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S. Alfonso Maria de Liguori
Dell'uso moderato dell'opinione probabile

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CAPITOLO VI - SI RISPONDE AD ALTRE OPPOSIZIONI SPETTANTI ALL'ENCICLICA DI BENEDETTO XIV, AL DECRETO DELL'ASSEMBLEA ED ALL'AUTORITÀ DE' VESCOVI E DE' TEOLOGI.

 

1. Inoltre mi oppone il p. Patuzzi quel che si trova scritto nella lettera circolare del 1749 da Benedetto XIV per la preparazione dell'anno santo, in lingua italiana, dove il pontefice ammonisce il confessore così: «Nelle materie dubbie non dee fidarsi della sua privata opinione, ma, prima di rispondere, si contenti di vedere non un sol libro, ma ne veda molti: veda tra questi i più rispettabili, e poi prenda quel partito che vedrà più assistito dalla ragione e dall'autorità. Così ci spiegammo nella stessa lettera circolare sopra le usure (ch'è la 143 del tom. 1 del nostro bollario al § 8 ec.); e così ora ripetiamo, non dovendo la massima esser ristretta alla sola materia delle usure ec

 

2. Ma a questa opposizione già ho risposto nella mia lettera apologetica, data fuori dopo la dissertazione, ed ho detto primieramente che la lettera latina che porta la data dello stesso giorno non dice così, ma dice: Libros consulant quorum doctrina solidior, ac deinde in eam descendant sententiam quam


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ratio suadet et firmat auctoritas; nec aliud sane docuimus in nostra encyclica super usuris etc. Sicché la lettera latina non dice che dee seguirsi il partito più assistito dalla ragione e dall'autorità, ma che debbono consultarsi quei libri che sieno di dottrina più solida, e poi s'abbracci quella sentenza che vien persuasa dalla ragione e fermata dall'autorità. Il p. Patuzzi intende queste parole per quella sentenza che vien provata per unica vera; ma io e molti altri meco l'intendiamo per quella sentenza che, secondo la ragione e l'autorità, vien provata per sodamente e veramente probabile, condizione che vien comunemente richiesta dagli autori probabilisti per tutte le opinioni gravemente probabili, cioè che sieno assistite dalla ragione e dall'autorità, altrimenti dovrà sempre seguirsi l'opinione più sicura. Dico di più che certamente dee più attendersi la lettera latina che l'italiana: prima perché l'italiana riguarda la sola Italia, ma la latina riguarda tutto il mondo cristiano; in secondo luogo perché la latina più si uniforma alla lettera fatta prima nel 1745 sovra le usure, citata dallo stesso papa, ove diceasi: Plures scriptores examinent qui magis prædicantur; deinde eas partes suscipiant quas tum ratione, tum auctoritate confirmatas intelligent. Posto ciò, non può supporsi che il papa


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abbia voluto appostatamente mandare a' vescovi queste due sorte diverse di lettere. Dunque si presume essere stato abbaglio del traduttore; e se v'è stato abbaglio, molto più si presume dalla parte della lettera italiana che della latina, per le ragioni poc'anzi accennate. Inoltre, ancorché dovesse attendersi l'italiana, dove mai sta dichiarato ch'ella contenga un rigoroso precetto e non già un semplice consiglio, essendo indubitato che ogni confessore (ordinariamente parlando) dee consigliare i suoi penitenti nelle opinioni probabili dall'una e dall'altra parte a seguire le più sicure? Ma chi mai per altro potrà persuadersi che una questione così dibattuta per tanti anni da per tutto ed anche in Roma, e per cui si sono scritti tanti libri, il pontefice poi abbia voluto deciderla con quelle poche parole: prenda quel partito più assistito dalla ragione e dall'autorità? Verisimilmente, se il papa avesse voluto determinar questa controversia, vi avrebbe fatte precedere più congregazioni di cardinali e teologi, e poi l'avrebbe decisa con un decreto espresso e solennemente pubblicato. Inoltre rispondo: ancorché quello non fosse consiglio ma precetto, altro con ciò non resterebbe riprovato che l'uso dell'opinione meno probabile, ma non già l'uso dell'egualmente probabile. Per ultimo dico: che cosa ordina il papa


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al confessore? che prenda quel partito che vedrà più assistito dalla ragione e dall'autorità. Ciò dunque favorisce la nostra sentenza, mentre crediamo essersi bastevolmente provato ch'ella sia il partito più assistito dalla ragione e dall'autorità.

 

3. Aggiungo: se Benedetto XIV avesse tenuto che non possono seguirsi le opinioni probabili meno sicure, ingiustamente nella sua opera de synodo, ristampata da esso ed accresciuta di molte dottrine in tempo del suo pontificato, avrebbe vietato a' vescovi di condannare molte opinioni che oggidì tra gli autori son molto controverse ed universalmente tenute per dubbie, com'è l'opinione che clerici sunt veri domini fructuum beneficiorum suorum; e la ragione che ne adduce, quia id controvertitur inter theologos. De syn. cap. 1, n. 23. Così anche parlando della questione se sia sacrilegio il ricevere il suddiaconato in peccato mortale, conchiude: Dubii pariter causa et nos hæremus; ideo autem rationes attigimus ut videant episcopi non posse indubitanter sacrilegii damnari qui cum conscientia peccati lethalis ordines diaconatu inferiores suscipere non reformidat. Dunque, con tutto che l'opinione che sia sacrilegio è di S. Tomaso e di tanti altri, e non può dubitarsi che sia sodamente probabile, pure dice Benedetto che non dee


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condannarsi di sacrilegio certo. Se egli avesse tenuto per legge universale ed obbligante il detto de' canoni che in dubiis tutior via est eligenda, ingiustamente avrebbe a' vescovi proibito il condannare in questi casi le opinioni benigne per la ragione ch'erano dubbie e controverse, ma per la stessa ragione ch'erano così dubbie e controverse, avrebbe dovuto ammonire i vescovi che, attesa quella legge universale, doveano senza meno condannare tali opinioni: ma no; perché erano dubbie, perciò ha vietato a' vescovi di condannarle.

 

4. Di più il p. Patuzzi oppone che tante ragioni che assistono alla sua sentenza, l'autorità dell'assemblea di Parigi e tanti editti di vescovi (specialmente della Francia) e di tanti altri uomini dotti, doveano, se non persuadermi, almeno mettermi in dubbio della certezza morale del mio sistema. Io venero l'autorità di questi prelati, ma replico quel che di sovra dissi, che il motivo estrinseco delle autorità de' dottori non dee né può far peso notabile quando il motivo intrinseco della ragione in contrario sembra certo e convincente, ed all'incontro non è destituto di sufficiente autorità di altri dotti che l'approvano.

 

5. Io osservo che per la nostra sentenza l'autorità estrinseca non solo non è minore


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di quella che vi è per la contraria, ma è molto maggiore. Ed in ciò bisogna avvertire che gli avversarj citano per la loro sentenza molti autori antichi, ma questi favoriscono a noi e non ad essi, come abbiam provato nel cap. III, al n. 23, 24 e 25. Né possono negare che la nostra sentenza almeno per 80 o 90 anni è stata comune presso gli autori della teologia morale: ed è stata difesa da molti vescovi e cardinali, come dal card. Sfondrati, theol. schol. de act. hum.; dal card. de Lugo, de sacr. pœn. d. 22, n. 39; dal card. Toledo (della cui somma scrisse S. Francesco Sales, epist. 34, lib. 1, che contenea dottrine sicure), istr. sac. lib. 3, c. 20, n. 7; da monsig. Tapia, in cat. mor. l. 8, a. 22; da monsig. Alvarez; da monsig. Ledesma, t. 8, c. 12; da monsig. Angles; da monsig. Bonacina, de peccat. qu. 4, 29; da monsig. Abelly, medull. p. 2, tract. 2, c. 1, § 3; da monsig. Zerola; da monsig. Maldero, 1, 2, q. 19, d. 86; da monsig. Tudesco arcivescovo di Palermo, in c. Capellanus, de feriis; da monsig. Medina, in 1, 2, p. 19, a. 6, conc. 3; e da monsig. Barbosa, to. 1, coll. lib. 2, decr. pag. 408; l'autorità dei quali non so perché abbia minor peso dei vescovi riferiti dal p. lettore. È stata difesa poi da mille teologi e religiosi di tutte le religioni: e tra questi da molti maestri


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domenicani, tra' quali sempre è fiorito lo studio della teologia, come dal m. Bannez, 1, 2, q. 10, a. 1; m. Martinez, 1, 2, q. 19, a. 6; m. Lorca, d. 39; m. Lopez, p. 1, c. 120; m. Montesino, d. 29, q. 5; m. Candido, d. 1, v. Absolv.; m. Medina, t. 1, q. 16, a. 7; m. Alvarez. Inoltre dal p. Gio. da S. Tomaso, 1, 2, vide q. 19; dal p. Galleno, de consc.; dal p. Giambattista Idelfonso, 1, 2 qu. de probab.; dal p. Serra, 1, 2, q. 19, a. 6, d. 4. Inoltre da molti dottori dell'università della Sorbona, come da Gammacheo, 1, 2, q. 19, c. 2; Duvallio, de act. hum. qu. 4, a. 12; Isamberto; Millart, t. 2, c. 13; Davide Mauden, disc. 2 in 8 præc., n. 11 et 12; Giovanni Ferrerio, tract. de probab.; Lorichio, thesaur. v. Opinio; e da Bertant, vide de consc. Da altri dottori di altre università, come da Cristiano Lupo, t. 9, p. 1, d. 1, c. 1; Francesco Silvio, 1, 2, qu. 19, art. 5, q. 9, concl. 3; Antonino Perez; Gio. Wiggers, 1, 2, q. 19, a. 6, d. 6; da Pietro Navarro, l. 3, c. 1; dal p. Suarez, t. 5, p. 3, d. 40, sect. 5; dal p. Vasquez (molto lodato dal p. Mabillone), 1, 2, q. 19, c. 3; da Becano (che dal dottor Dupin fu anche molto lodato), de act. hum.; da Lessio (il cui libro de justitia da S. Francesco Sales fu stimato utilissimo), de just. c. 29, d. 8; da Reginaldo (che dallo stesso S. Francesco fu

assegnato a' suoi confessori), l. 13, n. 90; da Azorio (l'opera del quale da monsig. Bossuet fu posta nel catalogo de' libri utili per acquistar la scienza, come scrisse, del santo ministero), t. 1, l. 2, c. 12. Inoltre da tanti altri autori non di sicuro nome, come dal Ponzio, de matr. l. 10, c. 13; Platellio, q. 19, a. 5, d. 86; Valenzia, d. 2, q. 14, punct. 4; Laymann, l. 1, tr. 1, c. 5; Salonio, de just. q. 63, contr. 2; Aragonio, 2, 2, q. 63, a. 4; Sairo, clav. reg. l. 1, c. 5; Barbosa; collect. Capellanus, de fer.; Cornejo, tr. 8, d. 3, dub. 6; Farinacio, cons. 60, n. 9; Garzia, de benef. p. 11; Lezana, p. 4, verb. Opinio; Salas, tr. 8, sect. 6; Rodriguez, in espos. bullæ, § 9; Tannero, d. 2, q. 4, d. 3; Bardi, d. sel. ad Cand.; Breserio, l. 3 de consc. c. 6; Coninchio, d. 34, d. 10; Castropalao, p. 1, tr. 1, d. 2; Filliuccio, t. 2, c. 4, q. 4; Gordono, l. 1, q. 9, c. 6; Granado, or. 2, contr. 2, d. 2; Guttierez, l. 1, c. 13; Villalobos, t. 1, tract. 1, diff. 10; Bossio, de consc. p. 1, tit. 1, § 17, n. 127; Schilder, de princ. consc. tract. 2, c. 2, § 2; Marcanzio, tract. 5, tit. 5, q. 6; Hurtado, de pœnit. d. 9, d. 7; Preposito, de pœnit. q. 10, n. 8; Possevino, in prax. c. 15; Pesanzio, 1, 2, qu. 19, d. 2, art. 6; Turriano, de just. d. 13, d. 3; Polanco, de prud. conf. c. 1; Acacio de Velasco, t. 11,


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res. 316, n. 7; Did. Nugno, p. 3, qu. 8, a. 5, d. 3; Pietro Molina, l. 8, de pœnit. c. 4, n. 18; Tomaso Villar, in 1, 2 de consc. p. 4, § 6; Lopez, t. 1 mor. l. 1, tr. 2, contr. 7, n. 9; Gio. da S. Tomaso, 1, 2, 10, 1, d. 12, a. 3, n. 5; Dom. Gravina, lib. 2 de object. revel.; Prado, t. 1, tr. 1, q. 4, § 3, n. 12; Hacqueto, contr., theol. in 1, 2, contr. 14; de Blanchis, dis. dif. mater. pag. 182; Bonespei, d. 7, n. 287 et 298 contra Caram.; Andrea Lao, 1, 2, d. 3, d. 18; Pietro da S. Giuseppe, l. 1 de leg. c. 3, res. 4; Carolmalleto, t. 1, mall. 8, tr. 4; Mattia Hauzeur, ep. t. 2, c. 5; Basseo, in florib. theol. p. 99; Francesco Longo, de casib. res. p. 1, sect. 2, a. 2, n. 2; Caspense, de consc. d. 3, sect. 2; Gesualdo, tr. 24, c. 5; Raggio, centur. 1 de regul. p. 2, d. 46; Vidal, in arca vit., de opin. prob., inquis. 5, n. 45; Lanfranco, opusc. 1, c. 4, n. 16; Neusser, theol. d. 21, q. 12, con Delgadillo; Bosco; Byvin; Bruodino; Sichen; Fulgenzio della Trinità; quodl. v. Opinio; Potestà, p. 1, c. 1, n. 59; Sabino, v. 11 de probab.; Reinffestuel , theol. mor. tr. 2, d. 2, n. 47; Cassiano di S. Elia, v. Opinio, § 2; Bordone, de prob. c. 6, 22; Morando, tract. 2, q. 25, n. 126; Naldi, in Summa, v. Opinio; Delbene, tr. mor. tr. 2; Alf. de Montegro, itin. etc. l. 1, tract. 4, sess. 20; Guglielmo Henric., in Summa, p. 2,


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tr. 2, d. 4, q. 3, § 2; p. Navarretto, t. 2, tr. 5, contr. 5 et 20; Gibert, de opin. prob., Gio. de Lugo, de pœn. 23, sect. 2, § 2; Domenico de Metz, in clav. theol., de act. hum.; Lud. Bayle, l. de tripl. etc. p. 1, qu. 12 et qu. 13; Mercado, de contr. l. 2, c. 5; Nazzario, op. 2 de obl. rel., dub. 4, concl. 2; p. Gaetano Corazza, de consc. tr. 5, p. 63; Vegschiaider, de act. hum. de consc.; Perez; Lidio Lapis, de Baccio, in select. cas. p. 232; Lorichio, thesaur. theol. t. 2, v. Opinio; e de' più moderni Roncaglia, l. 1, q. 1, reg. in praxi; Holzmann, to. 1, pag. 29, n. 131; Elbel, t. 1, pag. 65, n. 185; p. Gradonico nella sua lettera del probabile, epist. quest. del prob.; il p. Gaetano del Pezzo teatino; Eusebio Amort; de Ferraris, bibl., vide v. Opinio; e da tanti altri che si lasciano per brevità. E tutti questi autori erano in quel tempo uomini stimati di tal dottrina che da' loro libri prendevan norma tutti i vescovi, confessori e predicatori. Ne è vero che gli uni come pecore alla cieca andavano presso degli altri: perché, siccome ne' loro libri si vede, in cento e mille questioni discordavano e contraddicevansi tra di loro; solamente nell'uso del probabile erano universalmente concordi in ammetterlo. Né può credersi che in tanti anni, ne' quali fu comune questa loro sentenza, Iddio abbandonasse


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la sua chiesa, lasciando che comunemente i pastori e le loro pecorelle seguitassero una dottrina falsa e detestabile, come la chiama il mio oppositore. Intanto le autorità di tanti e tali scrittori non credo che debban cedere alle autorità de' moderni che vogliono riprovare una sentenza che per tanti anni è stata comunemente abbracciata da' teologi.

 

6. Ma questi autori, mi dice il p. lettore, da voi stesso tengonsi per ingannati, mentre per tal sentenza dell'uso lecito dell'opinione probabile valeansi di quel principio che da voi è riprovato: qui probabiliter agit, prudenter agit. Si signore, tal principio dico che solo e per sé direttamente parlando non basta per operar lecitamente; perché, non avendosi altro fondamento che la sola probabilità dell'opinione, manca la certezza morale dell'onestà dell'azione. Nondimeno dico che (come abbiam veduto di sopra) già molti autori si sono avvaluti dello stesso nostro principio, che la legge dubbia non può obbligare. Di più io giudico che neppure gli autori mentovati appoggiavano solamente a quel principio - qui probabiliter agis etc. - la loro sentenza; e la discorro così. Essi da una parte confessavano già per operare lecitamente è necessaria la morale certezza che l'azione sia onesta, secondo la Scrittura che dice: Ante omnia opera verbum verax


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præcedat te, et ante omnem actum consilium stabile. Eccl. 37, 20. E questo è quel che volle dire il cardinal Bellarmino scrivendo ad un vescovo (cosa di cui il p. lettore fa tanta pompa che la mette in fine del suo libro), che dove la coscienza non trova la certezza morale di ben operare (ch'è la verità che solo può e dee cercarsi nelle materie morali), dee tenersi la parte più sicura. All'incontro essi medesimi autori aveano scritti ed assegnati come principj che non obbliga la legge la quale non è sufficientemente promulgata, e che dove possiede la libertà, la legge dubbia non può indurre una obbligazione certa, con quel principio da essi così spesso adoperato, che in dubio melior est conditio possidentis. Dunque se tali principj non gli spiegavano, certamente almeno li supponeano. Dice un autore probabilista (Ferraris, bibl. to. 2, v. Conscientia, n. 8) che chi opera secondo l'opinione probabile, oltre il giudizio opinativo diretto, ha almeno virtualmente il giudizio riflesso, col quale certamente giudica di lecitamente operare. È vero che asserivano già come un assioma gli autori riferiti il detto che opera prudentemente chi probabilmente opera: ma se fosse stato loro dimandato come poteva operar prudentemente chi operava senza il dettame certo della coscienza, avrebbero facilmente risposto


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che il dettame certo formavasi per gli altri principj dichiarati di sopra; sicché l'assioma suddetto era da essi affacciato non già come principio, ma più presto come una conseguenza o sia corollario che ricavavasi dagli altri principj.

 

7. Inoltre, come si è detto, questo sentimento di potersi lecitamente seguire le opinioni egualmente probabili è stato già comune fra gli autori della morale, almeno per lo spazio di ottanta o novant'anni; ed è certo che tali autori allora si regolavano tutti i vescovi ed i confessori e per conseguenza tutte le coscienze. Onde non può credersi che la Chiesa avrebbe mai sofferto un errore (se mai fosse stato errore) così universale per tutto il mondo cristiano. Che importa poi che gli autori non abbiano accertata la ragione o, per meglio dire, dichiaratala come conveniva, per esser questa materia allora così confusa dopo che gli autori più antichi aveano parlato in ciò più confusamente di essi, con tutto che parimenti gli antichi ammetteano già l'uso delle probabili, come abbiam veduto nel cap. III, n. 23 e seguenti? Basta (dico) il sapere che tal sentimento per tanti anni è stato comune nella Chiesa. Tanto più che la Chiesa ha ben avuta la cura di condannare tante proposizioni circa le opinioni probabili, parlando in materia di sacramenti,


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di fede e de' giudici, e parlando della tenue, ma non già parlando in altra materia e delle opinioni egualmente probabili. Né la Chiesa avrebbe mai sofferto che potessero seguirsi le opinioni probabili col dubbio pratico, senza avere la certezza morale di onestamente operare.

 

8. Inoltre la massima antica de' probabilisti che chi opera probabilmente, prudentemente opera, ella può intendersi in due sensi. Se s'intende operando con tal principio come diretto, ella è falsa; ma se s'intende, appoggiando tal massima agli altri principj riflessi della legge non promulgata o del possesso della libertà anteriore all'obbligazione della legge, allora la massima - qui probabiliter agit, prudenter agit - è veramente prudente e veramente certa. Tanto più che già molti autori, come abbiam veduto di sovra al cap. III, n. 15, si valevano del principio che la legge dubbia non obbliga. E perciò saggiamente scrive il p. Eusebio Amort che l'assemblea di Francia, condannando l'uso dell'opinione egualmente probabile e meno sicura, ebbe solamente riguardo al giudizio diretto della suddetta massima, ma non al giudizio riflesso.

 

9. Ecco come parla il decreto dell'assemblea: In dubiis de salutis negotio, ubi æqualia utrinque animo se offerunt rationum momenta,


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sequamur id quod tutius est, sive quod est in eo casu unice tutum; nec id consilii, sed præcepti loco habeamus, dicente Scriptura: Qui amat periculum, in illo peribit. Sicché secondo il senso ovvio ivi si parla del solo ultimo dettame pratico della coscienza; onde, offerendosi ragioni eguali per l'una e per l'altra parte (ubi æqualia utrinque se offerunt rationum momenta), giustamente disse l'assemblea che dovea seguirsi la più sicura. Se sapessimo che l'assemblea avesse considerati i principj da noi assegnati e li avesse ributtati, allora di lei autorità osterebbe alla nostra sentenza: ma noi vediamo che l'assemblea parla de' dubbj spettanti alla salute eterna, in dubiis de salutis negotio, colle quali parole si dinotano i soli dubbj pratici: vediamo di più che adduce in comprovamento di ciò il testo della Scrittura - Qui amat periculum etc. - il quale testo addita una legge certa, qual è quella di non differire la conversione sino all'ultimo della vita; mentre le parole che sieguono al testo suddetto - Qui amat periculum, in illo peribit - sono le seguenti: Cor durum habebit male in novissimo. Eccl. 3, 27. Chi dunque non vede che l'assemblea parlò del solo e nudo giudizio diretto e del mero dubbio pratico?

 

10. Dunque, dice il p. Patuzzi, que' prelati di Francia non han saputo riflettere ai


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vostri principj riflessi. Io non dico che non han saputo riflettervi, ma dico che non v'han riflettuto. Il che non dee recarci gran meraviglia: poiché i mentovati principj, come dicemmo, benché sembrino chiari (secondo le prove di sovra addotte) ad ognuno che ben li considera, nondimeno essi abbisognano di molta riflessione e discorso per vederne la forza. Almeno (dico) i vescovi della Francia non han voluto entrar in questo punto de' principj riflessi, contenti solamente di dichiarare che, volendo l'uomo operare, se egli si ritrova in dubbio per vedere che le ragioni sono eguali per l'una e per l'altra parte, allora dee porsi al sicuro; ciò importano le parole del decreto, e ciò tutti lo concediamo. Ma diciamo noi che quando l'uomo opera coll'opinione egualmente probabile e non si muove dalle sole ragioni probabili dell'opinione, ma si appoggia a' principj certi riflessi, allora non opera più col dubbio, ma con certezza del suo onesto operare. E con ciò io dico, e fermamente il dico, che tutti o quasi tutti gli autori che contro di noi si adducono dagli avversarj e sembrano a noi contrarj, in effetto, quando si riflette, non sono a noi opposti: poiché essi in tanto dicono che nel contrasto di due opinioni egualmente probabili dee seguirsi la più sicura, in quanto considerano solamente


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l'ultimo dettame, che direttamente formasi dal concorso delle due eguali probabilità; e ciò è chiaro per la ragione che ne adducono, dicendo che, quando i motivi delle due opinioni sono di peso eguale, l'uomo non può determinarsi con sicurezza a tener la parte meno sicura; e discorrendo così, giustamente poi concludono non esser lecito l'uso dell'opinione che sta per la libertà. Ecco come parla il p. Gonet: Ratio est quia in moralibus et practicis debet (homo) determinari a prudentia, subindeque moveri ex aliquo motivo prudenti intrinseco vel extrinseco; quando autem opiniones sunt æque probabiles non potest determinari ex aliquo motivo intrinseco seu ex aliqua ratione præponderante, cum tunc rationes in utramque partem sint æquales. Ergo tunc debet determinari ab aliquo motivo extrinseco prudenti, quod non potest esse aliud quam major securitas... Unde cum in concursu plurium opinionum homo sit anceps, nesciens in quam partem inclinet, ut prudenter agat, debet eligere securiorem. Man., t. 3, tract. 3, cap. 16, qu. 4. E come parla il p. Gonet, così dicono comunemente gli altri che si citano contro la nostra sentenza. Sicché parla Gonet di chi in tal dubbio non ha motivo bastanteintrinsecoestrinseco a determinarsi per la parte men sicura. Ed


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ecco come certamente così il p. Gonet, come l'assemblea parlavano del giudizio diretto e non del riflesso. Io tengo per certo che se l'assemblea di Parigi, il p. Gonet e gli altri vescovi che mi si oppongono dal p. lettore avessero esaminata la questione secondo l'aspetto da me proposto, cioè secondo il giudizio riflesso fondato sulle ragioni da me esposte di sovra, non avrebbero punto riprovata la nostra sentenza. Altro è dire che quando vi sono ragioni eguali per credere lecita un'azione da una parte ed illecita da un'altra, possa quell'azione lecitamente farsi; e ciò senza dubbio è falso. Altro poi è dire che la legge non obbliga quando vi sono ragioni eguali per credere ch'ella esista; perché allora la legge, ancorché vi fosse, non è intimata abbastanza, ma solamente è intimato in tal caso il dubbio della legge.

 

11. Parlando poi degli editti de' vescovi della Francia, che accenna l'avversario e stanno riferiti in diversi capi nella terza parte dell'opera della Regola prossima ec., né quali dice egli esser condannato il probabilismo, io ho riflettuto che tutte quelle condanne son dirette contro l'apologia de' casisti d'un certo p. Pirot, libro universalmente allora e giustamente riprovato, ove diceasi che per assicurar la coscienza bastava seguire non solo ogni opinione, benché meno


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probabile (indistintamente parlando), ma anche la probabilmente probabile, e qualunque opinione approvata da ogni casista: Quamcumque opinionem probabilem tuta conscientia amplecti posse, atque illam etiam opinionem quæ nonnisi probabiliter probabilis sit; atque ad conciliandam opinionibus probabilitem satis esse non modo quatuor, sed et trium, imo et unius etiam doctoris auctoritatem. Così trovo scritto dal signor Guarnacci (presso lo stesso libro Regola ec., nel luogo citato al capo 5), il quale ivi soggiunge che i vescovi furono obbligati di ricorrere al re Luigi XIV per far reprimere l'audacia di coloro che, ad onta de' decreti d'essi vescovi, seguivano a spargere tali dottrine lasse. Ma vediamo ora quali furono queste condanne de' vescovi. La condanna che l'autore del detto libro chiama la più solenne fu quella de' cinque vescovi, cioè di Alet, di Pamiens, di Camige, di Baza e di Conserans; questi adunati insieme, parlando del libro, dissero: «L'autoreindiscretamente si abusa della prima (cioè della probabilità) che ardisce sostenere che di due opinioni probabili si può seguire la meno sicura (senza spiegazione de' principj riflessi): che di due opinioni probabili si può scegliere quella ch'è meno probabile: che si possa seguire il sentimento d'un solo, comeché


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opposto a quello degli altri. Donde si può inferire che quando qualche opinione sia sostenuta da alcuni casisti ed anche da un solo, tanto basta per mettere l'anima in sicurezza, malgrado le ragioni ed autorità contrarie. Ciò onninamente ripugna ec. Per lo che noi condanniamo la maniera di assicurare la coscienza nella guisa (ecco quale fu la condanna) che fa l'autore di questa apologia; e giudichiamo che le massime della probabilità nella maniera che vengono da lui spiegate ed estese sono false ec Sicché questi prelati non condannano il probabilismo, se non nella guisa e maniera (troppo già lassa), come lo spiegava e l'estendeva l'autore. Similmente monsig. di Gondrin arcivescovo di Sens fra i 30 articoli che condannava del libro, nel secondo della probabilità condannò i seguenti detti dell'autore: «Che tutte le dottrine probabili, vere o false, conformi o contrarie alla legge naturale, sono egualmente sicure: che non si corre verun pericolo, purché si segua il parere di alcuni casisti: che si può anche preferire l'opinione meno probabile, e ch'ella non è meno sicura d'una più probabile.» Due vicarj generali del card. di Retz arcivescovo di Parigi a rispetto del probabilismo condannarono questa parte del libro: «Allorché un'opinione è probabile, ella è sicura. Dico inoltre


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che la sicurezza non riceve più o meno quando trattasi dell'azione che si pratica con una opinione probabile. Perlocché aggiungo che l'opinione meno probabile non è meno sicura della più probabile. In certi casi il sentimento d'un solo autore può esser preferito all'opinione di più autoriMonsig. Nicolò Vidame di Gerboroi vescovo di Brevais scrisse a' parrochi: «Basta che perseveriate nel giusto orrore che palesate contro la dottrina della probabilità ec. Imperocché è certo che questa dottrina, nella guisa che vien sostenuta nell'apologia, è la sorgente più pericolosa ec.» Dello stesso modo parlano gli altri vescovi, condannando tutti il probabilismo nel senso come viene spiegato dall'autore del libro. Vi sono poi tre o quattro altri vescovi che affatto non toccano il punto della probabilità, ma solo condannano il libro. Un altro solo di essi esprime l'opinione egualmente probabile, non già condannandola, ma dimostrando solo nella prefazione il suo sentimento a quella contrario. Sicché l'autorità oppostami de' vescovi di Francia non molto mi osta, mentre il loro impegno principale fu di condannare propriamente il probabilismo nella guisa ch'era spiegato ed esteso nel libro dell'apologia.

 

12. Replica il mio oppositore: ma quietatevi,


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perché oggidì universalmente i vescovi, i teologi ed i confessori tutti, in somma tutto il saggio mondo seguita il sistema nostro. A questa replica io ho già risposto nell'ultima mia lettera apologetica. Primieramente ripeto che quando la ragione intrinseca è convincente, poco peso dee fare l'autorità estrinseca. Del resto, che la sentenza rigida oggidì sia comune tra' dotti è una bella lusinga del p. lettore. Quanti vescovi anche al presente tengono il contrario! Solamente coloro che so io eguagliano o avanzano i vescovi de' quali egli fa menzione. Molti prelati, abbati e superiori di religioni con altri uomini dotti mi hanno scritto che la sentenza ne' termini da me difesa non può contrastarsi, se non da coloro che stanno colla mente pregiudicata; poiché i principj, su de' quali sta fondata la sentenza dicono esser chiari ed incontrastabili. Nella fine del libro stanno trascritte le lettere di tali personaggi; e prego il mio lettore a leggerle per osservare come parlano sovra questa mia sentenza, che dal p. Patuzzi si fa vedere come riprovata da tutto il mondo. Frattanto, per dare qui un saggio de' loro sentimenti, voglio trascrivere una sola lettera dell'abate D. Prospero dell'Aquila Verginiano, oggi passato a miglior vita, che ha date fuori molte opere erudite. Egli mi scrive così:


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Illustriss. e reverendiss. sig. sig. e padr. colendiss.

 

13. «Ho letto il suo libriccino sull'uso moderato dell'opinione probabile, e mi è piaciuto tanto che l'ho tornato a leggere. Si è così ben condotta V. S. Illustriss. nella dimostrazione dell'argomento ch'io l'ho preferito a tutti gli altri che si raggirano su tal soggetto, ed io non saprei che più desiderarvi. I principj su de' quali ha fondata la sua sentenza sono incontrastabili ed ammessi da tutti e due i partiti, così de' probabilisti come de' probabilioristi. Quando la legge non è certa non può certamente indurre obbligo certo. Ed ella l'ha così ben dimostrato tal principio coll'autorità de' canoni, padri e teologi di primo ordine che non v'ha cosa meglio dimostrata. Trattandosi dunque di due opinioni egualmente probabili, io ancora entro nel suo sentimento, che possa lecitamente seguirsi quella che sta per la libertà, quantunque meno tuta. Son troppo belle le parole del p. Bancel (citato da V.S. illustriss. nella pag. 89): Multa sunt quæ tutius est facere, sed simul tutius est non se credere obligatum ad ea facienda, nisi moraliter constet de tali obligatione. Oh quanto poi son degne di esser notate le parole di S. Giangrisostomo, ancor da lei citato! Circa vitam


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tuam esto austerus, circa alienam benignus. Colla robustezza degli argomenti ho ammirata eziandio la chiarezza che ha impiegato nello spiegarsi; cosa che tra tutte le altre dee lodarsi nel maneggio delle materie difficili. Io non cesso di ringraziarla di tal dono e de' lumi che ho ricevuti nella lettura del suo libro, di cui farò certamente tutto il buon uso nell'articolo che sto già stendendo dell'opinione probabile nel terzo tomo del Dizionario teologico, e dove unicamente proporrò la lettura della sua dissertazione, facendone quegli elogi che merita. In tanto mi raccomando ec

 

14. Ed in fatti nel foglio stampato del detto dizionario, alla parola Probabile, io ho lette co' proprj occhi le seguenti parole: «Io propongo a leggersi la dotta dissertazione del vescovo di S. Agata D. Alfonso De Liguori sull'uso moderato della opinione probabile. Egli si mette ad esaminare due punti. Il primo, se sia lecito seguire l'opinione meno probabile. Il secondo, se, essendo le due opinioni opposte ugualmente o quasi ugualmente probabili, sia lecito seguire la meno tuta. Tiene nel primo punto la sentenza negativa: nel secondo però sostiene l'affermativa, e l'avvalora con tutt'i generi d'argomenti, e fa vedere ch'è la sentenza la più approvata da' dottori così antichi che moderni. Ripete


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egli dalla sua origine e da' suoi principj una questione tanto clamorosa nelle scuole, e dopo di averla posta nel suo lume coll'autorità de' padri più rispettabili della nostra Chiesa, la conferma poi colla decisione de' migliori teologi de' nostri tempi. Il mirabile di questa dissertazione si è l'ordine della dottrina, e la chiarezza che impiega nello spiegarla. E non ostante le varie cabale e raggiri de' moralisti che han renduta la questione intrigata, pure la tratta con tanta nitidezza, che io non ho letto cosa più chiara in tal materia, e mi sembra per la verità la sua decisione senza replica. Ho stimato di ragionarne così, perché mi preme che se ne faccia di sì fatta dissertazione tutto l'uso, sembrandomi un capo d'opera in tal genere, in cui hanno gli altri teologi scritti gran volumi ed in numero tale che sgomenta ognuno a leggerli con attenzione

 

15. Sappiasi però che la riferita nota dell'abate dell'Aquila, benché fosse stata già posta nel Dizionario e già stampata, com'io l'ho letta, nulladimeno poi non è uscita fuori, poiché essendosi dato a rivedere il suddetto libro del dizionario ad un religioso della stessa religione del p. lettore ed egualmente appassionato per lo rigido sistema, si è degnato il medesimo cortesemente di farmi il favore di cassarla intieramente: del che molto


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se ne lagnò meco poi per lettera (che conservo) il mentovato autore, mentre in verità i revisori non hanno altra facoltà che di riprovare quelle opinioni che sono contro i dommi della Chiesa o apertamente contro i buoni costumi, ma non già quelle che son discettabili e presso molti son già pubblicamente controverse.

 

16. È vero, nol nego, che oggidì pochi autori stampano contro il moderno rigido sistema; ma che s'ha a fare? Così corre la moda. Ecco quel ch'è succeduto all'abate dell'Aquila, come di sovra ho narrato: e perciò molti, per non esser inquietati dalle ingiurie e da' rimproveri che van fatti per uso contro i seguaci del moderato probabilismo, si guardano di dichiararsi tali. Giovami qui notare quel che ha scritto un dotto vescovo francese, monsig. di S. Ponts (prelato di molta dottrina e molto zelo), in un suo libro ultimamente dato fuori a questo proposito, dicendo che oggidì tanto si esclama contro la morale rilasciata, quando dovrebbesi più presto esclamare contro il rigorismo eccessivo. Dice pertanto (alla pag. 61): «La Chiesa ha avuta la consolazione di veder finire il regno del rilassamento della morale, ma ella ha avuto poi il rammarico di veder sottentrare in sua vece un rigorismo smoderato. Questo secondo errore è quello che in oggi è di moda


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Ed in verità nel secondo passato vi fu abuso in alcuni probabilisti, errando, non già nell'opinare, ma nel mal opinare, col chiamare probabili molte opinioni che erano lasse. E questo appunto è quel modo che da Alessandro VII fu chiamato modus alienus ab evangelica simplicitate, et summa luxuriantium ingeniorum licentia, cioè l'approvar come probabili quelle opinioni che dal pontefice si condannavano, come quelle che affatto non meritavano tal carattere. Che per ciò la Chiesa ha condannate più opinioni, perché eran chiamate probabili, quando non erano che improbabili, come sono le proposizioni 27 e 40 proscritte da Alessandro VII e la 1, 3, 6, 35, 44 e 57 proscritte da Innocenzo XI. Tutte queste furono dannate perché in esse diceasi: Probabile est etc. Con ragione dunque molte opinioni di alcuni casisti antichi sono state condannate; ed aggiungo che molte, a mio parere, resterebbero a condannarsi. Ma in verità oggidì, come saggiamente dice il dotto mentovato prelato francese, è cessato tal rilassamento di opinare; onde il medesimo soggiunge poi così: «Son cessati i maestri della morale rilassata, ma ad essi son succeduti nuovi maestri, le massime de' quali sono molto più insoffribili, ponendo gli uomini nella disperazione. Altro esse far non potrebbero che


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introdurre la corruzione de' costumi. Il numero di coloro che scusano il lor cattivo costume con questo rigorismo, il quale oggi regna e addosso alla morale, il numero (dico) di costoro è molto maggiore del numero di coloro che han preteso di scusarsi coll'autorità della morale rilassata.» Ed in verità così è; perché questi si scusano, adducendo che la legge divina è impossibile ad osservarsi, e perciò s'abbandonano ad ogni iniquità.

 




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