, Fulcite me floribus, stipate me malis, rogavit adstantium quispiam, aeternae hereditatis capessendae essetne illi certa spes? Tum ille paulum commotus. «Numquid ego Mahometo servivi per tantum aevi, ut nunc de Domini mei bonitate dubitem?»



32 «Quoties ergo tibi in mentem venit parentes te, et patriam, domum, amicos, propinquos, opesque innumeras, et gloriam illam ingentem abiecisse propter Christum, deindeque huiusmodi vexationem pati, noli deiicere teipsum.Nam ex quibus cogitationum haesitatio gignitur, ex eisdem rursus solvetur. Quonam modo? Impossibile est mentiri Deum (Hebr. VI, 18): promisit autem ille vitam aeternam ista relinquentibus. Reliquisti tu omnia ista, et abiecisti: quid igitur prohibet de huiusmodi confidere promissione?» S. Io. CHRYSOSTOMUS, Ad Stagirium ascetam a daemone vexatum, lib. 1, n. 6. MG 47-438. (Stagirio, giovane di nobile schiatta, aveva abbracciato la vita monastica contro la volontà del padre; ma era monaco poco studioso di avanzarsi nelle virtù. Per indurlo a maggior perfezione, volle il Signore che venisse tormentato dal demonio, fino a sentirsi alle volte quasi precipitar nella disperazione. All' amico, fatto già più diligente per le tristi condizioni in cui versava, ma oppresso da immensa mestizia, mandò il Grisostomo tre libri, molto atti a consolare le anime.)



33 «Cellae siquidem et caeli habitatio cognatae sunt; quia sicut caelum et cella ad invicem videntur aliquam habere cognationem nominis, sic et pietatis. A celando enim caelum et cella nomen habere videntur, qt quod celatur in caelis, hoc et in cellis; quod geritur in caelis, hoc et in cellis. Quidnam est hoc? Vacare Deo, frui Deo. Quod cum secundum ordinem pie et fideliter celebratur in cellis, audeo dicere, sancti angeli Dei cellas habent pro caelis, et aeque delectantur in cellis ac in caelis. Nam cum in cella iugiter caelestia actitantur, caelum cellae et sacramenti similitudine, et pietatis affectu, et similis operis affectu (lege: effectu) proximum efficitur; nec iam spiritui oranti, vel etiam a corpore exeunti, a cella in caelum longa vel difficilis via invenitur. A cella enim in caelum saepe ascenditur; vix autem umquam a cella in infernum descenditur, nisi sicut dicit Psalmista: Descendant in infernum viventes (Ps. LIV, 16), videlicet, ne descendant morientes. Hoc enim modo saepe cellarum incolae in infernum descendunt. Sicut enim assidue contemplando revisere amant gaudia caelestia, ut ardentius ea appetant, sic et dolores inferni, ut horreant et refugiant. Et hoc est quod imprecantur inimicis suis orantes, scilicet ut descendant in infernum viventes.  Moriens autem vix aut numquam aliquis a cella in infernum descendit; quia vix umquam aliquis, nisi caelo praedestinatus, in ea usque ad mortem persistit.» S. BERNARDUS, Epistola seu Tractatus, ad Fratres de Monte Dei, de vita solitaria, cap. 4, n. 10. ML 184-314. - Questo trattato crediamo doversi restituire a S. Bernardo. Vedi Appendice, 3.



34 «In humanis rebus et in hac peregrinatione, nihil tam efficaciter gerit in se imaginem caelestis patriae quam monastica conversatio, et congregatio divino cultui dedicata. Supernis namque civibus una est mansio, una gloria, commumis laetitia, concors voluntas, mutua dilectio, et sempiterna securitas. Aeque in congregationibus uniformiter degentibus reperitur....In hoc potissimum distant, quod illi cum Christo regnant, isti autem pro Christo pugnant. Illa triuphantium, haec congregatio dicitur militantium. Maxima illorum multitudo primo huic militiae ascripta fuit, postea vero, perfecto certamine, angelicis sociata spiritibus. Nam quod illi tenent in re, isti habent in spe. Illius caelestis civitatis iste est introitus. Iste nempe est locus de quo ait sanctus Iacob: Vere non est hic aliud nisi domus Dei et porta caeli. Secure speret post hanc peregrinationem ad illam supernam intrare Hierusalem, quicumque in iustorum congregationem fuerit vocatus. Magnum quippe electionis indicium est huius fraternitatis habere consortium. S. LAURENTIUS IUSTINIANUS, De disciplina et perfectione monasticae conversationis, cap. 7. Opera, Venetiis, 1721, pag. 73.



35 «Utinam non te amiserim, sed praemiserim!.... Non enim dubium quim ad illos ieris, quos circa medium extremae noctis tuae invitabas ad laudem, cum in vultu et voce exsultationis subito erupisti in illud Davidicum, stupentibus qui assistebant: Laudate Dominum de caelis, laudate eum in excelsis (Ps. CXLVIII, 1). Iam tibi, frater mi, nocte adhuc media diescebat, et nox sicut dies illuminabatur. Prorsus illa nox illuminatio tua in deliciis tuis. Accitus sum ego ad id miraculi, videre exsultantem in morte hominem, et insultantem morti. Ubi est, mors, victoria tua? Ubi est, mors, stimulus tuus? Iam non stimulus, sed iubilus. Iam cantando moritur homo, et moriendo cantat. Usurparis ad laetitiam, mater maeroris; usurparis ad gloriam, gloriae inimica; usurparis ad introitum regni, porta inferi; et fovea perditionis, ad inventionem salutis: idque ab homine peccatore. Iuste nimirum, quia tu inique in hominem innocentem et iustum potestatem temeraria usurpasti. Mortua es, o mors, et perforata hamo quem incauta glutiisti, cuius illa vox est in propheta: O mors, ero mors tua; morsus tuus ero, inferne  (Osee, XIII, 14). Illo, inquam, hamo perforata, transeuntibus per medium tui fidelibus latum laetumque exitum pandis ad vitam. Girardus (al. Gerardus) te non formidat, larvalis effigies. Girardus per medias fauces tuas transit ad patriam, non modo securus, sed et laetabundus et laudans. Cum ego supervenissem, et extrema iam psalmi, me audiente, clara voce complesset, suspiciens in caelum, ait: Pater, in manus tuas commendo spiritum meum (Luc. XXIII, 46). Et repetens eumdem sermonem, ac frequenter ingeminans: Pater, Pater, conversus ad me, exhilarata quidem facie: «Quanta,» inquit, «dignatio Dei, patrem hominum esse! quanta hominum gloria, Dei filios esse et heredes! Nam si filii, et heredes.» Sic cantabat quem nos lugemus: in quo et meum, fateor, luctum pene in cantum convertit, dum intentus gloriae eius, propriae fere miseriae obliviscor. Sed revocat me ad me pungens dolor, facileque a sereno illo intuitu, tamquam a levi excitat somno perstringens anxietas. Plangam igitur, sed super me, quia super illum iam vetat ratio.» S. BERNARDUS, In Cantica, sermo 26, n. 11, 12. ML 183-910, 911.



36 «Si era ritirato a Lisbona, per trovarvi, insieme col riposo, l' opportunità di terminare i suoi trattati de Gratia. «Otium quaerentem procellae horribiles occuparunt», a causa di una questione di giurisdizione, sorta tra il Senato del Regno e il Legato Pontificio; nella quale occasione il celebre teologo si meritò un breve assai lusinghiero del Sommo Pontefice Paolo V. «Saeviente iam mitius tempestate, coepit se Soario portus aeternitatis optatissimus aperire. Incidit in morbum.... Solus ipse hilaris, atque animo alacer,.... ingeminabat identidem illa verba: Exspectans exspectavi Dominum. Quam dilecta tabernacula tua, Domine, etc... Inter eas voces, animo collabente defecit, mortuo similis. Paulo post sibi redditus, ac caelesti illo, quod iam praegustaverat, gaudio delibutus: «Non putabam, inquit, tam suave, tam dulce esse mori.» Tandem, sacramentis rite susceptis, vir immortalitate plane dignus exstinguitur in domo professa, 25 die septembris, anno 1617, aetatis fere 70.» R. P. Francisci Suarez, S. I., Vita: Operum tom. 1, Venetiis, 1740 (senza paginazione).



37 «Rationabiliter autem dici potest quod etiam per ingressum religionis aliquis consequatur remissionem omnium peccatorum. Si enim aliquibus eleemosynis factis homo potest statim satisfacere de peccatis suis, secundum illud Dan. IV, 24: Peccata tua eleemosynis redime; multo magis in satisfactionem pro omnibus peccatis sufficit quod aliquis se totaliter divinis obsequiis mancipet per religionis ingressum, quae excedit omne genus satisfactionis, etiam publicae poenitentiae, ut habetur in Decretis, XXXIII caus., qu. 2, cap. Admonere; sicut etiam holocaustum excedit sacrificium, ut Gregorius dicit, super Ezech., hom. 20. Unde in Vitis Patrum (lib. 6, libell. 1, n. 9) legitur quod eamdem gratiam consequuntur religionem ingredientes quam consequuntur baptizati.» S. THOMAS, Sum. Th., II-II, qu. 189, art. 3, ad 3. - «Fuit quidam magnus inter praevidentes; hic affirmabat dicens: quia virtutem, quam vidi stare super baptisma, vidi etiam super vestimentum monachi, quando accipit habitum spiritualem.» Vitae Patrum, liber 6, auctore graeco incerto, interprete Ioanne S. R. E. subdiacono, libell. 1, n. 9. ML 73-994.



38 Quisquis enim potum dederit vobis calicem aquae in nomine meo, quia Christi estis: amen dico vobis, non perdet mercedem suam. Marc. IX, 40.



39 Questo fratello morì a Napoli ai 2 di settembre 1598; Filippo II, ai 13 dello stesso mese. Patrignani (Menologio, tom. 3, 2 settembre) loda assai le virtù del Lacci. L' apparizione, la quale avvenne nei primi giorni dell' anno seguente, viene a lungo riferita dal P. SCHINOSI, Istoria della C. d. G. appartenente al Regno di Napoli, lib. 4, cap. 4. Le parole pronunziate dall' apparizione furon queste: «Il Re si trova anch' esso in cielo, dove tanto la mia condizione è più sollevata e fortunata della sua, quanto qui nella bassa terra era la sua più che non la mia.»



40 «Nunc nobis ad virgines sermo est; quarum quo sublimior gloria est, maior et cura est. Flos est ille ecclesiastici germinis, decus atque ornamentum gratiae spiritalis, laeta indoles, laudis et honoris opus integrum atque incorruptum, Dei imago respondens ad sanctimoniam Domini, illustrior portio gregis Christi. Gaudet per illas atque in illis largiter floret Ecclesiae matris gloriosa foecunditas; quantoque plus copiosa virginitas numero suo addit, tanto plus gaudium matris augescit.» S. CYPRIANUS, Liber de habitu virginum, n. 3. ML 4-443.



41 Giuliano - non già l' imperatore apostata - amico di S. Gregorio, ottimo uomo e magistrato, «exaequandis tributis praefectus» a Nazianzo, era stato pregato, con lettere e con una poesia, dal santo amico di usar misericordia verso i poveri, i chierici e i «filosofi», cioè i monaci. Acconsentì Giuliano, col patto però che Gregorio avesse pagato il proprio «tributo» con un discorso. Non senza difficoltà per amore alla solitudine, ma vinto dall' amore ai poveri, fece S. Gregorio l' «Oratio XIX, ad Iulianum tributorum exaequatorem,» verso la fine della quale (n. 16, MG 35-1062, 1063) così interpella l' amico: «Tu quidem orationi meae mercedem persolvisti, quamcumque tandem, persolvisti; at illa tibi dono pauperes affert, totum sacerdotum chorum ac philosophorum coetum, qui nullo vinculo humi tenentur, qui sola corpora, ac ne ea quidem tota, possident, qui Caesari nihil habent, Deo omnia tribuunt, hymnos preces, vigilias, lacrymas, opes quae manibus arripi nequeunt, mundo emori. Christo vivere, carnem macerare, animam a corpore abstrahere. His parcens, qut etiam omnino Deo reddens Dei famulos et mysteriorum conscios, caelestiumque rerum inspectores, has, inquam, generis nostri primitias, haec columina, has fidei coronas, has pretiosas margaritas, hos templi illius, praeclari, inquam, Ecclesiae coetus, lapides, cuius fundamentum et lapis angularis est Christus: pulcherrime utique, et ipsis, et tibi, et nobis omnibus consulueris. Ac tibi has potius a nobis divitias optarim, quam magnos auri atque argenti thesauros, qui nunc exsistunt, ac paulo post non erunt.»



42 «Habiendo un dia comulgado, mandòme mucho Su Majestad lo procurase con todas mis fuerzas (cioè l' erezione del primo monastero), hacièmdome grandes promesas de que no se dejaria de hacer el monesterio, y que se serviria mucho en èl, y que se llamase San Josef, y que a la una puerta nos guardaria El y Nuestra Senora la otra, y que Cristo andaria con nosotras, y que seria una estrella que diese de si gran resplandor; y, que, aunque las Religiones estaban relajadas, que no pensase se servia poco en ellas; que què seria de el mundo si no fuese por los religiosos; que dijese a mi confesor esto que me mandaba, y que le rogaba El que no fuese contra ello ni me lo estorbase.» S. TERESA, Libro de la Vida, cap. 32. Obras, I (Burgos, 1915), 268. - Cf. YEPES, Vita, lib. 2, cap. 1; RIBERA, Vita, lib. 1, cap. 12.



43 «Plurimi eorum, si in aliquo forte necessariis ad usus corporis eguerint, non ad humana perfugia, sed ad Deum versi, et ab ipso tamquam a patre poscentes, quae poposcerint illico consequuntur. Tanta namque in eis fides est, quae etiam montibus, ut transferantur, valeat imperare.... Plurima atque innumera signa, quae ab Apostolis et Prophetis antiquitus gesta fuerant, consummaverunt, ut dubitari non debeat ipsorum meritis adhuc stare mundum.» Historia Monachorum seu Liber de Vitis Patrum (de Vitis Patrum liber 2), auctore RUFFINO, Aquileiensi presbytero, Prologus. ML 21-389, 390. - «Vere mundum quis dubitet meritis stare sanctorum, horum, scilicet, quorum, in hoc volumine vita praefulget, qui omnem luxuriae notam tota mente fugerunt, mundoque relicto, eremi vasta secreta rimantur, ibique per terribiles rupes, formidolosis antris excubantes, non esuriunt neque sitiunt, quia dextera Dei sustentat et pascit eos.» Vitae Patrum, liber 3, auctore probabili RUFFINO, Prologus. ML 73-739, 740.

 






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