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S. Alfonso Maria de Liguori
Delle cerimonie della messa

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CAP. III. Del principio della messa.

 

Il sacerdote, essendo sceso avanti l'ultimo gradino, si volta colla faccia all'altare, ed ivi si ferma al mezzo colle mani giunte avanti del petto, senza toccar la pianeta. Lo che, per farsi con più facilità, i gomiti siano piuttosto vicini al petto che ai fianchi, tenendo le dita giunte e distese, e facendo che un dito tocchi l'altro simile; v.gr. l'indice della destra tocchi l'indice della sinistra, e così degli altri: e posto il pollice destro sopra del sinistro in forma di croce, in maniera che fra le dita non vi resti spazio (lo che dee farsi sempre che si giungono le mani, eccetto dopo la consagrazione, dovendo allora i pollici e gl'indici tenersi uniti insieme, e l'estremità delle dita riguardino più presto la faccia del celebrante che l'altare), fa una profonda riverenza alla croce dell'altare, o la genuflessione se vi è il tabernacolo. Nel farsi la genuflessione dee calarsi il ginocchio accosto del calcagno dell'altro piede. E standosi in piedi, non si tengano i piedi discosti tra di loro, ma uniti.

 

Dopo che si sarà alzato in piedi, si faccia il segno della croce, e, tenendo la sinistra sotto il petto, colla destra si segni dalla fronte al petto, e dalla spalla sinistra alla destra, dicendo a voce chiara: In nomine Patris etc., e dicendo Amen congiungerà le mani.

 

Notisi che la croce dee formarsi con tre dita, e che la destra si tenga distesa, ma le dita tutte unite insieme senza distaccare il pollice dall'indice, e che quando il sacerdote fa il segno sopra di sé, la pianta della mano sia rivoltata verso la faccia; quando poi segna il libro, tenga la pianta verso il libro. Di più, quando forma la croce con una mano sola non dee tenere in aria mai l'altra mano che non opera, ma la terrà o sopra il petto o sopra l'altare o sopra il libro: sopra del petto, quando segna se stesso o benedice gli assistenti o qualche cosa vicina all'altare, come l'incenso: sopra del libro, quando segna il libro: la porrà poi sopra l'altare quando farà il segno della croce sopra qualche cosa che sia sopra o vicina all'altare, come la cenere, le candele, le palme, o il suddiacono dopo l'epistola ec. La mette ancora sopra dell'altare, quando volta le carte del messale, o fa qualche azione con una mano sola mentre sta sull'altare.

 

Se prima che il sacerdote principii la messa si fa l'elevazione del santissimo in qualche altare vicino, mentre accomoda il calice o ritrova la messa, prosiegue a fare ciò che fa, di poi scendendo al piano, s'inginocchia nell'infimo grado; ma principiato il segno della croce, non più riguardi ciò che si fa negli altari, cioè a dire, non dee fare né genuflessioneinchino.

 

Dee poi il celebrante avvertire bene che nel pronunziare ciò che dee dire a voce alta non lo faccia con troppa fretta, aciocché possa fare attenzione a ciò che dice, né con molta pausa, per non esser di tedio a' circostanti, né con voce molto alta, per non disturbare gli altri sacerdoti che celebrano o confessano nella stessa chiesa; ma con una voce grave, uniforme, chiara e distinta, in maniera che possa esser intesa da coloro che non sono lontani dall'altare, e


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muoverli a divozione. Le cose poi che debbono dirsi a voce bassa, basta che si dicano in maniera che si sentano solamente da esso celebrante e non da' circostanti, come parla la rubrica. L'obbligo di variare questa voce induce peccato almeno veniale, contra alcuni pochi, che falsamente credono che simili rubriche non siano precettive; mentre già notammo di sopra, che tutte le rubriche di quelle cose che debbono osservarsi dentro la messa sono precettive, ed obbligano anche a colpa grave, sempre che la materia è grave.

 

Dice l'antifona Introibo ad altare Dei, e 'l salmo Iudica, con una voce intelligibile insino all'orazione Aufer etc. E frattanto il sacerdote si ponga avanti gli occhi della mente il fine a cui dee indirizzare tutte le altre azioni, cioè l'obblazione del sagrificio, di cui non può immaginarsi cosa né più degna né più santa. Il salmo Iudica si lascia nella messa de' morti, e dalla domenica di passione inclusive sino al sabbato santo exclusive. Nelle feste de' santi però che accadono nella settimana di passione, dee dirsi il detto salmo: come pure nelle messe votive, ancorché fossero de passione o de cruce, che si celebrassero nella detta settimana.

 

Al Gloria Patri s'inchina la testa coll'inchinazione semplice chiamata minimarum maxima, come si notò sopra, e così farassi sempre che dovrà dirsi un tal versetto. Dopo ripetuta l'antifona Introibo si fa il segno della croce, dicendo: Adiutorium nostrum in nomine Domini, distribuendo le parole in guisa che quando dice Adiutorium, la mano tocchi la fronte; quando dice nostrum, toccherà il petto; quando dice in nomine, tocchi la spalla sinistra; e quando dice Domini, la spalla destra.

 

Quando dice Confiteor, tiene le mani giunte, come si è detto sopra al cap. II. n. 17., e fa un inchino profondo, cioè tale, che colle mani possa toccare le ginocchia; e sta così sinché termini il Misereatur tui etc., ed allora rispondendo amen, si alzerà. Al Confiteor non si dee aggiungere il nome d'altro santo, ancorché padrone; né quando dice vobis fratres et vos fratres, dee voltarsi verso il serviente. Ma nella messa solenne, quando il celebrante dice vobis fratres et vos fratres, dee voltarsi un poco verso i ministri; osservando lo stesso nel dire il Misereatur: così Gavanto nella rubr. 12.

 

Dicendo mea culpa etc., dee battersi tre volte il petto colle dita tutte unite insieme della destra (abbenché il Merati non riprovi che si battesse colla palma aperta; ma la comune vuole che le dita siano unite), tenendo la sinistra sotto il petto. Si avverte che non si dee battere con molta veemenza. Dopo detto mea maxima culpa, unirà subito le mani.

 

Dopo che il serviente avrà terminato il Confiteor, il celebrante ripiglia Misereatur vestri etc., si segna colla croce, dicendo: Indulgentiam etc., anche distribuendo così le parole; cioè all'Indulgentiam tocchi la fronte, all'absolutionem il petto, al remissionem la spalla sinistra, dicendo peccatorum nostrorum la spalla destra, al tribuat etc. unirà le mani.

 

Dopo ciò il celebrante s'inchina mediocremente colle mani giunte avanti il petto, e dice: Deus, tu conversus etc. Si avverta a non dirsi all'infretta questi versetti, come sogliono fare alcuni sacerdoti e servienti:


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non dee dire l'uno, se non ha terminato l'altro. E se il serviente non sa le parole, dee supplirle il celebrante. E non dee drizzarsi, se non dopo detto Oremus, ma dicendo Oremus, apre le mani e le giunge. Poi drizzatosi, sotto voce dice l'orazione Aufer, e sale all'altare, alzando prima il piede destro, in maniera che sia finita la detta orazione nell'arrivare al mezzo, e perciò nel salire vada adagio.

 




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