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Sant'Alfonso Maria de Liguori Confessore diretto…campagna IntraText CT - Lettura del testo |
PUNTO II. Del dolore e del proposito.
4. Parlando del dolore, il concilio di Trento7 dice, che altro è il dolore, o sia la contrizione perfetta, che nasce dal motivo di carità; altra l'imperfetta chiamata attrizione, che si concepisce per motivo o della perdita del paradiso, o dell'inferno meritato, o della bruttezza
sovrannaturale, ma particolare d'alcun peccato. La contrizione (generalmente parlando) si definisce dal concilio, animi dolor, ac detestatio de peccato commisso, cum proposito non peccandi de cetero. Alcuni vogliono, che la contrizione consista nel dolore, ma altri dicono meglio, e più comunemente con s. Tommaso1 che consista nella detestazione. Del resto rettamente dicono altri, che l'uno si contiene nell'altra; perché chi detesta il peccato, certamente se ne duole; e chi si duole del peccato, certamente lo detesta2. La contrizione poi perfetta procede propriamente dal motivo dell'offesa fatta alla bontà divina, in quanto ella comprende tutte le perfezioni di Dio; vedi n. 6.
5. Il precetto della contrizione obbliga l'uomo quando si trova in pericolo di morte, ed anche in vita, quando taluno si trovasse in peccato da molto tempo, come da un mese; perché allora pecca contra la carità di se stesso, mentre (come dice s. Tommaso) chi è privo della grazia non può star lungo tempo senza cadere in nuova colpa grave3. È certo poi, che per la giustificazione del peccatore così nella confessione, come fuori di quella, non è necessario l'atto di dolore particolare, né vi bisogna la memoria attuale di ciascun peccato; ma basta il dolor generale di tutte le offese fatte a Dio, come insegna comunemente Scoto, Suarez, Gioven., Conc., Gaet., ed altri col catechismo romano, e con s. Tommaso, che dice, sufficit, quod cogitet per culpam suam esse aversus a Deo4.
6. È gran questione poi tra' dd. moderni, se per ricevere l'assoluzione basta l'attrizione spiegata come di sovra. Convengono quasi tutti in dire, che basta, purché sia accompagnata dall'amore incoato. Il maggior dubbio si è, se quest'amore incoato debba essere amore predominante. Alcuni così difendono; ma abbastanza comune e moralmente certa è la sentenza contraria con Gonet, Cano, Tournely, Cabassuzio, Petrocor. ed altri molti. E si prova dal tridentino, ed anche dalla ragione, perché se fosse necessaria al dolore la carità predominante, ogni penitente andrebbe a ricever l'assoluzione già posto in grazia; poiché la carità predominante, cioè di chi ama Dio sovra ogni cosa, non può star col peccato mortale: Caritas non potest esse cum peccato mortali, insegna s. Tommaso5; onde la penitenza non sarebbe più sagramento de' morti, ma de' vivi; giacché non si avvererebbe mai, che questo sagramento operasse l'effetto di dar la vita al peccatore in atto, quando riceve l'assoluzione de' peccati. Diciamo poi, che in ogni atto di attrizione vi è insito qualche principio d'amore, almeno nella speranza che ha ogni vero penitente di riacquistare la grazia di Dio6. Diciamo all'incontro che non basta l'attrizione conceputa per solo timore delle pene temporali7. Se poi possa darsi il sagramento della penitenza valido ed informe, v. Istr.8.
7. In quanto al dolore si noti per 1., che secondo la sentenza abbastanza probabile di Laym., Castrop. e d'altri, il dolore dee precedere alla confessione acciocch'ella sia dolorosa; del resto basta, che 'l penitente dopo l'atto di dolore dica: Io di nuovo mi accuso di tutti i peccati confessati. Si noti per 2., che il dolore dee esser conceputo in ordine alla confessione, come probabilmente dicono Bonac., Busemb., ed il p. Concina; onde chi fa l'atto di dolore senza pensare alla confessione, dee necessariamente rinnovarlo, quando si confessa. Si noti per 3., che se il penitente dopo aver ricevuta l'assoluzione si confessa d'un peccato scordato (checché si dicano altri) dee far di nuovo l'atto di dolore, benché si confessasse subito dopo ch'è stato assoluto, perché il primo sagramento è già compito, onde per questo secondo vi bisogna la nuova materia. Si noti per 4., che quantunque fuori della confessione basti l'atto d'amore (come insegna il concilio) a cancellare i peccati veniali, nella confessione però si ricerca il dolore formale; onde pecca mortalmente chi senza un tal dolore riceve l'assoluzione anche de' peccati veniali, perché rende il sagramento nullo. Basta per altro dolersi d'un solo veniale senza pentirsi degli altri, essendo che i veniali (come si disse di sovra) non sono materia necessaria della confessione. Perciò quando il confessore dubita del dolore di coloro che si confessano usualmente sempre degli stessi peccati veniali, o dee
sospender loro l'assoluzione, finché diano segno di vera disposizione, o pure dee far mettere da essi la materia certa, confessando qualche colpa della vita passata, di cui n'abbian vero dolore. Si avverta ciò bene, perché in questo punto mancano molti confessori, che nelle confessioni de' peccati veniali poco badano a scorgere, se vi è il vero dolore e proposito1. Se poi vaglia l'atto di dolore fatto nel giorno avanti per la confessione del dimani, vedi Istruz. num. 30.
8. Passiamo a parlare del proposito. Si controverte, se per la confessione basta il proposito virtuale incluso nello stesso dolore de' peccati; molti dd. probabilmente l'affermano, molti altri lo negano, dicendo, che il proposito dee esser formale ed esplicito; e questa sentenza in pratica certamente dee seguirsi per le confessioni da farsi, perché in quanto alle confessioni fatte in buona fede, basta che si stimino probabilmente valide per non esservi obbligo di ripeterle, come dicono comunemente Bellarm., Suarez, Vasquez, Bonacina, ed altri2.
9. Tre sono poi le condizioni del vero proposito, che sia fermo, universale, ed efficace. E per 1. dee esser fermo, sicché il penitente sia risoluto di non peccar mortalmente in qualunque caso. Qui s'avverta, che se il penitente asserisce, che ha proposto fermamente di non peccare, ma che probabilmente teme di ricadere, ben può essere assoluto; perché ben può stare unito un tal probabile timore con un vero e fermo proposito. All'incontro, se taluno dicesse, ch'egli ha fermo proposito, ma che tiene per certo, che ritornerà a cadere, benché vi sono molti dd. che danno anche per valido un tal proposito, dicendo, che 'l proposito della volontà risoluta di non peccare ben può stare insieme col giudizio dell'intelletto, che prevede la certa ricaduta per riguardo della sperimentata fragilità; nondimeno saggiamente dicono altri, che, in pratica, chi parla così non può essere assoluto, perché dà a conoscere, che il suo proposito non è fermo abbastanza, mentre ognuno sa, che Iddio non permette, che alcuno sia tenuto più delle sue forze, essendo egli pronto ad aiutar chi lo prega. Per 2. dee essere universale, parlando de' peccati mortali, perché in quanto a' veniali (come dice s. Tommaso3), basta proporre di astenersi da alcuno si essi, senza proporre di astenersi dagli altri; ed in quanto agl'indeliberati (i quali è impossibile a noi secondo la nostra natura corrotta evitarli tutti) basta proporre di evitarli quanto si può. Per 3. dee essere efficace, cioè che il penitente non solo proponga di evitare il peccato, ma anche di prendere i mezzi opportuni ad evitarlo, e specialmente proponga di evitare l'occasione prossima. Qui però dee avvertirsi, che le ricadute non sempre sono segni, che i propositi fatti nelle confessioni passate sieno stati infermi, sicché tutte quelle confessioni debbano ripetersi, come vuole il p. Concina; poiché spesso le ricadute sono segni più presto della volontà, non già inferma, ma mutata, e pervertita dalle susseguenti tentazioni. E fin quanto al ripetere le confessioni fatte in buona fede, rettamente dice il p. Segneri, che non v'è quest'obbligo, se non quando v'è una moral certezza della loro invalidità: come sarebbe, quando si vede, che il penitente dopo le confessioni sempre o quasi sempre è ricaduto negli stessi peccati subito, due o tre giorni appresso, senza toglier l'occasione, senza far alcuna resistenza, e senza prender alcun mezzo per emendarsi4.
10. Qui occorre parlare di coloro, che stanno nell'occasione del peccato, e de' recidivi. Bisogna che il confessore sovra queste due sorte di penitenti (occasionari e recidivi) usi tutta l'attenzione, perché in ciò mancano molti al lor dovere, e così sono la causa della dannazione di molti, con essere o troppo benigni, o troppo rigidi nell'assolverli. Parliamo prima degli occasionari e poi de' recidivi. Bisogna primieramente distinguere l'occasione volontaria, la quale è quella che facilmente può evitarsi, dalla necessaria, la quale è quella che non può evitarsi senza grave danno, o senza grande scandalo. In oltre bisogna distinguere l'occasione rimota, la quale è quella in cui l'uomo pecca di rado, dalla prossima, la quale è quella in cui l'uomo frequentemente è caduto per lo passato, v. g. bestemmiando nel giuoco, o ubbriacandosi nell'osteria, o peccando contra la castità in
qualche casa: o pure è quella, in cui gli altri comunemente sogliono cadere. Or qui si dimanda, se colui che sta nell'occasione prossima può essere assoluto prima di rimuovere l'occasione, quando si conosce disposto. Bisogna distinguere con s. Carlo Borromeo (nella sua istruzione a' confessori) le occasioni che sono in essere, da quelle che non sono in essere. Le occasioni che non sono in essere son quelle che sono fuori di casa propria, v. g. se taluno va in casa d'altri a giuocare, ed ivi bestemmia o va in qualche conversazione, dove suol cadere in risse, o disonestà. In queste occasioni di secondo genere, quando il penitente propone fermamente di lasciarle, dice s. Carlo che ben può assolversi per due o tre volte; che se poi non si emenda, se gli dee differir l'assoluzione, finché tolga in effetto l'occasione. Anzi quando v'è l'abito invecchiato, è consiglio differir l'assoluzione anche nella prima volta, per vedere se toglie l'occasione, o almeno se si va emendando. Le occasioni poi di primo genere, che sono in essere, le quali per lo più son quelle, che stanno dentro la stessa casa, ove s'abita, v. gr. quando alcuno tiene in sua casa la concubina, o quando una serva di casa spesso cade in peccati col padrone che la tenta: chi sta in queste, o simili occasioni prossime, affatto non può essere assoluto, neppure per la prima volta, se prima non toglie l'occasione, ancorché promettesse con giuramento, e con mille segni di vero proposito; altrimenti pecca gravemente così il confessore che l'assolve, com'esso penitente che riceve l'assoluzione prima di levar l'occasione: perché allora si mette in prossimo pericolo di rompere il proposito, e ritornare al vomito; mentre il rimuover l'occasione prossima, specialmente s'è di peccati sensuali, è una cosa molto difficile e dura, che non si fa senza violenza, e questa violenza difficilmente si eseguisce dal penitente, che già ha ricevuta l'assoluzione, come troppo fa vedere l'esperienza.
11. Ciò corre, quando l'occasione è volontaria, perché se è necessaria, come si è spiegato di sovra, allora non si può obbligare il penitente a toglier l'occasione, se non nel caso estremo in cui dopo molte sperienze fatte si disperasse l'emenda; ma, ordinariamente parlando, basta assegnargli i mezzi per contenersi, che sono principalmente tre: 1. il frequentare i sagramenti: 2. il raccomandarsi spesso a Dio, ed a Maria Ss., con rinnovare più volte al giorno il proposito di non ricadere: 3. sopratutto fuggire la familiarità, ed anche la presenza, o almeno il guardare la persona complice, procurando di trattarla quanto meno si può; e dovendola trattare per necessità, parlarle e risponderle con viso austero, e come suol dirsi di mala grazia. Con tutto ciò a costoro, che stanno nell'occasione prossima necessaria, il confessore ben può, anzi è tenuto (ordinariamente parlando) a differir l'assoluzione, affinché sieno più attenti a praticare i mezzi dati. Dico, anzi è tenuto, perché essendo il confessore medico spirituale de' suoi penitenti, dee loro applicare i rimedi più atti a guarirli. Ho detto di più, ordinariamente parlando, perché in certi casi, v. gr. se 'l penitente non potesse lasciar di comunicarsi allora senza nota d'infamia, o non potesse più ritornare o non ritornare se non dopo molto tempo, ed all'incontro dimostrasse un proposito fermo di praticare i mezzi, ed anche di toglier l'occasione subito che può allora ben può assolverlo il confessore, purché non sia stato quegli ammonito più volte a togliere l'occasione, o pure a mettere i mezzi, e niente abbia eseguito1.
12. Parliamo ora de' recidivi: Bisogna distinguere gli abituati da' recidivi. Il semplice abituato s'intende chi ha contratto l'abito in qualche peccato, di cui non ancora si è confessato. Costui, come dicono i dottori, ben può assolversi la prima volta, quando se ne confessa, e propone fermamente di prendere i mezzi per estirpare il mal abito fatto: ma quando il mal abito fosse molto radicato, può ben anche il confessore differir l'assoluzione, acciocché prenda più orrore al suo vizio, e sia più attento a praticare i mezzi assegnati. Avvertasi, che per cinque volte il mese già si costituisce il mal abito ne' peccati esterni commessi con qualche intervallo tra di loro; ed in materia di peccati osceni minor numero può costituire l'abito: chi per esempio fornicasse una volta il mese per un anno, ben si dice abituato.
13. Il recidivo all'incontro è, chi dopo la confessione è ricaduto nello stesso o quasi stesso modo nel peccato abituato. Costui non può essere assoluto neppure la prima volta, dopo la confessione fatta di tal peccato, co' soli segni ordinari che porta, cioè con dire che si pente, e propone, come si ha nella propos. 60. dannata da Innoc. XI., perché le ricadute fatte nello stesso mal abito senza emenda fan giustamente dubitare del dolore e del proposito. Onde bisogna differirgli le assoluzione per alcun tempo, finché non si veda qualche emenda; e ciò corre non solo per li peccati mortali, ma anche veniali. Ma per quanto tempo? Si risponde: quando il peccato nasce da fragilità intrinseca, come ne' peccati di bestemmie, polluzioni, e simili, basterà l'esperienza di otto o dieci giorni, come dicono l'autore dell'Istruz. per li novelli confessori, e l'autore dell'Istruz. per li confessori di terre e villaggi, il quale cita in ciò anche Ludovico Habert; almeno l'assoluzione non dee differirsi più di 15. o 20. giorni. Ma avvertasi, che per coloro che si confessano nella pasqua, non basta l'esperienza di 8. o 10. giorni, perché questi non rare volte si astengono dalle ricadute senza ferma volontà di emendarsi, ma solo per ricevere l'assoluzione e sfuggir la censura. Ma quando poi il peccato nasce anche da qualche occasione estrinseca, allora bisogna che il confessore differisca di assolvere il penitente, almeno per un mese, senza dirgli però, che si trattenga un mese a venire, gli dica che torni fra otto giorni, e così con bel modo lo trasporti sino al mese.
14. Sicché per li recidivi non bastano (come si è detto) i segni ordinari per assolverli, ma vi bisogna qualche segno straordinario, che renda il confessore moralmente certo della disposizione del penitente con un giudizio probabile e prudente, senza un prudente dubbio in contrario, mentre non si ricerca maggior certezza di questa in questo sagramento, come saggiamente dice il citato Istruttore de' confessori novelli. I segni poi straordinari possono essere i seguenti: 1. Una gran compunzione palesata con lagrime, o espressioni di cuore. 2. Il numero notabilmente diminuito de' peccati, essendosi ritrovato già il penitente nelle stesse occasioni e tentazioni. 3. La diligenza usata per emendarsi, con fuggir l'occasione, ed eseguire i mezzi prescritti: o pure una gran resistenza fatta alla tentazione prima di ricadere. 4. Se il penitente dimanda rimedi al confessore, o nuovi mezzi per liberarsi dal peccato. 5. Se viene a confessarsi, non per uso pio fatto, né costretto da' genitori, padrone o maestro, ma spontaneamente, ed unicamente mosso da lume divino per rimettersi in grazia di Dio: e specialmente se viene da lontano, con grande incomodo, o dopo un gran contrasto con se stesso. 6. Se ha ricevuta la spinta a confessarsi da qualche predica intesa, o morte disgraziatamente avvenuta, o da qualche flagello imminente, o da altro retto motivo straordinario. 7. Se confessa peccati prima tralasciati per rossore. 8. Se per l'ammonizione del confessore dimostra d'aver acquistato un nuovo orrore del suo peccato, e del pericolo di dannarsi.
15. Con tali segni straordinari può dunque il confessore assolvere il recidivo: può (dico), ma non è obbligato, purché la privazione dell'assoluzione non gli apportasse nota d'infamia; del resto ben può differirgli l'assoluzione, sempreché lo stima spediente. Se poi sia sempre spediente il differir l'assoluzione a tali recidivi disposti, altri l'affermano, ma più comunemente altri lo negano, e fra questi lo nega il ven. p. Leonardo da Porto Maurizio nel suo discorso mistico e morale; e dello stesso sentimento son io, quando il recidivo è ricaduto per mera fragilità intrinseca; mentre allora dee sperarsi più giovamento dalla grazia del sagramento, che dalla dilazione dell'assoluzione. Quando poi vi è qualche occasione estrinseca da togliere per l'emenda del penitente, ancorché quella non sia totalmente prossima, ed ancorché sia in qualche modo necessaria, dico, che ordinariamente parlando sempre è meglio il differir l'assoluzione. Già dicemmo poi di sovra, che l'ordinando abituato, quantunque sia disposto per l'assoluzione, non può essere assoluto, se vuole prendere qualche ordine sagro prima di dar pruova di sua positiva bontà di vita già acquistata1.