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S. Alfonso Maria de Liguori
Apparecchio alla Morte

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PUNTO II

Entrata che sarà l'anima nella beatitudine di Dio, «nihil est quod nolit», non avrà cosa più che l'affanni. «Absterget Deus omnem lacrimam ab oculis eorum, et mors ultra non erit; neque luctus, neque clamor, neque dolor erit ultra; quia prima abierunt. Et dixit qui sedebat in throno: Ecce nova facio omnia» (Apoc. 21. 4).1 Nel paradiso non vi sono più infermità, non povertà, né incomodi: non vi sono più vicende di giorni e di notti, né di freddo o di caldo. Ivi è un continuo giorno sempre sereno, una continua primavera sempre deliziosa. Ivi non vi sono più persecuzioni o invidie; in quel regno d'amore tutti s'amano teneramente, e ciascuno gode del bene dell'altro come fosse suo. Non vi sono più timori, perché l'anima confermata in grazia non può più peccare e perdere il suo Dio. «Ecce nova facio omnia». Ogni cosa è nuova, ed ogni cosa consola e sazia. «Totum est quod velis». Ivi sarà contentata la vista, in rimirare quella città di perfetta bellezza: «Urbs perfecti decoris» (Thren. 2. 15).2 Che delizia sarebbe vedere una città, dove il pavimento delle vie fosse di cristallo, i palagi d'argento con i soffitti d'oro, e tutt'adorni di festoni di fiori? Oh quanto sarà più bella la città del paradiso! Che sarà poi vedere que' cittadini tutti vestiti alla regale, poiché tutti sono re, come parla S. Agostino:3 «Quot cives tot reges!» Che sarà veder Maria,


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che comparirà più bella che tutto il paradiso! Che sarà poi vedere l'Agnello divino, lo sposo Gesù! Santa Teresa4 appena vide una volta una mano di Gesu-Cristo, rimase5 stupida per tanta bellezza. Sarà contentato l'odorato con quegli odori, ma odori di paradiso. Sarà contentato l'udito colle armonie celesti. S. Francesco6 intese una volta da un angelo una sola arcata di viola, ed ebbe a morirne per la dolcezza. Che sarà sentir tutt'i santi e gli angeli cantare a coro le glorie di Dio! «In saecula saeculorum laudabunt te» (Ps. 83. 5). Che sarà udir Maria che loda Dio! La voce di Maria in cielo, dice S. Francesco di Sales,7 sarà come d'un uscignuolo8 in un bosco, che supera il


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canto di tutti gli altri uccellini, che vi sono. In somma ivi son tutte le delizie, che possono desiderarsi.

Ma queste delizie sinora considerate sono i minori beni del paradiso. Il bene che fa il paradiso è il sommo bene ch'è Dio. «Totum quod exspectamus (dice S. Agostino),9 duae syllabae sunt, Deus». Il premio che il Signore ci promette, non sono solamente le bellezze, le armonie e gli altri gaudi di quella città beata: il premio principale è Dio medesimo, cioè il vedere e l'amare Dio da faccia a faccia. «Ego ero merces tua magna nimis» (Gen. 15. 1).10 Dice S. Agostino11 che se Dio facesse veder la sua faccia a' dannati, «continuo infernus ipse in amoenum converteretur paradisum» (Tom. 9. de Tripl. habit.). E soggiunge che se ad un'anima uscita da questa vita stesse ad eleggere o di veder Dio e star nelle pene dell'inferno, o pure di non vederlo ed esser liberata dall'inferno, «eligeret potius videre Dominum, et esse in illis poenis».12

Questo gaudio di vedere e amar Dio da faccia a faccia, da noi in questa vita non può comprendersi; ma argomentiamone qualche cosa dal saper13 per prima che l'amor divino è così dolce, che anche in questa vita è giunto a sollevar da terra non solo l'anime, ma ancora i corpi de' santi. S. Filippo Neri14 fu una volta rapito in aria con tutto lo scanno a cui s'afferrò. S. Pietro d'Alcantara15 fu anche alzato


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da terra abbracciato ad un albero svelto sin dalle radici. In oltre sappiamo che i santi martiri per la dolcezza dell'amor divino giubilavano negli stessi tormenti. S. Vincenzo mentr'era tormentato, parlava in modo (dice S. Agostino)16 che «alius videbatur pati, alius loqui». S. Lorenzo stando sulla graticola sul fuoco, insultava il tiranno: «Versa, et manduca»; sì, dice lo stesso S. Agostino,17 perché Lorenzo, «hoc igne (del divino amore) accensus non sentit incendium». In oltre, che dolcezze prova un peccatore in questa terra, anche in piangere i suoi peccati! Onde dicea S. Bernardo:18 «Si tam dulce est flere pro te, quid erit gaudere de te». Che suavità19 poi non prova un'anima, a cui nell'orazione se le scopre con un raggio di luce la divina bontà, le misericordie che l'ha usate e l'amore che l'ha portato e porta Gesu-Cristo! si sente allora l'anima struggere, e venir meno per l'amore. E pure in questa terra noi non vediamo Dio com'è: lo vediamo allo scuro. «Videmus nunc per speculum in aenigmate, tunc autem facie ad faciem» (1. Cor. 13. 12). Al presente noi abbiamo una benda avanti gli occhi, e Dio sta sotto la portiera della fede, e non si fa da noi vedere; che sarà quando dagli occhi nostri si toglierà la benda, e s'alzerà la portiera, e vedremo Dio da faccia a faccia? vedremo quant'è bello Dio, quant'è grande, quant'è giusto, quant'è perfetto, quant'è amabile e quant'amoroso.


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Affetti e preghiere

Ah mio sommo bene, io sono quel misero, che vi ho voltate le spalle, ed ho rinunziato al vostro amore. Perciò non sarei più degno né di vedervi, né di amarvi. Ma Voi siete quegli,20 che per aver compassione di me, non avete avuto21 compassione di Voi, condannandovi a morir di dolore svergognato su d'un legno infame. La vostra morte dunque mi a sperare, che un giorno avrò da vedere e godere la vostra faccia, con amarvi allora con tutte le mie forze. Ma ora che sto in pericolo di perdervi per sempre, ora che mi trovo di avervi già perduto co' miei peccati, che farò nella vita che mi resta? seguiterò ad offendervi? No, Gesù mio, io detesto con tutto l'odio l'offese che v'ho fatte; mi dispiace sommamente di avervi ingiuriato, e v'amo con tutto il cuore. Discaccerete22 da Voi un'anima, che si pente e v'ama? No, già so quel che Voi avete detto, che non sapete, amato mio Redentore, discacciar niuno che viene pentito a' piedi vostri: «Eum qui venit ad me, non eiiciam foras» (Io. 6. 37). Gesù mio, io lascio tutto, e mi converto a Voi; v'abbraccio, vi stringo al mio cuore; abbracciatemi e stringetemi al vostro Cuore ancora Voi. Ardisco di parlare così, perché parlo e tratto con una bontà infinita: parlo con un Dio, che si è contentato di morire per amor mio. Caro mio Salvatore, datemi perseveranza nel vostro amore.

Cara Madre mia Maria, per quanto amate Gesu-Cristo ottenetemi questa perseveranza. Così spero, così sia.




1 [9.] Apoc., 21, 4-5.



2 [19.] Thren., 2, 15: «Haeccine est urbs, dicentes, perfecti decoris, gaudium universae terrae?»



3 [24.] ANSALONE P., Esercizi spirituali o vero sollievo all'esercitante, disc. 15 del paradiso; Op. spir., II, Napoli 1721, 418: «Goderanno la compagnia di tanti beati, de' quali dice S. Agostino, quot socii, tot gaudia, ogni beato è una sorgiva di gioia... L'ambasciadore di Epiro venuto in Roma, ritornossene attonito dicendo: Vidi quot cives, tot reges, io ho veduto quanti cittadini romani, tanti re di corona; dicasi ciò con verità dei cittadini del cielo, quot cives, tot reges, ogni beato è re di corona». Il concetto riferito da s. Alfonso non manca in s. Agostino: Annotationes in Iob, c. 36; PL 34, 865. CSEL 28 (2), 588; Enarrat. in Ps. LXVII, nn. 20-21; PL 36, 825-26. CC 39, 883-84, ecc. Il testo citato da Ansalone proviene dallo Ps. AUGUST., Liber de spiritu et anima, c. 57; PL 40, 822-23: «Tantum enim unusquisque gaudebit de beatitudine alterius,

quantum de suo gaudio ineffabili; et quot socios habebit, tot gaudia habebit... Quotquot ibi sunt, dii sunt». L'autore di questo scritto è ALCHER. di Clairvaux (cfr. Glorieux, 27). Circa il tessalo Cinea, ministro del re Pirro, inviato nel 279 a Roma, vedi PLUTARCHUS, Vitae parallelae, Pyrrhus, XX, 6; I, Parisiis (Firmin-Didot), 471: «Ferunt Cineam, interim dum legationem obiret, operae pretium duxisse, uti in vitas Romanorum inspiceret et reipublicae virtutes cognosceret, habitis cum praestantissimis Romanorum sermonibus: eumque inter alia Pyrrho dixisse, Romanum senatum sibi regum multorum concilium visum fuisse; et de populi multitudine, vereri se, ne contra Lernaeam aliquam hydram sit pugnandum», ecc.



4 [2.] S. TERESA, Vita, c. 28; Opere spirit., I, Venezia 1643, 115: «Stando io un giorno in orazione, volle sua Maestà mostrarmi le sue mani, di così eccessiva bellezza che non potrei io esagerarlo... Indi a pochi giorni vidi anco quella divina faccia, che del tutto mi pare lasciommi assorta». Cfr. Libro de la vida, c. 28; Obras, I, Burgos 1915, 218. Stupida cioè presa da stupore.



5 [3.] rimase) e rimase NS7.



6 [5.] S. BONAVENTURA, Legenda S. Francisci, c. V, n. 11; Opera, VIII, Ad Claras Aquas 1898, 519: «Nocte enim quadam vigilante ipso et meditante de Domino, repente insonuit citara quaedam harmoniae mirabilis et suavissimae melodiae. Non videbatur aliquis… Spiritu in Deum directo, tanta fuit in illo dulcissimo carmine suavitate perfruitus, ut aliud se putaret saeculum commutasse».



7 [9.] S. FRANCESCO DI SALES, Trattato dell'amor di Dio, l. V, c. 11; Opere, II, Venezia 1748, 303, 305: «Così, Teotimo, fra tutti i cori degli uomini e quelli degli Angioli odesi la sovrana voce della SS. Vergine, che innalzata sopra di tutti dà maggiori lodi a Dio che tutto il resto delle creature... Quegli che avendo nel mattino udito lungamente nel vicino bosco un grazioso garrire di una gran quantità di ligurini, cardellini ed altri piccioli uccelletti, udendo finalmente un maestro rosignuolo che colla sua maravigliosa voce riempie con perfetta melodia l'aria e l'orecchie; senza dubbio preferisce questo canto solo boscareccio a tutti gli altri; così dopo essersi udite tutte le lodi che tante differenti creature danno l'une all'invito dell'altre al Creatore, ascoltandosi finalmente quelle del Salvatore, vi si ritrova una sicura infinità di meriti di valore e di soavità che trapassa ogni speranza, ed ogni attenzione di cuore». Cfr. Traité de l'amour de Dieu, l. V, c. 11; Oeuvres, IV, Annecy 1894, 292, 294.



8 [10.] uscignuolo) usignuolo BR1 BR2.



9 [5.] Opera S. Augustini, IX, Lugduni 1562, 746: «Et quid diximus? Deus, quid diximus? Duae istae syllabae sunt totum quod exspectamus». Cfr. S. AUGUST., In epist. Ioan. ad Parthos, tr. IV, n. 6; PL 35, 2009: «Quidquid dicimus quod dici non potest, quidquid volumus dicere, Deus vocatur. Et quod dicimus Deus, quid dicimus? Duae istae syllabae sunt tantum quod exspectamus».



10 [9.] Gen., 15, 1: «Ego protector tuus sum, et merces tua magna nimis».



11 [10.] Ps. AUGUSTINUS, De triplici habitaculo, c. IV; PL 40, 995: «Cuius faciem si omnes carcere inferni inclusi viderent, nullam poenam, nullum dolorem, nullamque tristitiam sentirent; cuius praesentia si in inferno cum sanctis habitatoribus appareret, continuo infernus in amoenum converteretur paradisum». È in Appendice delle opere di s. Agostino, ma non è autentico (cfr. Glorieux, 28).



12 [15.] GISOLFO P., op. cit., I, 537, attribuisce a s. Agostino il testo: «Si daretur optio damnatis, vel exire de illis poenis, et non videre, vel videre Deum in illis poenis? Eligerent potius videre Deum, et esse in illis poenis». Vedi pure Opera S. Thomae, opusc. LXIII de beatitudine, c. 3; XVII, Romae 1570, f. 100, col. 3: «In ea tana est delectatio, quod teste Augustino, si possent mali, mallent esse in poenis et Deum videre, quam esse extra poenas et Deum non videre». I critici rigettano come spurio quest'opuscolo: cfr. Opuscula theologica, I, Taurini 1954, XV.



13 [18.] saper) sapere VR BR1 BR2.



14 [20.] BACCI, Vita di S. Filippo Neri fiorentino, l. III, c. 1, nn. 10-17; Bologna 1686, 192, ss.



15 [21.] MARCHESE F., Vita

di S. Pietro d'Alcantara, Venezia 1702, 7, 37, 53, 176, ecc. Cfr. Acta SS. Bolland., De S. Petro de Alcantara (die 19 oct.), 56, Parisiis 1865, 623, ss.



16 [4.] S. AUGUST., Sermo 270, n. 1; PL 38, 1254: «Tanta poena erat in membris, tanta securitas in verbis, tamquam alius torqueretur, alius loqueretur».



17 [6.] S. AUGUST, Sermo 303, n. 1; PL 38, 1394: «Denique flamma ustus, sed patientia tranquillus: Iam, inquit, coctum est; quod superest, versate me et manducate». Vedi anche il Sermo 206, n. 1; PL 39, 2127 (in Appendice delle opere di S. Agostino) si legge: «Hoc igitur igne etiam beatus Laurentius accensus, flammarum non sentit incendia» (cfr. Glorieux, 25).



18 [9.] Ps. BERNARDUS, Scala claustralium, c. VI, n. 7; PL 184, 479: «O Domine Iesu, si adeo dulces sunt istae lacrymae quae ex memoria et desiderio tui excitantur, quam dulce erit gaudium quod ex manifesta tui visione capietur? Si adeo dulce est flere pro te, quam dulce erit gaudere de te?» In Appendice delle opere di s. Bernardo, ma è di GUIGO II di Chartres (cfr. Glorieux, 71).



19 [10.] suavità) soavità VR BR1 BR2.



20 [4.] quegli) quello ND1 VR ND3 BR1 BR2 NS7: la correzione è autografa: «quegli» BM (1761).



21 [5.] avuto, om. NS7.



22 [13.] discaccerete) discaccierete BR1 BR2.






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