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S. Alfonso Maria de Liguori Dell'uso moderato dell'opinione probabile IntraText CT - Lettura del testo |
CAPITOLO VII - SI RISPONDE AL DECRETO DELLA S.C. DELL'INQUISIZIONE ROMANA, FATTO NELL'ANNO 1761, COL QUALE INGIUSTAMENTE SI PRETENDE CONDANNATO OGNI USO DEL PROBABILE.
1. Nell'anno 1760 il rev. parroco di Avisio, terra della diocesi di Trento, cacciò fuori un foglio con undici tesi, le quali conteneano poi più parti o sieno proposizioni; e queste furono in pubblico dal medesimo difese. Il foglio fu il seguente:
Publicæ disputationi ven. clero avisiensi exercitii gratia expositus contra probabiliorismum stricte talem, utpote negotium perambulans in tenebris.
Pro die 10 junii 1760 in ædibus canonicalibus Avisii.
Utinam observaremus mandata Domini certa! Quid nobis tanta sollicitudo de dubiis? Celeberr. p. Const. Roncaglia, lib. 12, c. 3.
I. Probabilismus noster versatur circa hæc tria:
Licet sequi probabiliorem pro libertate, relicta minus probabili pro lege.
Licet sequi æque probabilem pro libertate, relicta æque probabili pro lege.
Licet sequi minus probabilem pro libertate, relicta probabiliori pro lege.
Ex iis deducuntur sequentia paradoxa.
II. Usus probabilismi maxime tutus: usus probabiliorismi maxime periculosus.
III. Usus genuini probabilismi minime in laxitatem degenerare potest: usus probabiliorismi stricte talis in rigorismum excurrere debet.
IV. Probabilioristas, qua tales, qui ex consilio probabiliora sequuntur, laudabilissime operari affirmamus.
V. Probabilioristis stricte talibus, qui ex præcepto, quod nunquam clare probant, se ipsos et alios ad probabiliora impellunt, merito rigoristarum nomen imponimus.
VI. Qui nullatenus ad christianam perfectionem tendere possunt, nisi sequendo probabilissima.
VII. Abusus probabiliorismi stricte talis non solum licentiæ frænum, sed licentiæ calcar est; quod Gallorum testimonio comprobamus.
VIII. Genuinus itaque noster probabilismus, qui nec morum corruptelam inducit nec a s. sede unquam male fuit notatus, origine sua thomisticus, progressu ætatis jesuiticus: utpote a quo arctatus, emendatus et a jesuitis contra jansenianos furores propugnatus fuit.
IX. Qui ergo habitat in adjutorio fundatissimi probabilismi, sub protectione plurimorum ex omnibus orbis christiani nationibus præstantissimorum theologorum protectione commorabitur securus.
X. Hinc sine ulla laxismi nota benignissimum etiam vocamus: sed legitimum, quem suadent utraque lex cæsarea et pontificia; sed dominicanum, quem illustris dominicanorum ordo jam a primis temporibus est amplexus; sed pium, qui christianam pietatem fovet; sed thomisticum, quem S. Thomas in amoribus habuit, qui ducentas et plures opiniones libertati faventes in suis sententiarum libris docet; sed christianum, qui Christo Domino summe familiaris fuit.
Pro coronide. Probabilismus noster stans pro libertate est notabiliter probabilior ipso probabiliorismo stante pro lege.
Or questo foglio nell'anno appresso 1761 ai 3 di gennajo fu condannato dall'altezza reverendissima del principe e vescovo di Trento, il quale di poi mandò il decano della sua chiesa in Roma per far condannare anche dalla santa romana inquisizione il detto foglio colle sue tesi: e già ai 26 di febbrajo dell'anno 1761 dalla S.C. del santo Officio si porta uscita la condanna col seguente decreto: Cum vero theses hujusmodi notæque theologicæ expensæ fuerint in congreg. gen. coram ss. D.N. Clemente papa XIII, Sanctitas sua, auditis etc., folium prædicatum et theses in illo expositas... damnat et prohibet tanquam continentia propositiones quarum aliquæ sunt respective falsæ, temerariæ et piarum aurium offensivæ; illam vero excerptam a num. X, nempe - Probabilismum qui Christo Domino summe familiaris fuit - proscribendam (censuit) uti erroneam et hæresi proximam. Præfatum itaque folium sive theses ut supra exscriptas, sic damnatas et prohibitas, ss. Dominus N. vetat ne quis cujuscumque status etc. imprimere ac imprimi facere vel transcribere aut jam
impressum sive impressas apud se retinere et legere, sive privatim sive publice propugnare audeat etc.
2. Così appunto ritrovo scritto il decreto presso il libro del p. lettore, La causa del prob., alla pag. 186. Quindi egli prende a dirmi così: «Che vi sembra, monsignore, di un tal decreto della S.C., approvato e confermato dal vicario di Gesù Cristo?» Seguita poi a dire che nel decreto è condannata espressamente, almeno come falsa e temeraria, la proposizione da me difesa, cioè che licet sequi æque probabilem pro libertate, relicta æque probabili pro lege. Dice che ora non posso allegare ignoranza, dopo ch'egli mi ha posto il decreto sotto gli occhi. Dice che queste tesi o proposizioni sono state dannate nel modo stesso, come furono dannate le proposizioni contenute ne' decreti di Alessandro VII e d'Innocenzo XI, fatti anche dalla sacra inquisizione di Roma. Dice che sopra delle altre tesi è compresa nelle censure la prima, in cui si contiene intieramente il sistema probabilistico, che nel decreto fu massimamente preso di mira. «Laonde (conclude), contenendo essa la medesima vostra sentenza, questa pure per necessità dovrà dirsi condannata; e voi non più potete difenderla, ma anzi tenuto siete a ritrattarla, qual figlio ubbidiente a' decreti della Chiesa.» Povero
me dunque, se non mi ritratto! Sto in pericolo che il p. lettore vada pubblicando da per tutto che son diventato quasi eretico o apostata.
3. Indi se la prende col povero teologo del seminario di Udine, il quale ha scritto che con tal decreto non è stato già proibito il sistema del probabile. Ma il p. lettore in questo suo libro lo pettina d'una maniera molto galante, dicendo ch'egli «si è renduto deridevole e troppo si è svergognato col parlarne: che un eccesso di stravaganza e di assurdità non può cadere in altra mente, se non di chi ha perduto ogni lume di giusto discernimento: che le sue riflessioni sono inettissime cavillazioni: che tali cose altro non si meritano, se non gli scherni e le fischiate» con altri simili elogi. È una meraviglia per altro l'osservare il modo di scrivere di questo religioso, ora deridendo, ora ammaestrando, ora ingiuriando, sempre con aria insegnante da maestro e disprezzante ognuno che se gli oppone! Ma, Dio mio, e che modo è questo di scrivere, il cercar di convincere i contrarj sempre con derisioni e contumelie? Non basta colle ragioni?
4. Ma veniamo a quel che dice verso di me. Egli dice ch'io son tenuto a ritrattare la mia sentenza, qual figlio ubbidiente a' decreti della Chiesa. Sì signore; io mi professo
e vanto d'esser figlio ubbidiente alla santa chiesa cattolica romana e son pronto non solo a ritrattarmi d'ogni mio sentimento ma anche a dar la vita per ubbidire ai decreti della Chiesa. E già mi sarei ritrattato dalla mia sentenza fin dal tempo che uscì fuori e mi capitò in mano il mentovato foglio del parroco di Trento insieme col decreto della sacra inquisizione, se fosse vero che con tal decreto fosse stato condannato ogni uso del probabile. Ma non posso né son tenuto a ritrattarmi per quel che scrive il p. lettore. Si osservi che il foglio contiene più cose distinte, contiene diverse tesi e contiene diverse proposizioni o sieno membri o parti delle tesi. Or quando si sparse il foglio e le tesi condannate nel decreto così in confuso e, come si dice, in globo, due erano le difficoltà che si facevano sovra d'una tal condanna. La prima era, se fossero condannate singolarmente non solo tutte le tesi del foglio, ma anche tutte le parti o sieno proposizioni delle tesi. Ma in quanto a ciò si vide comunemente da' dotti, così probabilisti come antiprobabilisti, che, quantunque si avesse per vero che fossero state condannate tutte le tesi, certamente però non erano condannate tutte le proposizioni contenute in esse tesi, ma quelle sole proposizioni che in sé meritavano censura. Ed è chiaro che
affatto differisce (contro quel che suppone l'avversario) la condanna di queste tesi dalle condanne fatte di proposizioni da Alessandro VII e da Innocenzo XI, poiché quelle proposizioni furono condannate ciascuna in singolare e divisamente l'una dall'altra. Ecco il decreto d'Alessandro VII come parla: Sanctissimus decrevit prædicatas propositiones et UNAMQUAMQUE ipsarum, ut minimum, tanquam scandalosas, esse damnandas, sicut eas damnat ac prohibet, ita ut quicumque illas aut CONJUNCTIM AUT DIVISIM docuerit et defenderit publice aut private, incidet etc. E dipoi si dice: Insuper districte prohibet omnibus ne prædictas opiniones aut ALIQUAM ipsarum ad praxim deducant etc. Lo stesso dicesi nel decreto d'Innocenzo XI: Sanctissimus D.N. decrevit sequentes propositiones et UNAMQUAMQUE ipsarum, sicut jacent, ut minimum, tanquam scandalosas, esse damnandas etc. Ed indi: Quicunque... illas vel illarum aliquam CONJUNCTIM AUT DIVISIM defenderit etc. Ed in fine: Insuper prohibet omnibus, prædictas propositiones aut ALIQUAM ipsarum ad praxim deducant etc. E così anche sta nella condanna delle 31 proposizioni fatte da Alessandro VIII.
5. Ma nel decreto riferito dal p. lettore dicesi: Sanctitas sua (Clemens papa XIII), auditis etc., folium prædictum et theses in
illo expositas... præsenti decreto damnat et prohibet, tanquam continentia propositiones quarum aliquæ sunt respective falsæ, temerariæ et piarum aurium offensivæ; illam vero excerptam a num. X etc. Sicché non è dannato il foglio e le tesi in quanto a tutte le loro parti o sieno proposizioni in quelle contenute, ma è dannato il foglio e le tesi come contenenti proposizioni delle quali alcune sono ec. Non tutte dunque son dannate le proposizioni delle tesi, ma solamente quelle che sono false o temerarie ec. E che sia così, non dicesi ivi: Prohibet ut quicumque illas aut conjunctim aut divisim docuerit et defenderit etc., come sta ne' decreti di Alessandro VII e d'Innocenzo XI, ma si dice: Præfatum itaque folium sive theses ut supra exscriptas, sic damnatas et prohibitas, ss. Dominus N. vetat ne quis imprimere, retinere et legere etc. audeat. La parola sic dinota che le tesi non erano intieramente dannate in sé, ma come contenenti proposizioni delle quali alcune ec. Dunque solo è proibito il difendere quelle tesi conjunctim, cioè in quanto a tutte le loro parti o sieno proposizioni in esse tesi contenute, ma non già divisim, in quanto a quelle proposizioni delle tesi che non meritavano censura; altrimenti si sarebbe detto conjunctim aut divisim, come si era detto
ne' decreti de' pontefici mentovati di sopra. Ed in fatti così appunto furono queste tesi condannate dal vescovo di Trento nel suo decreto, ove si disse: Noveritis itaque a nobis articulos quos infra subjiciemus, ACERVATIM sumptos, omnino rejici, prout rejicimus, prohibentes ne iidem articuli, ACERVATIM sumpti, in disceptationem, usumque deducantur. E certamente dee credersi che la s. congregazione abbia fatta la sua condanna uniforme a quella del vescovo di Trento, secondo la di lui richiesta.
6. Non è dunque, come pensa il p. lettore, che ogni minima parte del foglio e delle tesi sia dannata; ond'egli giunge a metter fra le proposizioni dannate anche quel passo del p. Roncaglia, citato dall'autore del foglio non già come tesi o come parte di qualche tesi, ma solo per incidenza e per introduzione alle sue tesi: Utinam observaremus mandata Dei certa! Quid nobis tanta sollicitudo de dubiis? Lib. 2, cap. 3. Ma è dannato solamente il foglio e le tesi in quanto contengono proposizioni degne di censura. E parlando della prima tesi, non è già dannata la prima proposizione o sia prima parte di quella che dice esser lecito seguire la più probabile, lasciata la meno probabile per la legge; altrimenti sarebbe condannata anche la sentenza che può dirsi essere stata comune
tra i probabilioristi più antichi, di Gonet, di Silvestro, di Wigandt, di Cuniliati e d'altri. Diciamo inoltre che neppure vien condannata la seconda parte, che sia lecito servirsi dell'opinione egualmente probabile per la libertà, secondo la nostra sentenza. Solamente restava in dubbio se fosse condannata almeno la terza parte o sia membro di quella prima tesi, dove si dice esser lecito seguire anche la meno probabile e meno sicura: e perché la proposizione è generale, sì che comprende anche l'opinione notabilmente o sia certamente meno probabile, perciò dubitavasi ch'ella fosse stata condannata. E così anche dubitavasi che fosse condannata l'ultima tesi, che dice: Probabilismus noster stans pro libertate est notabiliter probabilior ipso probabiliorismo stante pro lege. Questa tesi (dico) anche dubitavasi essere stata condannata per ragion che, avendo l'autore della tesi dichiarato che il suo probabilismo concedeva esser lecito seguire indistintamente la meno probabile, con quest'ultima sua proposizione veniva a difendere che l'esser lecito seguire qualunque opinione meno probabile sia notabilmente più probabile del sistema che vuole doversi seguire la più probabile per la legge.
7. Posto ciò, restava dunque comunemente appurato che sebbene fossero condannate
tutte le tesi, non erano però condannate tutte le proposizioni o sieno parti delle medesime. Restava solamente a sciogliersi il dubbio se, essendo condannato così in globo ed in confuso il fogli e le tesi, fossero condannate tutte le tesi in particolare o solamente alcune di esse; poiché si considerava che nel decreto non dicevasi - omnes theses -, e le parole - quarum aliquæ - potea dubitarsi se riferivansi alle tesi o pure alle proposizioni contenute nelle tesi. Tanto più che, come si è detto di sovra, il vescovo di Trento avea detto nel suo decreto: Articulos quos infra subjiciemus, improbamus, prohibentes ne iidem articuli, acervatim sumpti, in disceptationem usumque deducantur. Ma sia come si voglia, questo dubbio è stato già dichiarato appresso dalla stessa sacra inquisizione di Roma: poiché essendo stata inserita la condanna del detto foglio nell'indice de' libri proibiti per ordine della stessa s. congregazione, non si è detto (come si vede scritto nell'appendice nuovamente aggiunta all'indice) che si condannavano folium et theses in illo expositæ, ma si è detto semplicemente alla lettera P: Plagula undecim thesium cui titulus: Probabilismus disputationi etc. Sicché al presente ha dichiarato la S.C. esser solamente condannata la detta plagula, cioè la carta o sia foglio delle undici tesi.
Ed in fatti, avendone io scritto ultimamente per chiarirmi del tutto a due consultori del santo Officio di Roma, cioè al reverendiss. p.m. fra Tomaso Agostino Ricchini maestro del sacro palazzo ed al reverendiss. p. fra Pio Tomaso Schiara segretario della S.C. dell'indice, soggetti di quella dottrina ed intelligenza che il mondo sa, mi han cortesemente risposto e tolto di dubbio e ne conservo le lettere. Il p. maestro Ricchini mi risponde così:
Illustriss. e reverendiss. sig. sig. e padrone colendiss.
8. «Per ubbidire a' venerati comandi di V. S. illustriss., brevemente rispondo al dubbio proposto, che la condanna e proibizione fatta dal santo Officio cade sovra il foglio intero delle proposizioni, non sovra cadauna di esse in singolare; in quella guisa che quando vien proibito un libro contenente proposizioni qualificabili da proibizioni, la proibizione cade bensì in tutto il libro, ma non sovra tutte le proposizioni in esso contenute. E perciò si è posta così la proibizione nell'ultima appendice dell'indice, che le rimetto qui acchiusa, com'ella potrà osservare alla lettera P, verbo plagula. Da ciò ne siegue che la prima proposizione non è altrimenti condannata; né potea riprovarsi senza
adottare il tuziorismo e condannare la comune de' teologi che la sostengono. Ciò credo che basterà a V. S. illustriss. per acquietare la sua ed altrui coscienza; e potrà fare di questa mia notizia quell'uso che stimerà più convenevole. Desidero altri motivi di mostrarle la mia venerazione ec.»
La lettera del reverendiss. p. Schiara è più lunga e più espressa. Egli mi scrive così:
Illustriss. e reverendiss. sig. sig. e padr. colendiss.
9. «Per meglio ubbidire ai comandi di V. S. illustriss. e più pienamente renderla informata intorno alla dimanda fattami, le mando copia del foglio contenente le tesi, pubblicato in Trento appresso alla sua condanna dal fu monsig. de Albertis vescovo di quella città e dipoi proibito dal papa nella congregazione del santo Officio ai 26 di febbrajo 1761. Monsignore de Albertis, come vedrà dal suo decreto, proibì gli articoli acervatim sumptos; ed il papa proibì il foglio tanquam continens propositiones quarum aliquæ sunt respective falsæ, temerariæ etc. Perciò nell'indice de' libri proibiti nn si è posto se non il titolo del foglio. Veda l'ultima appendice stampata in gennajo dell'anno scorso 1763 alla parola plagula, dove sta inserito il foglio ne' suoi precisi termini così:
Probabilismus disputationi ven. clero avisiensi exercitii gratia exhibitus contra probabiliorismum stricte talem, utpote negotium perambulans in tenebris, pro die 10 junii 1760, in ædibus canonicalibus Avisii. Dal solo titolo del foglio condannato ognuno facilmente conosce non essersi fatta condanna contro il probabilismo e per conseguenza non essere stata condannata la proposizione: Licet sequi probabiliorem pro libertate, relicta minus probabili pro lege, la quale è sentenza comune de' probabilioristi moderati. Ben è vero che sebbene la condanna non favorisca il probabilismo, nonperò può dirsi da esse proibito il probabilismo, né dell'æque probabile, né tampoco della meno probabile favorevole alla libertà. E questo è qui sentimento comune e certo. Né credo che qui i probabilisti lascino per ciò di seguitare il loro sistema. E questo è quanto posso e debbo dire in risposta ec.»
Questi due reverendiss. padri, essendo già consultori del santo Officio, e ben intesi della mente della congregazione e del papa, credo che presso d'ognuno meritano tutta la fede.
10. Di più io, per meglio assicurarmi della verità, ne ho scritto ancora all'eminentiss. signor cardinal Galli, pregandolo istantemente a farne parola col nostro regnante pontefice
Clemente XIII, per intendere la verità di questo punto propriamente dalla sua bocca; e ch'io specialmente volea sapere se era condannata la prima tesi del foglio in cui si contenea l'uso del probabile: e scrissi che Sua Santità, come dottore universale della Chiesa, trattandosi della condanna d'una dottrina sì controversa e di tanta conseguenza, non potea negare la dichiarazione necessaria ad un vescovo che la chiedea. E l'eminentiss. sig. card. penitenziere mi ha risposto in breve sì, ma in poche parole con molta saviezza ha compresa tutta la sostanza del punto e l'ha posto in luce con termini sì proprj e chiari che in questo genere meglio non potea desiderarsi. Ecco come mi scrive:
Ilustriss. e reverendiss. signore.
11. «Più che a me, è noto alla profonda dottrina di V. S. illustriss. e reverendiss. che nelle condanne o proibizioni de' libri non s'intendono mai condannate tutte le proposizioni che in essi si contengono; essendovene molte delle verissime anche in Lutero, Calvino ec. Ma perché altre ve ne s'incontrano cattive e perniciose, perciò colla condanna o proibizione avvisa la Chiesa i suoi figli che debbano astenersi dalla lettura de' medesimi, acciò insieme col vero non si
imbevano ancora del falso. Posso assicurare V. S. illustriss. e reverendiss. che nella condanna dell'accennato foglio di cui mi scrive non si è inteso di condannare veruna delle proposizioni che si controvertono nelle scuole cattoliche e da molti cattolicamente si difendono, ma si è avuto il motivo di proibirlo per quelle proposizioni ch'ella medesima riconosce meritevoli di censura. Ed intanto offerendomi ec.»
Dice il p. Patuzzi: «Ma l'eminentissimo card. Galli non iscrive che abbia parlato col papa.» Sì signore, non lo scrive, ma perché non lo scrive, perciò non ci ha parlato? Io all'incontro ho notizie certe che di questo affare, prima di scrivermi, ne parlò col papa.
12. Posto tutto ciò, spero che il p. lettore ora mi conceda di potermi chiamare vero figlio della Chiesa, senza ritrattarmi a riguardo della supposta condanna pontificia, con tanta pompa ed asseveranza da esso bandita e pubblicata, come cosa indubitabile. Nel che ammiro poi lo spirito di questo buon religioso in mettersi ad ammonire con tanto calore un vescovo ad essere ubbidiente a' decreti della Chiesa, quandoché la Chiesa elegge i vescovi per esser giudici della dottrina.
13. Io credeva intanto che, dopo avere scritto quel che ho appurato circa il mentovato decreto, il p. lettore, non trovando che
dire, lasciasse di rispondere. Ma no, egli pure ha trovato che dire. Dice che la prima tesi essendo il fondamento di tutte le altre, quella principalmente è condannata, e per conseguenza è condannato il probabilismo. Ma io già scrissi che nel decreto, come si è appurato per certo, è stato condannato il foglio ma non tutte le proposizioni delle tesi né tutte le tesi del foglio. Replica il p. Patuzzi e dice esser necessario ch'io accordi che in quel numero delle dieci tesi ve ne sieno almeno alcune censurate. Ma, posto che non possono assegnarsene altre (come suppone) se non quelle che sono o lo stesso probabilismo o conseguenza necessaria di quello, conclude che o io dovrò dire che niuna proposizione è stata dannata, o ch'è stato dannato il probabilismo. E poi soggiunge: «Risponda, monsignore: quali sono quelle altre tesi che giudica censurate dalla santa sede?» Per togliere il tedio a' leggitori, ecco le proposizioni ch'io stimo degne di censura e censurate non già perché sono conseguenze del probabilismo e della prima tesi, ma per ragione che deviano da quella. Io stimo condannata nella tesi II la proposizione che dice: Usus probabiliorismi maxime periculosus. Questa proposizione è falsa generalmente parlando. È vera secondo me a rispetto di chi insegna lo stretto
probabiliorismo, ma non già a rispetto di chi lo pratica. Nella III: Usus probabiliorismi stricte talis in rigorismum excurrere debet. Nella V: Probabilioristis stricte talibus... merito rigoristarum nomen imponimus. Nella VII: Abusus probabiliorismi stricte talis non solum licentiæ frænum, sed licentiæ calcar est. E nella X quella inetta proposizione che il probabilismo Christo Domino summe familiaris fuit, la quale fu espressamente condannata com'erronea e prossima all'eresia. Ecco che tutte queste proposizioni non sono conseguenze giuste, ma inette e devianti dalla prima tesi ove si descrive il probabilismo; ma perché sono censurabili per altri motivi, perciò le stimo condannate.