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S. Alfonso Maria de Liguori
Vittorie dei Martiri

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§10. Di s. Sabino vescovo.

1. Non vi fu persecuzione più fiera nella chiesa che quella degli imperatori Diocleziano e Massimiano; ma la fede cristiana non fu mai così gloriosa che sotto l'imperio di questi due tiranni. Era a' cristiani ascritto come delitto capitale il non trovarsi eglino ne' pubblici teatri. In tutte le città, anzi ne' villaggi furono eretti patiboli per giustiziare ognuno che confessasse Gesù Cristo. Da per tutto non si vedeano che unghie di ferro, nervi, flagelli, cavalletti e caldaie di olio bollente, per tormentare chi non voleva sacrificare agl'idoli. Giunse di più la crudeltà di Massimiano ad ordinare che in tutti i mercati, ne' molini, nei forni, nelle osterie, anche nelle fontane stessero idoletti esposti, che ognuno dovesse adorare, altrimenti fosse discacciato. Ma con tutto ciò in mezzo a quel gran macello di cristiani non si vide mai numero così grande di fedeli che desideravano di patire e morire per Gesù Cristo; onde allora si giunse a numerare il catalogo de' santi martiri sino a diciotto milioni.

2. Ritrovavasi s. Sabino nell'Umbria vescovo di Spoleti, ma ardendo la persecuzione, egli uscì dalla città, e scorse tutti i paesi della sua provincia, esortando tutti ad unirsi con Dio, ed animandoli a patire e morire per la santa fede. Era Venustiano allora governatore della Toscana, il quale avendo inteso quanto faceva il santo vescovo per confortare i cristiani, lo fece arrestare in Assisi con due suoi diaconi, Marcello ed Esuperanzio ed altri del suo clero. Venustiano andò ad Assisi, ed ivi, essendogli presentato il vescovo con i due suoi diaconi, dimandò a Sabino chi fosse. Il santo rispose: Io sono il vescovo, benché indegno peccatore. - Ebbene, disse Venustiano, come hai ardito d'insegnare al popolo a lasciare gli dei per seguire un uomo morto? Rispose Sabino: Voi sapete che è morto, ma non sapete che risorse nel terzo giorno, e dovreste saperlo. Il preside, mutando discorso, disse: Orsù eleggi: o sacrifica agli dei, o morirai fra' tormenti come meriti,


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e poi risorgerai come il tuo Cristo. Rispose il santo: Questo è il mio desiderio di morire e di risorgere come fece il mio Signor Gesù Cristo. Sabino seguì a parlare de' pregi di Gesù Cristo, ma il governatore si fece recare il dio suo, che sempre seco portava, ed era una statuetta di Giove fatta di corallo e vestita d'oro, e comandò che tutti l'adorassero. Ma s. Sabino animato dal suo zelo prende l'idoletto, e gettandolo a terra lo riduce in pezzi.

3. Venustiano irritato da questo affronto fatto al suo idolo, fece nel punto stesso troncare ambedue le mani al santo prelato; e fece mettere alla tortura Marcello ed Esuperanzio che ricusavano similmente di adorare i suoi dei: e poi li fece lacerare con unghie di ferro e bruciare con fiaccole ardenti, finché fossero spirati fra quei tormenti. S. Sabino ch'era presente, dopo aver dato coraggio a' suoi compagni, fu rimandato dal governatore alla prigione, con risoluzione di lasciarlo morire tra i dolori delle due mani tronche, ed anche di fame, se i dolori non giungeano a dargli morte. Ma vi fu una santa vedova chiamata Serena, che assistette al santo, e gli somministrò il necessario alla vita. E presto le fu ricompensata la sua carità, perché tenendo un nipote cieco, lo portò al santo, ed egli dopo una breve preghiera gli restituì la vista; e questo miracolo operò la conversione di quindici carcerati che vi erano stati presenti.

4. Il governatore per trenta giorni avea lasciato il santo in riposo per cagione di un gran dolore che avea negli occhi, con pericolo di perder anche la vista. Renduti inutili tutti i rimedj adoperati, fu consigliato di ricorrere a s. Sabino, se volea ricuperar la vista; ond'egli astretto dal dolore degli occhi e dal rischio di restar cieco, mandò la sua moglie e due suoi figliuoli a chiamar s. Sabino. Il santo andò a trovarlo in sua casa, e Venustiano posto a' piedi del santo lo pregò a scordarsi de' tormenti che gli avea fatti soffrire, e gli domandò il suo soccorso. S. Sabino gli rispose che se avesse preso il battesimo, sarebbe stato guarito. Venustiano vi acconsente, butta nel fiume quei pezzi rimasti dell'idolo, si fa istruire, e riceve il battesimo con tutta la sua famiglia, ed indi si trova sano. Il che saputo poi dall'imperatore, li fece tutti decapitare, e s. Sabino ebbe la consolazione di vedere tutta quella famiglia coronata colla palma del martirio.

5. Di poi l'imperator Massimiano mandò Lucio Tribuno con ordine di far morire Sabino e Venustiano. Lucio in effetto andò in Assisi, e senza formar processo fece subito decapitar Venustiano colla sua moglie e coi suoi figliuoli; e nello stesso tempo condusse seco Sabino a Spoleti, ove lo fece flagellare talmente, che in quel tormento il santo vescovo lasciò la vita. Serena ch'era gentildonna della stessa città di Spoleti, e che avea fatte imbalsamare le due mani tagliate del santo, ed aveale presso di sé conservate con molta divozione, riunì quelle mani al di lui corpo, e lo fece seppellire in un luogo distante due miglia in circa da Spoleti. Indi col tempo fu fabbricata una magnifica chiesa sopra del suo sepolcro. Questo martirio di s. Sabino si è ricavato dal Fleury 1




1 Storia eccl. tom. n. 2. l. 8. n. 39.




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