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S. Alfonso Maria de Liguori Apparecchio alla Morte IntraText CT - Lettura del testo |
PUNTO III
Veniamo al terzo nemico, ch'è il peggiore di tutti, cioè la carne; e vediamo come abbiamo a difendercene. Per prima, coll'orazione; ma ciò l'abbiam già considerato di sopra. Per secondo col fuggir l'occasione, e questo vogliamo ora ben ponderare. Dice S. Bernardino da Siena1 che il più grande di tutti i consigli, anzi quasi il fondamento della religione, è il consiglio di fuggir le occasioni pericolose:2 «Inter consilia Christi unum celeberrimum, et quasi religionis fundamentum est, fugere peccatorum occasiones» (Tom. I. Serm. 21. a. 3. c. 3). Confessò una volta il demonio costretto dagli esorcismi,3 che tra tutte
le prediche quella che più gli dispiace, è la predica della fuga dell'occasione; e con ragione, perché il demonio si ride di tutti i propositi e promesse che fa un peccator che si pente, se colui non lascia l'occasione. L'occasione specialmente in materia di piaceri di senso è come una benda che si mette avanti gli occhi, e non fa vedere più alla persona né propositi fatti, né lumi ricevuti, né verità eterne, in somma la fa scordare di tutto e la rende come cieca. Questa fu la causa della ruina de' nostri primi progenitori, il non fuggir l'occasione. Dio avea proibito anche di toccare il frutto vietato: «Praecepit nobis Deus (disse Eva al serpente) ne comederemus, et ne tangeremus illud» (Gen. 3).4 Ma l'incauta «vidit, tulit, comedit». Prima cominciò a mirare il pomo, dipoi lo prese in mano, e poi lo mangiò. Chi volontariamente si mette nel pericolo, in quello resterà perduto. «Qui amat periculum, in illo peribit» (Eccli. 3. 27). Dice S. Pietro5 che il demonio «circuit quaerens quem devoret»; onde per rientrare in un'anima da cui è stato discacciato (dice S. Cipriano),6 che fa? va trovando l'occasione: «Explorat an sit pars, cuius aditu penetretur». Se l'anima si lascia indurre a mettersi nell'occasione, già di nuovo entrerà in lei il nemico e la divorerà. Dice in oltre Guerrico Abbate7 che Lazzaro risorse legato, «prodiit ligatus manibus, et pedibus»;8 e risorgendo così, tornò a morire. Povero (vuol dire questo autore) chi risorge dal peccato, ma risorge legato dall'occasione; questi ancorché risorgesse, pure tornerà a morire. Chi dunque vuole salvarsi, bisogna che lasci non solo il peccato, ma anche l'occasione di peccare, cioè quel compagno, quella casa, quella corrispondenza.
Ma dirai, ora ho mutata vita e non ci ho più mal fine con quella persona, anzi neppure tentazione. Rispondo: Nella Mauritania9 narrasi esservi certe orse, che vanno a caccia delle scimie; le scimie, vedendo l'orsa, si salvano sugli alberi, e l'orsa si stende sotto l'albero e si finge morta; quando poi vede scese le scimie, s'alza, le afferra e le divora. Così fa il demonio; fa vedere morta la tentazione, ma quando la persona è scesa poi a mettersi nell'occasione, fa sorgere la tentazione che la divora. Oh quante misere anime che frequentavano l'orazione, la comunione, e che poteano chiamarsi sante, col porsi poi all'occasione son rimaste preda10 dell'inferno. Si riferisce nell'Istorie11 ecclesiastiche
che una santa matrona, la quale facea l'officio pietoso di seppellire i martiri, una volta ne trovò uno, il quale non era ancora spirato, lo portò in sua casa, quegli guarì; che avvenne? coll'occasione vicina questi due santi (come poteano chiamarsi) prima perderono la grazia di Dio e poi anche la fede.
Ordinò il Signore ad Isaia che predicasse che ogni uomo è fieno: «Clama, omnis caro foenum» (Is. 40. 6).12 Qui riflette il Grisostomo e dice:13 È possibile che 'l fieno non arda, quando v'è posto il fuoco? «Lucernam in foenum pone, ac tum aude negare, quod foenum exuratur». E così dice poi S. Cipriano,14 è impossibile star nelle fiamme e non bruciare: «Impossibile est flammis circumdari, et non ardere» (De Sing. Cler.). La fortezza nostra, ci avverte il profeta, è come la fortezza della stoppa posta nella fiamma. «Et erit fortitudo vestra ut favilla stupae» (Is. 1. 32). Parimenti dice Salomone, pazzo sarebbe chi pretendesse camminar sulle brace senza bruciarsi: «Nunquid potest homo ambulare super prunas, ut non comburantur plantae eius?» (Prov. 6. 17).15 E così ancora è pazzo chi pretende di porsi all'occasione,16 senza cadere. Bisogna dunque fuggire dal peccato17 come dalla faccia del serpente: «Quasi a facie colubri fuge peccatum» (Eccli. 21. 1). Bisogna fuggire non solo il morso del serpe, dice Galfrido, non solo il toccarlo, ma anche l'accostarsegli vicino: «Fuge etiam tactus, etiam accessum». Ma quella casa, tu dici, quell'amicizia giova
agl'interessi miei. Ma se vedi già che quella casa è via dell'inferno per te «via inferi domus eius» (Prov. 7. 27), non ci è rimedio bisogna che la lasci, se vuoi salvarti. Ancorché fosse l'occhio tuo destro, dice il Signore, se vedi che ti è causa di dannarti, bisogna che lo svelli e lo gitti da te lontano. «Si oculus tuus dexter scandalizat te, erue eum, et proiice abs te» (Matth. 5. 30). E si noti la parola «abs te»; bisogna gittarlo non vicino, ma lontano: viene a dire che bisogna togliere ogni occasione. Dicea S. Francesco d'Assisi18 che il demonio tenta d'altra maniera le persone spirituali, che si son date a Dio, di quella che tenta i malviventi; al principio non cerca di legarle con una fune, si contenta legarle con un capello, poi le lega con un filo, poi con uno spago, indi con una fune, e così finalmente le strascina al peccato. E perciò chi vuol esser libero da questo pericolo, bisogna che spezzi a principio tutti i capelli, tutte le occasioni, quei saluti, quei regali, quei biglietti, e simili. E parlando specialmente di chi ha avuto l'abito nel19 vizio impuro, non gli basterà il fuggire le occasioni prossime: s'egli non fuggirà anche le rimote, pure tornerà a cadere.
È necessario a chi vuole veramente salvarsi stabilire e rinnovare continuamente la risoluzione di non volersi più separare da Dio, con andare spesso replicando quel detto de' santi: «Si perda tutto, e non si perda Dio». Ma non basta il solo risolvere di non volerlo più perdere, bisogna pigliare anche i mezzi per non perderlo. E il primo20 mezzo è il fuggir le occasioni, del che già si è parlato. Il 2. è frequentare i sacramenti della confessione e comunione. In quella casa che spesso si scopa, non ci regnano l'immondezze. Colla confessione si mantiene purgata l'anima, e con essa non solamente s'ottiene la remissione delle colpe, ma ancora l'aiuto per resistere alle tentazioni. La comunione poi si chiama pane celeste, perché siccome il corpo non può vivere senza il cibo terreno, così l'anima non può vivere senza questo cibo celeste. «Nisi manducaveritis carnem Filii hominis, et biberitis eius sanguinem, non habebitis vitam in vobis» (Io. 6. 54). All'incontro a chi spesso mangia questo pane, sta promesso che viverà in eterno:
«Si quis manducaverit ex hoc pane, vivet in aeternum» (Io. 6. 52). Che perciò il Concilio di Trento21 chiama la comunione medicina che ci libera da' peccati veniali, e ci preserva da' mortali: «Antidotum quo liberamur22 a culpis quotidianis, et a peccatis mortalibus praeservamur» (Trid. Sess. 13. c. 2). Il 3. mezzo è la meditazione, o sia l'orazione mentale. «Memorare novissima tua, et in aeternum non peccabis» (Eccli. 7. 40). Chi tiene avanti gli occhi le verità eterne, la morte, il giudizio, l'eternità, non caderà in peccato. Iddio nella meditazione c'illumina: «Accedite ad eum, et illuminamini» (Ps. 33. 6). Ivi ci parla e ci fa intendere quel che abbiamo da fuggire e quel che abbiamo da fare. «Ducam eam in solitudinem, et loquar ad cor eius» (Osea 2. 14). La meditazione poi è quella beata fornace, dove si accende il divino amore. «In meditatione mea exardescet ignis» (Ps. 38. 4). In oltre, come già più volte si è considerato, per conservarsi in grazia di Dio è assolutamente necessario il sempre pregare e chiedere le grazie che ci abbisognano; chi non fa l'orazione mentale, difficilmente prega, e non pregando certamente si perderà.
Bisogna dunque pigliare i mezzi per salvarsi e fare una vita ordinata. Nella mattina al levarsi fare gli atti cristiani di ringraziamento, amore, offerta e proposito, colla preghiera a Gesù ed a Maria, che lo preservino in quel giorno da' peccati. Dopo far la meditazione e sentir la Messa. Nel giorno poi la lezione spirituale, la visita al SS. Sagramento ed alla divina Madre. Nella sera il rosario, e l'esame di coscienza. La comunione più volte la settimana, secondo il consiglio del direttore, che stabilmente dee tenersi. Sarebbe molto utile ancor far gli esercizi spirituali in qualche casa religiosa. Bisogna onorare ancora con qualche ossequio speciale Maria SS. per esempio col digiuno del sabato. Ella si chiama Madre della perseveranza, e la promette a chi la serve: «Qui operantur in me, non peccabunt» (Eccli. 24. 31).23 Sopra tutto bisogna sempre domandare a Dio la santa perseveranza, e specialmente in tempo di tentazioni, invocando allora più spesso i nomi SS. di Gesù e di Maria, finché la tentazione persiste. Se farete così certamente vi salverete: e se non lo farete, certamente vi dannerete.
Caro mio Redentore vi ringrazio di questi lumi che mi date, e de' mezzi che mi fate conoscere per salvarmi. Io vi prometto di volerli stabilmente eseguire. Datemi Voi l'aiuto per esservi fedele. Vedo che Voi mi volete salvo, ed io voglio salvarmi, principalmente per compiacere il vostro Cuore, che tanto desidera la mia salute. Non voglio no, mio Dio, resistere più all'amore, che mi portate. Quest'amore ha fatto che mi sopportaste con tanta pazienza, mentre io vi offendeva. Voi mi chiamate al vostro amore, ed io altro non desidero che amarvi. V'amo, bontà infinita, v'amo, bene infinito. Deh vi prego per li meriti di Gesu-Cristo, non permettete ch'io vi sia più ingrato; o fatemi finire d'esservi ingrato, o fatemi finire di vivere. Signore avete cominciata l'opera, compitela ora: «Confirma hoc Deus quod operatus es in nobis».24 Datemi luce, datemi forza, datemi amore.
O Maria, Voi che siete la tesoriera delle grazie, Voi soccorretemi. Dichiaratemi per vostro servo qual io voglio essere; e pregate Gesù per me. Prima i meriti di Gesu-Cristo, e poi le vostre preghiere mi hanno da salvare.25
pietatis officium mulier ultro impendit, qui cum familiari iam consuetudine contractae, rigor omnis in eam mollitiem degeneravit, ut stuprum inferre non dubitavit». Cfr. S. MACARIUS AEGYPTIUS, Homiliae, hom. 27, n. 15; PG 34, 703.