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S. Alfonso Maria de Liguori
Verità della Fede

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Confutazione di un altro libro francese intitolato, De la prédication par l'auteur du Dictionnaire Philosophique.

 

Mentre stavansi tirando gli ultimi fogli di quest'opera, mi è capitato nelle mani il mentovato libro. L'essere egli parto dello stesso autore che ha composto il dizionario filosofico, condannato già da per tutto, lo mette già in sospetto di dottrina non sana; come in fatti vi ho ritrovate più proposizioni non sane, ed alcuna ch'è empia ed opposta chiaramente alle divine scritture.

 

2. Essendo poi il titolo dell'opera: Della predicazione, ognuno avrebbe creduto che ivi si parlasse del profitto e della necessità che vi è nel mondo della santa predicazione per illuminare gli uomini, i quali per cagion del peccato e della natura corrotta sono involti nelle tenebre e naturalmente inclinati non già al bene ed alle virtù, come vuole l'autore, ma al male ed a' vizj. Ma no, l'intento dell'opera è di discreditar la predicazione, facendola comparire affatto inutile in quanto alla riforma de' costumi. Io non intendo di trascrivere


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qui tutto ciò che dice l'autore, ma sol di darne un breve saggio per far intender a' lettori quel che nel libro si contiene.

3. L'autore distingue la conversione dello spirito dalla conversione del cuore, e dice che la predicazione può ottenere la conversione dello spirito, ma non la conversione del cuore, cioè può ottenere la mutazione della religione, ma non già de' costumi. E lo prova così. Dice che la predicazione cominciò quando gli uomini si unirono a vivere in società. Caino, dice, avendo fabbricata la prima città di Enochia, ed essendosi quella ripiena di gente scellerata simile a lui, Enos predicò contro i vizj, ma senza profitto. Venne appresso Enoch, e questi aggiunse le minaccie; ma il suo predicare anche riuscì inutile, anzi divenne dannoso, poiché, tramischiandosi i fedeli coi gentili, affin di convertirlo al culto del vero Dio, si maritarono colle loro figlie, e così venne a corrompersi tutta la terra.

 

4. Siegue a dire che, vedendo il Signore tutto il mondo corrotto dal peccato, ordinò a Noè che avesse intimato agli uomini il vicino castigo del diluvio, e Noè a vista dell'arca, che si pose a fabbricare, predicò contro i vizj; ma tutto riuscì vano, onde Iddio fu obbligato a sommergere il mondo, come già avvenne. Dopo il diluvio di nuovo moltiplicaronsi le generazioni, e vi furono due imperj, di Babilonia e di Ninive: Noè seguì a predicare e più fortemente, adducendo l'esempio del castigo già eseguito. Predicarono poi i profeti: ma gli uomini in vece di emendarsi, aggiunsero agli antichi nuovi delitti; per cui il Signore giunse a mandar fuoco dal cielo, con bruciare cinque intiere città. Ai tempi del Messia già venuto predicò il Battista la penitenza, ma quanti furono quelli che l'abbracciarono? Predicò G.C., e non raccolse che pochi discepoli, i quali dopo la di lui morte andarono dispersi predicando per tutta la terra, ma la loro fine fu di restar uccisi in diverse parti da quegli stessi uomini, ai quali ebbero predicato. Così l'autore. Indi siegue a dire:

 

5. A tempo di Costantino poi cominciò a predicarsi liberamente il vangelo da per tutto. Molti abbracciarono bensì la fede, ma non lasciarono i vizj; sicché vennero a cangiar religione, ma non costumi. Si moltiplicò vieppiù indi la predicazione nel secolo XII. da' figli di s. Francesco e di s. Domenico. Appresso vennero i figli di s. Ignazio e molti altri nuovi religiosi che han riempiuta la chiesa di predicatori, ma tuttavia il mondo si vede peggio di prima ripieno di vizj e scelleraggini. Qual rimedio dunque vi sarà per la riforma de' costumi, giacché la predicazione è riuscita finora sempre inutile? L'autore viene alla conclusione, e dice che il vero predicatore che può riformare il mondo è il buon governo col ricompensare i virtuosi e punire i malvagi. I predicatori, dice, predicano beni e mali eterni, come ne insegna la fede; ma questi, perché son futuri e lontani, niente o quasi niente di profitto ritraggono, poiché gli uomini son più toccati da ciò che vedono, che da ciò che sentono. Onde affin di ottenere l'estirpazione de' vizj, mette a vista diversi progetti. Dice per 1. che dovrebbe darsi a' padri la podestà assoluta data da Romolo a' romani, di poter castigare i figli a loro arbitrio, fuorché col venderli ed ucciderli, siccome prima era loro permesso. Per 2. che i mariti essi fossero i giudici delle loro mogli. Per 3. che i padroni avessero sopra de' loro servi quell'autorità che hanno i capitani sopra de' loro soldati ingaggiati.

 

6. Ma il suo progetto principale è di stabilire che in ogni città o paese si costituisca un censore, il quale abbia cura di presedere sopra dieci famiglie; e che poi si costituisca un collegio di dodici censori dei paesi più vicini, il tribunale de' quali sia distinto da' tribunali di giustizia: e questo tribunale abbia l'incumbenza di castigare i vizj, che da' magistrati non sono stati a dovere puniti, e di premiare le virtù che sono state lasciate senza la dovuta ricompensa. E quindi riprende l'autore dello Spirito delle leggi, il quale scrive


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che il governo monarchico rimedia a tutto; poiché gli risponde che l'universo è un censore molto comodo, e perciò lascia impuniti i delinquenti e non rimunerati i virtuosi.

 

7. Ma quel che più mi dispiace di vedere in questi progetti ch'egli propone, è che per indurre la gente a viver bene, non parla che di mezzi umani, e non fa neppur menzione della necessità della grazia divina, senza la quale è certo che tutte le umane forze niente vagliono alla conversione dei cuori. Il governo umano col castigare i cattivi e ricompensare i buoni, ma senza l'aiuto della grazia, ad altro non servirà che a render gli uomini tanti farisei, che di fuori sembrino santi, e di dentro sieno covili di vizj. A riformare i cuori la sola grazia può arrivare; e perciò la s. chiesa c'insegna a pregare: Tua nos, quaesumus, Domine, gratia semper et praeveniat, et sequatur, ac bonis operibus iugiter praestet esse intentos1. Ed a tal fine giova la santa predicazione, di cui qui appresso parleremo, per far conoscere la necessità della grazia ed insieme la necessità della preghiera, affin di ottenere la grazia.

 

8. Del resto questa seconda parte del libro intorno al governo civile non si appartiene a me il dicifrarla, perché non è materia del mio istituto. Dico solo che, se quel collegio designato di censori, che l'autore propone, dovesse esser dipendente da altra podestà suprema, io lascio a questa come a suo proprio diritto il determinare se è spediente o no un tal nuovo tribunale; perché da una parte par che potrebbe esser profittevole, ma dall'altra potrebbe forse recare maggiori sconcerti e confusioni. Se poi egli volesse farlo indipendente, e stabilir da per tutto il governo democratico in vece del monarchico, ciò è contro il sentimento comune de' savj; i quali tutti vogliono che il governo monarchico sia il migliore e il più utile a conservare la società in buon'armonia.

 

9. Ma veniamo alla prima parte della predicazione, che tocca a me, dichiarata dall'autore inutile ed inetta per la riforma de' costumi. Se intende egli parlare del predicar vano e frondoso, come già ne fa parola nel suo libro, ha ragione, e siam d'accordo, mentre ancor io ho data fuori una mia operetta, ove ho fatto vedere che tali predicatori che parlano per tirare a sé la gloria, e non già a Dio, non solamente sono inutili, ma spesso anche perniciosi al pubblico, la cui massima parte essendo composta di gente rozza, da tali prediche che non capisce non ne ricava altro che tedio e rincrescimento di andare a sentire la divina parola. Io dico che se la parola di Dio non si adulterasse, ma si amministrasse schietta ed alla semplice, tutto il mondo sarebbe santo. Onde gran conto renderanno a Dio quei sacerdoti che deturpano la santa predicazione con istile pomposo ed alto, che poco o niente s'intende dal popolo, e con ciò son causa che tante anime per loro colpa si perdono. Si legga su questo punto il libro d'oro del Muratori: L'eloquenza popolare. Ma torniamo a noi. Se l'autore parla di questa sorta di vana predicazione, dice bene ch'è inutile per l'emenda de' mali costumi. Se poi intende di parlar generalmente, come in fatti parla, della santa predicazione, dico che il suo assunto non solo è falsissimo, ma di più è pernicioso ed empio, mentr'è contrario alle stesse divine scritture.

 

10. Le scritture dicono che così la fede, come i buoni costumi colla predicazione si propagano e coltivano. G. Cristo disse che a salvare gli uomini non bastava la sua passione, ma era anche necessaria la predicazione, acciocché essi facessero penitenza de' loro peccati, e si emendassero: Et sic oportebat Christum pati...: et praedicari in nomine eius poenitentiam et remissionem peccatorum in omnes gentes2. E perciò impose a' suoi discepoli che andassero per tutto il mondo insegnando non solamente i misterj che gli uomini doveano credere, ma ancora i precetti


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che doveano osservare: Euntes in mundum universum, praedicate evangelium omni creaturae1. E poi soggiunse, come abbiamo in s. Matteo: Docentes eos servare omnia quaecunque mandavi vobis2. Predicarono indi gli apostoli, e la loro predicazione produsse frutto in tutto il mondo, come attesta s. Paolo: In universo mundo et fructificat, sicut in vobis3. Poiché siccome scrive s. Luca, il Signore cooperava a render profittevoli le loro prediche: Illi autem profecti praedicaverunt ubique, Domino cooperante, et sermonem confirmante sequentibus signis4.

 

11. Dice l'autore che la predicazione è inetta per la riforma de' costumi; ma non dice così Iddio. Dio dice che, siccome la pioggia feconda la terra e la rende fruttifera di frumento, così la divina parola non mai resta vacua, ma produce nelle anime frutti di buone opere: Et quomodo descendit imber et nix de coelo, et illuc ultra non revertitur, sed inebriat terram, et infundit eam, et germinare eam facit, et dat semen serenti et panem comedenti; sic erit verbum meum, quod egredietur de ore meo; non revertetur ad me vacuum etc.5. Aggiunge s. Paolo che la divina parola è così efficace, che penetra i cuori più di una spada a due tagli: Vivus est enim sermo Dei et efficax et penetrabilior omni gladio ancipiti, et pertingens usque ad divisionem animae et spiritus6. Per la parola animae s'intende la parte inferiore dell'uomo, che chiamasi animale: e per la parola spiritus s'intende la parte superiore, che si chiama spirituale. Sicché la divina parola fa che non si unisca insieme la parte superiore coll'inferiore, come accade nei malvagi, in cui la parte inferiore tira a sé la superiore; ma la santa predicazione, o per meglio dire la grazia per mezzo della predicazione, divide la parte inferiore dalla superiore, e fa che la superiore non sia tirata, ma resti a dominare sopra tutte le azioni e desiderj dell'uomo.

 

12. Inoltre scrive l'apostolo: Placuit Deo per stultitiam praedicationis salvos facere credentes7. Dice per stultitiam praedicationis, perché i gentili stimavano una stoltezza il mistero della redenzione, che si predicava dagli apostoli, come scrisse s. Paolo8: Nos autem praedicamus Christum crucifixum, iudaeis quidem scandalum, gentibus autem stultitiam. Dice che per mezzo della predicazione di una tale stoltezza ha voluto il Signore salvare i credenti; e il salvare importa non solo indurre gli uomini a credere la vera fede, ma anche ad operare secondo la fede insegna; altrimenti la sola fede senza le opere non salva. E perciò scrisse lo stesso apostolo che la fede di Gesù Cristo producea frutti di sante opere in tutto il mondo: In universo mundo (fides) et fructificat, sicut in vobis9.

 

13. Scrisse Origene che in tutte le parti del mondo a suo tempo erano innumerabili coloro che, abbandonano i loro dei e le leggi delle loro patrie e per conseguenza i loro pravi costumi, si erano dati a seguire la legge di Cristo: In omni orbe terrarum, in omni Graecia, atque universis ceteris nationibus innumeri et immensi sunt, qui, relictis patriis legibus et his quos putabant Deos, se disciplinae Christi tradiderunt10. Sicché gli apostoli per mezzo della loro predicazione ebbero la consolazione di vedere da' gentili non solo disprezzati e calpestati i loro dei, ma ben anche sradicati i vizj invecchiati per tanti secoli, abborriti i piaceri terreni, abbandonate le ricchezze e gli onori del mondo: ed all'incontro abbracciate le pene, i ludibrj, la povertà, le persecuzioni, gli esilj, i tormenti e la morte.

 

14. Dice l'autore del libro che la predicazione non ha giovato ad estirpare i vizj. Non si nega che con tutta la predicazione vi sono stati, vi sono e vi saranno gli ostinati, che per non lasciare i loro vizj lasciano Dio; ma quanti


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all'incontro, udendo la divina parola, hanno mutata vita, e si sono dati a Dio! E queste conversioni non furono già conversioni di scena e solo apparenti, come sarebbero quelle che si fanno pel solo riguardo de' castighi e delle ricompense temporali, secondo parla l'autore; ma furono vere conversioni di cuore, come specialmente il dimostrarono tanti martiri, che per la confessione della fede, secondo il precetto del vangelo, diedero la vita fra i tormenti e con tanto desiderio di morire, che Tiberiano governatore della Palestina ebbe a scrivere all'imperator Traiano che non si poteva arrivare a dar la morte a tanti cristiani, quanti erano quelli che si offerivano a morire per Gesù Cristo; onde Traiano si mosse ad ordinare che d'indi in poi i cristiani si lasciassero in pace. E quei che convertironsi colla santa predicazione non furono già i soli plebei ed ignoranti, ma furono ancora nobili, dotti, decurioni, giudici e senatori; per lo che Tertulliano nella sua apologia poté scrivere a' gentili: Vestra omnia implevimus, urbes, insulas, conciliabula, castra, decurias, senatum, forum. Dove poi i primi tre secoli furono secoli di sangue, il quarto ed il quinto, dopo che fu renduta la pace alla chiesa, furono secoli di macerazioni, di penitenze e distacco dal mondo; poiché tanti uomini e donne popolarono i deserti, lasciando le patrie, i parenti, i loro beni e tutto, per attender solo a piacere a Dio coll'esercizio delle sante virtù. Scrisse s. Girolamo, stando nella Palestina, che ivi ogni giorno venivano compagnie di monaci, ritirati già prima nelle solitudini, dall'Indie, dalla Persia e dall'Etiopia a visitare i santi luoghi di Gerusalemme. E Palladio scrisse che specialmente nel territorio di una sola città di Egitto sul principio del quarto secolo abitavano ventimila religiose vergini, che facevano vita santa. Tutto fu frutto della santa predicazione. Non voglio qui più distendermi, e tediare i miei leggitori in dimostrare l'utilità e la necessità della santa predicazione, bastando a ciò quel che disse l'apostolo: Quomodo ergo invocabunt, in quem non crediderunt? Aut quomodo credent ei, quem non audierunt? Quomodo autem audient sine praedicante1? Del resto parmi che con quel poco che di sopra ho detto, abbastanza siasi provato, quanto empio sia l'assunto del mentovato libro che la predicazione non mai è stato mezzo utile ed atto alla riforma de' costumi: quando all'incontro è certo che, tolta la predicazione, resteremmo privi di uno de' principali mezzi ordinati da Dio alla vera conversione de' cuori.

 




1 Dom. 16. post. Pent.

2 Luc. 24. 46. et 47.

1 Marc. 16. 13.

2 Matth. 27. 20.

3 Coloss. 1. 6.

4 Marci 16. 20.

5 Isa 55. 10. et 11.

6 Hebr. 4. 12.

7 1. Cor. 1. 21.

8 Ibid. 23.

9 Coloss. 1. 6.

10 Orig. l. 4. c. 5.

1 Rom. 10. 14.




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