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S. Alfonso Maria de Liguori Virtù e pregi di S. Teresa IntraText CT - Lettura del testo |
CONSID. VII. Della ferita d'amore che ricevé da Dio il cuore di s. Teresa.
Da quel punto in cui Gesù dichiarò sua sposa Teresa con modo sì amoroso, come di sopra si considerò, restò ella così presa verso del suo diletto, che più ad altro non sapea pensare che ad essergli grata. Vedendosi così favorita dal divino amante e nello stesso tempo così povera in poter corrispondere a tante grazie, dolcemente
esclamava colla Sposa de' Cantici: Fulcite me floribus, stipate me malis, quia amore langueo. S'aiutava dunque or con desiderj di patire per più gradire a Dio, or con ansie di morire per amarlo più perfettamente, e questi erano i fiori. Ma più cercava poi di confortare il suo cuore languente coi frutti dell'amore che sono l'opere sante, colle penitenze, colle umiliazioni, e specialmente colle fatiche che intraprese e durò nella grande opera della riforma, giungendo a fondare trentadue monasteri, povera, destituta di soccorsi umani e contradetta sin anche da' principali del mondo, come ricorda la chiesa nelle lezioni del suo officio.
Nulladimeno per tutto ciò troppo poco riusciva a soddisfare i suoi ardenti desiderj di piacere al celeste sposo, e col suo diletto di protestava non esser atta a soffrir la gran pena di vedersi così arricchita in ricevere, e così scarsa in rendere. Onde non rare volte circondata dalle s. fiamme del divino amore, e fuori de' sensi dolcemente ardeva e languiva. Ed oh che bel vedere era agli spiriti beati che l'assistevano, il veder languire quella nobile sposa del Crocifisso che languendo esclamava: Adiuro vos, filiae Ierusalem, si inveneritis dilectum meum, ut nuntietis ei quia amore langueo. L'effetto di tal sagro languore è (come spiegano i dottori) il rendere l'anima così scordata di sé e delle sue cose, che non ami né pensi che a dar gusto all'amato. E questo è l'amar da sposa, come nota s. Bernardo colle seguenti parole con cui fa parlare un'anima sposa: Servus timet, filius honorat, mercenarius sperat. At ego, quia sponsa sum, amo amare. amo amari, amo amorem. Tale appunto era la nostra serafina, che felicemente languendo, scordata d'ogni cosa che non servisse al divino amore, amata ed amante, non cercava altro piacere che quello di Dio né voleva altro premio che di più amarlo.
Ma come il cacciatore per assicurar la bramata preda, cerca con più ferite di fermarla e farla sua, così appunto par che il divino arciero operasse con Teresa, inviandole più volte un serafino a ferirle quel cuore che volea tutto per sé. Sentiamo la stessa santa che ci descrive questa grazia nel cap. 29. della sua vita: «Volle il Signore che alcune volte io vedessi un angelo appresso di me al sinistro lato, picciolo, molto bello, colla faccia accesa, che pareva uno de' serafini: a questo vidi in mano un dardo e nella punta un poco di fuoco: con questa pareva che mi ferisse alcune volte il cuore e mi arrivasse alle viscere, parte delle quali, al cavarnelo fuori, parmi che se ne portasse seco, e mi lasciasse tutta bruciando in grande amore di Dio. Era sì grande il dolore che mi faceva dare alcuni piccioli stridi lamentevoli; ed era così eccessiva la soavità che mi porgeva questo grandissimo dolore, che non si può desiderare che si parta, né l'anima si contenta con meno che di Dio. Non è dolore corporale, ma spirituale, sebbene il corpo non lascia di parteciparne alquanto ed anche assai. È un accarezzamento amoroso, che passa tra l'anima e Dio, che prego la divina bontà, che lo dia a gustare a chi pensa ch'io mento».
O amabil ferita, dunque bisogna esclamare, o soave dolore! o fuoco desiderabile! Ferita che fai amar chi ferisce: dolce, che sei più dolce di tutti i piaceri del mondo: fuoco che sei più
desiderabile che tutt'i regni della terra: tu sei il dono più caro che dà l'amante divino alle sue spose dilette e fedeli: dono che esce immediatamente dal cuore amoroso di Dio, per cui l'anima (come diceva la santa) non si contenta con meno, che di Dio.
Chi tiene una gran ferita nel cuore non può non pensare a chi l'ha ferito: e se mai volesse scordarsene lo stesso dolore glie lo ricorda. Così l'anima ch'è ferita d'amore di Gesù non può più vivere senz'amare Gesù, senza pensare a Gesù. Se mai il mondo e creature cercano di distrarla dal suo amoroso pensiero, la stessa piaga del cuore la costringe dolcemente a pensare a chi per amore la ferì, ed a languire d'amore per lui. Questo appunto avvenne alla santa che conchiude il racconto di tal grazia ricevuta con queste infocate parole: «Io andava imbalordita; non avrei voluto vedere né parlare, ma starmene abbracciata colla mia soave pena, la quale parmi ch'era di maggior gaudio e contento di quanti possono essere in tutto il creato».
Ma oh Dio! che mai non s'abbraccerebbe con quella pena, se pena si può chiamare quella che viene con tal felice fuoco d'amore, che fa beati i santi in cielo e li terrà pieni di gaudio per tutta l'eternità! Ma per render disposto il cuore a ricevere questo fuoco e queste ferite bisogna risolverci finalmente una volta a cacciare dal cuore ogni cosa che non è Dio, con un generoso addio a tutte le creature, dicendo: mondo, onori, ricchezze, creature, che volete da me? Io vi rinunzio tutte, vi lascio, addio. Il mio Dio mi ha innamorato, mi ha ferito: egli col suo amore si ha guadagnato finalmente tutto il mio cuore: egli mi ha fatto sapere che non è contento se non lo possiede tutto. Creature dunque partitevi da me; voi non potete contentarmi né io desidero più contenti da voi; andate a contentar chi vi cerca, ch'io non vi voglio più. E che voglio? Voglio solo Dio: son contenta di Dio: mi basta sì, mi basta solo Dio. Basti per voi, quanto per mia disgrazia vi ho amato e servito. Il tempo che mi resta a vivere su questa terra, o sia poco o sia molto, voglio impiegarlo tutto e solo ad amare quel che Dio ch'è stato il primo ad amarmi, e merita e cerca da me tutt'il mio amore.