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S. Alfonso Maria de Liguori
Considerazioni...stato religioso

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Introduzione

o      Avvisi spettanti alla vocazione religiosa (op. n. 14)

o      Considerazioni per coloro che sono chiamati allo stato religioso (op. n. 99b)

o      Conforto ai novizi (op. n. 14b)

 

Nel secolo XVIII, che visse quasi per intero, sant'Alfonso M. de Liguori riempì l'Italia dei suoi esempi virtuosi e dei suoi scritti. L'amore delle anime fu costantemente la sua grande passione.

Nato nel 1696 a Marianella di Napoli e passato dal foro all'altare, appena trentaseienne inaugurò a Scala nel 1732 l'Istituto Missionario dei Redentoristi per sacrificarsi nelle trincee più abbandonate della Fede. Rettore maggiore e dal 1762 al 1775 vescovo nel beneventano, fu sempre in movimento per la gloria di Dio, sano o malato. Aveva fatto il voto eroico di non perdere mai tempo. E lavorò generosamente sino all'agosto del 1787, quando nonagenario si spense a Pagani, in una celletta, felice di aver servito con fedeltà filiale, tra ininterrotte burrasche, la Chiesa cattolica.

Apostolo infaticabile, sul cui labbro tuonava incessante non altro che la parola divina; scrittore fecondo, che seppe introdurre le ispirazioni più dolci della pietà nella Teologia più astrusa: sant'Alfonso fu soprattutto grandissimo Direttore di coscienze in quell'epoca di decadenza, così poco propizia allo sviluppo della perfezione spirituale.

Mentre i giansenisti proseguivano ad agitarsi nella ombra e infuriavano gli illuministi, egli con autorità persuasiva di maestro riusciva a tracciare orientamenti sicuri alle varie categorie sociali sbandate. Dalle moltitudini, avide non d'intingoli retorici, ma del pane della verità, veniva presto riconosciuto, amato e obbedito come il san Francesco di Sales italiano.

Sbaglierebbe assai chi se lo immaginasse affondato in una comoda sedia, presso pile di grossi volumi, intento alla stesura di trattati astratti con pretese di bello stile per mettersi al passo dell'imperante Arcadia... Non era un letterato azzimato e nemmeno un intellettualista, per fortuna. I suoi libri ascetici, spogli di fiorami e di acutezze, erano generalmente pratici e nascevano dalle circostanze. Soleva dire: "Non già abbiamo noi da servire alle parole con il pericolo di non essere intesi, ma le parole han da servire a noi per farci facilmente capire " (1).

Secondo il suo temperamento campano, intuitivo e aperto, scriveva da asceta e da moralista: ora mirava a infervorare, ora a moderare. Il missionario tuttavia ispirava per istinto lo scrittore.

Immediate e fresche, le composizioni alfonsiane venivano ad approfondire e dilatare la crociata di salute bandita dal pulpito. Non ci doveva essere alcuna incertezza nel diffondere il messaggio evangelico in questo Operaio della vigna, che aveva scelto quale propria divisa un brano salmistico: Copiosa apud Eum redemptio.

Autentico ambasciatore di Cristo si rese omnia omnibus secondo l'immenso pensiero paolino, apportando con la stampa un contributo luminoso nei diversi settori della vita cristiana. Indirizzò i propri scritti al popolo, al clero, ai religiosi, offrendo pagine limpide e calde senza aggiramenti artificiosi di frasi.

Con semplicità ricordò ai monarchi e ai vassalli i loro mutui doveri; con chiarezza suadente partecipò i tesori della sua esperienza mistica ai vescovi e ai sacerdoti; non dimenticò le monache per le quali stampò la Vera sposa di Gesù Cristo. Con tale produzione intrinsecamente magnifica ed eminentemente popolare continuò con il silenzio della rugiada la sua missione santificatrice.

Uno spirito superficiale potrebbe credere che le aspirazioni religiose della gioventù siano sfuggite al Dottore zelantissimo, preso dall'ampia attività letteraria, dedicata alle persone mature... Al contrario, tra le dissertazioni dogmatiche e i casi morali, tra i racconti storici e le profonde meditazioni sulla morte egli ebbe squisite predilezioni per le reclute dei chiostri. Ne conosceva gli slanci gagliardi, non ignorava i pericoli: aveva gli occhi spalancati sul suscettibilissimo regalismo borbonico, che non incoraggiava le vocazioni novelle e spesso spiava le occasioni per soffocarle.

Esiste un abbondante epistolario che documenta simile atteggiamento, rivelando la ricchezza dell'affetto paterno, pronto alla difesa delle volontà fragili, efficace a stimolare quelle decise.

L'amore suggerì a sant'Alfonso un'operetta caratteristica. Il 25 febbraio 1749 Benedetto XIV approvava la regola dell'istituto redentorista. Baldi candidati, trai quali il vener. Domenico Blasucci (+ 1752) e san Gerardo Maiella (+ 1755) mistico e taumaturgo, si affrettarono inaspettatamente a iscriversi nell'inclita milizia, raddoppiandone il numero. L'incremento prodigioso parve una conferma celeste della Bolla pontificia.

Il fondatore dimorava in quel tempo nella verde vallata di Ciorani e trascorreva condiscendente le ore di ricreazione con i suoi cari novizi: insegnava il canto delle sue armoniose canzoncine e mostrava loro il fascino delle virtù del Redentore. Non si nascondeva la dura realtà di persecuzioni manifeste o celate, che si abbattevano con ritmo crescente sul noviziato. Compassionando quelle piante delicate, che dovevano svilupparsi tra implacabili tempeste, si accinse a comporre un libretto per darlo, come valida arma, ai suoi amatissimi giovani, fuggiaschi dal mondo a onta dei dispacci regalisti.

Gli Avvisi spettanti alla vocazione religiosa (2) con le Considerazioni per coloro che sono chiamati allo stato religioso e il Conforto ai novizi comparvero nel 1749. Sant'Alfonso destinò l'interessante pubblicazione ai suoi giovani congregati per alimentare il fervore e invogliarli alla perseveranza.

Con la sua consueta sobrietà espose nel primo trattatello l'eccellenza dello stato religioso e la necessità di corrispondere alla chiamata di Dio, nonostante le opposizioni familiari, indicando i mezzi adatti per custodirla e le disposizioni per attuarla. Nel secondo raccolse 15 considerazioni sui vantaggi della vita religiosa e sulle virtù da esercitare: vi frammischiò altrettante preghiere deliziose. Nel terzo, che è il complemento dei precedenti, svelò le tentazioni a cui vanno soggetti i postulanti, e indicò la tattica per rimanere vittoriosi nelle lotte diuturne.

Il volumetto, contenente qualche opinione forse anche troppo stretta intorno alla obbligatorietà della vocazione (3), vivificò i novizi redentoristi, temprandoli come un soffio carismatico. L'autore consolato ne regalò copie a tutti i noviziati di Napoli. E il frutto non fu scarso.

Dinanzi al comune gradimento stabilì di rimaneggiare il testo, curando un'edizione più generica. Infatti eliminò quasi tutti gli accenni alla congregazione del SS. Redentore e nel 1771 ristampò l'operetta in appendice ai Sermoni compendiati. Vi prepose la Lettera a un giovane, che sta deliberando sopra l'elezione dello stato (4). Nel 1775 dando alla luce le Vittorie dei Martiri, vi aggiungeva la Risposta a un giovane, che domanda consiglio circa lo stato di vita che deve eleggere.

Sant'Alfonso non riunì in un'opera organica i cinque opuscoletti menzionati: pensarono a metterli insieme gli intelligenti Editori ottocenteschi di Napoli e di Torino. Seguiamo il buon criterio per comodità di chi legge, attenendoci nella restituzione del testo alle edizioni vigilate personalmente dall'autore. Tuttavia preferiamo inserirvi tradotti i brani latini, mettendo a pie' di pagina soltanto le citazioni bibliche. Come pure ci permettiamo di ritoccare il testo in qualche punto, se occorre, per evitare le indignazioni dei lettori, che non intendono di baloccarsi con la filologia.

Gli Avvisi spettanti alla vocazione e gli opuscoli annessi non paiono così invecchiati da doverli riporre quali cimeli in vetrina.

Il contenuto tradizionale, che vibra in ogni rigo, ha tuttora densa attualità e l'avrà, finché sarà coltivata con propositi seri la vita interiore. Nel passato queste pagine semplici hanno fatto sbocciare insigni ideali, corroborandone parecchi prossimi all'inaridimento o a pericolose deviazioni.

Sant'Alfonso si muove nelle migliori correnti ecclesiastiche dei secoli XVII-XVIII, che trattarono con ampiezza e profondità il tema sotto l'influsso severo dei decreti disciplinari del Concilio di Trento. Nella dottrina rimane fedele alle più classiche autorità patristiche e medievali, ed è per conseguenza contrario al "liberismo moderno " non sempre basato sulla retta teologia.

In vivaci discussioni recenti si è giunti ad accusare il Dottore zelantissimo di aver osato "paragonare una dispensa dai voti a un passaporto per l'inferno" (cf Per meglio servire a Dio, c. 5; Milano 1957, p. 233). È esagerato: manca tale espressione negli scritti genuini del Patrono dei confessori e moralisti, rispettato universalmente come il maestro dell'equilibrio nella guida delle coscienze.

La maniera franca e cordiale, con la quale l'autore, nemico di qualunque eccessiva asprezza, ha svolto il problema della vocazione religiosa, ha giovato al successo del libro, che tradotto in una decina di lingue ha sorpassato in duecento anni 130 edizioni. Se ne conoscono oltre 30 nel testo originale, di cui l'ultima rimonta al 1943.

Ma anche gli esemplari di questa elegante ristampa, inclusa nella Collana paolina contenente " Il fiore dei santi Padri, Dottori e Scrittori della Chiesa ", sono ora esauriti.

Il congresso Internazionale delle vocazioni, tenuto a Roma nel dicembre del 1961 sotto la direzione della Sacra Congregazione dei Religiosi, i cui echi non sono spenti, ha incoraggiato a portarvi un contributo concreto con la presente edizione aggiornata, d'altronde tanto desiderata.

La voce di sant'Alfonso è sempre accolta con devota stima e profitto, sotto ogni cielo. E' la voce di "uno dei maggiori figli della Chiesa", come disse Pio XII nel 1954.

Il volumetto [ricordo del Conc. Ecumenico Vaticano II, che ci invita a un riesame della professione dei consigli e delle responsabilità inerenti (cf Cost. dogmatica sulla Chiesa, 1964)], entrerà da amico nelle famiglie cristiane e nelle associazioni giovanili per spargervi germi di sante vocazioni. Non tutti, probabilmente, attecchiranno... Ma quanti arriveranno a maturità sotto gli occhi materni della Mediatrice di grazie?

È il mistero del Paraclito, che spirando dove vuole, corona nei modi più impensati le fatiche editoriali.

Gli istituti hanno bisogno di anime generose, che avanzino fameliche della divina gloria e della salvezza umana sulle vie dell'apostolato, felici di aiutare la Chiesa essenzialmente missionaria a compiere nuove conquiste in un'ora paurosa di crisi sociale.

Oreste Gregorio

in S. ALFONSO M. DE LIGUORI

Opuscoli sulla vocazione

2ª edizione - Ed. Paoline 1965, pp. 5-11

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(1) S. Alfonso: Lettera ad un religioso amico, ove si tratta del modo di predicare all'apostolica, con semplicità, evitando lo stile alto e fiorito. Napoli 1761, n. 22.

(2) Il medico santo, Giuseppe Moscati (t 1927) leggeva questo libretto di S. Alfonso: all'ora della morte repentina fu trovato aperto nella sua camera, sul comodino, con il foglio piegato al II § che riguarda i Mezzi per custodire la vocazione (Cf Mons. E. Marini. Il Prof. Giuseppe Moscati, p. 247, Napoli 1930).

(3) S. Alfonso sin dalle prime pagine degli Avvisi spettanti alla vocazione osserva: "Alla vocazione succede la giustificazione, e alla giustificazione succede la glorificazione, cioè la vita eterna. Chi scompone quest'ordine e questa catena di salute, non si salverà ". Poco dopo soggiunge: " E quanti miseri giovani vedremo dannati nel giorno del giudizio per non aver ubbidito alla loro vocazione!". Nella Risposta a un giovane scriverà: "Chi non ubbidisce alla divina vocazione, difficilmente, anzi sarà moralmente impossibile che si salvi".

Le espressioni senza dubbio sono abbastanza rigide. Non bisogna staccarle dal complesso per farne degli aforismi. Vanno intese nella pienezza della dottrina spirituale del santo Dottore, che tanto nella Teologia morale quanto nelle Opere ascetiche ha svolto la questione della forza obbligatoria, che nasce dalla vocazione. Tale rigore è puramente ascetico e si spiega nella cornice del tempo e dell'ambiente volubile. Non di meno trova la sua giusta applicazione, quando il fatto di una vocazione soprannaturale è perfettamente sicuro.

(4) Il Papa Pio XI nell'Enciclica Mens nostra (20 dicembre 1929) sulla pratica degli Esercizi Spirituali cita la Lettera a un giovane, definendola: Pulcherrima quaedam epistola.

 

 




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