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Sant'Alfonso Maria de Liguori
Breve aggiunta sulla comunione frequente

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Testo


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Ritrovandomi in fine della correzione di questa Istruzione che si ristampa*, mi è stato portato un altro libro più voluminoso de' due primi del signor Cipriano Aristasio, spettante la stessa controversia, di cui si è parlato nella mia risposta apologetica posta alla pag. 199. di questo tomo III. Il nuovo libro del mio avversario è intitolato: La difesa della dottrina di s. Francesco di Sales. Io l'ho letto con attenzione, ed ammiro e lodo la fatica, l'erudizione, e l'ingegno dell'autore; ed insieme lo ringrazio di quel che scrive di me in fine del libro, onorandomi contra ogni mio merito. Vedo già, che i punti tra noi controversi sopra questa materia della frequente comunione ben si sono discussi abbastanza, anzi più di quanto bastava; ho voluto nonperò aggiunger qui le seguenti brevi riflessioni per conclusione di tutto ciò che finora tra noi si è scritto.

In somma tutta la questione tra noi si riduce a due punti. Il primo, se può concedersi la comunione d'ogni domenica a chi sta per altro in grazia di Dio, ma tiene l'affetto a qualche peccato veniale. Il secondo, se lo stato coniugale sia per sé uno stato incompatibile colla comunione frequente.

In quanto al primo punto non può negarsi da una parte, che per dare ad una persona la frequente comunione non basta la sola disposizione di non aver coscienza di peccato mortale. All'incontro però non si può negare, che questa semplice disposizione basta per la comunione che non è frequente; altrimenti a chi tiene affetto a' peccati veniali dovrebbe vietarsi la comunione anche rara di poche volte l'anno. Raggirasi dunque la controversia a vedere, se la comunione d'ogni otto giorni sia frequente, o pure (per togliere di mezzo ogni questione di parole) sia tale, che abbia da proibirsi a chiunque tiene affetto a' peccati veniali. Il sig. d. Cipriano sostiene che sì; ma tutta, o quasi tutta la prova della sua sentenza consiste in somma nell'autorità di Gennadio, adottata da s. Francesco di Sales. Io lascio qui di parlare di ciò che ne scrisse il ven. p.m. Avila nella lettera posta nel libro dell'Audi filia, e più volte addotta dal mio oppositore, perché ivi l'Avila parla secondo la costumanza de' suoi tempi, e scrive generalmente, dicendo, che a molto pochi conviene frequentar questo misterio più che ogni otto giorni; ma non viene specialmente a discifrare il punto toccato da Gennadio dell'affetto a' peccati veniali.

Ma parlando del santo vescovo di Ginevra, e mio speciale avvocato, io dissi nella mia risposta apologetica, che s. Francesco scrisse ciò tirato dall'autorità di s. Agostino, credendo, che fosse già di s. Agostino quel testo, che in verità era di Gennadio nel suo libro de Eccles. dogm. cap. 53. citato già nel can. Quotidie 13. de consec. dist. 2. Dissi ciò, non già per notare il mio santo di poca accuratezza nel prender Gennadio per s. Agostino; poiché ognuno sa (come ben riflette il signor Aristasio), che in quei tempi non erano poste in chiaro le opere germane de' santi padri; ma lo dissi per dare a riflettere, che se avesse saputo s. Francesco (il quale era così propenso ad aiutare l'anime colla frequente comunione, come si scorge da quel che scrisse nel cap. 21. della sua Filotea), se avesse saputo, dico, che quell'autorità non era di s. Agostino, ma di Gennadio (molto contrario per altro a s. Agostino), è molto verisimile, che non avrebbe dato orecchio alla di lui sentenza.

Ma esaminiamo ora con modo più


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speciale il testo di Gennadio. Quello dice così: Quotidie eucharistiae communionem percipere, nec laudo, nec reprehendo. Omnibus autem dominicis diebus communicandum suadeo et hortor, si tamen mens sine affectu peccandi sit. Nam habentem adhuc voluntatem peccandi, gravari magis dico eucharistiae perceptione, quam purificari. Et ideo quamvis quis peccato mordeatur, peccandi de caetero non habeat voluntatem, et communicaturus satisfaciat lacrymis et orationibus, et confidens de Domini miseratione, qui peccata piae confessioni donare consuevit, accedat ad eucharistiam intrepidus et securus. Sed hoc de illo dico, quem capitalia et mortalia peccata non gravant. Nam quem mortalia crimina post baptismum commissa premunt, hortor prius publica poenitentia satisfacere, et ita sacerdotis iudicio reconciliatum communioni sociari, si vult non ad iudicium et condemnationem sui eucharistiam percipere. Sed et secreta satisfactione solvi mortalia crimina non negamus, sed mutato prius saeculari habitu, et confesso religionis studio per vitae correctionem, et iugi, imo perpetuo luctu, miserante Deo, dumtaxat ut contrarie pro his quae poenitet, agat, et eucharistiam omnibus dominicis diebus simplex et submissus usque ad mortem suscipiat. Tutto il dubbio dunque sta su quelle parole, si tamen mens sine affectu peccandi sit, se s'intendano dell'affetto di peccar mortalmente, o del peccar venialmente. Il signor Aristasio con s. Francesco di Sales l'intende dell'affetto di peccar venialmente; e lo ricava dalle parole, che son poste appresso: Sed hoc de illo dico, quem capitalia et mortalia peccata non gravant. Ma comunemente gli altri autori non meno dotti di s. Francesco di Sales l'intesero dell'affetto a peccar mortalmente, intendendole in questo modo, cioè, esser bene che tutti si comunichino nelle domeniche, purché la mente non abbia affetto di peccar mortalmente. Che se poi taluno attualmente fosse aggravato di peccati mortali, costui dee farne penitenza, dee riceverne l'assoluzione dal sacerdote, e poi può comunicarsi in tutte le domeniche, come siegue a dire Gennadio.

Ma a dimostrare che questo sia il sentimento comune di tutti gli altri, mi bisogna ripetere più cose già scritte nella mia risposta. E primieramente così l'intese il dottor s. Tommaso 1, il quale propone il quesito: Utrum effectus huius sacramenti (parlando dell'eucaristia) sit remissio peccati mortalis? e risponde che no, adducendone la ragione, quia non potest uniri Christo (quod fit per hoc sacramentum) dum est in affectu peccandi mortaliter. Et ideo ut dicitur in libro de ecclesiasticis dogmatibus (cap. 53.): Si mens in affectu peccandi est, gravatur magis eucharistiae perceptione, quam purificetur. Unde hoc sacramentum in eo, qui ipsum percipit in conscientia peccati mortalis, non operatur remissionem peccati. Il signor D. Cipriano cerca d'interpretar questa dottrina per l'affetto a' peccati veniali, dicendo, che s. Tommaso dalle parole di Gennadio ne tirava l'argomento a minori ad maius, cioè, se chi si comunica coll'affetto a' veniali, più tosto si aggrava, che si purifica, quanto più resterà aggravato chi si comunica con coscienza di peccato mortale? Ma con sua buona licenza non so, se questa interpretazione possa persuadere gli altri, mentre l'angelico dopo le parole, dum est in affectu peccandi mortaliter, immediatamente soggiunge, et ideo, ut dicitur in libro etc. Quell'et ideo, ut dicitur, chi non vede che corrisponde alle parole prima dette, peccandi mortaliter? Tanto più che s. Tommaso dichiara questo medesimo suo sentimento in altro luogo 2, dove affatto non può aver luogo l'interpretazione del mio avversario, scrivendo così il santo: Tertio modo dicitur aliquis indignus ex eo, quod cum voluntate peccandi mortaliter accedit ad eucharistiam; unde in libro de eccl. dogm. dicitur: si mens in affectu peccandi non sit.

Così lo spiegò anche la glossa nel citato canone quotidie; onde alle parole, mens sine affectu, soggiunge: Sed quando dicis, quod mens est sine affectu peccandi? credo, quod non proponit firmiter abstinere a quolibet peccato mortali; nisi sit ergo in tali proposito, nunquam debet accipere corpus Christi. Così anche l'intese s. Antonino 3, il quale disse lo stesso, restringendo in breve il testo di Gennadio. Hortor ad communicandum omnibus dominicis; sed hoc dico de illo, qui peccatis mortalibus non


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gravatur. Lo stesso intese Albino Flacco 1, scrivendo così: Si cecidisti graviter, si adhuc affectum peccandi habes, age fructus dignos poenitentiae, munda prius conscientiam; gravari poteris, non sublevari, si immundus accedis. Così anche scrisse Ugone di s. Vittore 2: Qui ergo de criminalibus nondum digne poenituerunt, adhuc in affectu peccandi sunt, vel aliquem hominem odio habent, corpus Christi non accipiant, ne moriantur. Porro qui peccare quievit, quamvis peccato adhuc mordeatur, peccandi tamen de caetero voluntatem non habeat, communicare non desinat. Lo stesso scrisse Incmaro arcivescovo di Rems 3: «Dobbiamo stare attenti, che non ci accostiamo all'altare del Signore con affetto di peccare, o dilettandoci del peccato, affinché non incorriamo ciò che minaccia s. Paolo; e qui parla di colui che si accosta, versando insidie nella mente, macchiato nel cuore di qualche scelleraggine ecCosì anche l'intese il p. Granata 4, il quale esorta con s. Agostino alla comunione, e poi dice: Ma coloro che non hanno lasciato l'affetto di peccare, come quelli che conservano ancora inimicizie, coloro che potendo non vogliono restituire ciò che malamente ritengono, coloro che tengono le concubine, costoro non risorgono, ma ec.

Così anche intesero il testo di Gennadio che parlasse dell'affetto a' peccati mortali Onorato Tournely 5, Claudio Frassen 6, Teofilo Raynaudo 7, Stapletone 8, Dualdo 9, ed altri, come Adriano VI. 10, il quale scrisse: Et ad verbum Augustini dico, quod intelligitur de morderi peccato mortali, et de voluntate peccandi mortaliter. Finalmente scrisse Domenico Soto 11: Ceterum testimonium illud Augustini 12, s. Thomas, et Scotus, et omnes de affectu peccati mortalis intelligunt; nam affectus venialium non obstat effectui huius sacramenti.

Molti altri autori poi generalmente dicono, che la comunione di ogni otto giorni può darsi a tutti, che stanno senza coscienza di peccato mortale. Giovanni Rusbrochio, parlando de' fedeli imperfetti, dice, che a costoro, se non sono de magnis peccatis sibi conscii, licebit eis dominicis, atque etiam aliis diebus, quando obtinere poterunt, ad sacramentum accedere 13. Il p. Suarez scrive: Raro alicui consulendum, ut frequentius quam octavo die communicent; e poi soggiunge: Non est omittenda huiusmodi frequentia propter sola peccata venialia, quia non est exiguus huius sacramenti fructus, quod in magnis peccatis impedit consensum 14. Il p. Taulero scrive: Fate dunque quel che vi consiglio, e sperando di non essere in peccato mortale, in ogni domenica comunicatevi 15.

E parlando degli autori più moderni, il p. Martino Wigandt scrive: Qui mortalia vitant, semel in hebdomada, et interdum bis (nimirum occurrente singulari festo) communicare possunt 16. Il Clericato questa regola molto aggiustata: Nullus est, cui menstrua communio consuli non possit. Pauci quibus communio hebdomadaria sit prohibenda. Paucissimi, quibus quotidiana sit concedenda. Tommaso Stapletone dottor di Lovanio dice della comunione d'ogni domenica: tutta la prova che vi si ricerca, consiste in non comunicare in peccato mortale, essendo l'uomo informato di fede, e carità, e di qualche riverenza dovuta al sagramento; quali cose son facili, se non vogliasi, che qui in sordibus est sordescat adhuc 17. Lo stesso dice Teofilo Raynaudo 18, scrivendo, che la comunione d'ogni domenica non dee negarsi ad alcuno, ma più presto consigliarsi ad ognuno, che non ha coscienza di colpa grave. E così dicono altri col p. Scaramelli (nel suo direttorio ascetico 19), il quale dice, che il direttore può e dee concedere la comunione ogni otto giorni a quelle anime che trova disposte all'assoluzione del sagramento della confessione. E soggiunge: Questo è sentimento comune de' padri spirituali, e presentemente par che sia la pratica di s. chiesa; cosa che ha tanto stomacato il mio oppositore,


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quando per altro questo detto non dovea cagionargli tanta stomacaggine, atteso il comun sentimento degli altri scrittori già riferiti, a' quali si aggiungono il m. Niccolò Turlot 1, il p. Niccolò Ruggiero 2, e 'l p. Pietro Colet continuatore di Tournely 3, ed altri da me rapportati nella risposta, i quali tutti convengono in esigere molta disposizione per la comunione di più volte la settimana, ma per quella d'ogni domenica dicono, che basta lo star senza colpa grave, e l'aver desiderio di conservarsi in grazia di Dio. Ma il signor d. Cipriano dice ch'egli non vuole scostarsi da quello che ha scritto s. Francesco di Sales. Ed io rispondo, benissimo; ma almeno non può condannare la nostra sentenza contraria, la quale da ciò che si è detto sembra certamente comune.

In quanto poi al secondo punto delle persone maritate, non v'è dubbio, che queste hanno più impedimenti a potersi spesso comunicare, e specialmente la cura della famiglia, e l'uso del matrimonio. Ma in quanto alla cura della famiglia, io scrissi nella mia risposta, che quando il comunicarsi spesso delle mogli apportasse disturbo a' mariti, e impedisse il buon governo della casa, deesi lor vietar la comunione frequente; ma quando tal disturbo, o disordine non vi fosse? Oltreché, come sa il signor Aristasio, lo stesso ven. p. Avila concede anche a' coniugati la comunione frequente, quando essi di consenso si dividono; onde dico, non esser impossibile a darsi il caso, che una persona maritata si comunichi spesso senza mancare al governo della famiglia; e perciò lascio di ripetere tutto l'altro che circa questo punto scrisse nella risposta. In quanto poi al commercio coniugale lascio similmente di ripeter la distinzione che fa in ciò il medesimo s. Francesco di Sales, seguito da Silvio, da Pignatelli, dal Petrocorense, cioè, che il cercare il debito, ma non il renderlo, impedisce la comunione.

Ultimamente ho osservato, che dello stesso sentimento è s. Tommaso l'angelico 4, il quale dice: Coitus coniugalis, si sit sine peccato (puta si fiat causa prolis generandae, vel causa reddendi debitum) non alia ratione impedit sumtionem huius sacramenti, nisi... propter immunditiam corporalem, et mentis distractionem etc. E poi soggiunge: Sed quia hoc secundum congruitatem, et non secundum necessitatem intelligendum, Gregorius dicit; quod talis est suo iudicio relinquendus. E qui è bene avvertire le altre parole che s. Gregorio aggiunse (notate già nel can. Vir cum propria 7. caus. 23. q. 4): Quia prohiberi a nobis non debet accipere, qui in igne positus, nescit ardere.

osta quel che dicesi nel decreto della s.c. del concilio approvato da Innocenzo XI.: In coniugatis autem hoc amplius animadvertant (confessarii), eum b. apostolus nolit eos invicem fraudari; nisi forte ex consensu ad tempus, ut vacent orationi, eos serio admoneant, tanto magis ob sacratissimae eucharistiae reverentiam, continentiae vacandum, puriorique mente ad coelestium epularum communionem esse vacandum. Non osta, dico, perché quel continentiae vacandum s'intende active, non già passive; mentre il contenersi importa il non chiedere, ma non già importa il non rendere, poiché il rendere è d'obbligo; sicché non può dirsi del coniuge, il quale rende, ch'egli non attende alla continenza.

Si aggiunge a ciò l'autorità di s. Agostino riferito dal p. Gio. Lorenzo Berti nella sua teologia 5, il quale scrive: Placet autem mihi admodum regula s. Francisci Salesii lib. Philoteae, ubi c. 20. docet, a proxime communicaturo coniugale debitum non esse petendum, nil vero afferre impedimenti, si ei qui petit reddatur; nam, ut inquit s. pater Augustinus 6: Pro sanctificatione perfecta Deus tibi computabit, si non quod tibi debetur exigis, sed reddis quod debetur uxori.

Or concludiamo per l'uno e per l'altro punto. Circa il dover negare la comunione d'ogni otto giorni, come tiene il signor d. Cipriano, a chi ha l'affetto a qualche colpa veniale, si lamenta il medesimo, ch'io abbia fatto concetto di lui, che per mero impegno abbia egli cominciato e seguito a difender questa sua sentenza. Dico la verità, a principio, quando la lessi, mi parve un soverchio


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rigore, almeno secondo l'uso de' tempi presenti, poiché non mai io avea stimata per frequente la comunione d'ogni settimana. È vero, che quando una persona secolare intrigata negli affari del mondo si comunica ogni domenica, suol dirsi ch'ella frequenta i sagramenti; ma, parlando assolutamente, e generalmente per tutti, la comunione d'ogni domenica, almeno oggidì, non si giudica frequente, ma frequente si giudica quella che si fa più volte la settimana: per esempio una persona divota, che attende allo spirito, che fa orazione mentale, fa vita ritirata e mortificata, se questa si comunica solamente la domenica, non si dice che frequenta la comunione. Del resto a' secolari che evitano le colpe gravi, o pure di rado vi cadono, mi è paruto sempre conveniente il consigliar loro, che si confessassero e comunicassero ogni otto giorni, per aver forza di resistere alle tentazioni, da cui frequentemente son molestati praticando col mondo; ed in fatti ben si vede coll'esperienza, che coloro i quali si comunicano ogni otto giorni, o non mai, o di rado commettono peccati mortali. Fra questa sorta poi di persone di mondo è difficile trovare chi non abbia attacco a qualche cosa di terra, il quale attacco non va esente da colpa veniale: chi tiene attacco al vestire con pompa chi a' cibi gustosi benché nocivi alla sanità, chi all'interesse, chi alla caccia, chi al gioco, e cose simili. Onde il privarlo per simili attacchi della comunione d'ogni settimana, che desidera fare per mantenersi in grazia di Dio, mi pareva (torno a dire) una rigidezza eccessiva. Ma vedendo poi, che 'l signor Aristasio parla con tanta sincerita in questa ultima sua opera, e si protesta, ch'egli ha scritto così perché veramente così la sente, io voglio crederlo; ma io non potrei senza scrupolo di coscienza (com'egli vorrebbe) ritrattare il mio sentimento; poiché, ordinariamente parlando, a me pare, che senza scrupolo non possa vietarsi la comunione d'ogni domenica a chi vive lontano da' peccati mortali, e la desidera per non inciamparvi.

In quanto finalmente alla comunione delle maritate, non si nega ch'elle hanno più impedimenti, come ho detto, a poterla frequentare; ma questo non fa che alcuna di esse non possa ritrovarsi in tali circostanze di cose, che ben le convenga di comunicarsi spesso; e ciò dipende dal giudizio del confessore, come si dichiara già nel decreto approvato da Innocenzo XI. Del resto quisque in suo sensu abundet. E giacché si è scritto sovra i mentovati due punti più che a bastanza, pregherei il signor d. Cipriano ad impiegare la sua abilità in opere più utili. Va girando per Napoli il pestifero libro, picciolo di mole, ma grande d'empietà, intitolato l'Esprit; sarebbe una fatica di molta gloria di Dio, e molto desiderata da' buoni, se egli imprendesse a confutarlo, mentre il Signore ben gli ha donato il talento di farlo. Vorrei poterlo far io, ma io non ho né talento, né sanità, né tempo per un tal affare.

 




* Intende dell'Istruzione e Pratica per i confessori , della ristampa di Napoli 1765., dove a p. 401. e seg. sta inserita la presente operetta.

1 3. p. q. 79. a. 3.



2 Id. in 1. ad Cor. 2. XI. lect. 7.



3 P. 3. tit. 14. c. 12. §. 5.

1 Albin. confes. fid. p. 4. n. 7.



2 Tract. de anima l. 3. c. 50.



3 Op. 2. ad Carol. II. de cavendis etc. c. 12.



4 Conc. 1. in fer. V. in coena dom.



5 De sacr. poen. t. 9. p. 297.



6 De poen. publ. t. 1. §. 2. a. 4.



7 Heter. Sp. sect. 1. p. 4. n. 13.



8 Orat. acad.



9 In c. Omnis ad §. 2.



10 De sacr. euch. p. 28.



11 T. 1. in 4. disp. 20. q. 2. a. 3.



12 De eccl. dogm. c. 53. quod. refertur de consec. dist. 2. can. Quotidie.



13 Rusbroch. spec. aetern. salut. coll. 1552. c. 11.



14 Suar. t. 3. in 3. p. s. Tho. q. 80. a. 11. sect. 5.



15 Tauler. serm. in dom. 7. post. trinit.



16 Wig. tract. 12. exam. 4. de euch. cas. 6. q. 9.



17 Staplet. orat. acad. p. 328.



18 Heterocl. Sp. sect. 1. q. 4. n. 27.



19 Scaram. t. 1. tract. 1. a. 10. c. 6.

1 Tesoro di dottr. t. 2; p. 4. c. 22.



2 Primo indirizzo c. 3. §. 1.



3 De euch. p. 1. c. 8. concl. 3.



4 3. p. q. 80. a. 7. ad. 2.



5 T. 3. l. 33. c. 17. n. 1.



6 Psal. 149.




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