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Sant'Alfonso Maria de Liguori
Della speranza cristiana

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Testo


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Viva Gesù Maria, e Giuseppe

Il libro che s'intitola della Confidenza Cristiana,1 meglio dovrebbe intitolarsi della Diffidenza Cristiana, giacché l'Autore ci priva della certa Speranza, che noi abbiamo della salute e dell'aiuto per conseguirla nella Divina Misericordia, purché da noi non si manchi alla grazia. La Speranza Cristiana è diversa dalla mondana; la mondana è un'aspettazione incerta del bene sperato, perché si fonda sulla promessa dell'uomo, nel quale può mancare o la potenza o la volontà di attendere quel che ha promesso. Ma la Speranza Cristiana è un'aspettazione certa della vita eterna, come appunto la definisce S. Tommaso: Spes est exspectatio certa beatitudinis. 2. 2. q. 18, a. 4. 2 Certa, perché secondo insegna lo stesso S. Dottore, si fonda sulla certezza della Misericordia di Dio, il quale per li meriti di Gesù Cristo ha promessa la salute, e l'aiuto per ottenerla ad ognuno che osserva la sua legge: Spes non innititur principaliter gratiae jam habitae, sed divinae omnipotentiae et misericordiae...De omnipotentia autem Dei et misericordia ejus certus est quicumque fidem habet. Cit. art. 4, ad. 2. Sicché la certezza della nostra Speranza consiste nell'aiuto promesso da Dio a chi non manca di corrispondere alla sua grazia. E così ancora insegna il Concilio di Trento: In Dei auxilio firmissiman Spem collocare omnes debent. Deus enim, nisi ipsi Illius gratiae defuerint, sicut coepit opus bonum perficiet, operans velle et perficere. Sess. 6. Cap. 13. 3

L'Autore del Libro dice, che la certezza della nostra Speranza non consiste già nell'aiuto Divino promesso generalmente a tutti di ottenere la salute, purché corrispondiamo dalla nostra parte, poiché una tal promessa forma una Speranza incerta, essendo ella condizionata ed appoggiata alla nostra debolezza. Per tanto dice (e questo è il sistema di Speranza spiegato nel Libro ai capi 12, 15 e 16) che noi dobbiamo


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fondar la nostra Speranza nella promessa fatta agli Eletti, ch'è una promessa assoluta della vita eterna, e non già condizionata. Onde scrive alla pag. 202,4 che la Speranza a prenderla in tutta la sua estensione consiste in riguardarsi come del numero degli Eletti, e che perciò dobbiamo appropriarci una tal promessa, riguardandoci come contenuti nel numero degli Eletti. Ecco le sue parole, che nel cap. 12 scrive:5 Le promesse assolute non sono fatte se non alla Chiesa, ed agli Eletti; per isperar dunque di essere di questo numero, io mi approprio le promesse, e confido, che si adempiranno in me. Nel fine poi del cap. 15 dice:6 Ora noi ci riguardiamo come contenuti nel numero degli eletti in virtù del comandamento, che Dio ci fa di sperare. Indi conclude l'Autore dell'Appendice alla pag. 368 in fine, seguendo lo stesso sistema, che non vale il dire: Io spero la salute ed i mezzi per conseguirla, perché Voi mio Dio me l'avete promesso, se io coopererò alle vostre grazie. Dice, che non vale quest'atto di Speranza, perché così divido la Speranza fra Dio e me, giacché debbo attendere da me il cooperare alla grazia, ed allora la salute mia diviene incerta, sapendo io la mia debolezza; ma quando (soggiunge) io spero sulla promessa assolutamente fatta agli eletti, allora la mia speranza è certa, perché la stessa grazia promessa agli eletti mi farà cooperare.7

Il Traduttore, che verisimilmente ancora è l'Autore dell'Appendice, premette all'opera una lettera di Mons. Bossuet,8 ed alcune dottrine di S. Tommaso,9 per far credere, che l'uno e l'altro confermino la stravagante opinione del Libro; ma Bossuet in quella Lettera non difende altro che la predestinazione gratuita, e la grazia efficace ab intrinseco, che difendiamo ancor noi; le dottrine poi di S. Tommaso niente si


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confanno col sistema dell'autore, ma gli sono tutte opposte, come farò vedere; e perciò io mi asterrò di addurre qui le autorità di tutti gli altri teologi, e mi contenterò di esporre le sole di S. Tommaso, e del Concilio di Trento.

Dico intanto in primo luogo, affatto non esser vero, che la promessa fatta da Dio a tutti del suo aiuto per ottener la salute, forma una speranza, che non è certa, né ferma; poiché basta a renderla fermissima, e certa il sapere, che a niuno mancherà l'aiuto a salvarsi per parte di Dio, se non manca per parte sua con metter l'ostacolo del peccato. E questa appunto è la speranza, che noi dobbiamo avere della salute nella misericordia divina, secondo insegna il Concilio di Trento nel testo riferito di sopra: In Dei auxilio firmissimam spem collocare omnes debent. Deus enim, nisi ipsi Illius gratiae defuerint, sicut coepit opus bonum perficiet, operans velle et perficere. Sess. 6. cap. 13. Si notino le parole: In Dei auxilio firmissimam spem collocare omnes debent... nisi ipsi illius gratiae defuerint. Dunque il Concilio dice, che la nostra speranza è certa a riguardo di tutti (omnes debent) per parte di Dio; e solamente è incerta per parte di noi, che possiamo alla grazia mancare. Onde è, che l'aiuto divino nominato dal Concilio (in Dei auxilio) non può intendersi dell'aiuto fondato nella promessa a' soli eletti, ma dee necessariamente intendersi dell'aiuto da Dio promesso a tutti per salvarsi, se per noi non manca. Ed ecco la Speranza condizionata, che secondo l'Autore forma una speranza non ferma, ma secondo il Concilio forma una speranza fermissima.

Lo stesso insegnò prima S. Tommaso: Dicendum quod hoc quod aliqui habentes spem deficiant a consecutione beatitudinis, contingit ex defectu liberi arbitrii ponentis obstaculum peccati, non autem ex defectu divinae potentiae vel misericordiae, cui spes innititur. Unde hoc non praeiudicat certitudini spei. 2. 2. q. 18, a. 4 ad 3. Sicché S. Tommaso insegna, che la condizione del difetto della nostra debolezza non pregiudica alla certezza della Speranza, che si appoggia alla divina Potenza e Misericordia. E per questa Misericordia non può intendere l'Angelico la Misericordia promessa ai soli Eletti, perché a questa gli Eletti, benché possono mancare, non mai però mancheranno; S. Tommaso all'incontro parla di quella Misericordia, a cui di fatto alcuni mancano, aliqui habentes spem deficiant; dunque necessariamente parla il Santo della misericordia promessa generalmente a tutti. Oltreché, avendo detto prima S. Tommaso, che la speranza est certa exspectatio beatitudinis, ed avendo Iddio imposto a tutti il precetto della speranza (Sperate in Eo, omnis congregatio populi. Psal. 61. 9),


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necessariamente ha dovuto dare a tutti un fondamento certo, e generale di aspettar la beatitudine.

Dico all'incontro in secondo luogo, che la promessa fatta solamente agli Eletti forma in noi una speranza incertissima, non solo per parte nostra, mentre non sappiamo di esser nel numero degli Eletti, ma anche per parte di Dio; poiché se non avessimo noi altro fondamento di sperare, che di questa promessa fatta agli Eletti, siccome siamo incertissimi di esser contenuti nel loro numero, così saressimo anche per parte di Dio incertissimi della salute, e dell'aiuto per conseguirla. Anzi quanto è maggiore il numero dei Reprobi di quello degli Eletti, tanto sarebbe il fondamento che avressimo più di disperare che di sperare la salute.

In tutte le nostre operazioni noi dobbiamo prescindere dai Decreti divini, i quali essendoci occulti non possono esser regola delle nostre azioni. Onde nel dover io formare l'atto di Speranza, non ho da fondarmi nella promessa fatta agli Eletti tra' quali io non so se mi trovo o no contenuto, perché tale Speranza sarebbe per me una speranza astratta, e per meglio dire ipotetica, colla quale io non altro spererei, se non che gli eletti si salvino, o che io mi salverei se fossi eletto; ma non posso avere una Speranza certa e fondata per parte di Dio, che io mi salverò, se non manco alla grazia, non sapendo, se tra quelli io sono annoverato. All'incontro sperando nell'aiuto divino promesso a tutti coloro, che non mancano alla grazia io spero attualmente con certezza di salvarmi, se non mancherò alla grazia fondato sulla divina promessa fatta generalmente a tutti.

Dice l'Autore del Libro: Ma quando io spero nella promessa fatta agli eletti, la mia speranza è più certa, perché la stessa Grazia promessa agli Eletti mi farà cooperare. Rispondo: Per chi sapesse di esser eletto, concedo, che la speranza è più certa: ma per chi non lo sa, come siamo tutti, ella è incertissima anche per parte di Dio, sapendosi che molto pochi sono gli Eletti. Il fondamento della nostra Speranza noi dobbiamo ritrovarlo nelle Divine Scritture; ivi troviamo già che Dio promette la salute e l'aiuto per ottenerla ad ognuno, che prega e spera: Omnia quaecumque orantes petitis, credite quia accipietis, et evenient vobis. Marc. 11. 24. Omnis enim, qui petit, accipit. Matth. 7. 8. Protector est omnium sperantium in se. Psalm. 17. 31. Nullus speravit in Domino, et confusus est. Eccli. 2. 11. Qui sustinent Te, non confundentur. Psalm. 24. 3. In Te, Domine speravi, non confundar in aeternum. Psalm. 70. 1 Quoniam in Me speravit liberabo eum... et glorificabo eum. Psalm. 90. 14 et seq. Amen, amen dico vobis si quid petieritis Patrem in nomine meo, dabit vobis. Joan. 17. 23.


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Tutte queste promesse e mille altre simili, che abbiamo nelle sagre Carte, non sono fatte solamente agli Eletti, ma ad ogni uomo, che vive; e queste sono quelle, che formano quella Speranza, che è chiamata da S. Paolo Ancora sicura e ferma: Confugimus ad tenendam propositam spem, quam sicut anchoram habemus animae tutam ac firmam. Hebr. 6. 18 et 19. Ma quando noi collochiamo la speranza nella promessa fatta agli Eletti, per isperare io che sia contenuto nel numero degli Eletti, qual fondamento ne troverò nelle Scritture? Io più presto ritroverò argomenti in contrario, leggendo: pauci vero electi, pusillus grex, etc. 10

Forse i benefici fatti da Dio a me in particolare, sono per me un fondamento certo, che io sia scritto nel numero degli eletti? No, questo lo nega lo stesso autore nel cap. 14, e l'insegna espressamente S. Tommaso: Spes non innititur principaliter gratiae jam habitae, sed divinae omnipotentiae et misericordiae, per quam etiam qui gratiam non habet, eam consequi potest, ut sic ad vitam aeternam perveniat. 2. 2. q. 18, a. 4, ad 2. Sicché la nostra speranza principalmente si appoggia alla Divina Misericordia a noi promessa per li meriti di Gesù Cristo; e perché Gesù Cristo è morto non solo per gli Eletti, ma per tutti, tutti per conseguenza a riguardo dei meriti del Salvatore hanno l'appoggio certo della loro Speranza nella Misericordia Divina.

Sicché secondo il Concilio di Trento, S. Tommaso, e il sentimento comune de' teologi, la nostra speranza è certa, collocandola nell'aiuto divino promesso generalmente ad ognuno, se corrisponde alla Grazia; ma perché ognuno può mancare in questa vita, perciò la nostra Speranza è sempre accompagnata dal timore: contra Calvino, che dicea esser infallibilmente salvo ognuno, che ha fede. Ma questa è la differenza che è fra il sistema nostro, e quello dell'Autore, che nel nostro sistema il timore nasce dall'incertezza per parte di noi, di non corrispondere alla Grazia; ma nel sistema dell'Autore l'incertezza nasce per parte di Dio, mentre è certo che Iddio non tutti gli uomini, né la maggior parte di essi, ma la minor parte ha scritta nel Libro della Vita.11


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L'Autore nel Capo 16, alla pag. 203, ben si fa carico di questa difficoltà, e la chiama gravissima. Ecco come parla: Il numero degli eletti è senza comparazione più piccolo, pauci vero electi, anche tra i chiamati; dirà taluno a se stesso, penetrato da questa difficoltà: qual'apparenza vi è, che io sia piuttosto del minor numero, che del maggiore?...All'incontro il precetto di sperare, come mi può indurre a riguardarmi come separato dal numero de' reprobi nei disegni di Dio, quando Egli lo fa a' reprobi medesimi, come a me?. Vediamo ora, come se ne sbriga. Egli alla pag. 205 risponde, che siccome noi dobbiamo credere i misteri della fede, benché alla nostra ragione sembrano incredibili, così dobbiamo ubbidire al precetto della speranza, sperando, e disprezzando la difficoltà fatta: perché se ne tenessimo conto, dovremmo dire, che Dio irragionevolmente ci comanda di sperar la salute. Onde, conclude, che in questa vita non vi è risposta, che possa dissipare la difficoltà ch'esso chiama insuperabile, e che sia atta a farci formare una giusta idea della nostra speranza. Dice in somma, che l'uomo dee fidarsi di Dio, ed imporre silenzio alla ragione per riguardo alla difficoltà che vi ritrova.12 E non altro.

Ma si risponde, che vi è gran differenza tra la fede e la speranza, parlando del motivo per cui dobbiamo credere, e sperare. Noi dobbiamo credere sulla parola divina i misteri da Dio rivelati; sappiamo non però, ch'essi sono superiori alla nostra ragione, ma non opposti alla ragione. Ma lo sperare con certezza la salute per la promessa fatta agli Eletti, non sapendo per certo, che siamo del loro numero, ciò è contra la ragione; poiché, se io infatti non sono contenuto nel numero degli Eletti, è impossibile, che vi sia contenuto. Per lo che se io non ho altro fondamento di sperare, se non che la sola promessa fatta agli Eletti, non posso con certezza sperare da Dio l'aiuto per salvarmi, ma bisogna che dica: Se io son contenuto nel numero degli Eletti, son certamente salvo; ma se non sono contenuto, per me è finita ogni Speranza. E sperando così, come posso più aspettare certamente la beatitudine, secondo insegna S. Tommaso? E vero, che sempre debbo temere di poter io mancare alla grazia per la mia debolezza; ma in questo timore io ricorro a confidare nella Misericordia di Dio, il quale ha promesso di salvare ognuno, che prega, e spera, e con ciò ho una ragione certa di sperare la salute, sapendo per certo, che Dio non lascerà di salvarmi per sua parte, se prego e spero, e non l'impedisco co' miei peccati. Ma nel timore di non esser contenuto nel numero degli


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Eletti, se ad essi solamente fosse fatta la promessa della salute, a qual mezzo io ricorrerò per isperar questa salute? Sempre che io non sono scritto nel numero degli Eletti, non ho più fondamento di sperare.

In conclusione il sistema del suddetto Libro, oltre l'essere contrario alla sentenza comune di S. Tommaso, e di tutti i Teologi, sembra che sia una conseguenza della quinta proposizione di Giansenio, che dicea: Non esser morto Cristo per tutti, ma per li soli eletti: Semipelagianum est dicere, Christum pro omnibus omnino hominibus mortuum esse. 13 Dico conseguenza, perché donandosi a noi la Grazia per conseguire la Gloria solamente per li meriti di Gesù Cristo, se mai Gesù Cristo non fosse morto per tutti, ma per li soli Eletti, io non potrei sperare la Grazia, e la Gloria, se non in riguardarmi come contenuto nel numero degli Eletti. Onde se la proposizione di Giansenio è stata già condannata, pare, che affatto non possa tollerarsi il sistema del Libro, che in tal proposizione apparisce fondato.

 




1 [3.] Della confidanza cristiana, e dell' uso legittimo delle verità, che riguardano la grazia di Gesù Cristo... tradotto dal franzese per opera di Aletofilo Pacifico, Venezia 1751; cfr. Scheda Introduzione, opera n. 066b, di Giuseppe Cacciatore.



2 [11-12.] S. TOM., loc. cit. da S. Alfonso: «Spes est certa expectatio futurae beatitudinis».



3 [20-22.] DBU, n. 806.

4 [2-6.] Cap. XVI, 202: «La speranza a prenderla in tutta la sua estensione, consiste a riguardarsi come del numero degli eletti, e ad attendere per conseguenza tutti i favori che Iddio sparge sovra di quelli, che appartengono a questo fortunato gregge».



5 [6-9.] Cap. XII, 177.



6 [9-11.] Cap. XV, 202.



7 [11-19.] Appendice, Osservazioni teologiche, 268-269: «Non comprendendo io nella promessa la condizione, senza la quale io non posso esser salvo, ed avendola io da attendere dal mio libero arbitrio, a cui piaccia di far uso della grazia, divido la mia speranza fra Dio e me.... Ecco pertanto la mia speranza indebolita, attesoché non è più fondata sulle promesse assolute, fatte agli eletti, secondo le quali io ho diritto d'attendere da Dio la condizione medesima, che cercasi per acquistare la salute, cioè una grazia, che mi faccia liberamente volere, cooperare e perseverare».



8 [21.] Pag. 94-100: «L'undecima delle Lettere spirituali di M. Bossuet Vescovo di Meaux, pubblicate l'anno 1746, a Parigi» (a Madama di Cornuau, 1688).



9 [22.] Pag. 3-92: «Compendio delle verità della grazia di G. C. secondo la dottrina di S. Tommaso», tratto da A. Touron, Vie de St. Thomas d' Aquin, Liv. IV, Ch. VIII, § II, III.



10 [9.] Matth. 20, 17; Luc. 12, 32.



11 [28-32.] Cap. XIV, 189: «Non si può dire, che la considerazione de' benefici ricevuti abbia una unione sì essenziale colla speranza....; stanteché può avvenire, ed avviene infatti qualche volta, che quelli, i quali hanno ricevuti questi primi vantaggi, sono, per un terribile, ma giusto giudizio di Dio, privati del dono della perseveranza»; pag. 190: «Se non si conoscesse altro motivo della speranza fuor de' benefizi già ricevuti, non si darebbe alla speranza il luogo, che tiene nell'ordine della salute».

12 [15-17.] C. XVI, 209.

13 [7-8.] DBU, n. 1096.




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