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Sant'Alfonso Maria de Liguori Confessore diretto…campagna IntraText CT - Lettura del testo |
PUNTO III. Della restituzione.
§. I Delle radici della restituzione, e della colpa che vi si richiede.
15. La restituzione si definisce: Est actus iustitiae commutativae, quo reparatur damnum illatum proximo per iniuram. Si dice per 1. actus iustitiae commutativae, perché non è tenuto a restituire chi offende la giustizia legale che riguarda l'osservanza delle leggi; o la distributiva, che riguarda i soli meriti delle persone; ma solo chi offende la commutativa, che riguarda il ius che ha il prossimo sovra le sue robe. Si dice per 2. damnum illatum per iniuriam, mentre per l'obbligo grave della restituzione vi bisognano due cose, cioè per prima l'influsso positivo grave, ed esterno al danno del prossimo: per secondo l'ingiuria grave verso il padrone.
16. Due poi sono le radici da cui nasce l'obbligo della restituzione; la prima ex iniusta acceptione, a cui s'unisce la radice ex iniusta damnificatione: la seconda, ex iniusta retentione, a cui si unisce la radice ex obligatione contractus. In oltre i dd. assegnano due sorte di colpe, la teologica, che spetta alla coscienza, ed è propriamente il peccato: e la giuridica, che spetta al foro esterno; e questa si divide poi in lata, leve e levissima, le quali tutte si spiegano nell'Istruzione3.
17. Ciò posto dee sapersi che la sola colpa teologica obbliga in coscienza alla restituzione; poiché, affinché la coscienza resti obbligata, bisogna che nella coscienza sia stato il delitto; ed acciocché vi sia l'obbligo grave della coscienza, bisogna che grave ancora sia stato il peccato4. La colpa veniale poi, se è veniale per ragion che la materia è stata parva, obbliga a restituire, ma solo sotto colpa leggera; ma se è veniale per ragion che l'avvertenza non è stata piena o il consenso non è stato perfetto (condizioni amendue necessarie a costituire il peccato mortale, come si disse al c. III. n. 1. e 2.), allora benché la materia sia stata grave, secondo la sentenza più comune e più probabile di Lessio, Azorio, Sa, p. Navarr., Sanch., Roncaglia e d'altri molti, non v'è obbligo alcuno di restituire5. Se poi ne' contratti per l'obbligo di restituire il danno avvenuto basti la sola colpa giuridica, vedi quel che si dice nell'Istruzione6.
§. II. De' cooperanti che sono tenuti alla restituzione.
18. Questi cooperanti si comprendono ne' seguenti due versi:
Iussio. II. Consilium. III. Consensus. IV. Palpo. V. Recursus.
VI. Participans. VII. Mutus, non obstans, non manifestans.
19. I. Iussio. S'intende il mandante che comanda ad altri di fare il danno. Il mandante sempreché rivoca il mandato, con farlo noto al mandatario prima
di succedere il danno, non è tenuto più a niente.
20. II. Consilium. S'intende chi consiglia il danno, il quale ben è tenuto alla restituzione contra la propos. 39., dannata da Innoc. XI. Ma si noti per 1., che il consulente non è tenuto alla restituzione di materia grave, quando non vi ha peccato gravemente; ma è tenuto però per giustizia ad impedire il danno, quando può almeno senza suo grave incomodo. Si noti per 2. che il consulente non è tenuto a niente quando l'esecutore era già determinato a fare il danno, come dicono i dd. da san Tommaso1, dove insegna, che per la restituzione non basta l'ingiuria fatta, ma vi bisogna ancora la vera illazione del danno2. Nel dubbio poi se il consiglio sia stata la causa, o no del danno fatto, se il consulente sia tenuto alla restituzione; è molto probabile l'opinione negativa di Silvestro, p. Navarr., Salmatic. e d'altri; perché non si dee imporre l'obbligo certo di restituire a chi non è certo d'essere stato causa del danno. E ciò si conferma da quel che dice s. Tommaso, cioè che allora solamente è tenuto il consulente o l'adulatore a restituire quando probabiliter aestimari potest quod ex huiusmodi causis fuerit iniusta acceptio subsecuta3. Quel probabiliter s'intende senza probabilità in contrario, cioè moralmente certo4. Se poi alcuno già fosse determinato a fare il danno, e tu gli consigliassi il modo di farlo, o l'abbreviamento del tempo; o pure se gl'insinuassi a fare un danno minore; vedi quel che si dice nell'Istr.5. Se poi il consulente rivocando il consiglio prima di avvenire il danno, resti disobbligato; par che sia più probabile la sentenza de' dd., i quali dicono, che quando il consiglio non è stato semplice, ma con quello siasi di più insinuata la ragione o il modo di fare il danno, egli sia tenuto alla restituzione; del resto non giudichiamo improbabile la contraria di s. Antonin., Merbesio, Navarr., Azor., Salmat., Concina ecc., i quali anche in tal caso lo scusano6.
21. III. Consensus. S'intende di colui che ingiustamente dà il suo voto, e con quello è causa del danno7. IV. Palpo. S'intende l'adulatore che anima altri a fare il danno. V. Recursus. S'intende di colui che somministra al ladro il ricovero della persona o della roba furata. Questi è tenuto a restituire, quando è causa de' furti futuri: ma non già se ricetta le robe rubate, o il ladro come amico, o per l'officio d'oste ch'esercita8. Qui si fa la questione, se 'l compratore della roba rubata possa restituirla al ladro affin di ricuperare il suo prezzo. Altri lo negano, ma molto più comune ed anche più probabile è la sentenza di s. Antonino, Soto, Navarr., Less., Lugo, ed altri, che l'affermano; perché il compratore, avendogli venduta il ladro una roba non sua, ha ius di rescindere il contratto, ma non può rescinderlo senza restituir la roba al venditore. E questa ragione vale anche per lo compratore di mala fede9.
22. VI. Participans. Il partecipante può intendersi in due modi: quegli che partecipa della roba furata, il quale è tenuto a restituire la parte che riceve: e quegli che partecipa, o sia che ha parte nell'azione del furto. Ma sopra il partecipante in questo secondo modo si fanno più quesiti. Si dimanda per 1. se ciascuno dei partecipanti che concorre al danno, sia tenuto a restituire in solido tutto il danno fatto. Si distingue: se la roba è dividua, come un mucchio di grano, un magazzino di robe, allora il principal motore è tenuto a tutto, e prima di tutti; gli altri poi alla sola parte che loro è toccata, quantunque abbiano rubato di comun parere, ma senza che l'uno abbia mosso l'altro, come dicono Navar., Less., Lugo, Bonacina, Salm. ec. Altrimenti poi, se tutti rubando di comun consiglio l'uno abbia mosso, o almeno animato l'altro a fare il furto, perché allora ciascuno è tenuto a restituire intieramente il danno, non restituendo gli altri. Benché qui bisogna avvertire, che in quanto alla pratica i rozzi difficilmente giungono a persuadersi di dover restituire quel che han preso gli altri. Onde se mai il confessore vede che taluno di costoro sta in buona fede, e non è di coscienza molto timorata, meglio è che l'esorti in generale a restituire quel che gli detta la coscienza senza spiegare che sia obbligato al tutto. Tanto più che in tal caso presumesi che i padroni ben
si contentino della sola loro parte, per timore di non ricever nulla, se si costringono i ladri a restituir tutto1.
23. Se poi la roba è individua, v. g. se molti bruciano una casa, affondano una barca, qui si dimanda se ciascuno che coopera è tenuto in solido alla restituzione. L'affermano probabilmente Soto, Sanch., Gaetano, i Salmat., ecc. Ma molti altri anche probabilmente lo negano, come Navar., Silvestr., Lugo, Sporer ecc., i quali dicono, che ciascuno in tal caso è tenuto secondo quella sola parte di casualità, o sia d'influsso, che appone al danno che succede. Ma ciò s'intende, sempreché il danno sarebbe avvenuto anche senza il suo concorso; perché nel caso che mancando alcuno de' cooperatori il danno non sarebbe accaduto, allora (o che il danno sia stato dividuo o individuo), ciascuno senza dubbio è tenuto a tutto2.
24. Si dimanda per 2. se colui che per timore di qualche grave suo danno coopera al danno d'altri, sia scusato talvolta dal peccato e dalla restituzione. In quanto alla restituzione, allora può essere scusato il cooperante, quando il danno che gli sovrasta fosse molto maggiore del danno del prossimo, v. g. per evitare la mia morte o l'infamia, io ben posso cooperare al danno delle robe altrui; né allora son tenuto alla restituzione, perché nel caso di estrema necessità il prossimo è tenuto di cedere alla sua roba per salvare a me la vita o la fama. In quanto poi al peccato per ragion della mia cooperazione alla colpa del ladro, io ben posso cooperare materialmente (per esempio) al furto che intende di far il ladro quando ne ho giusta e grave causa: come sarebbe se il ladro mi minacciasse la morte, s'io non l'aiuto a trasportare la roba furata. Non posso però per qualunque timore far qualche azione che influisse ad aumentare o confermare la mala volontà del ladro, come sarebbe il guardargli le spalle o avvisargli l'ora o dargli il modo più attento ad eseguir il furto, perché tali azioni sono formalmente ed intrinsecamente male3. Se poi sarebbe tenuto alla restituzione uno che impedisse chi volesse impedire il danno del prossimo, diciamo che sì4.
25. VII. Mutus, non obstans, non manifestans. S'intendono quelli che per patto o per officio debbono impedire il danno, come sono i custodi, i tutori, gli amministratori, i magistrati, i satelliti, i comandanti de' soldati, e simili, e non l'impediscono; tutti questi son tenuti a restituire l'intiero danno5. I servi son tenuti sotto pena di restituzione ad impedire il danno che fanno gli estranei, ma non già quel che fanno gli altri domestici; purché non sieno dal padrone destinati specialmente per custodi della casa, come si disse al c. VII. n. 8.
26. Qui si noti per 1. che tra' cooperanti è tenuto alla restituzione, primo chi tiene la roba: poi il mandante, se la roba non esista: poi l'esecutore, poi le cause positive, come sono il consulente, il partecipante ec., in fine l'altre cause negative. Si noti per 2. che se il creditore libera dalla restituzione il dannificante principalmente, allora vengono liberati tutti gli altri. Se poi il creditore promette ad alcuno de' principali di non molestarlo, s'intende in tutto rimessa la porzione a colui6.
27. Si noti per 3. che sono tenuti ancora alla restituzione quelli che impediscono il prossimo dal conseguire qualche giusto bene. Ma in ciò bisogna distinguere: se la roba era dovuta a colui per giustizia, in qualunque modo tu gl'impedisci di conseguirla, sei tenuto alla restituzione del danno. Se poi non gli era dovuta, allora solo sei tenuto quando impedisci per violenza o per frode, o pure (come aggiungono i Salmaticesi) se impedisci per mezzo di preci importunissime o per meto riverenziale; perché ognuno ha diritto di non esser impedito con mal'arti dall'ottenere qualche giusto bene. Ed allora dee farsi la restituzione secondo la misura della speranza che a quel bene aveva il prossimo. Altrimenti poi se impedissi senza male arti, perché allora, ancorché lo facessi per odio, non sei tenuto a niente, secondo dicono comunissimamente, e più probabilmente Soto, Navarr., Less., Petroc., Roncaglia, Molina, Laym., ed altri molti (contra Lugo, Salmat. ec.); perché come dicemmo di sovra, per l'obbligo della restituzione non basta il solo mal animo interno, ma vi bisogna l'azione esterna gravemente ingiusta, che per sé esternamente offende il ius alieno; altrimenti il
malevolo peccherà bensì contra la carità, ma non contra la giustizia1. Se poi sia tenuto a restituire chi impedisce che s'applichi al fisco l'intercetto, vedi l'Istruz.2.
§. III. A chi debba farsi la restituzione.
28. Parlando de' beni certi, cioè di quelli che han padrone certo, questi debbon restituirsi allo stesso padrone: purché la roba non si fosse ricevuta dall'affittatore, o dal custode di quella3. Si noti qui per 1. che quando il padrone è lontano, se la roba si è presa in buona fede la spesa del trasporto tocca al padrone: ma se in mala fede, tocca al ladro, e ciò benché la spesa fosse due volte maggiore della roba, come dice il card. de Lugo. Se poi fosse la spesa più eccessiva, e vi fosse speranza di far capitare in qualche tempo la roba, o il prezzo di quella al padrone, allora si dee aspettare: ma quando non vi fosse tale speranza, dee restituirsi a' poveri. Si noti per 2. che quando la restituzione non può farsi senza grave danno del debitore, dicono probabilmente Lessio, Lugo, e Bonac., che può quella differirsi per qualche tempo purché il creditore non ne patisca danno, giacché è regola generale che ogni danno sofferto dal padrone per causa del furto dee rifarsegli dal ladro4. Nel caso poi che tu comprassi in buona fede la roba del ladro, e la vendessi ad un altro, e poi comparisse il vero padrone; si dimanda, se allora saresti tenuto a restituire il prezzo, ed a chi. Vedi l'Istruz.5.
29. Parlando poi de' beni incerti, cioè che non hanno certo padrone, questi allorché son presi in mala fede, e quando non v'è più speranza di ritrovare il padrone, debbon restituirsi a' poveri o a' luoghi pii, secondo il capo Cum tu, de usur. E basta restituirli a' poveri o luoghi pii di qualunque parte. Istr.6. Può ancora per tal restituzione di beni incerti ottenersi la composizione dal papa, della quale vedi quel che si dice ivi.7.
30. Quando poi tali beni incerti si fossero presi in buona fede, o pure trovati a caso, si dimanda, se chi li tiene, possa ritenerli. Si dee distinguere: sempre che resta qualche speranza di ritrovare il padrone, la roba, o almeno il suo prezzo dee conservarsi. Altrimenti poi, se, moralmente parlando, non vi fosse più tale speranza, perché allora ben può ritenere la roba chi l'ha in mano; poiché in tal caso quella si ha per derelitta, e secondo il ius delle genti ne acquista il dominio il primo occupante, come ben dicono Lugo, La-Croix, ed Holzmann con s. Tommaso, che scrive così: Sì (res) pro derelictis habeantur, et hoc credit inventor, licet sibi eas retineat, non committit furtum8. E lo stesso correrebbe a favor de' poveri, a cui in tal caso si fosse restituita la roba, che non sarebbero tenuti a restituirla, benché appresso comparisse il padrone; vedi Istruz.9. A chi poi spettino i tesori nascosti, che si ritrovano, ed a chi gli animali feriti nella caccia; vedi ivi10.
31. A proposito della caccia qui s'avverta, che a' chierici non tutte le caccie son vietate da' canoni, ma la sola clamorosa, cioè fatta clamorosamente co' cani, o con uccelli di rapina. Anzi dicono Molina, Sa, Gaetano, Sporer ec., che neppure la clamorosa è proibita agli ecclesiastici sotto colpa grave, se non quando è frequente, o fatta con iscandalo, o con grandi spese. In oltre probabilmente dicono Less., Laym., Valenza, ed altri, che può esser per essi immune da ogni colpa, quando è moderata, e si fa per causa di necessità, o di esercizio utile alla sanità. Vedi ivi11.
§. IV. Che cosa debba restituirsi dal possessore di buona fede, o dal possessore di mala fede.
32. Il possessore di buona fede, cioè colui che tiene la roba altrui, ma senza ingiuria formale (formale s'intende con colpa, materiale s'intende senza colpa) egli è tenuto, quando sa che la roba e d'altri, a restituire quella sola che esiste, e se non esiste, quel solo in cui si trova fatto diziore. Sicché se mai l'ha consumata in buona fede, ed in niente si trova fatto diziore, non è tenuto a nulla12.
33. In oltre dal possessore della roba altrui, o sia di buona o di mala fede, debbono restituirsi ancora i frutti di quella; ma in ciò bisogna distinguere quattro sorte di frutti, naturali, civili, misti, ed industriali. I naturali son quei che si producono dalla sola
natura, come l'erbe e ghiande, i parti degli animali, e simili. I civili son quei che si ricavano dall'affitto delle case o delle bestie, o pure de' mobili, o vesti. I misti son quei che si ricavano parte dalla natura, e parte dall'industria, come l'olio, il vino, il cacio, e simili. Gli industriali finalmente son quei che si ricavano dalla sola industria del possessore, com'è il lucro del danaro applicato al negozio, o pure del miglioramento fatto nella roba. Posto ciò, sappiasi, che i frutti industriali neppure dal possessore di mala fede debbono restituirsi, perché questi son tutti suoi; ma ciò s'intende nel caso che il padrone tenendo la roba l'avrebbe tenuta inutilmente, perché se quegli anche avrebbe lucrati tali frutti colla sua industria, ben gli si debbono restituire per ragione del danno ricevuto dal ladro, dedotta solamente quella somma che probabilmente può giudicarsi che avrebbe pagato il padrone per essere esente dalla fatica di tale industria. All'incontro i frutti naturali ed i civili han da restituirsi intieramente (dedotte le spese) così dal possessore di mala fede, come di buona fede: con questa differenza però, che il possessore di buona fede non è tenuto ai frutti non percepiti, o consumati senza restarne diziore, o pure percepiti per tre anni, se aveva titolo di possederli, come si è detto al num. 2. Ma il possessore di mala fede dee soddisfare i frutti anche non percepiti, sempre che 'l padrone ben gli avrebbe percepiti, se avesse tenuta la roba. I frutti misti finalmente dicono molti dd. che debbono restituirsi al padrone in quanto al solo valore della natura, perché il valore corrispondente all'industria del possessore tutto a lui spetta; ma ciò può correre solo per lo possessore di buona fede, ma in quanto al possessore di mala fede, dee dirsi, come ho detto di sovra parlando de' frutti industriali, ch'egli dee restituire al padrone tutto il valore di detti frutti, ch'esso padrone avrebbe già percepiti dalla sua roba, se l'avesse tenuta, dedotta solamente la somma che probabilmente egli avrebbe data per liberarsi dalla fatica necessaria alla percezione di tali frutti. Istruz.1. Si domanda qui per 1., se tu dei restituire al padrone il danaro (o simil cosa) che ricevi dal ladro, dopo che 'l ladro l'ha mischiato col suo. Vedi ivi2. Si dimanda per 2., a che sia tenuto chi gitta in mare colpevolmente una gemma aliena, stimando che vaglia dieci, se quella valea cento. Vedi ivi3. Del resto è certo, che 'l possessore, o dannificatore di mala fede dee restituire tutto il danno avvenuto al padrone, e tutto il lucro cessato per causa del furto, purché sia stato preveduto almeno in confuso4.
34. Si noti che se la roba furata cresce di prezzo, cresce sempre al padrone, ancorché egli tenendola l'avrebbe consumata prima dell'aumento. Che debba dirsi poi per 1., se 'l valore della roba dopo esser cresciuto, ritorna a deteriorare; vedi ivi5. Che debba dirsi per 2., quando la roba perisce in mano del ladro, ma sarebbe egualmente perita in mano del padrone; vedi ivi6. Che debba dirsi per 3., quando taluno compra una roba col dubbio, che non sia del venditore, vedi ivi7. Che debba dirsi per 4. di chi frauda le gabelle, vedi ivi8.
§. V. Della restituzione per causa dell'omicidio.
35. Chi uccide o ferisce il prossimo, dee restituire prima tutte le spese fatte nella di lui cura, e poi tutto il lucro a colui cessato per causa della ferita9. Si questiona per 1. Se 'l danno fatto al prossimo nella vita, o anche nella fama non può ripararsi, debba compensarsi con danari. È più probabile, e molto più comune la sentenza negativa10. Si questione per 2. Se sia tenuto alla restituzione del danno chi volendo uccidere il suo nemico, per errore uccide un altro. Tal questione è simile a quell'altra, se sia tenuto a restituire il danno chi, volendo bruciare la casa del nemico, brucia quella dell'amico. Altri l'affermano: altri poi lo negano, come Lugo, Molina, La-Croix, Sporer, ec., e ne assegnano la ragione con dire, che per l'obbligo della restituzione del danno fatto vi bisognano due cose, la dannificazione, e l'ingiuria fatta al prossimo: quando uno per errore uccide l'amico in vece del nemico, vi è la dannificazione, ma non l'ingiuria, e perciò dicono, non esservi allora l'obbligo della restituzione11. Per 3. Se incorre la scomunica del canone, chi volendo ferire un chierico, ne ferisce un altro. E si
risponde che sì, perché già si offende lo stato ecclesiastico. E così ancora incorre l'irregolarità, chi volendo uccidere il nemico, uccide l'amico, perché già commette l'omicidio a cui sta imposta l'irregolarità. Non l'incorre però il mandante, se 'l mandatario per errore uccide altri, che il designato dal mandante1.
36. Si noti qui per 1., che il padre del ferito ben può rimettere la restituzione de' danni al suo uccisore, anche in pregiudizio de' figli, come comunissimamente dicono Soto, Bonac., Sanchez, ec., contra Lugo e La-Croix2. Si noti per 2., che l'uccisore agli eredi non necessari solamente dee restituire le spese fatte per la cura, ed il lucro cessato all'ucciso in tempo dell'infermità; ma agli eredi necessari (come sono figli, genitori, e moglie) dee restituire di più tutto il lucro, che 'l defunto avrebbe potuto acquistare, e somministrar loro per gli alimenti, se fosse vivuto. Ma ciò non corre per li fratelli e sorelle, che l'ucciso avrebbe alimentati vivendo, se non quando l'omicida avesse direttamente inteso di far danno coll'omicidio ad essi congiunti. E lo stesso corre per li creditore del defonto3. Se poi l'omicida debba restituire il danno che avviene al terzo, al quale s'imputa l'omicidio, e se sia tenuto alla restituzione chi uccide l'aggressore, ma eccedendo la giusta difesa, vedi Istruz.4.
§. VI. Della restituzione per causa dello stupro.
37. Quando non v'è promessa di matrimonio, e la donzella spontaneamente consente alla sua deflorazione, il defloratore non è tenuto né a sposarla, né a dotarla. Altrimenti poi se l'ha deflorata con violenza, o con inganno, perché allora dee dotarla o pure accrescere la dote; ed anche sposarla, se in altro modo non può risarcire il danno5.
38. Quando poi v'è la promessa, il violatore è tenuto a sposarla, ancorché la promessa sia stata finta, come dicono comunemente i dd. con s. Tommaso6. E la ragione principale si è, perché ne' contratti innominati, do ut des, quando uno mette la sua parte, l'altro è tenuto per legge naturale a metter la sua, benché l'abbia fintamente promessa; poiché altrimenti si perderebbe il commercio umano. Quel che poi corre a rispetto d'una donzella corre anche a rispetto d'una vedova di buona fama7. E se l'uomo avesse voto di castità, o pure fosse parente della violata, è tenuto ad impetrar la dispensa per effettuare il matrimonio; perché chi è tenuto al fine, è tenuto ancora ai mezzi8.
39. Ma ciò si limita I., se la donna potea facilmente accorgersi dell'inganno, come se l'uomo era di molto miglior condizione di lei; così i dd. con s. Tommaso9. Ed allora dice il santo, che 'l violatore non è tenuto neppure a compensare il danno: Et etiam quoad hoc (cioè in quanto alla compensazione del danno) non tenetur, quia praesumi probabiliter potest, quod sponsa non fuerit decepta, sed decipi se finxerit10. II. Se dal matrimonio si temesse pessimo esito. III. Se la donna rimettesse al suo violatore ogni obbligo di sposarla. IV. Se l'uomo non potesse sposarla senza gran disonore della sua famiglia. V. Se l'uomo avesse avuto soli tatti colla donzella; purché ella non fosse nobile, o purché l'uomo avesse promesse le nozze per li soli tatti, da' quali restasse già infamata la donzella. VI. S'ella fosse trovata già violata. VII. S'ella dopo aver consentito alla sua violazione per la promessa del matrimonio, indi rifiutasse le nozze, perché allora l'uomo non è tenuto a nulla; purché non si fosse egli finto di miglior condizione di quello ch'era, perché allora è obbligato a compensare il danno. E lo stesso corre se al matrimonio ripugnassero i genitori, vedi Istruz.11.
§. VII. Della restituzione per causa dell'adulterio.
40. Vediamo a che sia obbligata l'adultera, ed a che l'adultero, quando nasce prole dall'adulterio. L'adultera, quando non può riparare il danno al marito, ed a' figli legittimi, dee compensare co' beni propri, o colle sue industrie, oppure con privarsi almeno di quel che potrebbe pretendere dal patrimonio della casa, con indurre anche il figlio (s'è possibile) a farsi religioso. Ed in estremo caso è tenuta anche di manifestare al figlio la di lui illegittimità, quando vi fossero tali circostanze, per cui il figlio fosse tenuto a crederla; ma difficilmente sarà poi tenuta
di manifestarsi al marito, perché difficilmente potrà ciò fare senza pericolo della sua vita, o d'altro suo gravissimo danno. Istruz.1.
41. L'adultero all'incontro dee restituire a' figli legittimi così l'eredità lasciata dal marito alla sua prole spuria, come gli alimenti ricevuti dalla prole sin dal terzo anno2. In dubbio poi, se la prole sia sua, o sia del marito, secondo la sentenza comune con Soto, Tournely, Concina, Lessio, Lugo, ec., non è tenuto a niente, perché in dubbio egli possiede l'esenzione dalla soddisfazione del danno. E lo stesso dicono Soto, Sanch., Salmat. ecc., se si dubita fra due adulteri, di chi sia la prole. Ma noi diciamo, che in tal caso il secondo adultero è tenuto a tutto il danno; osserva la ragione ivi3. Se poi gli adulteri opulenti che mandano la prole allo spedale, debbano a quello rifar le spese; diciam colla sentenza più probabile, che no; poiché gli spedali son fatti non solo pei poveri, ma anche appunto per le proli spurie, affine di liberarle dalla morte temporale ed eterna, ivi4.
§ VIII. Del tempo e del modo della restituzione.
42. In quanto al tempo, il ladro è tenuto a restituire quanto prima può; altrimenti sta in continuo peccato. E quando mai avesse qualche giusta causa di differir la restituzione, è tenuto sempre a rifar poi il danno che ne patisce il creditore. Del resto (ordinariamente parlando) il confessore non dee assolvere il debitore, se prima non restituisce; perché, essendo la restituzione una cosa di ardua esecuzione, difficilmente ella si eseguisce da chi ha ricevuta già l'assoluzione5.
43. In quanto poi al modo, chi non può restituire per se stesso senza sua infamia, dee restituire almeno per mezzo del confessore, o d'altra persona fedele. Ma se mai questa persona non restituisse, checché dicansi altri, diciamo assolutamente con Lessio, Silvio, Lugo ecc., che il ladro è tenuto a restituire di nuovo. E lo stesso corre, se 'l padrone fosse certo, e 'l confessore erroneamente del danaro che dee restituirsi ne facesse dir messe6.
§ IX. Dell'ordine delle persone a cui dee prima farsi la restituzione.
44. Quando il debitore non può soddisfare a tutti, debbono osservarsi le seguenti regole. Per 1., se la roba esiste, quella dee restituirsi al proprio padrone, e mancando esso, dee restituirsi a' poveri. Per 2., i debiti onerosi debbono soddisfarsi prima de' gratuiti. Per 3., quando poi son tutti onerosi, prima debbon soddisfarsi i creditori che hanno l'ipoteca espressa; in secondo luogo quelli che hanno l'ipoteca tacita, e tra questi debbon preferirsi le mogli per le loro doti; indi debbon preferirsi i pupilli ed i luoghi pii; indi i creditori personali. Ma a tutti questi creditori nominati dee preferirsi sempre chi ha dato il danaro a riparar la roba, oppure a coltivar il campo, secondo la l. 3. ff. Qui potiores, etc.7.
45. Qui si noti per 1., che così i debiti personali, che sono per delitto, come per contratto, secondo la sentenza più probabile, debbono soddisfarsi pro rata8. Anche pro rata probabilmente debbon soddisfarsi così i debiti certi (di cui il creditore è certo) come gl'incerti9. Si noti per 2., che tra' creditori ipotecari sempre son preferiti gli anteriori. Se poi corra lo stesso per li creditori personali, è probabile l'una e l'altra sentenza, ma sembra più probabile l'affermativa. Come anche pare più probabile la sentenza, che tra i personali non possa preferirsi il più povero; ma la contraria anche è probabile con s. Tommaso10. Si noti per 3., che secondo la sentenza comunissima il creditore che ha esatto intieramente il suo credito, può ritenerlo senza darne parte agli altri creditori personali; onde dicono Navarro, Silv. e Bonac., che quando fra tali creditori uno dimanda il suo credito, il debitore dee soddisfarlo, perché le leggi favoriscono i diligenti ad esigere. All'incontro se niuno di loro esige, il debitore che non può soddisfar tutti, non può soddisfare intieramente un solo di essi; e se lo soddisfa, quegli non può ritenersi l'intiero pagamento11. Se poi il servo possa lecitamente ricevere il salario dal padrone aggravato di debiti, o la moglie dal marito usuraio, vedi Istr.12.
§. X. Quali cause scusino dalla restituzione.
46. Per parte del padrone scusa per 1., la presunzione, ch'egli consenta che taluno si prenda qualche sua roba, o
presa la ritenga, come ammettono comunemente Navarro, Silvest., Less., Lugo, ed altri, con s. Antonino, che dice: Si credit, Dominum permissurum, et subest iusta causa credendi (restituere), non tenetur1. E ciò si conferma dalla l. 46. §. 7. ff. de furt. dove dicesi: Recte dictum est, qui putavit domini voluntate rem attingere, non esse furem; quid enim dolo fecit, qui putat, dominum consensurum fuisse? Scusa per 2. dalla restituzione il timore, che 'l padrone abbia ad abusarsi della cosa che gli si restituisse, così Soto, Lessio, Lugo con s. Tommaso, che dice: Quando res restituenda apparet esse graviter nociva ei (cioè al padrone), vel alteri, non ei debet tunc restitui2. Scusa per 3., il pagamento fatto dal debitore al creditore del suo creditore, perché allora il debitore giustamente compensa con acquistare il credito di colui3.
47. Per parte poi dello stesso debitore, egli è scusato dalla restituzione per 1., se non potesse restituire senza suo danno molto maggiore, come si è detto al n. 28. Ma avvertasi, che in questo danno non si computa il lucro, che forse perde il debitore per causa della restituzione ch'eseguisce. È scusato per 2., se non può restituire senza la ruina spirituale della sua famiglia, o senza pericolo della vita, o della fama; purché il danno del creditore non fosse tale, che preponderasse alla sua fama. Per 3., se la cessione de' beni, secondo è permesso dalla legge, riserbandosi quel solo che gli basta per sostentarsi: circa la quale cessione vedi Istr.4. Per 4. è scusato per la povertà, se restituendo dovesse ridurre in necessità estrema, o anche grave, se stesso, oppure i suoi congiunti, come figli, genitori, o moglie: necessità grave s'intende, quando col restituire non potessero eglino più vivere decentemente secondo il loro stato giustamente acquistato; così dicono comunemente s. Antonino, Scoto, Azor., Navarro, Lugo, ecc. Ma ciò non corre poi quando il creditore si trovasse già in istato di grave necessità, perché allora il debitore dee restituire, ancorché colla restituzione dovesse ridursi in grave necessità eguale: dico eguale, ma non già se restituendo dovesse mettersi in necessità estrema, o quasi estrema, come dicono Less., Silv., Castrop., Roncaglia, ecc. Ma pure se n'eccettua, se la roba ancora esistesse nella sua specie, ovvero se 'l creditore specialmente per quel furto fosse caduto in grave necessità5.
48. Qui si fa la questione, se 'l debitore che dona alcuna cosa al suo creditore, senza ricordarsi del debito, sia tenuto (ciò non ostante) a soddisfarlo. E diciamo che no, sempre che apparisce certa la presunzione, che se 'l debitore si fosse ricordato del debito, avrebbe voluto più presto disonerarsi dal suo obbligo di giustizia, che usare quell'atto di liberalità: perché in tal caso colla volontà generale, avuta già nel principio, quando contrasse il debito, ha ben soddisfatto a quello; così Rebellio, Cardenas, La-Croix, Rodriquez, Mazzotta, ed altri. E lo stesso corre per li voti, quando taluno adempisse l'opera promessa senza ricordarsi del voto, come dicono comunemente Suarez, Azor., Bonac., Lessio, Laym., Sanchez ecc.6.