Copertina | Indice: Generale - Opera | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText |
S. Alfonso Maria de Liguori Apparecchio alla Morte IntraText CT - Lettura del testo |
PUNTO III
Consideriamo per ultimo le condizioni della preghiera. Molti pregano e non ottengono, perché non pregano come si dee. «Petitis et non accipitis, eo quod male petatis» (Iac. 4. 3). Per ben pregare primieramente vi bisogna umiltà. «Deus superbis resistit, humilibus autem dat gratiam» (Iac. 4. 6). Dio non esaudisce le domande1 de' superbi, ma all'incontro non fa partire da sé le preghiere degli umili senza esaudirle. «Oratio humiliantis se nubes penetrabit, et non discedet, donec Altissimus aspiciat» (Eccli. 35. 21). E ciò, benché per lo passato sieno stati peccatori. «Cor contritum et humiliatum Deus non despicies» (Ps. 50).2 Per secondo vi bisogna confidenza. «Nullus speravit in Domino, et confusus est» (Eccli. 2. 11). A tal fine ci insegnò Gesu-Cristo che cercando3 le grazie a Dio non lo chiamiamo con altro nome che di Padre (Pater noster); acciocché lo preghiamo con quella confidenza, con cui ricorre un figlio al proprio padre. Chi cerca4 dunque con confidenza ottiene tutto: «Omnia quaecunque orantes petitis, credite quia accipietis, et evenient vobis» (Marc. 11).5 E chi può temere, dice S. Agostino,6 ch'abbia a mancargli ciò che gli viene promesso dalla stessa verità ch'è Dio? «Quis falli metuit, dum promittit veritas?» Non è Dio come gli uomini, dice la Scrittura, che promettono e poi mancano, o perché mentiscono allorché promettono, o pure perché poi mutano volontà: «Non est Deus quasi homo, ut mentiatur, nec ut mutetur; dixit ergo, et non faciet?» (Num. 23).7 E perché mai, soggiunge8 lo stesso S. Agostino,9 tanto ci esorterebbe
il Signore a chieder le grazie, se non ce le volesse concedere? «Non nos hortaretur ut peteremus nisi dare vellet» (De Verb. Dom. Serm. 5). Col promettere Egli si è obbligato a concederci le grazie che gli domandiamo: «Promittendo debitorem se fecit»10 (S. Aug. ibid. Serm. 2).11
Ma dirà colui: Io son peccatore e perciò non merito d'esser esaudito. Ma risponde S. Tommaso12 che la preghiera in impetrar le grazie non si appoggia a' nostri meriti, ma alla divina pietà: «Oratio in impetrando non innititur nostris meritis, sed soli divinae misericordiae» (2. 2. qu. 178. a. 2. ad 1). «Omnis qui petit accipit» (Luc. 11. 10). Commenta l'autor dell'Opera imperfetta:13 «Omnis sive iustus, sive peccator sit» (Hom. 18). Ma in ciò il medesimo nostro Redentore ci tolse ogni timore, dicendo: «Amen, amen dico vobis, si quid petieritis Patrem in nomine meo, dabit vobis» (Io. 16. 23). Peccatori, (come dicesse) se voi non avete merito, l'ho io appresso mio Padre: cercate dunque in nome mio, ed io vi prometto che avrete quanto dimandate. Qui non però bisogna intendere che tal promessa non è fatta per le grazie temporali, come di sanità, di beni di fortuna e simili, poiché queste grazie molte volte il Signore giustamente ce le nega, perché vede che ci nocerebbero alla salute eterna. «Quid infirmo sit utile, magis novit medicus, quam aegrotus», dice S. Agostino14 (to. 3. c. 212). E soggiunge,15 che Dio16 nega ad alcuno per misericordia
quel che concede ad un altro per ira: «Deus negat propitius, quae concedit iratus». Onde le grazie temporali debbon da noi cercarsi sempre con condizione, se giovano all anima. Ma all'incontro le spirituali, come il perdono, la perseveranza, l'amor divino e simili debbon chiedersi assolutamente con fiducia ferma di ottenerle. «Si vos cum sitis mali (disse Gesu-Cristo), nostis bona data dare filiis vestris, quanto magis Pater vester de coelo dabit spiritum bonum petentibus se?» (Lucae 11. 13).
Bisogna sopra tutto17 la perseveranza in pregare. Dice Cornelio a Lapide (in Luc. cap. 11)18 che il Signore «vult nos esse perseverantes in oratione usque ad importunitatem». E ciò significano quelle Scritture: «Oportet semper orare» (Luc. 11).19 «Vigilate omni tempore orantes» (Luc. 21. 36). «Sine intermissione orate» (1. Thess. 5. 17). Ciò significano ancora quelle parole replicate: «Petite, et accipietis; quaerite, et invenietis; pulsate, et aperietur vobis» (Luc. 11. 9).20 Bastava l'aver detto «petite»; ma no, volle il Signore farc'intendere che dobbiamo fare come i mendici, che non lasciano di cercare21 d'insistere e di bussare la porta sin tanto che non han la limosina. E specialmente la perseveranza finale è una grazia che non si ottiene senza una continua orazione. Questa perseveranza non si può meritare da noi, ma colle preghiere, dice S. Agostino,22 che in certo modo si merita: «Hoc Dei donum suppliciter emereri potest: idest supplicando impetrari» (De dono persev. cap. 6). Preghiamo dunque sempre, e non lasciamo di pregare, se vogliamo salvarci. E chi è confessore, o predicatore, non lasci mai di esortare a pregare, se vuole veder salvate
l'anime. E come dice S. Bernardo,23 ricorriamo ancora sempre all'intercessione di Maria: «Quaeramus gratiam, et per Mariam quaeramus; quia quod quaerit invenit et frustrari non potest» (Serm. de Aquaeduct.).
Mio Dio, io spero che già mi abbiate perdonato, ma i nemici non lasceranno di combattermi sino alla morte; se non mi aiutate, tornerò a perdermi. Deh per li meriti di Gesu-Cristo vi cerco24 la santa perseveranza. «Ne permittas me separari a Te».25 E la stessa grazia vi cerco26 per tutti coloro che ora stanno in grazia vostra. Io sto certo, fidato sulla vostra promessa che mi darete la perseveranza, se io seguirò a domandarvela. Ma di questo io temo, temo nelle tentazioni di lasciare di ricorrere a Voi, e così di nuovo io ricada. Vi cerco27 dunque la grazia di non lasciar mai di pregare. Fate che nelle occasioni di ricadere, sempre io a Voi mi raccomandi ed invochi in mio aiuto i nomi ss. di Gesù e di Maria. Dio mio, così propongo e così spero di fare colla vostra grazia. Esauditemi per amore di Gesu-Cristo.
O Maria, Madre mia, impetratemi che ne' pericoli di perdere Dio, sempre io ricorra a Voi e al vostro Figlio.