- CAPO VII - Della mortificazione interna o sia annegazione dell'amor proprio.
- § 4 - Dell'ubbidienza dovuta alle regole.
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§ 4
- Dell'ubbidienza dovuta alle regole.
1.
S. Francesco di Sales diceva questa gran proposizione: La predestinazione delle monache sta ligata all'osservanza delle loro
regole.1 E S. Maria Maddalena de' Pazzi dicea che l'osservanza
della regola è la via più dritta della salute eterna e della santità.2
L'unica via in somma alle religiose per farsi
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sante e per salvarsi è
l'osservanza delle regole; ogni altra via non è via per esse che le conduca al
fine. Ond'è che quella religiosa che abitualmente trasgredisce qualche regola,
per minima ch'ella sia, non darà mai un passo avanti nella perfezione, con
tutto che facesse molte penitenze, orazioni ed altre opere spirituali.
Faticherà, ma senza frutto, avverandosi allora per lei quel che dice lo Spirito
Santo: Disciplinam qui abiicit, infelix
est; et vacua est spes illorum, et labores sine fructu (Sap. lII, 11): Quei
che non fan conto della disciplina, cioè delle regole, sono infelici, ed in
vano sperano nelle loro fatiche, poiché elle resteranno senza frutto. Ma che
pazzia mai è questa, dice S. Teresa: Noi
non osserviamo, così scrive la santa nelle sue Sentenze, certe cose facili
della regola. come il silenzio che non ci fa male, e poi vogliamo inventar
penitenze di nostro capo, per non far poi ne l'uno ne l'altro!3 Ma
il minor male sarà il non avanzarsi nella perfezione una tal religiosa; il
peggio sarà, dice S. Bernardo, ch'ella col trascurar le regole leggiere, si
formerà da se stessa un grande impedimento ad osservare poi le gravi, che si
appartengono all'osservanza de' voti.4
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2.
Qual miseria è vedere certe religiose, dopo che nel noviziato sono state così
bene educate ed istruite nell'osservanza delle regole, indi dopo la professione
non farne più conto, come se dopo essersi consagrate a Gesù Cristo non vi
fossero più obbligate! Dice un dotto autore: Melius est digitum esse et esse in corpore, quam esse oculum et evelli
de corpore:5 È meglio essere un semplice dito e stare unito al
corpo della comunità, che l'essere occhio e star diviso da quella: l'occhio
diviso dal corpo non è altro che un poco di fracidume. E cosi quell'opera che
apparentemente sembra virtuosa, ma che non si uniforma poi alla regola, ella non
piacerà a Dio, né sarà alla religiosa di mezzo, ma d'impedimento per la sua
perfezione; giacché tutte quelle divozioni ed azioni che alla regola si
oppongono, come dice S. Agostino, sono passi fuori di via ed inciampi per lo
spirito.6
3.
Ma voi, sorella benedetta, avete lasciato il mondo per farvi santa, e poi non
vedete che, per non sapervi vincere in
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picciole cose, non solo non vi
fate santa, ma vi mettete a pericolo di perdervi? Scrive S. Cesario: Ad relinquendos dulces affectus fortissimi
fuimus; et nunc ad declinandas negligentias infirmi sumus? (Hom.
8):7 Abbiamo avuto petto di rinunziare agli affetti de' parenti, delle
robe e degli spassi del mondo; ed ora siamo così deboli in superar le
negligenze circa la regola? Riferisce Cassiano (Lib. VII, Instit. c. 19) che S.
Basilio, vedendo un certo monaco che avea lasciata la dignità di senatore per
entrare nella religione, e poi non osservava le regole, gli disse
compassionandolo: Senatorem perdidisti,
et monachum non fecisti.8 O misero te, ch'hai fatto? hai perduto
l'esser senatore per esser monaco, e poi neppure l'esser di monaco hai
acquistato. Lo stesso rimprovero fa Tertulliano: Si veram putes saeculi libertatem, rediisti in servitutem et amisisti
libertatem Christi (De corona milit.).9 Come dicesse: O religiosa,
voi siete uscita dalla servitù del mondo e avete acquistata la libertà di Gesù
Cristo, liberandovi dagli affetti alla terra - catene infelici che tengono
tante povere anime nel mondo a vivere da schiave - ed ora che fate? Se voi
stimate vera libertà la libertà del secolo, voi già siete miseramente ritornata
ad essere schiava, ed avete perduta la libertà de' figli di Dio, che Gesù
Cristo vi ha procurata.
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4.
Si scusano alcune religiose col dire che le regole che trasgrediscono sono di
cose minime. Rispondo primieramente che niuna regola della religione dee
stimarsi cosa minima, sicché non abbia a tenersene gran conto. Tutte le regole
debbono aversi per cose grandi, sì perché tutte sono ordinate da Dio ed
approvate dalla Chiesa come mezzi della perfezione religiosa, alla quale
debbono continuamente aspirare tutte le persone consagrate a Dio; sì perché
l'inosservanza delle regole, benché picciole, mette in disordine tutta la
disciplina regolare e tutta la comunità. È certo che in quel monastero, dove si
ha cura delle cose picciole, regna il fervore; ma dove non se ne fa conto, lo
spirito o già è perduto o a poco a poco comincerà a perdersi, sino a perdersi
in tutto. Riferisce il P. Sangiurè (Erario ecc., tom. 4, c. 5, sez. 1) che il
P. Oviedo, governando in Napoli il collegio della Compagnia di Gesù, procurava
che si osservassero puntualmente le regole, per minime che fossero: ma gli si
oppose il P. Bobadiglia, dicendo che non conveniva stringere i soggetti a tante
minutezze; e con ciò fu causa che mancasse il rigore che prima si osservava.
L'evento nonperò fe' conoscere il suo errore: coll'uso di tal libertà cominciò
talmente a rilasciarsi lo spirito, che alcuni, non facendo poi conto delle
regole né picciole né grandi, giunsero ad uscirsene dalla religione. Per lo che
S. Ignazio, essendo stato di ciò informato, ordinò che tutte le regole con
rigore si osservassero, e così ristabilissi la disciplina.10
5.
Le religiose tepide e trascurate non fan conto delle cose leggiere, ma ben ne
fa conto il demonio: egli il nemico nota con gran diligenza tutte le
inosservanze delle regole, per accusarle un giorno nel tribunale di Gesù
Cristo. S. Riccardo
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religioso, avendosi fatti tagliare i capelli una
volta fuori del tempo, vide il demonio che raccoglieva e numerava uno per uno
tutti quei capelli sparsi a terra (Apud Surium, 15 septembr.).11
Similmente S. Geltrude osservò che il demonio raccoglieva tutti i piccioli
fiocchi di lana lasciati cadere contra la povertà, e tutte le sillabe troncate
nel recitar l'Officio divino con troppa celerità (In vita).12 Narra
ancora il B. Dionisio cartusiano che il demonio si fe' vedere ad una religiosa
con un ago ed un filo di seta in mano, preso da lei senza licenza.13 E
così anche il demonio nota tutte le parole dette
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ne' luoghi e ne'
tempi di silenzio, tutte l'occhiate curiose e tutte l'altre inosservanze delle
regole, in cui cadono le religiose negligenti. E da ciò nasce poi che le misere
stan sempre aride e tediose nell'orazione, nelle comunioni ed in tutti i loro
esercizi divoti. S. Geltrude per un solo sguardo curioso verso d'una sorella,
contro l'ispirazione che avea di non mirarla, ebbe in castigo undici giorni di
aridità.14 È giustizia che chi poco semina, poco raccolga: Qui parce seminat, parce et metet (II
Cor. lX, 6). Come vorrà il Signore esser abbondante di grazie e delle sue
celesti consolazioni con quella monaca che va così scarsa e trascurata in
servirlo? Iddio forse le aveva preparata una grazia grande, s'ella era fedele
in osservar quella tal regola; ma per la sua negligenza giustamente ne l'ha
privata. Dicea il B. Egidio: Con una
picciola trascuraggine può perdersi una grazia grande.15
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6.
Gran cosa, dice S. Bonaventura: Multi pro
Christo optant mori, qui pro Christo nolunt levia pati!16 Molti
desiderano di dar la vita per Gesù Cristo, e poi ricusano di soffrire un
leggiero incomodo, per osservare qualche regola di poco peso! Se allora, dice
il santo, ti fosse imposta una cosa difficile e d'incomodo grande, par che
avresti più scusa; ma in trasgredire una cosa facile, che scusa puoi addurre?
Quanto è più leggiera e facile quell'osservanza, tanto più si fa conoscere
difettosa la religiosa che vi manca, mentre si fa vedere più attaccata alla
propria volontà. Ma Dio faccia, come si è accennato di sovra, che facendo ella
così poco conto delle picciole regole, non arrivi un giorno a fare anche poco
conto de' voti, e così miseramente si perda. Qui dissipat sepem, mordebit eum coluber (Eccl. X, 8): Chi rompe la siepe
delle regole, sta in gran pericolo di ricevere qualche morso velenoso del
serpente. Quando vedete qualche religiosa un tempo esemplare e poi caduta in
precipizi, credete forse che 'l demonio alle prime spinte l'abbia fatta così
precipitare? No, prima l'ha indotta a trascurar le regole e a far poco conto
delle cose leggiere, e poi l'ha fatta cadere in cose gravi.
7.
Si scusano altre con dire che la regola non obbliga a peccato. Questo è un
inganno, di cui già parlammo nel capo IV, n. 5; poiché sebbene la regola non
obblighi a colpa, con tutto ciò è comune sentenza de' Dottori che la
trasgressione di qualunque minima regola, sempre che non v'è bastante causa che
la scusi, almeno è peccato veniale. E lo stesso insegnò già S. Tommaso (2. 2.
qu. 186, a. 9, ad 1), il quale, parlando della regola della sua religione, che
similmente non obbliga a peccato, disse: Transgressio
aliorum, fuori de' voti, obligat
solum ad peccatum veniale.17 E dissi: Almeno è peccato veniale,
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perché quando la trasgressione poi apportasse grave danno o grave
scandalo alla comunità, come sarebbe l'abitualmente disturbare il silenzio
comune, entrar nelle celle delle compagne, rompere a vista loro i digiuni
regolari e cose simili, potrebbe giungere anche a colpa grave. Ma che sia
almeno veniale, non può dubitarsi per più ragioni. - Per 1. perché la
religiosa, trasgredendo le regole, tralascia i mezzi della sua santificazione,
a cui è obbligata a tendere. - Per 2. perché è infedele alla promessa fatta a
Dio nella professione di osservare le regole. - Per 3. perché col suo
mal'esempio sconcerta il buon ordine della comunità. - Per 4. ed ultimo, e
questa è la ragione più certa, perché in trasgredire qualunque regola, non
opera che secondo l'amor proprio, ed esce dalla volontà di Dio.
Quella
trasgressione non è certamente azione virtuosa. Neppure può dirsi che sia
indifferente. E come mai può essere indifferente un'opera fatta per propria
inclinazione, che da mal'esempio e che guasta l'ordine della disciplina
regolare? Dunque s'ella non è buona e non è indifferente, è certamente cattiva.
Se poi dicesse taluna: Basta che non sia peccato mortale. A costei farei sapere
ch'ella è in istato molto pericoloso: se non è morta, è agonizzante: la misera
è infestata da una febbre lenta, che col tempo la porterà alla morte. Si
rilegga quel che sta detto al capo VI, dal num. 3.
8.
Si scusano altre con dire ch'elle sono anziane e che non possono vivere con
quel rigore, con cui debbon vivere le giovani. Si risponde che ogni religiosa,
o giovane o antica che sia, col trasgredire le regole fa danno a sé ed
all'altre. Dice S. Pier Grisologo che un albero il quale non dà frutto,
coll'ombra che manda non solamente nuoce a se stesso, ma anche agli altri
alberi fecondi che gli stanno d'intorno:
Infoecunda arbor, dum fundit umbram, inimica non sibi soli, sed etiam
palmitibus fit foecundis (Chrysol., Serm. 106).18 E ciò vale per
ogni religiosa che dà mal'esempio nell'osservanza delle regole. Ma bisogna
inoltre intendere che le monache antiche
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sono più obbligate delle
nuove alla perfetta osservanza; primieramente, perché elle sono state per più
anni nella religione. Siccome chi più ha studiato, dee esser più dotto; così
quella religiosa che più è stata nel monastero a studiare il Crocifisso, dee
essere più avanzata nella scienza de' santi, cioè nella perfezione dello
spirito. Secondariamente, perché l'esempio delle antiche ha più forza
d'insinuare alle giovani l'osservanza o l'inosservanza delle regole. Le
religiose anziane son le torce che illuminano la comunità; elle son le colonne
che sostengono l'osservanza, e si tirano dietro le giovani a mantenerla; poiché
se queste vedono che le antiche poco ne fan conto, minor conto ne faranno esse.
Comunemente parlando, il rilasciamento de' monasteri è nato dalla negligenza,
non tanto delle giovani, quanto delle antiche, le quali col loro mal'esempio
han data ansa all'altre di rilasciare il rigor della regola. Che mai gioverà
poi che le anziane gridino ed esortino colle parole l'altre ad osservare le
regole, quando elle, col fatto de' loro mali esempi, insinuano il contrario? Citius, dice S. Ambrogio, persuadent oculi, quam aures (Serm.
76):19 Molto più persuadono gli esempi che si vedono cogli occhi, che
le ammonizioni che si ascoltano colle orecchie.
9.
E come mai in fatti possono venir bene istruite le giovani a mantener
l'osservanza, quando quelle che le istruiscono, col mal'esempio la distruggono? Nemo inde strui potest, unde destruitur,
dice Tertulliano (De Praescript.).20 Eleazaro, quando fu tentato dal
tiranno a trasgredire il precetto divino che aveano gli Ebrei di non cibarsi di
carne porcina, gli amici, avendo compassione della sua età avanzata di 90 anni,
lo pregarono che, per liberarsi dalla morte, almeno avesse finto di cibarsi di
quelle; ma il santo vecchio saggiamente rispose: Praemitti se velle in infernum; non enim aetati nostrae dignum est
fingere (II Machab.VI, 23, 24).21 Disse che più presto
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contentavasi d'esser mandato all'inferno, che dare in quella età il
mal'esempio a' giovani, di rompere la legge col fingere di trasgredirla. - Iusti aspectus admonitio est, scrive S.
Ambrogio (Serm. 10, in Psal. 118).22 Oh che grande ammonizione alle
giovani, maggiore di tutti gli avvertimenti proferiti colla voce, è il vedere
una religiosa antica, che osserva con puntualità tutte le regole, grandi e
picciole! Questo è l'obbligo e 'l zelo che debbono avere le buone religiose che
amano la perfezione, che si mantenga l'osservanza con tutto il rigore
possibile. Gesù Cristo allorché dimostrò a S. Teresa di sposarsi con lei con
porgerle la sua destra, le disse queste parole: Deinceps ut vera sponsa meum zelabis honorem:23 Da oggi
avanti, come vera mia sposa, hai da procurare di zelare il mio onore. Dunque
ogni sposa di Gesù Cristo dee avere zelo per l'onore del suo sposo. Ma per
niuna cosa maggiormente le religiose debbono dimostrare il loro zelo, che per
l'osservanza delle regole, che sono il sostegno della perfezione della loro
comunità. E ciò non solamente allorché sono superiore, ma ancora quando sono
semplici monache, specialmente se hanno qualche autorità, almeno per essere più
antiche. S. Andrea d'Avellino, quando vedea trascurarsi l'osservanza delle
regole, con petto forte ne ammoniva, non solo i suoi religiosi compagni, ma ben
anche i superiori.24 Lo stesso praticò con grande
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zelo Suor
M. Teresa Spinelli, monaca di molto spirito nel monastero della SS. Trinità di
Napoli, penitente del P. Torres, come si legge dietro la Vita di detto Padre
(Lib. VI, c. 1, § 7), la quale, vedendo certi abusi che cominciavano ad
introdursi nella sua comunità, più volte con fortezza loro si oppose, non
avendo riguardo a qualunque personaggio, benché grande, ma tenendo avanti gli
occhi solamente l'onor di Dio; e per tale affare ebbe a soffrire molte amarezze
e disgusti.25 Quando si tratta di evidenti abusi e di rilasciamento
dell'osservanza, non è superbia né temerità, ma virtù e zelo di Dio, il gridare
e l'impedire i disordini, ancorché abbia a contendersi cogli stessi superiori.
10.
Si scusano poi altre, dicendo che lasciano di cercare le dovute licenze secondo
la regola, per non troppo infastidire le superiore. Ma questa è una scusa
troppo insussistente, perché le superiore non s'infastidiscono, ma si edificano
di quelle religiose che sono puntuali in domandar loro le licenze, ogni volta
che occorre. Ma come mai possono infastidirsi di ciò, sapendo che alle suddite
è vietato di far quelle cose senza licenza? Dunque voi in tutto ciò che
v'obbliga la regola a cercar licenza, cercatela sempre. E quando la superiora
vi nega qualche dispensa per mantenere l'osservanza delle regole, non vi
disturbate, ma ringraziatela e consolatevi. Ognuno che sta nella nave, gode e
ringrazia il piloto, in vedere ch'egli attende a far che tutti i marinari, senza
eccezione. facciano il loro officio, poiché altrimenti, se si trascurasse
questo buon ordine, la nave potrebbe ritrovarsi in qualche rischio di perdersi.
Son pesi le regole, ma come già si disse in altro luogo, son pesi di ale che ci
fan volare a Dio. Sarcina Christi pennas
habet, scrisse S. Agostino (In Psal. 59).26 Il carico di Gesù
Cristo ha
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le sue penne che ci aiutano a sollevarci in alto. Son
ligami le regole, ma ligami d'amore che ci uniscono al sommo bene. Onde
dobbiamo dire con Davide, allorché ci vediamo ligati: Funes ceciderunt mihi in praeclaris (Psal. XV, 6): Queste funi son
per me, non già ignominiose, ma nobili ed amabili, perché mi liberano dalle
catene dell'inferno. E quando proviamo qualche pena o rincrescimento, in vederci
proibita dalle regole alcuna cosa desiderata dal nostro amor proprio, diciamo
allegramente coll'Apostolo: Ego vinctus
in Domino (Ephes. IV, 1). Come dicesse: Io mi vedo ligato, ma mi contento
di tai ligami, mentre questi mi stringono col mio Dio e mi acquistano la corona
eterna. Dice S. Agostino: Non tibi
imponeret torquem aureum, nisi primum in compedibus ferreis te alligasset
(In Psal. 149):27 Il Signore non ti darebbe la collana d'oro
dell'eterna gloria, se prima non ti avesse tenuta avvinta colle catene delle
regole.
11.
Posto ciò, quando qualche sorella vi domanda alcuna cosa che voi non potete
fare senza licenza, voi non dovete aver ripugnanza in dire che non potete
farla. Non dovete vergognarvi di comparir delicata, quando si tratta di evitare
i difetti, e specialmente circa l'osservanza delle regole; anzi in ciò bisogna
dimostrarvi singolare, se le altre son trascurate. Né abbiate in ciò timor di
vanagloria. È certamente gusto di Dio che nell'osservar le regole, per picciole
che sieno, voi siate singolare, s'è necessario, acciocché risplenda il vostro
esempio, e questo serva d'incentivo all'altre, per essere elle ancora
osservanti come debbono, e così dian gloria a Dio: Sic luceat lux vestra coram hominibus, ut videant opera vestra bona, et
glorificent Patrem vestrum qui in caelis est
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(Matth. V, 16). Voi
non potete fare gran cose per Dio, non potete fare gran penitenze, non potete
far grande orazione: almeno osservate con esattezza tutte le regole, e sappiate
che questo solo basterà a farvi fare tra poco tempo un grande avanzo nella
perfezione.28 Diceva una gran Serva di Dio che l'osservanza minuta
delle regole è la via breve per giungere alla perfezione. E prima lo disse S.
Bonaventura: Optima perfectio, omnia
quaeque servare (Spec., part. II, cap. 2).29 Quanto la religiosa in
ciò sarà fedele a Dio, altrettanto Iddio sarà liberale con lei; dicea S.
Teresa: Una religiosa fedele nelle minuzie della regola, non cammina, ma vola
alla perfezione senza ale e senza piume.30
12.
S. Agostino saggiamente chiama la regola lo specchio della religione:31
Specchio, perché nell'osservanza della regola possono conoscere i religiosi
quali essi sieno, sive iusti sive
iniusti: utrum unusquisque proficiat; utrum Deo placeat an displiceat: così
parla Ugone di S. Vittore, spiegando
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S. Agostino.32
Nel
veder la religiosa come osserva o trascura le regole, ben può accorgersi se ama
o non ama la perfezione: se va avanti o indietro: se piace o dispiace a Dio.
Persuadetevi ch'essendo voi religiosa, il farvi santa non consiste nel far
molte cose, ma nell'osservare esattamente le regole. Per esempio, in tempo che
la regola comanda che si assista al lavoro o pure alla ricreazione, la
religiosa non fa bene se va a fare orazione al coro o a far la disciplina.
Queste divozioni importune, dicea il P. Alvarez, sono sacrifici di rapina che
Dio non l'accetta.33 Un certo religioso cappuccino, per attendere alle
sue divozioni particolari, lasciava d'intervenire alle fatiche comuni: in morte
gli apparve Gesù Cristo da giudice, il quale ordinò che tutte le sue orazioni
vocali ed altre divozioni fatte in tempo de' comuni esercizi fossero
distribuite a coloro che avevan faticato per la comunità, e niente restasse per
lui. Intese poi che per divina misericordia gli era prolungata la vita;
ond'egli avendo ricuperata la sanità, attese d'indi in poi ad intervenire
puntualmente a tutti gli esercizi della
- 210 -
comunità.34
Diceva
S. Maria Maddalena de' Pazzi: «Il modo migliore per acquistare gran meriti è il
trovarsi quanto si può in tutte le adunanze della comunità».35 È vero
che talvolta in certe circostanze, come di infermità o di occupazioni molto
importanti del vostro officio, non farete difetto nel mancare a qualche regola
minuta; ma è vero ancora che spesso di tali inosservanze non tanto ne son
cagione gli affari, quanto o la pigrizia o il poco affetto alle regole; poiché
altre religiose anche inferme come voi, e forse più di voi, e non meno occupate
negli offici del monastero, ma di voi più osservanti, non mancano punto a
quelle regole che voi così spesso trascurate. Chi ama l'osservanza, Ben trova
modo di far l'uno e l'altro. Dicea S. Teresa: Talvolta il male è poco, ed allora ci pare che non siamo obbligate a
niente.36
13.
Giova pertanto, acciocché vi affezioniate all'esatta osservanza delle vostre
regole, che spesso o almeno più volte l'anno, le leggiate e rileggiate da
quando in quando, per vedere dove avete mancato e dove abbiate da emendarvi:
questa è una delle migliori lezioni spirituali che potete fare. Giova ancora
che vi facciate l'esame particolare ogni giorno sopra quelle regole alle quali
avete soluto37 più spesso mancare. E mancando, non abbiate rossore ogni
volta di accusarvene appresso la superiora, e di cercargliene la penitenza.
Disse il demonio a S. Domenico che nel capitolo dove i religiosi confessano le
loro colpe e ne ricevono le riprensioni e penitenze, egli perdeva tutto quel
che guadagnava nel refettorio, nel parlatorio e negli altri luoghi del
monastero.38 Prima però di accusarvi
- 211 -
procurate di disporvi ad
accettare qualunque riprensione e penitenza che vi sarà data. Dico ciò,
affinché non facciate come fanno talune, che vogliono accusarsi di qualche
difetto per dimostrarsi umili e delicate nell'osservanza delle regole, ma poi
non vogliono esser corrette. Sopra tutto, per osservar bene le regole, bisogna,
come notò S. Ignazio di Loiola (Part. VI Const. c. 1), osservarle in spiritu amoris, non in perturbatione
timoris:39 viene a dire, osservarle non per lo solo timore della
riprensione della superiora o dell'ammirazione delle sorelle, ma per ispirito
d'amore, cioè solo per dar gusto a Gesù Cristo. E perciò dichiarò il santo aver
egli disposto che le sue regole non obbligassero a peccato, ut loco timoris offensae succedat amor:40
acciocché, in vece del timore di offendere Dio, succeda l'amore e il desiderio
di compiacerlo. Dice S. Eucherio: Illum
tantum diem vixisse te computa, in quo voluntates proprias abnegasti, et quem
sine ulla regulae transgressione duxisti (Hom. 9, ad monach.).41
Pensa
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di aver vivuto solamente quel giorno nel quale hai negate le
tue voglie, e l'hai passato senza trasgredire alcuna regola: quel giorno solo,
vuol dire il Santo, tienilo per giorno di profitto per te. S. Maria Maddalena
de' Pazzi dava questi tre bei documenti circa l'osservanza delle regole: 1. Pregia le tue regole, come stimi Dio
medesimo. 2. Fa conto che sei posta tu sola ad osservar la tua regola. 3. Se
l'altre mancano nell'osservanza, procura tu di supplire i loro difetti.42
14.
In somma, torno a dire, bisogna persuadersi che la perfezione d'una religiosa
non consiste nel fare gran cose o molte cose, ma nel farle bene. Gran lode fu
quella che diedero giustamente le turbe a Gesù Cristo, allorché dissero di lui:
Bene omnia fecit (Marc. VII, 37). Il
far cose ardue e straordinarie non è di tutti, e non è cosa di ogni tempo; ma
le operazioni ordinarie, come il far l'orazione comune, l'esame di coscienza.
la comunione, l'udir la Messa, recitare l'Officio divino, il fare gli offici
del monastero ed altre incombenze commesse dall'ubbidienza, queste son cose che
si fanno da tutte le monache e si fanno ogni giorno; basta che voi le facciate
bene, ancorché sieno gl'impieghi più vili del mondo, e così vi farete
certamente santa. Non basta fare quel che vuole Dio, ma bisogna farlo nel modo
che vuole Dio. Narrasi nelle Croniche de' Cisterciensi che, stando una notte i
monaci a mattutino, S. Bernardo vide molti angeli che notavano quel che i
monaci faceano nel coro: le operazioni di alcuni le scriveano con oro, d'altri con
argento, d'altri con inchiostro, e d'altri con acqua: dinotando con ciò la
perfezione o l'imperfezione con cui ciascuno di coloro orava.43 Quindi
considerate quanto poco può
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costarvi l'esser perfetta, se volete;
mentre colle stesse cose che fate ordinariamente, senza far altro, potete farvi
santa. Il Signore non ricerca da voi che vi solleviate in alte contemplazioni,
non ricerca penitenze spaventose; solo richiede che facciate bene quel che
fate.
15.
Molte religiose ne' giorni divoti, come nelle novene di Natale o dello Spirito
Santo o di Maria santissima, fanno molte divozioni, digiuni, discipline,
orazioni vocali e simili; tutte son buone, ma per taluna la più bella divozione
sarebbe il fare in quel tempo tutte l'opere ordinarie con maggior perfezione.
Questa perfezione consiste in due cose: La prima in far tutto per solo fine di
piacere a Dio, giacché la perfezione non istà in quel che si fa esternamente,
ma nell'interno dell'intenzione: Omnis
gloria eius filiae regis ab intus (Psal. XLIV 14). La seconda cosa è che
l'opera si faccia bene, cioè con prontezza, con attenzione e con esattezza. -
Per far bene ciò che si fa, il primo mezzo è farlo con fede viva della presenza
di Dio, in modo che quell'azione sia degna de' suoi occhi divini. - Il secondo
mezzo è il fare quell'opera come non vi fosse altro che fare: mentre si fa
l'orazione, si pensi solo ad orar bene: mentre si dice l'Officio, si pensi solo
a recitarlo bene: mentre si eseguisce qualche impiego imposto dall'ubbidienza,
si pensi solo ad eseguirlo bene. Non si pensi allora ad altra cosa né passata
né futura. Quando per esempio fate orazione,
- 214 -
è tentazione del demonio
il pensare come si ha da eseguire quell'ubbidienza, come si ha da dirigere
quell'opera e cose simili. Scrisse il P. M. Avila ad una persona: Quando ti verrà nella mente qualche pensiero
fuor di tempo, dì pure: Iddio non mi comanda ora niente di questo, e perciò non
occorre ch'io ora vi pensi; quando me lo comanderà, allora ne, tratterò.44
- Il terzo è fare ogni azione, come se fosse l'ultima della nostra vita. Questo
mezzo spesso inculcava S. Antonio abbate a' suoi discepoli, acciocché facessero
bene tutte le loro operazioni.45 Scrive S. Bernardo: In omni opere suo dicat sibi: Si moriturus
esses, faceres istud? (In Spec. monach.):46 In ogni sua azione dica
ciascuno a se stesso: Se dovessi ora morire, faresti questa cosa? o la faresti
in questo modo? E così voi andate discorrendo: Se quella fosse l'ultima Messa,
con quanta divozione la sentirei? se questo fosse l'ultimo Officio che recito,
con quanta attenzione lo direi? se questa fosse l'ultima comunione, l'ultima
orazione, con quanto fervore la farei? Scrisse parimente S. Basilio: «Quando
fai le azioni della mattina, pensa che non viverai sino alla notte; e quando
- 215 -
stai nella notte, pensa che non vedrai la mattina».47 Narrasi
d'un religioso domenicano, il quale solea confessarsi ogni mattina prima di dir
la Messa, che, stando poi gravemente infermo, gli ordinò il superiore che si
confessasse come per morire; allora egli alzò le mani al cielo e disse:
Benedetto sia Dio, che sono già trent'anni che mi sono confessato ogni giorno
come se avessi subito a morire.48 Beatus
ille servus, disse il nostro Salvatore, quem
cum venerit dominus eius, invenerit sic facientem (Matth. XXIV, 46): Beato
quel servo che, venendo il Signore a giudicarlo, lo ritrova che fa così. E
beata quella religiosa, dico io, che avvenendole improvvisamente la morte, la
ritrova facendo quell'azione come stesse per morire.
16.
Un altro mezzo può molto giovare all'anime deboli, acciocché facciano bene quel
che attualmente fanno, e questo è il non fare conto se non del giorno d'oggi.
Una delle cose che suol far perdere d'animo molti nella via di Dio, è
l'apprensione della pena che si sente in dover camminare sino alla morte con
tanta esattezza, e resistendo sempre all'amor proprio. Il miglior mezzo per
vincere questa tentazione è il figurarsi come non si avesse a vivere che per
quel solo giorno. Chi sarebbe colui che sapendo di dover vivere per quel solo
giorno, non attenderebbe a far bene e perfettamente tutto quel che fa? Questo
mezzo, come ho detto, può giovare all'anime deboli, perché del resto l'anime
forti e fervorose nel divino amore non han bisogno di nascondersi il travaglio,
ma godono ed anelano di patire per dar gusto a Dio. Giova ancora un altro mezzo
alle religiose che cominciano a camminare per la via della perfezione, il
pensare, com'è certo,
- 216 -
che col buon abito ciò che a principio è
difficile e penoso, fra non molto tempo si renderà facile e gustoso. Ecco come
ce ne accerta lo Spirito Santo: Ducam te
per semitas aequitatis, quas cum ingressus fueris, non arctabuntur gressus tui,
et currens non habebis offendiculum (Prov. IV, 11 et 12). Ti condurrò, dice
Dio, prima per le vie strette della virtù, ma appresso camminerai per una
strada larga e piacevole, e per quella correrai senza impedimento. E ciò
appunto scrisse S. Bernardo ad Eugenio papa, dicendogli: Primum tibi importabile videbitur aliquid; processu temporis, si
assuescas, iudicabis non adeo grave, paulo post nec senties, paulo post etiam
delectabit (Lib. I de Consid.):49 A principio alcuna cosa ti parerà
insoffribile, indi coll'uso ti parerà non molto grave, poco dopo neppur la
sentirai, poco appresso anche ti apporterà diletto, secondo quel che disse
l'Ecclesiastico: Quia modicum laboravi,
et inveni mihi multam requiem (Eccli. LI, 35): Mi sono affaticato un poco,
ed indi ho ritrovato un gran riposo e pace.
Preghiera.
Mio
Dio, io sono già quell'albero che meritava già da gran tempo di sentire le
parole del Vangelo: Succide illam: ut
quid terram occupat?50 Tagliate questa pianta che non fa frutto, e
mandatela al fuoco; che serve tenerla ad occupare più la terra? Misera me, che
da tanti anni sto nel monastero favorita da voi con tanti aiuti per farmi
santa, e finora, Signor mio, quali frutti avete ricevuti da me? Ma voi non
volete ch'io mi disperi e diffidi della vostra misericordia.
Voi
avete detto: Petite et accipietis:51
Cercate e riceverete. Giacché gradite ch'io vi domandi grazie, la prima grazia
che vi chiedo è il perdono di tutt'i disgusti che vi ho dati, dei quali mi
pento con tutto il cuore, vedendo che ho pagato
- 217 -
l'amor vostro ed i
benefizi che mi avete fatti, con tante offese ed amarezze che vi ho date.
La
seconda grazia che vi cerco è il dono del vostro amore, acciocch'io v'ami da
ogg'innanzi, non già così freddamente, come ho fatto per lo passato, ma v'ami
con tutto il cuore, evitando ogni minimo vostro disgusto, e facendo tutto
quello che intendo essere di vostro gradimento.
La
terza grazia che vi domando è la santa perseveranza nel vostro amore. Io ora
stimo più l'amor vostro che tutt'i regni del mondo. Voi mi volete tutta per
voi, ed io tutta vostra voglio essere; voi sulla croce e nel sagramento
dell'altare vi siete donato tutto a me, io tutta a voi mi dono senza riserba.
Vi ringrazio che mi date lo spirito di farvi questa mia offerta; mentre voi me
l'ispirate, è segno che già l'accettate.
Gesù
mio, io son vostra, e spero che voi sarete sempre mio per tutta l'eternità. Non
voglio che viva più in me il voler mio, ma solamente la vostra santa volontà; e
perciò vi prometto da oggi avanti di essere attenta ad osservare tutte le
regole, anche minime del monastero, sapendo che tutte sono di vostro gusto. O
amore, o amore, vi dirò con S. Caterina da Genova, non più peccati.52
Vi prego, o fate ch'io v'ami o che muoia. O amare o morire.
Maria,
madre mia, parlate voi al vostro Figlio, ed ottenetemi questa grazia, o
d'amarlo o di morire.
1
«Parlando poi dell' osservanza de' voti e della regola, diceva che la
predestinazione de' religiosi sta attaccata all' amore delle sue proprie
regole, ed a fare puntualmente ciò che devono per corrispondere alla loro
vocazione.» GALLIZIA, Vita, lib. 3,
cap. 16.- «Replicava frequentemente che la predestinazione de' religiosi è
attaccata all' amore della regola, e a fare puntualmente ciò che devono nella
sua vocazione.» GALLIZIA, Vita, lib.
6, cap. 2 (in fine): Massime e detti
spirituali, Massime per i Regolari.- «La règle... et....
beaucoup moins les constitutions, n' obligent nullement à pèchè d' elles-mêmes;
mais les Sœurs craindront pourtant toujours de les violer, si elles se
ressouviennent que leur vocation est une grâce très particulière, de laquelle
il faudra rendre compte au jour du trèpas, et qu'elles portent gravèe en leur
mèmoire la sentence du Sage: Qui nèglige
sa voie sera tuè (Prov. XIX, 16). Or la voie des Sœurs de la Visitation, ce
sont leurs règles et constitutions.» S. FRANÇOIS DE SALES, Constitutions pour les Sœurs de la Visitation, Constitution 49,
2
«Si dee guardare (la religiosa) di non pigliare un' estremità nel suo vivere,
ma puntulmente osservare la sua regola, ch' è la via retta.» PUCCINI, Vita, Firenze, 1611, parte 4, cap. 29.-
«Devesi aver in orrore ogni maniera di singolarità, per piccola che la sia;
perchè osservare puntualmente la sua regola è la strada più dritta.» PUCCINI, Vita, Venezia, 1671, verso la fine: Detti e sentenze, § 3, n. 33. - «Le fu
conceduto d' avere una bella visione, per la quale intendeva l' eccellenza
dello stato religioso. Vedeva primieramente molti viottoli e tragetti, da
raccorciar la strada, e intendeva che questi dinotavano gli Ordini religiosi, i
quali servono per iscorciature per camminare per la strada del paradiso con
facilità maggiore... Camminano tutti i religiosi, ciascuno nella sua particolar
viottola, cioè nell' ordine della sua Religione. E chi in essa camminerà bene
per l' osservanza della sua regola, si condurrà poi in quel dilettevol giardino
del paradiso... Quei religiosi che osservarono gli istituti delle lor regole,
godono in paradiso de' meriti e delle fatiche dè lor capi, cioè de' santi sotto
la cui protezione hanno militato con allegrezza e contento.» PUCCINI, Vita, Firenze, 1611, parte 4, cap. 13,
pag., 253, 255.
3
«No guardamos unas cosas muy hajas de la Regla, como el silencio, que no nos ha
de hacer mal; y no nos ha dolido la cabeza, cuando dejamos de ir al coro, que
tampoco nos mata, y queremos inventar penitencias de nuestra cabeza para que no
podamos hacer lo uno ni lo otro.» S. TERESA, Camino de perfecciòn, cap. 10. Obras, III, pag. 53, 54.- (Nell'
autografo dell' Escorial:) «No guardan unas cosas muy hajas de la Regla, como
el silencio, que no nos ha de hacer mal, y no nos ha venido la imaginaciòn de
que nos duele in cabeza, cuando dejamos de ir al coro, que tampoco nos mata: un
dia porque nos doliò, un otro porque nos ha dolido, y otros tres porque no nos
duela.» Op.
cit., pag. 54, not. 1.
4
Ci descrive egregiamente S. Bernardo quella progressiva discesa dalla
negligenza alla malizia, dalle mancanze leggere noncurate alle colpe gravi:
«Comitantia sunt in humano corde negligentia sui, et curiositas ceterorum.
Triplex enim, ait Sapiens, incommodum eiicit, de domo inhabitantem: fumus,
stillicidium, mala uxor (Prov. XXVII, 15). Quando vero haec deerunt negligenti?
Propria quippe qui negligit, fumum non abigit, uxorem (voluntatem) non
corrigit, tectum non reficit. Fumant peccata nullo misericordiae studio, nullis
lacrimarum undis exstincta; et fumus ille teterrimus et intolerabilis.
Malignatur voluntas, quotidie deterior semetipsa. Stillat superni Iudicis
indignatio ex defectu utique caritatis, quae sola operit multitudinem
peccatorum. Egrediatur itaque foras necesse est, et curiosius exteriora
consideret, qui sic interna despicit, praeterita non respicit, praesentia non
inspicit, futura non prospicit.... Parit autem curiositas experientiam mali, ut
facile qui per multa vagatur, offendat, facile cadat in laqueum, facile
inveniat quod perniciose delectet... Veruntamen in multis iam in
concupiscentiam experientia transire videtur.... De concupiscentia (egreditur)
consuetudo. Quemadmodum enim... humana fragilitas, sine pruritu concupiscentiae
aut impetu desiderii, sola consuetudine ipsa ad illicita trahatur, utinam
omnibus liceat ignorare! Nimirum peccatum faciens, servus est peccati (Io.
VIII, 34), servus plane diaboli, ad prava quaeque prout trahitur sequens, a quo
nimirum captivus tenetur, ad ipsius voluntatem.... Est autem consuetudo haec
gravis quaedam et perniciosa catena... altera quaedam natura.... Contemptus ex
consuetudine prodit: ut tanto liberius quanto desperatius peccans, totas iam
concupiscentiae laxet habenas, toto impetu feratur in praeceps.... Iam si
contemptus perstiterit, accedere necesse est et malitiam, ut quam potest
consolationem desperatus miser admittat: et cui non est pars in bonis, laetetur
vel in malis; laetetur cum male fecerit, et exsultet in rebus pessimis....
Miseram illam animam, quam perniciose negligentia soporaverat, peius excitaverat
curiositas, attraxerat experientia, tenuerat concupiscentia, ligaverat
consuetudo, contemptus in carcerem truserat, malitia (iugulat).» S. BERNARDUS, Sermones de diversis, XIV,
n. 2-7. ML
183-575, 576, 577.
5
Non ci è riuscito sapere finora ch sia questo dotto autore.
6
«Bene currunt: sed in via non currunt.» S. AUGUSTINUS, Sermo 141, cap. 4, n. 4. ML 38-777.- Parla S. Agostino di coloro i
quali menano vita buona, ma non sono Cristiani. Quindi soggiunge: «Melius est
in via claudicare, quam praeter viam fortiter ambulare,» - Però l' applicazione
del detto di S. Agostino è giusta.
7
«Propter amorem Domini mostri ad relinquendos dulces affectus et cara pignora
fortissimi fuimus, iucundissimos piissimorum vultus parentum, quasi odissemus,
fugimus. Bellum quodammodo pietati ipsi indiximus, et nunc ad declinandas
negligentias, ad expugnanda levissima vitia, infirmi ac desides sumus. In
abdicanda saeculi iucunditate tam magna praemisimus, et nunc maledicere,
obtrectare, moveri contra vilia, insuper et in hominem irasci, et scandalizari,
haec vincere impossibile, ac supra humanam putamus esse virtutem.» S.
EUCHERIUS, (non già S. Cesario), Homilia 8,
ad Monachos. ML 50-851.
8
«Fertur sententia S. Basilii Caesariensis episcopi ad quemdam prolata
Syncleticum; tali, quo diximus, tepore torpentem, qui cum renuntiasse se
diceret huic mundo, quaedam sibi de propriis facultatibus reservavit, nolens
exercitio manuum suarum sustentari, et humilitatem veram nuditate et operis
contritione monasteriique subiectione conquirere: «Et senatorem, inquit,
perdidisti, et monachum non fecisti.» Io. CASSIANUS, De Coenobiorum institutis, lib. 7, cap.
19. ML 49-312.- Cf. De Vitiis Patrum, lib.
5, libell. 6, n. 10. ML 73-890.
9 «Coronat et libertas saecularis. Sed
tu iam redemptus es a Christo, et quidem magno. Servum alienum quomodo saeculum
manumittet? Etsi libertas videtur, sed et servitus videbatur. Omnia imaginaria
in saeculo, et nihil veri. Nam et tunc liber hominis eras redemptus a Christo:
et nunc servus es Christi, licet manumissus ab homine. Si veram putes saeculi
libertatem, ut et corona consignes, rediisti in servitutem hominis, quam putas
libertatem; amisisti libertatem Christi, quam putas servitutem.» TERTULLIANUS, Liber de Corona, cap. 13. ML 2-96.
10 «SAINT-IURE, S. I., De la connaissance et de l' amour de
Notre-Seigneur, liv. 3, partie 2, chap. 5, section 1.- Nic. ORLANDINUS,
S. I., Historia Societatis Iesu, pars
1, lib. 12, n. 23, 24: «Neapoli colegio praeerat.... Andreas
Oviedus: praesidebat, ut tempus illud ferebat, superintendentis nomine,
Bobadilla. Hos tamen inter duos nequaquam satis convenire videbatur, cum
quidquid ille adstingeret, hic laxaret. Putidum Bobadillae videbatur
sanctitatem Societatis exiguis quibusdam legibus alligari.... Sed Bobadillae sententiam
brevi refellit eventus.... Quod ubi cognovit Ignatius, iussit Oviedum suo
munere tota libertate defungi, nec se interponere Bobadillam; advigilarique ad
custodiam legum minutissimarum. Sentiebat enim in his violandis plus plerumque
latere periculi, quam in maximis: propterea quod maximarum damnum, si
violentur, apparet, facileque in promptu est; at earum, quae pro minimis
habentur, exitium, nisi progrediente tempore, non sentitur.»
11 SURIUS, De probatis Sanctorum historiis, die 15 semptembris, Vita S. Aichadri, Gemmeticensis seu
Gimesiensis (Jumièges)post S. Philibertum abbatis, auctore Fulberto, cap. 13.- Inter Acta
Sanctorum Bollandiana, die 15 septembris, Vita S. Aichardi seu Aichadri, auctore monacho Gemeticensi, cap. 4,
n. 44, 45; Vita brevior, n. 3.- La
colpa del santo era questa: in giorno di sabbato, trascorsa, senza che per le
molte occupazioni se ne accorgesse, l' ora di Nona, si era fatto accomodare i
capelli colle forbici. La consuetudine voleva che il riposo domenicale
cominciasse dai Vespri del sabbato, od anche, come qui si vede, dopo la recita
di Nona.
12
«Horas canonicas dum vice quadam legendo minus intente persolveret, adesse sibi
agnovit humani generis hostem antiquum qui quasi insultando prosecutus est
consequentia Psalmi, scilicet: Mirabilia
testimonia tua etc. (Ps. CXVIII,
128), singula velut prae festinatione syncopando, et cum complesset versiculum,
addidit: «Bene expendit Creator tuus, Salvator tuus et Amator, quod dedit tibi
tam expeditam loquelam, quod tam decenter preaevales facere sermomen,
quaecunque volueris, cum sibi loquendo tam abrupte proferas, quod iam in Psalmo
isto tot litteras, tot syllabas et tot verba subtraxeris.» Unde intellexi, quod
si callidus hostis in Psalmo illo tam subtiliter numeraverat sigillatim
litteras et syllabas, post mortem magnam accusationem afferre potest adversus
illos qui festinanter et sine intentione horas dicere consueverunt.- Item dum
fusando festinans, parvos pilos lanae proliceret a se, et inter haec opus suum
devota intentione Domino commendaret, vidit daemonem ipsos pilos recolligentem,
quasi in testimonium culpae illius. Super quo dum Dominum invocaret, ipse daemonem
expellens increpavit, quod operi sibi in principio commisso se ingerere
praesumpsisset.» S. GERTRUDIS MAGNA, Legatus
divinae pietatis (Solesmensium O. S. B. monachorum cura, Pictavii et
Parisiis, 1875, pag. 195) lib. 3, cap. 32.
13
Non abbiamo trovato il luogo dove il Cartusiano narra questo fatto. Riferiamo
però la testimonianza di S. Odone: «Nec praetereundum est, quod in praedicto
coenobio (in monasterio puellarum, quod iuxta nostrum Balmasitum est) cuidam
puellae morienti malignus hostis apparuit, quae vehementer intremiscens
recordata est quod unam aculam sine licentia haberet, quam de loco, ubi hanc
esse dixit, sorores detulerunt: sed daemon non recessit. Illa vero aliquid
proprium se adhuc habere cognoscens pro quo malignus hostis instaret, tandem
recordata: tum ait: «Filium sericum ad spondam habeo;» quo vix reperto et
allato, mox diabolus recessit, et puella quasi subridens migravit.- Ista
forsitan parva et indigna relatu iudicabuntur; sed si Deus, qui, ut dictum est,
facit magna et inscrutabilia, ista nostro tempore facere dignatus est, quam
magni pendimus, quia nec talibus digni fueramus.» S. ODO, Abbas Cluniacensis
secundus, Collationum libri tres, lib.
3, XXI. ML 133-606.
14
Ciò avvenne alla Snata, secondo il suo proprio racconto, «ex sermocinatione
quadam mundiali.» Così ella parla a Nostro Signore: «Nimia suavitas tua
frequenter praetendit te meis commissis magis turbatum quam iratum, commendans,
ut mihi videtur, maiorem virtutem patientiae tuae in eo quod tot defectus meos
aequanimiter supportasti, quam cum tempore mortalitatis tuae Iudam proditorem
tuum patereris. - Ego enim licet mente vagarer, in quantumvis lubricis
delectarer, cum post horas et heu! post dies, et ut proh dolor! timeo, post
hebdomadas, rediens ad cor meum semper in idipsum inveni, ut numquam ei causari
possem vel ad ictum oculi te mihi subtractum a praedicta hora (cioè da quell'
ora inc ui per la prima volta il Signore la visitò) usque in praesens, ubi iam
revolvitur nonus annus, exceptis semel undecim diebus ante festum Ioannis
Baptistae: quod accidit ex sermocinatione quadam mundiali, ut mihi videbatur,
feria quinta; et duravit usque in secundam feriam, quae tunc erat vigilia
sancti Ioannis Baptistae, inter missam Ne
timeas, Zacharia etc.... Et sicut in initio immeritae, quia recidere quam
incidere deterius est, tunc etiam plus quam demeritiae reddere dignatus es
laetitiam salutaris tuae praesentiae perseverantem usque in hanc horam.» S.
GERTUDIS MAGNA, Legatus divinae pietatis,
lib. 2, cap. 3 (ed. Solesmen., pag. 64, 65).
15
«Perchè vivea (il santo F. Egidio) così separatamente dai Frati, Frate Bernardo
però desideroso della salute del prossimo, lo chiamava mezzo uomom perchè non
era uomo se non per sè. Allegramente rispose che era più sicuro contentarsi del
poco, che, volendo abbracciar troppo, ire a pericolo di perder tutto, stante
che per ogni piccola occasione si perde una gran grazia, onde si aveva
grandemente a guardare che non si perdesse tal volta ridendo quel che con tanto
stento s' era acquistato piangendo.» MARCO DA LISBONA, Croniche del P. S. Francesco, parte 1, lib. 7, cap. 11.-
«Vaniloquia et risus inanes serio fugiebat, dicens: Propter momentaneum et
futile delectamentum saepius amitti vel retardari consolationes divinas,
illudque afferebat exemplum de illis qui taxillis ludunt, qui pro uno puncto
perdunt aliquoties ingentem auri vel argenti summam: «Sic. inquit, pro levi
peccato, si nescierit homo se custodire, perdet irreparabile animae lucrum.»
Ingerebatque illud sacri praeceptoris Francisci salutare documentum: «Cave,
frater, ne ridendo amittas, quod piangendo lucratus es.» WADDINGUS,
Annales Minorum, an. 1262. n. 20.
16
«Minima etiam adversa patienter tolerare assuescimus (lege assuescamus): quia maiora non superat, qui minima tolerare non
discit. Multi optant pro Christo mori, qui pro Christo nolunt verba levia pati.
Sed quem terret sonitus folli volantis, quomodo
sustineret ictum giadii terribiliter vibrantis?» De profectu Religiosorum, lib. 2, cap. 5. Opera, S. Bonaventurae, VII, Lugduni, 1668, pag. 578, col. 1. Però l' autore
di quell' opera è Fr. DAVIDE D' AUGSBURGO, O. M.: vedi Appendice, 10.
17
Vedi Appendice, 8.
18
«Sicut infoecunda arbor, si fuerit in vinea, dum fundit mortiferam subiectis viribus
umbram, inimica non sibi soli, sed etiam palmitibus fit foecundis, ita homo
deses, ignavus, si praesit populis, non sibi soli fit noxius, sed multis, dum
sequentes se suo vitiat et perdit exemplo.» S.
PETRUS CHRYSOLOGUS, Sermo 106. ML
52-495.
19 «Quamvis disertus orator facundia sua
me doceat, id tamen quod utile est mihi melius disco exemplo sanctorum quam
assertione verborum. Citius mihi persuadent oculi quod cernunt, quam auris
possit insinuare quod praeterit.» Sermo 60,
inter Sermones olim S. Ambrosio
adscriptos, n. 2: in Appendice ad
Opera S. Ambrosii. ML 17-727.
20
«Nemo inde instrui potest, unde destruitur: nemo ab eo illuminatur, a quo
contenebratur.» TERTULLIANUS, Liber
de praescriptionibus, cap. 12. ML 2-26.
21
Respondit cito, dicens praemitti se velle
in infernum. Non enim aetati nostrae dignum est, inquit, fingere, ut multi
adolescentium, arbitrantes Eleazarum nonaginta annorum transisse ad vitam
alienigenarum, et ipsi propter meam simulationem, et propter modicum
corruptibilis vitae tempus, decipiantur, et per hoc maculam atque exsecrationem
meae senectuti conquiram. II Mach. VI, 23, 24, 25.
22 «Plerisque enim iusti aspectus
admonitio correctionis est, perfectioribus vero laetitia est. Quam pulchrum ergo,
ut videaris et prosis. Bonum ergo vir iustus.» S. AMBROSIUS, Expositio in Psalmum CXVIII (in v. 74),
Sermo 10, n. 22. ML 15-1338.
23 BREV. ROM., die 15 octobris, in II
Nocturno, lectio 5.- «Entonces representòseme por visiòn imaginaria, como otras veces, muy
en lo interior, y diòme su mano derecha, y dijome: «Mira este clavo, que es
señal mi esposa desde hoy. Hasta ahora no lo habias merecido; de aqui adelante,
no solo como Criador y como Rey y tu Dios miraras mi honra, sino como verdadera
esposa mia. Mi honra es tuya y la tuya mia.» S.
TERESA, Las Relaciones, Mercedes de Dios,
XXXV. (En la Encarnaciòn, a mediados de noviembre de 1572.) Obras, II, pag. 64.
24
«Molto s' affliggeva quanto intendeva qualche picciola imperfezione che nella
Religione si commettesse, ovvero si allargasse qualche osservanza.... Quando
stimava che le sue parole ed avvertimenti fossero per far frutto, con gran zelo
ed affetto.... avvisava o i colpevoli o i superiori... Negli ultimi giorni di
sua vita, desiderando di parlare al nostro Padre Generale di alcune cose che
giudicava di servizio ed utilità della nostra Religione, pregò il Signore che
gli volesse fare tal grazia, e l' ottenne, avvegna che dopo aver rappresentato
al P. Generale, là andato per la Visita, quanto gli occorreva, ed essendo
quello partito, egli se ne morì.» BAGATTA, Vita,
lib. 2, cap. 6.
25
«Più e più volte con gran fortezza si oppose a diverse cose, benchè piccole,
che potevano apportare pregiudizio di abuso alla sua comunità, non avendo
rispetto a qualsivoglia personaggio, benchè grande, nè a' parenti, ma sol
mirava l' onor di Dio. Provò per tal suo zelo molte amarezze: ma ella tutto
ricevè per amor del suo Signore.» Lodovico
SABBATINI d' Anfora, Pio Oper., Vita del P. D. Antonio de Torres, Preposito
Gen. della Cong. de' Pii Operari, Napoli, 1732. lib. VI, cap. 1, § 7.
26
«Alia sarcina premit et aggravat te: Christi autem sarcina sublevat te; alia
sarcina pondus habet: Christi sarcina pennas habet. Nam et avi si pennas detrahasm
quasi onus tollis; et quo magis onus abstulisti, eo magis in terra remanebit.
Quam exonerare voluisti, iacet; non volat, quia tulisti onus; redeat onus, et
volat. Talis est Christi sarcina.» S. AUGUSTINUS, Enarratio in Ps. LIX, n. 8. ML 36-719.
27 «Quare ergo vincula ferrea, et non
vincula aurea? Ferrea sunt, quamdiu timent; ament; ament, et aurea erunt... Timor tormentum habet (I Io. IV, 18). Hoc est vinculum ferreum. Et tamen nisi timore incipiat
homo Deum colere, non perveniet ad amorem. Initium
sapientiae timor Domini (Ps. CX, 10). Incipit ergo a
vinculis ferreis, finitur ad torquem aureum. Dictum est enim de Sapientia: Et torquem aureum circa tuam cervicem (Eccl.
VI, 25). Non
tibi imponeret torquem aureum, nisi primo in compedibus ferreis te alligasset.
Coepisti a timore, consummaris (al. consummare)
ad sapientiam.» S. AUGUSTINUS, Enarratio
in Ps. CXLIX (v. 8), n. 15. ML 37-1958.
28
Forse parla qui S. Alfonso della M. Suor
Agata Maria de Torres, una delle fondatrici del Monastero della Provvidenza
a Napoli, parente e penitente del P. Antonio de Torres. Tre volte badessa, e
per molti anni maestra delle Novizie, parlando dell' osservanza, dicea sempre:
«Figliuole, mantenete l' osservanza, che così farete acquisto della perfezione.»
Lodovico SABBATINI d' Anfora, Vita del P. D. Antonio de Torres,
Napoli, 1732, lib. 6, cap. 1, § 1, pag. 418.- O avrà pensato S. Alfonso,
senza ricordarsi sul momento di chi fosse, a quella sentenza di S. Maria Maddalena de' Pazzi: «Osservare
puntualmente la sua Regola è la strada più dritta.»? Detti e sentenze, § 3, n. 33, PUCCINI, Vita, 1671, in fine.
29
«Optima Religiosi perfectio, perfecte communia quaeque conventualia servare.» Speculum disciplinae, pars 2, cap. 2, n.
3. Opera S. Bonaventurae, VIII, ad
Claras Aquas, 1898, pag. 617, inter Opuscula
dubia.- L' autore è Fr. BERNARDO DA BESSA, ispirato però ed aiutato da S. Bonaventura.- Vedi Appendice, 10.
30
«Mientras que no venia el Viatico comenzò (la Santa Madre) a decir a todas las
religiosas, puestas las manos, y con làgrimas en sus ojos: «Hijas màs y señoras
mìas, por amor de Dios las pido tengan gran cuenta con la guarda de la Regla y
Costituciones, que si la guardan con la puntualidad que deben, no es menester
otro milagro para canonizardas, ni miren el mal ejemplo que esta mala monja las
diò y ha dado, y perdònenme.» Testimonio
de la muerte de S. Teresa, por la M. MARIA DE SAN FRANCISCO Informaciones en Medina del Campo. Obras II,
pag. 242.- «Ya,
hijas, habèis vista la gran empresa que pretendemos ganar.... Con que
procuremos guardar cumplidamente nuestra Regla y Costituciones con gran
cuidado, espero en el Señor admitirà nuestros ruegos.» S. TERESA Camino de perfecciòn, cap. 4, in
principio. Obras, III, pag. 25.
31
«Ut autem in hoc libello tamquam in speculo vos possitis negligatis, semel in
septimana vobis legatur.» S. AUGUSTINUS, Epistola 211 (ad sanctimoniales: obiurgatio et regula), n. 16. ML 33-965.- Regula ad servos Dei (ex praecedenti Epistola 211 deprompta virisque aptata)
n. 12. ML 32-1384.
32
«Et bene hunc libellum dicit speculum; quia in eo tamquam in speculo inspicere
possumus quales sumus, sive pulchri, sive foedi, sive iusti, sive iniusti;
utrum quisquam nostrum regulariter vivat: utrum proficiat: utrum Deo placeat an
dispiceat.» HUGO DE S. VICTORE Expositio
in Regulam B. Augustini, cap. 12. ML 176-924.
33 «(Spiritualites viri) nons olum in fuga mali,
sed etiam in exercitatione boni, praelatis aut magistris obediant.... Praelatus
orationis spatium metiatur... ieiunia moderetur... vigilias succidat....
cilicia et flagella temperet... Nihil eo nesciente, et multo minus
contradicente... exerceatur.... De quo non immerito et illud Isaiae (LXI, 8): Ego Dominus diligens iudicium, et odio habens
rapinam in holocausto. Religiosus quippe holocaustum Dei est, qui se totum
Deo consecravit, et nihil sui, nec bona externa, nec corpus, nec animam sibi
retinuit. Ab hoc vero sui holocausto aliquid surripit, cum, inscio et
reluctante praelato, rebus sive bonis, sive non bonis intendit quod Domino
iudicium diligenti, et rapinam aversanti, placere non potest.» Iacobus ALVAREZ DE PAZ, S. I., De vita spirituali eiusque perfectione
(Operum tom.s 2, cap. 13 para lo stesso pensiero viene pur espresso dal
Ven. P. BALDASSARRE ALVAREZ: «Così dicea egli: «Date al santo ritiramento quel
tempo che sarà in vostra balia: se molto ne avrete, spendetevene molto; se
poco, date quel poco, ma seriamente e volentiermente; perchè maggior vantaggio
a voi torna dall' osservanza della divina legge, compartendo con esso Dio ciò
che vi darà, che rubare per molto offerire; imperciocchè sta scritto (Is. LXI,
8) che abborrisce quell' olocausto il quale gli si sacrifica, apparecchiatogli
dalle rapine. Nella stessa maniera, abborre l' involare il tempo all'
obbedienza, avvengachè sia per orare e per sacrificare: tanto più che orare
altro non è che stare con Dio, e se gl' involate quel tempo ch' egli vuole per
altri affari, egli non istarà con esso voi, e se con voi non istà, come sarà orazione
il raccoglimento vostro?» Ven. Lodovico DA
PONTE, Vita, cap. 2, Roma, 1692,
pag. 14.
34 Non ci è riuscito rintracciare la fonte di questo
aneddoto.
35 «La maniera più efficace per acquistare gran tesori di
meriti per l' eternità è il ritrovarsi per ogni di regolarmente in tutte l'
adunanze della comunità.» PUCCINI, Vita, Venezia, 1671, in fine. Detti e sentenze
memorabili della Santa, § 3, n. 37.
36 «Y, a las veces, es poco el
mal, y nos parece no estamos obligadas a hacer nada, que con pedir licencia
cumplimos.» S. TERESA, Camino de perfecciòn,
cap. 10. Obras, III, pag. 54.
37
Siete state solite.
38 «Cum
idem sanctus civitatem, quam dilexit anima sua, quaerendo circuiret, et
vigilans muros Hierusalem custodiret, invenit eum qui circuit quaerens quem
devoret..... omnia loca monasterii pervagantem, et dixit ei: «Cur hic circuis,
saeva bestia?» Respondit: «Cur hic circuis, saeva bestia?» Respondit: «Propter lucrum
quod inde recipio.» Dixit ei Sanctus: «Quid lucraris in dormitorio?» Respondit:
«Somnum necessarium eripiens, quietem impedio, lenteque surgere faciens,
pigritiam ingero, sicque ab Officio divino remanere persuadeo. Insuper, cum permittor, carnis stimulos et illusiones immitto.» Traxitque
eum Sanctus ad chorum, et ait: «Quid in tam sacro loco lucraris?» Respondit:
«Facio tarde venire, cito exire, et seipsum oblivisci.» De refectorio quoque
interrogatus, respondit: «Quis non plus, quis non minus?» Hinc ad locutorium
ductus, respondit cachinnans: «Hic locus est totus meus. Hic veniunt risus, hic
narrantur rumores, verba proferuntur in ventum.» Cumque a Sancto traheretur
nequam ad Capitulum, coepit locum exhorrendo fugere, dicens: «Iste locus mihi
infernus est: nam quod alibi lucratus fuero, hoc hic perdo: etenim hic
monentur, hic confitentur, hic accusantur, hic verberantur, hic absolvuntur.
Idcirco hunc locum ceteris plus abhorreo et detestor.» Sic coactus a
Sancto..... malitiae suae fraudes detexit invitus.» F. THEODORICUS DE APPOLDIA, suppar O. P. scriptor, Acta
S. Dominici (inter Acta Sanctorum Bollandiana, die 4 augusti), caput 15,
nn. 174 et 175.
39 «Versari autem debet ob oculos Deus Creator ac
Dominus noster, propter quem homini obedientia praestatur: et, ut in spiritu
amoris, et non cum perturbatione timoris procedatur, curandum est.» INSTITUTUM
SOCIETATIS IESU, Constitutiones, pars 6,
cap. 1, n. 1.
40 «Visum est
nobis in Domino, excepto expresso voto quo Societas Summo Pontifici....
tenetur, ac tribus aliis essentialibus.... nullas Constitutiones,
declarationes, vel ordinem ullum vivendi posse obligationem ad peccatum mortale
vel veniale inducere;...... et loco timoris offensae succedat amor et
desiderium omnis perfectionis; et ut maior gloria et laus Christi Creatoris ac
Domini nostri consequatur.» Id. op., Constitutiones,
pars 6, cap. 5, num. unicus.
41 «Non te fallat... numerus dierum
quos hic, relicto corporaliter saeculo, consumpsisti. Illum tantum diem vixisse te
computa, in quo voluntates proprias abnegasti, in quo malis desideriis
restitisti. Quem sine ulla regulae transgressione duxisti, illum diem vixisse
te computa; quem non malitia, non invidia, non superbia commaculavit; quem non
mendacii, non periurii culpa respersit; qui peccato non cessit, qui diabolo
repugnavit. Illum diem vixisse te computa, qui puritatis et sanctae
meditationis habuit lucem, quem non conversatio tenebrosa mutavit in noctem.
Illum, inquam, diem applica ad vitam tuam, cuius usus pervenit ad animam tuam.»
S. EUCHERIUS, Homilia 9, ad Monachos. NL
50-855.
42 «Dio vuole che un religioso stimi altrettanto la sua Regola
quanto lui medesimo, perchè la Regola da lui ha proceduto.» PUCCINI, Vita,
Venezia, 1671, in fine: Detti e
sentenze, § 3, n. 35.«Dee la vera
religiosa far conto d' aver ella ad osservare la Regola e Costituzioni, non
considerando se quella o quell' altra l' osserva puntualmente.» PUCCINI, Vita,
Firenze, 1611, parte 4, cap. 29, n.
28, pag. 330.- «L' obbligo che ha ciascuno de' religiosi di osservare la sua
Regola e le sue Costituzioni, è sì grande e sì stretto, che deve vivere
indispensabilmente e morire nella sua esatta osservanza, senza curarsi se
questi o quelli l' osservino o non l' osservino.» PUCCINI, Vita, 1671, infine: Detti e sentenze, § 3 n. 34.«Noi dobbiamo sforzarci sollecitamente di supplire e
sodisfare per tutti i mancamenti che si commettono nel monastero o casa
religiosa.» Op. cit., l. c., § 3, n. 39.
43 «Intereat aliquando nocturnis vigiliis
Pater sanctus... Ecce respiciens vidit singulos angelos iuxta singulos monachos
stantes, et quod quisque eorum psallebat, in schedulis, more notariorum, tam
diligenter excipientes ut nec minimam syllabam, quantumcumque negligenter
prolatam, omitterent... Quidam scribebant auro, alii argento, nonnulli atramento, aliqui etiam
aqua, quidam vero penitus nihil scribebant. Spiritus
autem qui haec revelabat, intelligentiam quoque diversitatis scripturae cordi
eius inspirabat. Qui enim auro scribebant, ferventissimum in Dei servitio
studium, et absolutam cordis intentionem, in his quae psallebantur,
significabant. Qui autem argento, minorem quidem fervorem, puram tamen
psallentium devotionem declarabant. Qui vero atramento, continuum quorumdam bonae
voluntatis usum in psalmodia, licet non cum multa devotione, notabant. Sed qui
aqua scribebant, exprimebant eos qui somnolentia seu pigritia pressi, vel
variis cogitationibus a se abducti, videntur quidem aliquid sonare, sed cor
eorum longius abstractum non concordat voci.... Illi qui nil scribebant,
lamentabilem quorumdam duritiam cordis redarguebant, qui... aut lethali somno
proma se voluntate immergunt, aut certe vigilantes clauso ore, vanis et noxiis
cogitationibus, non ex infirmitate, sed ex voluntaria intentione occupantur.» S.
Bernardi Vita prima, liber 7 (ex Exordio magno Cisterciensi), cap. 3, n. 5. ML 185-417, 418.- Sancti Bernardi Acta Bollandiana, § 14, nn. 144, 145,
146: ML 185-711, 712.
44 «Quando venisse la sollecitudine fuori di
tempo, deve dirsi: Il mio Signore non mi comanda adesso tal cosa: perciò adesso
non ho da pensarvi: la cosa andrà tutta a traverso se la fo di mio capriccio;
quando il Padrone mi ordinerà ch' io la faccia, allora dovrò farla: sentirò e
farò.» B. GIO. AVILA, Lettere spirituali,
parte terza, Roma, 1668, Lettera 21, ad un Cavaliere de' Regni di
Spagna.
45 «Ut autem non negligenter agamus, Apostoli dictum meditari
convenit: Quotidie morior. Si enim
vixerimus quasi quotidie morituri, non peccabimus. Quod ita intelligendum,
ut quotidie mane surgentes, non existimemus nos ad vesperam usque esse
victuoros, et cum decumbimus, ne surrecturos arbitremur: cum vita nostra natura
incerta sit, et quotidie per Providentiam dimensa. Sic affecti, et si in dies
ita vixerimus, neque peccabimus, neque alicuius rei cupiditate tenebimur, nulli
succensebimus, nullum recondemus thesaurum in terra, sed quasi quotidie mortem
exspectantes, nullam rem possidebimus; omnia omnibus delicta condonabimus, nec
mulieris concupiscentia nec obscena ulla voluptate tenebimur, sed ut caducam
aversabimur, semper concertantes atque iudicii diem prspicientes.» S.
ATHANASIUS, Vita S. Antonii, n. 19. MG
26.871.- Idem opus, interprete Evagrio,
cap. 13: ML 73-136.- Già vicino alla morte, nell' ultima sua visita ai monaci,
«laetus colloquebatur, monebatque me in laborando segnes essent, neque in vita
ascetica animo deficerent, sed ita viverent ac si quotidie morituri essent.»
Id. op., n. 89: MG 26-967; cap. 56,
interprete Evagrio: ML 73-166.
46 «In primis ergo ex quo surgit ad
vigilias, vitae suae tempus per momenta singula debet monachus computare, et
videre semper ut bonum faciat et malum caveat in omni opere suo, et hoc dicat
sibi ipse: Si modo moriturus esse, faceres istud?» ARNULPHUS Monachus DE BOERIIS, Speculum monachorum, n. 1: inter Opera S. Bernardi, ML 184-1175.
47 «Semper ante
oculos versatur (versetur) ultimus dies. Cum enim diluculo surrexeris, ad
vesperum te ambigas pervenire; et cum in lectulum ad quiescendum membra tua
posueris, noli confidere de lucis adventu, ut facilius te possis refrenare ab
omnibus vitiis.» Admonitio ad filium
spiritualem, cap. 20: in Appendice ad Codicem Regularum S. BENEDICTI Abbatis Anianensis. ML 103-689.- Si ritrova pure questa Admonitio MG 31. 1703, 1704, fra le opere indebitamente
attribuite a S. Basilio.
48 «Un buon Religioso dell' Ordine di S.
Domenico..... trovandosi in punto di morte, fu avvisato che si preparasse a
ricevere i santissimi sacramenti, come se avesse a morire; tutto lieto rispose:
«Son trentacinque anni che mi confesso ogni mattina, e celebro Messa, come se
avessi avuto a morire in tal giorno, e però non ho alcuna difficoltà.» S.
LEONARDO DA PORTO MAURIZIO, Manuale sacro (per
le religiose), Roma, 1734, parte 1, n. 13.
49 «Primum tibi
importabile videbitur aliquid: processu temporis, si assuescas, iudicabis non
adeo grave; paulo post eet leve senties, paulo post nec senties; paulo post
etiam delectabit.» S. BERNARDUS, De consideratione, lib. 1, cap. 2, n. 2. ML 182-730.- Ciò dice S. Bernardo dell' assuefarsi
al male; ma molto più vale dell' assuefarsi al bene, il quale, vinte le prime
difficoltà, è per natura sua assai più dilettevole.
50 Succide ergo
illam: ut quid etiam terram occupat? Luc.
XIII, 7.
51 Io. XIV, 24.
52 «Andò Caterina per
confessarsi.... benchè non fosse disposta a ciò fare.... Di subito... ricevette
una ferita al cuore, d' un immenso amor di Dio.... Perciò di dentro gridava con
affocato amore: «Non più mondo! Non più peccati!».... Ritornò a casa... ed
entrò in una camera più segreta che potè, dove pianse e sospirò molto con gran
fuoco... Ma volendo il Signore accendere intrinsecamente più l' amor suo in
quest' anima e il dolore de' suoi peccati, se le mostrò in ispirito con la
croce in ispalla, piovendo tutto sangue... Questa vista le fu tanto penetrativa
che le pareva sempre vedere, e con gli occhi corporali, il suo Amore tutto
insanguinato, e inchiodato in croce. Vedeva ancora le offese che gli aveva
fatte, e però gridava: «O Amore, mai più, mai più peccati!» CATTANEO MARABOTTO
(confessore della santa) ed ETTORE VERNAZZA (figliuolo di lei spirituale),
Vita, cap. 2, n. 1, 3, 4,
5.
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