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S. Alfonso Maria de Liguori Vittorie dei Martiri IntraText CT - Lettura del testo |
§. 16. Di s. Dionisia e di altri santi compagni del martirio.
1. Nel secolo quinto fu molto crudele la persecuzione di Unerico re de' vandali nell'Africa contro i cattolici, per obbligarli a seguir l'eresia di Ario. Questa persecuzione fu descritta da s. Vittore vescovo vitense, il quale ne fu testimonio ed anche partecipe ne' patimenti. Il tiranno nell'anno 485. spedì carnefici per tutta l'Africa, con ordine di non perdonare a niuno che fosse costante nella fede cattolica; onde da per tutto in quelle provincie si videro eculei, flagelli e cataste, ove molti martiri consumarono le loro vite.
2. Fra questi vi fu s. Dionisia, dama della città di Vite. I persecutori vedendola più animosa delle altre, voleano spogliarla per flagellarla colle verghe; ed ella disse loro: Io son pronta a patire; tormentatemi quanto vi piace, ma abbiate riguardo alla mia onestà. A queste parole più s'irritarono i barbari, e l'esposero nuda nella piazza, e poi la stracciarono con tanta crudeltà, che il sangue scorreva a rivi dalle sue carni. La santa in mezzo a quei tormenti disse allora: Ministri del demonio, tutto quel che fate per disonorarmi diventerà mia gloria ed onore. E frattanto animava anche gli altri al martirio; onde il suo esempio fu causa della salute di quasi tutta quella città.
2. Avea la santa un figliuolo unico per nome Maiorico, ch'era di tenera età: vedendo ella che quegli tremava alla vista de' suoi tormenti, lo guardò e poi gli disse: Ricordati, figlio, che siamo battezzati; non perdiamo la bianca veste della grazia, acciocché venendo Gesù Cristo a giudicarci, non abbia a dire: Gettateli nelle tenebre. Figliuolo mio, quella pena si ha da temere che non finisce mai; e quella vita dee desiderarsi che sempre si possiede. Il figliuolo rinvigorito a tali parole soffrì tanti tormenti, che giunse a spirare tra quelli. La madre l'abbracciò, morto che fu, e non si saziava di render grazie a Dio di quel beneficio ricevuto. Di poi i ministri diedero di mano a Dativa sorella di Dionisia. Indi si posero a tormentare altri: Leonzia, Emilio, Terzo e Bonifacio, e furono tanti gli strazj, sino a strappar loro le viscere dal petto, che tutti lasciarono la vita in quei supplicj.
3. Narra di più s. Vittore i gran tormenti che fecero soffrire ad un uomo chiamato Servo, della città di Tuburbo. Prima lo flagellarono talmente che gli diventò il corpo tutto livido; di poi lo tiravano su per aria con funi, e lasciavanlo cadere di botto sul terreno. Indi, avendogli fatto soffrir questo supplicio più volte, lo strascinarono per le strade sovra di pietre aguzze, in modo che la pelle stracciata gli pendea a pezzi sul ventre, sui fianchi e sul dorso; ma il santo martire tutto soffrì con giubilo in difesa della fede.
4. Inoltre nella città di Cucusa vi furono molti, a cui per la stessa causa fu data la morte. Fra questi merita
special menzione una dama per nome Vittoria. Ella fu tenuta sospesa in aria per lungo tempo sovra del fuoco che di sotto l'abbrustoliva. Mentre la santa stava fra quei tormenti, il marito, che avea rinnegata la fede, fece tutti gli sforzi per pervertirla, e, presentandole i suoi figliuoli, diceale: E perché, moglie mia, vuoi patire tanti tormenti? Abbi almeno pietà di questi figli; deh! soggettati a' comandi del re, e consola i tuoi figli e me. Ma la serva del Signore si turò le orecchie a queste voci seduttrici, rivolse gli occhi da' figli, e sollevò il suo cuore a Dio. I carnefici, vedendola colle spalle rotte e le braccia slogate a forza dello star tanto tempo sospesa in aria, la crederono morta, e l'abbandonarono; ma calata giù rinvenne, attestando che una vergine con toccar le sue membra l'avea guarita.
5. Soggiunge s. Vittore che a Tipasa nella Mauritania molti cattolici si univano in una casa particolare a far le loro divozioni, per non comunicare con un vescovo ariano che li pervertiva; ma l'empio ariano ne scrisse ad Unerico, il quale mandò colà un conte con ordine di tagliare a tutti quei santi la mano destra e la lingua. L'ordine barbaro fu eseguito, ma Dio fece che tutti, ancorché avessero le lingue recise fin dalla radice, continuassero a parlar come prima. S. Vittore attesta che quei confessori privi di lingua ancora parlavano quando egli scrisse questa istoria, cioè tre o quattro anni dopo seguito questo fatto; e vi sono altri autori che confermano tal miracolo. Enea di Gaza filosofo platonico attestava di averli veduti egli stesso e uditi parlare; e che per più assicurarsene avea fatta loro aprir la bocca, e ne avea veduta strappata la lingua. Procopio parimente autor contemporaneo, nella sua storia della guerra vandalica, parlando di Unerico, attesta che a tempo suo più persone di quelle parlavano speditamente in Costantinopoli; ma che due di loro avendo commesso un peccato impudico, cessarono subito di parlare. Di più il conte Marcellino attesta nella sua cronica che avendo Unerico fatta tagliar la lingua ad un cattolico nato mutolo, subito che gli fu recisa la lingua, parlò e cominciò a render gloria a Dio. E lo stesso attestava di altri da lui veduti in Costantinopoli, che senza lingua perfettamente parlavano. Finalmente lo stesso attestò l'imperator Giustiniano in una legge da lui pubblicata, asserendo di avere egli stesso veduti alcuni di costoro parlar senza lingua. Ma non tardò molto il Signore a punire Unerico, facendolo morire mangiato vivo da' vermi, e lacerandosi da se stesso per disperazione le carni, come narra s. Vittore.
6. Narra lo stesso vescovo s. Vittore che fra gli altri martiri nell'Africa vi furono molte vergini, che aveano consacrata la loro purità a G. Cristo; ma gli ariani, che son nemici della verginità, come ordinariamente son tutti gli eretici, non potendo soffrire l'edificazione che davano a tutti quelle divote donzelle, dissero calunniosamente al re Unerico ch'elle aveano scandaloso commercio co' vescovi e preti che le dirigeano; e tanto si adoperarono, che il re iniquo le pose tutte in tormenti, acciocché confessassero quei supposti delitti. Le fece sospendere in aria con gran pesi a' piedi; di più le fece tormentare con
lame di ferro infocato sul petto, sulla schiena e sui fianchi. Le sante furono forti a resistere a quegli strazj, ma molte vi lasciarono la vita; e quelle che sopravvissero, restarono curve e colle carni tutte abbrustolite sino alla loro morte. Il martirologio fa memoria di queste sante martiri ai 16. di dicembre.