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Sant'Alfonso Maria de Liguori Confessore diretto…campagna IntraText CT - Lettura del testo |
PUNTO III. Della confessione.
16. Quattro sono le condizioni della
confessione: che sia vocale, segreta, vera, ed intiera. E per I. dee esser vocale, cioè fatta a voce, non per segni, o scrittura. Se però vi fosse una grave causa, come se 'l penitente fosse impedito di lingua, o avesse una somma estraordinaria verecondia, allora basterà la scrittura; purché, dopo che 'l confessore abbia letta la confessione, dica il penitente: Io mi accuso di tutti questi peccati scritti. Chi poi non potesse affatto confessarsi a voce, è tenuto a far la confessione per segni o scrittura, se sa scrivere, e se può farlo senza alcun pericolo di rivelazione, come diremo del muto. Per II. dee essere segreta, giacché niuno è tenuto a confessarsi né in pubblico, né per interprete, se non si trovasse morendo in peccato mortale, e dubitasse della contrizione. Per III. dee essere vera, onde pecca gravemente, così chi nasconde una sua colpa grave, e non ancora confessata (anzi talvolta è tenuto il penitente a dire anche i peccati confessati, come si ha dalla prop. 60. dannata da Innoc. XI., acciocché il confessore possa regolarsi nel dare, o differir l'assoluzione); come chi si accusa maliziosamente d'una colpa grave non fatta; e costui commette doppio peccato mortale. Del resto il dire nella confessione qualche bugia leggiera, o negare qualche peccato veniale commesso, non è colpa grave, giusta la sentenza comune di Suar., Lugo, Sanch., Bonac., Ronc., Anacl. ec. contro alcuni pochi. Per IV. dee essere intiera, non solo formalmente, ma anche materialmente, mentre il penitente dee spiegare così le specie, come il numero de' peccati gravi, siccome si disse al capo III. punto III. È questione poi, se oltre le circostanze mutanti specie debbano confessarsi anche le aggravanti; ma la sentenza più comune e più probabile di s. Antonino, Soto, Cabass., Ronc., Salmat., e d'altri, lo nega con s. Tommaso che espressamente dice: Alii vero dicunt, quod non sint de necessitate confitendae, nisi circumstantiae quae ad aliud genus peccati trahunt, et hoc probabilius est1.
17. Si dimanda poi, se v'è obbligo di confessare i peccati dubbi. E diciamo probabilmente, che no, o il dubbio sia positivo, come tengono Silvio, Gersone, Suarez, Roncaglia ecc., o sia negativo, come tengono Merbes, Habert, La-Croix, Holzmann, ed altri; mentre il concilio non impone altr'obbligo al penitente, che di confessare i peccati mortali, quorum conscientiam habet2, cioè de' quali ha, non già dubbio, ma scienza. Ben avvertono però Sanchez, Holzmann, Viva ec., che chi stesse in punto di morte col dubbio di aver peccato mortalmente, allora o dee aver la contrizione, o ricevere l'assoluzione, con confessarsi almeno d'altra materia certa, acciocché di quel peccato dubbio (se mai l'ha commesso) ne sia almeno indirettamente assoluto. Del resto comunemente e saggiamente dicono i dd. che le persone timorate, quando dubitano del consenso dato al peccato mortale, possono star certe di non averlo dato; poich'è moralmente impossibile, che chi teme del peccato, lo commetta senza chiaramente conoscerlo. Altrimenti poi dee giudicarsi di coloro che sono rilasciati ne' vizi3. Se all'incontro il penitente è certo d'aver commessa colpa grave, e dubita se l'abbia confessata o no, vi sono molti aa., i quali dicono, non esser tenuto a confessarla, quando probabilmente crede d'averla confessata; ma dee tenersi il contrario col p. Concina, Antoine, ed altri; perché, essendo stato certo il peccato, in dubbio possiede l'obbligo di confessarlo, finché non v'è certezza almeno morale d'essere stato confessato: come farebbe, quando taluno è stato sempre diligente a dir le sue colpe, se poi dubita di aver detto alcun peccato commesso da molto tempo, allora costui può esser moralmente certo di averlo confessato, nel che consente anche il p. Concina4. Chi si è confessato d'un peccato come dubbio, e poi conosce ch'è stato certo, checché si dicano altri, noi diciamo con Sanchez, Cardenas ed altri, ch'è tenuto a confessarlo di nuovo come certo, perché prima non l'ha detto, come era in coscienza5.
18. Scusa non però dall'integrità materiale l'impotenza fisica o morale, di confessare il peccato, e fa che basti l'integrità formale. Ed in primo luogo per l'impotenza fisica sono scusati per 1. i muti, a cui basta in tempo di morte, e del precetto pasquale, spiegare per segni un solo peccato: s'intende, se non
possono spiegarsi di vantaggio, poiché se co' segni, o colla scrittura (sapendo scrivere) potessero palesare tutti i loro peccati, son tenuti a farlo, come più probabilmente insegna s. Tommaso1, con altri. Per 2. i sordi, che non sanno dire i loro peccati, come dovrebbero, né posson rispondere alle dimande del confessore, perché non sentono. I sordastri però debbono condursi a confessarsi in qualche luogo rimoto, ove non siavi pericolo d'esservi intesi. Per 3. quei che ignorano la lingua del paese. Questi, allorché non v'è confessore che gl'intenda, posson essere assoluti senza spiegarsi intieramente; né son tenuti a confessarsi per interprete, neppure in punto di morte, se non quando si trovassero in peccato, e stessero in dubbio della contrizione; ma allora basterà loro spiegare un sol peccato veniale per mezzo dell'interprete, acciocché restino almeno indirettamente assoluti di tutte le loro colpe2.
19. Per 4. sono scusati dall'integrità materiale i moribondi. Ma in ciò bisogna distinguere più cose. Se 'l moribondo sta in sensi ma non può parlare né spiegarsi d'altro modo, sempre ch'egli dà segni di penitenza, o di voler l'assoluzione, ben può essere assoluto, restandogli l'obbligo di spiegar tutto, quando ricupererà la lingua. Se poi è destituito de' sensi, è comune la sentenza (checché dicansi altri) che può anche esser assoluto, sempreché gli astanti testificano ch'egli ha cercata la confessione, o che ha dati segni di penitenza; così Scoto, Bellarm., Suarez, Concina, ed altri molti con s. Tommaso, il quale dice: Si infirmus qui petit unctionem amisit loquelam, ungat eum sacerdos, quia in tali casu debet etiam baptizari, et a peccatis absolvi3. E lo stesso dice il rituale romano: Etiamsi confitendi desiderium sive per se, sive per alios ostenderit, absolvendus est4. E questa sentenza dice s. Antonino che ha luogo, quantunque l'infermo sia stato per lungo tempo abituato ne' peccati, ed ancorché vi sia un solo testimonio, benché mediato. Se poi l'assoluzione in tal caso debba darsi assolutamente; altri dicono di sì, ma più mi piace la sentenza dello stesso s. Antonino, di Suar., Bonac., Wigandt, e Croix, che debba darsi sotto condizione5. Il maggior dubbio è, se possa assolversi sotto condizione il moribondo destituto de' sensi, che non dà né ha dato alcun segno di penitenza; molti lo negano, ma più comunemente e molto probabilmente l'affermano Merbesio, Salmerone, Giovenino, Concina, Croix, ed altri coll'autorità di s. Agostino; giacché in estrema necessità ben è lecito di servirsi (come dicono comunemente i dd.) della materia, e delle opinioni anche tenuemente probabili. E ciò diciamo con Ponzio, Cardenas, Holzmann, ed altri, doversi praticare anche co' peccatori (purché sieno stati cattolici) che han perduti i sensi in atto del peccato: a favor della quale opinione v'è l'autorità dello stesso s. Agostino6. Si è detto cattolici, perché gli eretici non possono assolversi in morte, se espressamente non cercano l'assoluzione.
20. In secondo luogo per l'impotenza morale può essere scusato il penitente dall'integrità materiale, e gli basterà la formale in più casi. Per 1. se è scrupoloso, e continuamente vessato dal timore delle confessioni passate, come insegnano i dd. comunemente. Per 2. se sta infermo, e v'è pericolo di morire senza l'assoluzione; o pure se gli fosse portato il viatico, e non potesse compir la confessione senza scandalo, come già si è detto di sovra al num. 11. Per 3. quando v'è grave pericolo d'infezione, perché allora il confessore può assolvere l'infermo, dopo aver inteso un sol peccato. Per 4. se sovrasta naufragio o combattimento, perché allora basta a ciascuno della moltitudine il confessarsi peccatore in generale, per esser tutti in generale assoluti dal confessore, che dica: Ego vos absolvo etc. Il solo concorso però de' penitenti non basta a dimidiar la confessione, come si ha dalla prop. 59. dannata da Innoc. XI. Per 5. se il penitente per la confessione di alcun peccato potesse temer prudentemente grave danno spirituale o temporale: ma ciò s'intende, quando non vi fosse altro confessore, ed egli stesse in necessità di confessarsi per lo precetto pasquale, o per qualche pericolo di morte, o pure se si trovasse in peccato, e non avesse altri a cui confessarsi,
se non dopo più giorni, anzi (come dice il p. Suarez) se non dopo un solo giorno. Per 6. se non potesse palesare il peccato senza rivelare il sigillo sagramentale. Se poi non potesse confessarsi senza scoprire il complice, ben dee scoprirlo per ispiegare la circostanza mutante specie del peccato, come insegnano comunemente i dd. con s. Tommaso1. È tenuto nondimeno se può a cercar altro confessore, che non conosce il complice; eccettoché se avesse necessità di subito comunicarsi, o di celebrare, o se altro confessore stesse molto lontano, o se dovesse restar più giorni in peccato: o anche (come aggiungono alcuni aa.) se dovesse lasciar la solita comunione, o credesse trovare miglior consiglio, o maggior quiete di coscienza presso il suo solito confessore2.
21. Si avvertano qui per ultimo più cose importanti. Si noti per 1., non esser mai lecito al confessore informarsi del complice dal penitente, benché lo facesse a buon fine, come dichiarò Bened. XIV. nella sua bolla, Ubi primum: dove disse di più, che 'l confessore il quale nega l'assoluzione a chi ripugna di manifestare il complice, non solo pecca mortalmente, ma incorre la sospensione ferendae sententiae dalla confessione; e chi presume d'insegnare l'opposto incorre la scomunica papale ipso facto. Ben avverte però il p. Concina, che ciò non impedisce a 'confessori d'indagare le circostanze mutanti specie del peccato, o necessarie a sapersi per ben dirigere il penitente3. Si noti per 2., che se 'l penitente si accorge, che il confessore è sordo, o che dorma o ch'è ignorante, o che per abbaglio non concepisce la gravezza del peccato, allora non può lecitamente ricevere l'assoluzione; ed in caso che in buona fede l'avesse già ricevuta, è tenuto a ripeter la sua confessione4. Si noti per 3., che se 'l penitente si confessa di alcun peccato contra il sesto precetto, di cui è complice il suo confessore, la confessione è affatto nulla, secondo la bolla, Sacramentum, di Bened. XIV., dove si dice, che il confessore a rispetto del complice ne' peccati osceni è affatto privo di giurisdizione; e se assolve il complice (dico assolve, ma non già se ascolta solo la confessione) incorre la scomunica papale ipso facto; se n'eccettua solamente per 1. se 'l complice sta in pericolo di morte, e non v'è altro sacerdote, né anche semplice, che l'assolva: per 2., se l'altro sacerdote venisse dopo esser già cominciata la confessione col confessore complice: per 3., se non potesse lasciar di confessarlo senza scandalo, o grave sua infamia5.
22. Si noti per 4., che quando dee ripetersi qualche confessione invalida allo stesso confessore, a cui prima è stata fatta, non è necessario ripeter di nuovo tutti i peccati; ma, come insegnano comunemente s. Anton. Silvest., Nav., Vasqu., Lugo, Val., Laym., Bon., Croix, Salm., ec., basta allora, che il penitente si accusi in generale de' peccati già detti, e che il confessore se ne ricordi almeno in confuso; e se mai niente si ricorda, basta che ripigli in confuso la notizia dello stato del penitente; e ciò tanto maggiormente corre, quando si è differita al penitente l'assoluzione6. Si noti per 5., che i rozzi, che si fossero sempre confessati senza spiegare né specie, né numero de' peccati, ancorché in buona fede, debbono questi ripeter di nuovo i peccati per fare intiera la confessione. Del resto comunemente avvertono i dd. col p. Segneri, che non debbono obbligarsi i penitenti a ripeter le confessioni, se non quando sono state quelle certamente nulle, perché altrimenti il possesso sta per loro valore: praesumtio pro actus valore (dice Navarro su questo punto) praeponderat aliis. Quando però si vede, che il penitente subito dopo le confessioni alle prime occasioni o tentazioni, facilmente sempre è ricaduto, senza emenda e senza contrasto; allora è moralmente certo, che le sue confessioni sono state nulle, come prive di vero dolore e proposito7.