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S. Alfonso Maria de Liguori
La vera Sposa di Gesù Cristo

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III. - Dell'Officio divino.

1. Bisogna qui dire qualche cosa circa l'Ore Canoniche, mentre dentro dell'Opera non ne abbiamo parlato.

Tutti gli uomini dovrebbero in questa terra impiegarsi continuamente a ringraziare il Signore de' suoi benefici, ed a cercargli le grazie per conseguire l'eterna salute; ma perché i secolari vivon distratti negli affari del mondo, perciò la santa Chiesa vuole che in nome di lei e di tutto il popolo cristiano gli ecclesiastici ed i religiosi lodino Dio e lo preghino per tutto


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il mondo coll'Officio divino: il quale non è altro che un memoriale formatoci dal medesimo Dio, per meglio così esaudire le nostre preghiere e soccorrere a' nostri bisogni.

Quindi è che cento preghiere private non giungono al valore d'una sola preghiera fatta nell'Officio. S. Maria Maddalena de' Pazzi dicea che a comparazione dell'Officio, ogni altra orazione è poco meritoria. E perciò la santa quando udiva il segno del campanello dell'Officio, giubilava d'allegrezza, e lasciando tutto, correva al coro, pensando che andava a far l'officio degli angeli, di lodare Dio e d'impetrare le grazie a' poveri peccatori.2 Similmente S. Caterina di Bologna provava tal gioia nel recitar l'Officio, che desiderava di finir la vita salmeggiando; e diceva che una monaca, la quale sino alla morte fosse perseverante a dir l'Officio in coro, potrebbe mettersi nel numero dei santi.3

2. Ma non basta dir l'Officio, bisogna dirlo come si dee, con


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riverenza ed attenzione; altrimenti, se voi lo recitate distrattamente, dissipandovi coll'andar girando gli occhi dintorno a mirare oggetti distrattivi, o pure, quel ch'è peggio, tramischiandovi risa e parole impertinenti, sappiate che vi starà apparecchiato un gran purgatorio nell'altra vita. Narrasi di due religiose che appunto per questa poca attenzione all'Officio furono condannate a gran tormenti.4 Un'altra monaca cisterciense, chiamata Gertrude, comparve ad una sua compagna nel coro, e le disse che stava patendo ivi il suo purgatorio, per non aver osservato il silenzio nel dire l'Officio.5 - Riferisce di più S. Antonino che un santo padre vide nel coro un demonio che riponea molte cose in un sacco, ed interrogato rispose che in quel sacco mettea tutte le parole e le sillabe che si lasciavano o mal si pronunziavano da' religiosi, per addurne poi le accuse nel divino giudizio.6 In oltre narra il Surio nella


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Vita di S. Lutgarde, che Dio mandò la peste ad un monastero di monache, per causa dell'Officio strapazzato che quelle diceano.7

3. L'orazione fatta con attenzione ed affetto è un fumo odoroso, ch'è molto grato a Dio, e ne riporta tesori di grazie. Per contrario l'orazione indivota e distratta è un fumo puzzolente, che muove il Signore a sdegno; mentre, come disse Dio stesso a S. Brigida, quei che recitano l'Officio negligentemente, più presto che onorarlo, lo disonorano.8 E perciò S. Tommaso l'Angelico scrive così: Non è esente di peccato chi facendo orazione, benché senz'obbligo, si divaga colla mente; mentre allora par che disprezzi Dio, siccome disprezza una persona chi parlando con lei non attende a quello che dice (2. 2. q. 83, a. 12).9


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4. È celebre nelle Croniche cisterciensi la visione ch'ebbe S. Bernardo, mentre una notte salmeggiava nel coro co' suoi monaci. Vide egli al lato d'ogni monaco un angelo che scrivea; alcuni angeli scriveano con oro, altri con argento, altri con inchiostro, altri con acqua, altri finalmente stavano con la penna sospesa senza scrivere cosa alcuna. Indi il Signore fe' intendere al santo che le orazioni scritte con oro significavano il fervore con cui eran proferite; quelle con argento dinotavano divozione, ma minor fervore; quelle con inchiostro dinotavano la diligenza in pronunziar le parole, ma senza divozione; quelle con acqua dinotavano la negligenza di coloro che distratti poco attendeano a ciò che proferivano colla lingua; gli angeli finalmente che nulla scriveano, dinotavano l'insolenza di coloro che volontariamente si distraevano.10


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5. Io spero, sorella benedetta, che voi non siate di questa fatta, che dicendo l'Officio vogliate volontariamente distrarvi; il che s'intende per altro che, avvertendo già che quel pensiero vi distrae, vogliate seguire a dargli udienza, non ostante che vedete che quello vi toglie l'attenzione all'Officio. Per tanto procurate d'ogg'innanzi di mettervi la diligenza che si dee. Già fate la fatica, e poi, per non prendervi un poco d'incomodo in mettere all'Officio l'attenzione dovuta, volete perderne il merito e rendervi rea di pene? Per tanto fate così: in arrivare al coro, dopo che vi siete segnata coll'acqua benedetta, prima adorate il SS. Sagramento, offeritegli dal principio quell'Officio in suo onore, cercandogli la sua assistenza, ed indi portatevi al vostro luogo, e figuratevi che 'l Signore vi stia rimirando dal cielo, colle orecchie intente alle preghiere che in quel tempo gli porgete, e gli angeli ancora vi stiano attendendo per offrire a Dio le vostre orazioni; siccome appunto, stando un giorno i religiosi a dir mattutino, il B. Ermanno vide molti angeli che, con turiboli d'oro alla mano, offerivano a Dio le di loro preghiere.11

6. Non v'inquietate poi per le distrazioni, che patite nel dir l'Officio. Sempreché voi non le volete avvertitamente, come


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si è detto di sopra, non vi sarà vostro difetto. Dio compatisce le miserie della nostra natura. Spesso i pensieri vengono in noi senza nostra volontà; e dove non v'è volontà, non v'è colpa. Dice S. Tommaso (2. 2. q. 83, a. 3, ad 1) che anche l'anime elevate alla contemplazione non possono star lungo tempo in alto, ma dal peso dell'umana miseria son tirate al basso delle involontarie distrazioni.12 Procurate voi nonperò non solo al principio dell'Officio, ma anche nel progresso, da tempo in tempo, come sarebbe nel cominciare ogni salmo, di rinnovare l'attenzione.

Già saprete che di tre modi è l'attenzione che può mettersi all'Officio, come insegnano comunemente i Dottori coll'Angelico:13 alle parole, al senso ed a Dio. Alle parole, applicandovi a proferirle bene. Al senso, attendendo al significato delle parole, per unirvi anche gli affetti del cuore. A Dio, adorandolo, amandolo e cercandogli grazie. Ciascuna di queste tre attenzioni basta per soddisfare all'obbligo, ma, chi dice l'Officio colla nuda attenzione alle parole, senza alcuna applicazione delle due altre attenzioni, non lo dirà mai con divozione né con molto frutto.14 Procurate dunque di attendere ad accompagnare col cuore i sentimenti che leggete. È vero che molti passi de' salmi sono oscuri, ma molti sono chiari e pieni di santi affetti d'amore, di confidenza. di contrizione, di preghiera, ecc.

7. La migliore poi è l'attenzione a Dio, circa la quale specialmente


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giova la pratica di distribuire le parti dell'Officio in meditar la Passione di Gesù Cristo. Per esempio nel primo notturno potete meditare la lavanda de' piedi, nel secondo l'istituzione del SS. Sagramento, nel terzo l'orazione all'orto; nelle laudi la cattura e gli strapazzi che 'l Signore ricevé nella casa di Caifas; nell'ora di prima la flagellazione, a terza la coronazione di spine, a sesta il viaggio al Calvario, a nona le tre ore che Gesù stiede in croce, a vespro la sua morte, a compieta la sepoltura. Tali meditazioni però non sieno così profonde e fatte con tal fissazione di mente che v'abbiano a straccare il capo, ma sieno adoperate con soavità, sicché nello stesso tempo la mente sia assistita da' pensieri divoti, ed all'incontro possa ancora attendere in qualche modo alle parole che recitansi dall'altra parte del coro.

Ogni volta poi che dite il Pater noster, applicate specialmente il cuore a quelle parole: Sanctificetur nomen tuum, che significano: Signore, fatevi conoscere ed amare da tutti; Adveniat regnum tuum, regnate ne' nostri cuori colla grazia in questa vita e colla gloria nell'altra; Fiat voluntas tua, sicut in caelo et in terra, fateci fare la vostra volontà in questa terra, come la fanno i beati in cielo.

Nel dir poi il Gloria Patri potete fare diversi affetti, di fede, di ringraziamento, di compiacenza della felicità di Dio, e di desiderio di onorarlo e patir per la sua gloria. S. Maria Maddalena de' Pazzi ogni volta che diceva il Gloria Patri, inchinando la testa, intendea d'offerirla al carnefice in onor della fede; e facea quest'atto con tanto fervore che talvolta diveniva pallida, sembrandole che allora già le fosse attualmente troncato il capo.15

In replicare ancora tante volte l'Ave Maria, come si fa nell'Officio, potete ottenere molte grazie da questa divina Madre.

Ecco il modo di recitar le divine lodi con divozione e molto vostro profitto.


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8. Molte monache stimano e chiamano gran peso il divino Officio; ed io dico che han ragione di chiamarlo così quelle che lo dicono senza divozione e con ansia di finirlo presto, perché in fatti hanno da stentare per due ore, o almeno per un'ora e mezza, a recitarlo senza gusto e con molta pena. Ma a coloro che lo dicono con divozione, infiorandolo di santi affetti e preghiere, non è già peso l'Officio, ma delizia di spirito, come avviene alle buone religiose; e se mai vuol chiamarsi peso, egli è peso di ale, come si disse altrove, che le solleva e più l'unisce a Dio.

9. Voglio qui in fine, per intelligenza delle monache, e per sollevarle da qualche angustia, soggiungere i privilegi concessi loro da' Sommi Pontefici.

Per 1. Clemente VII concesse a tutti i religiosi infermi ed agli infermieri il poter soddisfare all'Officio divino con dir sei o sette salmi, da assegnarsi dal superiore, con sette Pater e due Credo.16 E Martino V concesse a' religiosi convalescenti il soddisfare con quella porzione d'Officio che pare ai loro confessori.17 E si noti che per infermi s'intendono quegli infermi che patiscono qualche infermità, ma l'infermità non è tale che per quella sarebbero per sé scusati dall'Officio. - Di più si noti che i privilegi dati a' religiosi s'intendono anche dati alle religiose, mentre ciò ch'è concesso agli uni s'intende vicendevolmente concesso all'altre in tutte quelle cose che possono convenire.

Per 2. Leone X concesse a' religiosi di poter anticipare gli Offici più lunghi, e riserbare i più brevi per li giorni di maggior occupazione.18

Per 3. Innocenzo IV concesse privilegio alle monache di S. Chiara19 - e per esse a tutte le monache di clausura, le


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quali tutte comunicano ne' privilegi tra di loro - di poter soddisfare coll'Officio delle converse per ogni ragionevol causa, come sarebbe se taluna fosse scrupolosa o se stesse affaticata, ovvero occupata per la maggior parte del giorno in affari utili; o pure se non fosse ancor bene istruita nell'Officio delle coriste, secondo il giudizio della superiora o del confessore; e di questo privilegio possono le monache avvalersi da se stesse, senza licenza della superiora, perché il privilegio fu conceduto assolutamente senza condizione. Tutto può osservarsi appresso i Salmaticesi (Theol. mor., tract. 16 de hor. can., cap. 3, a. 61 et 62).20




2 «Cercava d' imprimere in loro la stima di recitare il divino Ufficio nel Coro con l' altre, e che lo preferissero sempre ad ogni altra orazione o divozione propria. E se alcuna le chiedeva licenza di lasciare il Coro per fare orazione mentale, le rispondeva: «Figliuola, mi parrebbe ingannarvi se tal licenza vi concedessi... perchè in comparazione del recitare in coro con l' altre monache i divini Uffizi, ogni altra orazione e divozione privata è, nel cospetto di Dio, poco meritevole.» PUCCINI, Vita, Venezia, 1671, cap. 106.- «Diceva talora ad alcuna (delle sue novizie): «Parvi egli d' esser degna di stare in così santa compagnia e di fare uffizio così angelico?» PUCCINI, Vita (1611), parte 1, cap. 66.



3 Essendo stata la Santa, a causa delle sue gravissime infermità, dispensata per alcuni giorni dal Coro, pur la medesima Badessa le rimproverò in Capitolo questa sua assenza. Si umiliò Caterina; e dicendole le Sorelle che avrebbero dovuto addurre in iscusa i suoi acerbi dolori, rispose dolersi esse del suo bene; esser ella ormai certa della volontà di Dio per mezzo dell' ubbidienza; il Signore dar forze a chi ubbidisce, come più volte l' avea essa stessa provato; e soggiunse: «E quando poi anco si compiacesse Sua Divina Maestà che io venissi meno, lo riputerei questa per singolar grazia e beata mi stimerei, se fossi fatta degna di morire nel Coro salmeggiando, per amor di Cristo e dell' ubbidienza.» GRASSETTI, S. I., Vita, lib. 3, cap. 8.- «Soggiungeva: «Chi conoscesse la dignità di quell' anima che è favorita di recitare le divine lodi, e chi intendesse il merito che s' acquista da chi frequenta il Coro, si sforzerebbe sino al sangue di trovarvisi sempre, e non se ne partirebbe senza grande e vera necessità.»- Di lei si dice esser questa notabile sentenza (più asseverantemente i Bollandisti- Acta Sanctorum, die 9 martii, Vita, n. 113- pur dallo stesso Grassetti traducono: Et concludebat): «Che la religiosa la quale continua sino alla morte a frequentare il Coro, ai divini Offici, al refettorio e al dormitorio alle ore consuete, senza mai ralentare, o servirsi di privilegio in queste cose, si poteva con ragione annoverare nel numero dei martiri e dei confessori, e che come tale da Dio nostro Signore premiata sarebbe.» GRASSETTI, Vita, lib.3, cap. 3.



4 «Si racconta di due monache, una superiora e l' altra suddita, condannate ad acerbissimi tormenti nel purgatorio non per altro che per la poca applicazione nel recitare l' officio divino.» S. LEONARDO DA PORTO MAURIZIO, Manuale sacro, parte 2, § 2, pag. 21, Roma, 1734.



5 «Circa hoc triennium, puella quaedam parvula novem ut puto annorum, in Monte Sancti Salvatoris, quae domus Ordinis nostri est, in adventu ipsius Salvatoris mortua est. Defuncta vero, clara die conventu stante in choro, ipsa chorum intravit; intrans, ante altare profunde satis inclinavit, sic in locum suum ubi stare solita erat secedens. Quam iuxta se alia puella pene eiusdem aetatis stare videns, et mortuam sciens, tanto horrore concussa est, ut notaretur. Requisita vero a domina Benigna Abbatissa, a cuius ore audivi quae dicturus sum, cur ita in choro concuteretur, respondit: «Sic et sic soror Gertrudis in chorum venit; et cum, dictis vesperis, commemoratio fieret Dominae nostrae, ad collectam se in terram, stans iuxta me, prostravit. Finita vero collecta, se erigens, abiit. Haec fuit causa horroris mei.» Abbatissa, timens illusiones diabolicas, ait puellae: «Soror Margareta - hoc ei nomen erat- si denuo venerit ad te soror Gertrudis, dic ei, Benedicite: et si responderit tibi. Dominus, interroga unde veniat vel quid quaerat.» Sequenti die iterum illa venit, et salutata cum respondisset, Dominus, puella subiunxit: «Bona soror Gertrudis, unde tali hora venis, vel quid apud nos quaeris?» Respondit illa: «Ad satisfactionem huc veni. Quia libenter tecum in choro susurravi, semiplena verba proferens, idcirco in eodem loco iussa sum satisfacere, ubi me contigit peccare. Et nisi tibi de eodem vitio caveas, eamdem poenam moriens sustinebis.» Cum quarta vice praedicto modo satisfecisset, ait consorori: «Modo satisfactionem meam complevi; de cetero non me videbis.» Quod ita factum est. Nam ea aspiciente tendit versus cimiterium, mirabili virtute murum eius transcendens. Ecce tale fuit purgatorium huius virginis.» CAESARIUS, Heisterbacensis monachus, Ordinis Cisterciensis, Dialogus miraculorum, distinctio 12, cap. 36. Coloniae, 1851, pag. 344, 345.



6 «Exemplum de illo sancto patre qui vidit diabolum in choro cuiusdam monasterii manere cum fratres dicerent officium, et mittere saepe in sacco quem secum deferebat; et interrogatus a patre quid intromitteret: respondit quod verba et syllabas quas illi dimittebant de officio, in futuro iudicio ea praesentaturus ad punitionem negligentiae eorum» S. ANTONINUS, Summa Theologica, pars 2, titulus 9, cap. 12, § 3.



7 «Saepe reprehenderat (Luigardis) montales in valetudinario manentes, quod parum attente persolverent preces canonicas... Cum aute... non videret... in sororibus emendationem, ait: «Scio equidem quod, post decessum meum, culpam hanc manus Domini in sororibus vindicabit; et tunc... se corrigent, et Dominus retrahet manum suam.».... Ubi illa excessit e vita, confestim dira pestis invasit in illud monasterium, et brevissimo temporis intervallo quatuordecim probatissimae corores exstinctae sunt. Ego vero eodem tempore illuc veni, et duas carne ac spiritu... sorores... uno tumuto sepelivi. Cum se autem infirmae sorores in valetudinario in discendis canonicis precibus correxissent... pestis illa protinus sospita est.» THOMAS CANTIPHRATANUS episcopus, O. P., Vita Lutgardis sanctissimae virginis, lib. 3, (verso la metà). Apud Surium, De probatis sanctorum historiis, die 16 iunii.



8 «Informatio divinitus revelata sponsae (i. e. ipsi Sanctae).... ad quemdam clericum.» Varii difetti vengon indicati a questo chierico, da evitarsi nella recita delle Ore canoniche, per questa ragione: «Ne cultus divinus vel honor Dei diminuatur vel impediatur.» E gli vien fatta questa osservazione generale: «Multum te ordinares honeste, si esses in praesentia domini temporalis et terreni, et idcirco multo magis debes cum omni honestate, et modestia, et humili reverentia interna, et etiam exteriori, stare in praesentia et servitio aeterni Regis caelorum, semper et ubique praesentis et omnia videntis.» Revelationes S. BIRGITTAE, lib. 4, cap. 80, Coloniae Agrippinae, 1628, pag. 249, col. 1.



9 S. TOMASO, Sum. Theol., II-II, qu. 83, art. 3, si fa questa obiezione (la terza): «Non est absque peccato quod aliquis orando evagationem mentis patiatur: videtur eum deridere Deum, sicut et si alicui homini loqueretur et non attenderet ad ea quae ipse proferret. Unde Basilius dicit (Constit. Monast., cap. 1): «Est divinum auxilium implorandum non remisse, nec mente huc illuc evagante: eo quod talis non solum non impetrabit quod petit, sed et magis Deum irritabit.» Ciò lo ammette S. Tommaso, qualora la disattenzione o distrazione sia volontaria. Dice infatti, nella risposta ad 3: «Si quis ex proposito in oratione mente evagetur, hoc peccatum est, et impedit orationis fructum.. Evagatio vero mentis quae fit praeter propositum, orationis fructum non tollit.» Come egli lo spiega nel corpo dell' articolo, la distrazione, anche involontaria, impedisce quel «ristoro», quel «benessere» spirituale, che è frutto dell' orazione attenta: nondimeno, senza l' attenzione attuale, l' orazione o preghiera merita ed ottiene, in virtù della prima intenzione; giacchè, mancando anche questa, la preghiera non sarebbe «nec meritoria nec impetratoria», non essendo più affatto preghiera. - In quanto alla parentesi «benchè senza obbligo», mostra S. Alfonso di accordarsi, nell' interpretare quest' articolo di S. Tommaso, col GAETANO (in h. I., II): «In responsione ad tertium, nota diligenter quod quia ex proposito vagari in oratione peccatum est ex genere suo, ideo non solum in oratione necessaria ex praecepto, sed etiam in oratione spontanea tenetur orans attendere: ita quod licet non teneatur orare, tenetur tamen, si orat, attente, quantum est ex parte propositi, orare.» Ed accortamente aggiunse il Gaetano questa avvertenza pratica: «Per haec tamen non intelligas male agere qui sponte orat dum se vestit aut aliquo simili opere occupatur, quantum potest intendens orationi attendere. Tum quia alia est quaestio de evagatione ex proposito, et alia de opere cum quo stat attentio: huiusmodi enim opera non impedire orationis attentionem experientia testatur. Et inq uibusdam religiosorum statutis scriptum est quod surgendo dicant officium Beatae Virginis. Beatus quoque Pater Dominicus medicinam contra phantasmata mala communem ac fructuosam dicebat orationem sollicitam statim cum ques surgit a somno.»



10 «Intereat aliquando nocturnis vigiliis Pater sanctus (Bernardus), ea puritate et devotione qua solebat... Aperuit Dominus oculos eius: et ecce respiciens vidit singulos angelos iuxta singulos monachos stantes, et quod quisque eorum psallebat, in schedulis, more notariorum, tam diligenter excipientes, ut nec minimam syllabam, quantumcumque negligenter prolatam, omitterent. Scribebant vero diverso modo. Nam quidam eorum scribebant auro, alii argento, nonnulli atramento, aliqui etiam aqua, quidam vero penitus nihil scribebant. Spiritus autem qui haec revelabat intelligentiam quoque divesitatis scripturare cordi eius inspirabat. Qui enim auro scribebant, ferventissimum in Dei servitio studium, et absolutam cordis intentionem his quae psallebantur significabant. Qui autem argento, minorem quidem fervorem, puram tamen psallentium devotionem delcarabant. Qui vero atramento, continuum quorumdam bonae voluntatis usum in psalmodia, licet non cum multa devotione, notabant. Sed qui aqua scribebant, exprimebant eos qui somnolentia seu pigritia pressi, vel variis cogitationibus a se abducti, videntur quidem aliquid sonare, sed cor eorum longius abstractum non concordat voci.... Ceterum illi qui nil scribebant, lamentabilem quorumdam duritiam cordis redarguebant, qui... aut lethali somno prona se voluntate immergunt, aut certe vigilantes clauso ore, vanis et noxiis cogitationibus, non ex infirmitate, sed ex voluntaria intentione occupantur.» S. Bernardi Vita prima, liber 7, cap. 3. ML 185-417, 418. (Ex Exordio Magno Cisterciensi, Distinctio 2, cap. 3.)



11 «In Laudibus matut nis, cum cantaretur ex more evangelicus hymnus Benedictus Dominus Deus Israel,.... Dominus eum... suavitate mirifica visitare dignatus est, faciens illum sentire suavitatem odoris incensi... Nobis ipse (haud dubium quin de seipso) tamquam de alio referre solebat, videlicet, quod in eodem tempore, quo ipse mirificum odorem in Laudibus matutinis persensit, quidam de fratribus duos angelos, dextra laevaque praebentes incensum, conspexerit: et quibusdam quidem praebebant hilariter et devotissime inclinabant; alios vero, sub quadam negligentia, praeteribant; a quibusdam vero, tamquam in quodam horrore, resiliebant omnino. Facile autem dabatur intelligi quid angeli in fratribus vel venerarentur vel fugerent, cumnoster contemplator nomina exprimeret singulorum.» Vita B. Hermanni Iosephi, Ordinis Praemonstratensis (ab oculato teste scripta,) tractatus 1, n. 17. Acta Sanctorum Bollandiana, die 7 aprilis.



12 «Mens humana, protper infirmitatem naturae, diu in alto stare non potest: pondere enim infirmitatis humanae deprimitur anima ad inferiora. Et ideo contingit quod quando mens orantis ascendit in Deum per contemplationem, subito evagetur ex quadam infirmitate.» S. THOMAS, Sum. Theol., II-II, q. 83, a. 13, ad 2.



13 «Sciendum tamen quod est triplex attentio quae orationi vocali potest adhiberi. Una quidem qua attenditur ad verba, ne quis in eis erret Secunda qua attenditur ad sensum verborum. Tertia qua attenditur ad finem orationis, scilicet ad Deum et ad rem pro qua oratur: quae quidem est maxime necessaria. Et hanc etiam possunt habere idiotae. Et quandoque in tantum abundat haec intentio qua mens defertur in Deum, ut etiam omnium aliorum mens obliviscatur, sicut dicit Hugo de Sancto Victore.» Ibid. c. - Della meditazione poi della Passione in tempo dell' Officio, la quale ci verrù ora raccomandata da S. Alfonso, ecco quel che ci dice il piissimo, quanto dottissimo, GAETANO (in h. l., I): «Intendens autem et studens ut circa Passionem Christi meditatio sit et affectus excitetur in toto officio, satisfacit, sine dubio; quia in melius medium ad divinitatem ducens fertur, quam si sensui verborum attenderet.»



14 L' ed. napoletane, fuorchè la prima, e la veneta del Pezzana (1771) hanno; nè con altro frutto.



15 «Esortava (le sue novizie) bene spesso, che ogni volta che al Gloria Patri ecc. inchinavano la testa, facessero offerta alla SS. Trinità della propria vita in atto di martirio. E fu avvertito non poche volte che la buona Madre, mentre che simili atti esercitava, diveniva nel volto così pallida ed afflitta, che gittava orrore in rimirarla; perchè le pareva allora di porger la testa al carnefice per la santa fede, com' ella per ubbidienza palesò al Superiore.» PUCCINI, Vita (1611), parte 1, cap. 66.- Cf. PUCCINI, Vita (1671), cap. 106.



16 Magnum Bullarium Romanum, Lugduni, 1655, tom. 1, p. 689: Clementis PP. VII Constitutio 38, quae incipit Dudum pro parte vestra, § 2. Questa Costituzione conferisce grazie e privilegi alla Congregazione dei Chierici Regolari, detti Teatini.- SALMATICENSES, Currus Theologiae Moralis, tractatus 16, cap. 3, nn. 55, 56, 57. (I numeri 56 e 57 valgono pure, servatis servandis, per gli altri privilegi). Quanto all' uso di questo privilegio e dei seguenti, consule probatos auctores et peritos iuris Regularium.



17 Martino V fece questa concessione «oraculo vivae vocis.» SALMATICENSES, op. et l. c., n. 58.



18 SALMATICENSES, op. et l. c., n. 59.



19 Magnum Bullarim Romanum, tom. 1, Lugduni 1655, p. 122. Constitutio - la 12a d' Innocenzo IV- de approbatione Regulae a B. Francisco traditae S. Clarae et aliis sororibus, a principio del cap. 3 della Regola, inserita nella Costituzione Pontificia: cioè da queste parole: Et quae occasione rationabili. La Costituzione comincia così: Solet annuere.- SALMATICENSES, op. et l. c., n. 62.



20 Per i singoli privilegi, vedi le note precedenti.






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