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S. Alfonso Maria de Liguori
Delle cerimonie della messa

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CAP. V. Delle orazioni.

 

Terminato il Gloria, o se si lascia, dopo il Kyrie, tenendo le mani distese da una parte all'altra dell'altare fuori del corporale, come si è detto sopra, sino a' polsi esclusivamente, e non le sole dita, bacia l'altare, di poi le unisce avanti del petto cogli occhi bassi a terra, ma non chiusi, in guisa che possa rimirare


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una canna in circa più in dello scabello dell'altare, si volge verso il popolo dal lato che riguarda la pistola, e fermandosi nel mezzo, ivi distende le mani, facendo che una palma riguardi l'altra, e le unisce; le dita si tengano tutte unite e dritte; le mani non si stendano fuori della larghezza delle spalle, e subito dirà con voce intelligibile Dominus vobiscum, senza piegare la testa e senza appoggiarsi all'altare; locché dee osservarsi in tutti i casi simili.

 

Si avverta che chi usa gli occhiali dee levarseli e metterli sopra l'altare fuori del corporale prima di voltarsi al popolo. Se si celebra in qualche altare, dove la faccia sta verso il popolo, non si volta mai il sacerdote; ma dopo baciato l'altare, saluta il popolo colle suddette parole o la benedizione.

 

Dopo che il serviente avrà risposto et cum spiritu tuo, ritorna per la medesima via con passo naturale e grave al messale, dove giunto, distendendo e ricongiungendo le mani, nel medesimo tempo rivolto un poco verso la croce, senza alzare gli occhi, fa un inchino semplice massimo a quella, e con voce intelligibile dice frattanto Oremus, e poi nel medesimo tuono di voce intelligibile prosiegue l'orazione, stando dritto e colle mani distese, in maniera che una palma riguardi l'altra, e che l'estremità delle dita giungano, ma non eccedano l'altezza delle spalle, né la larghezza del corpo, e le dita stiano dritte ed unite insieme; e così dee farsi sempre che le mani si hanno da tener distese avanti del petto. Si avverta che quando colla destra si volta la carta, la sinistra si appoggi al messale.

 

Alla conclusione, per Dominum nostrum, e per eumdem Dominum, si uniscono le mani subito: se termina col qui tecum o col qui vivis, si unicono all'in unitate. Quando l'orazione è diretta a Dio, conclude per Dominum. Se nel mezzo dell'orazione si è nominato il nome di Gesù, conclude per eumdem; se il nome di Gesù sta nominato alla fine, conclude qui tecum; se poi l'orazione è diretta a Gesù Cristo, conclude qui vivis: se poi vi fosse nominato lo Spirito Santo, o fosse diretta al medesimo, nella conclusione dee dirsi in unitate eiusdem Spiritus sancti etc. Sicché nelle prime due conclusioni, al nominare Iesum si rivolge verso la croce con l'inchino massimo, e starà così inchinato sino alla fine dell'orazione. E se si avranno a dire più orazioni, non si dee ritrovare l'altra orazione prima che sia conclusa la prima orazione, come chiaramente parla la rubrica contra Tonnellio: Easque iunctas tenet usque ad finem.

 

Nelle conclusioni qui tecum e qui vivis si uniscono le mani alla parola in unitate, né s'inchina la testa, né si rivolge verso la croce. Se nell'orazione si nomina il nome di Gesù, si fa l'inchino massimo verso la croce: al nome della Vergine si fa l'inchino medio verso del libro: al nome del santo si fa l'inchino minimo anche verso del libro, e quando si nomina il santo di cui si fa la commemorazione. Per commemorazione non s'intende quella dell'orazione A cunctis, poiché solamente al nome di Maria in quella si fa l'inchino. Per commemorazione s'intende, quando si dice la messa di qualche santo, anche se fosse votiva, o sia fra l'ottava di quel santo in cui si fa commemorazione.


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Si dee inchinare al nome del santo di cui si fa commemorazione, ovunque si nomini, o nell'orazione o nella pistola o nel vangelo o nel canone: n'eccettuano però nel titolo della pistola, come e.gr Lectio ep. b. Pauli apostoli: Sequentia s. evangelii secundum Ioannem: in questi luoghi non s'inchina il capo, benché degli stessi santi apostoli si fosse fatta commemorazione nell'officio.

 

Per quante orazioni si dicano, solamente alla prima ed ultima si conclude, e l'invito Oremus si dice solamente nella prima e seconda orazione.

 

Nei quattro tempi o altro giorno in cui vi sono più orazioni con profezie, il sacerdote, dopo detto il Kyrie in mezzo dell'altare, avendo fatto primieramente l'inchino massimo alla croce, ritorna al corno della pistola, ed ivi secondo il solito dice Oremus; indi dice flectamus genua, inginocchiandosi con un solo ginocchio, e tenendo le mani appoggiate sopra l'altare; e subito che il serviente avrà risposto levate, s'alza in piedi e dice l'orazione. Dicendo le profezie terrà le mani o sopra l'altare o sopra del messale.

 

In quanto al numero delle orazioni, dee sapersi che, essendo l'officio doppio, non si potranno né aggiungerelevare orazioni delle prescritte per l'officio. Notisi, che se occorresse qualche festa doppia di seconda classe, per cui del semplice non si è fatta commemorazione nelle prime vespere, ma solo nelle laudi, nella messa solenne si lascia la commemorazione del semplice, e si fa solamente nelle messe private. In quei giorni poi che la rubrica proibisce più orazioni nell'officio, si lasciano tutte le commemorazioni nella messa, come nel giorno delle palme e nella vigilia di pentecoste, ecc.

 

Del resto dichiarò la s.c. de' riti a' 2. dicembre 1684., che non sia precetto di rubrica che sempre siano di numero impari le orazioni ne' semidoppj, semplici e ferie; tuttavolta vogliono i dottori, che non possano essere meno di tre, che è di rubrica, né possano essere più di cinque o sette nelle messe feriali o votive o de' semplici; poiché nelle domeniche e nei semidoppj si debbono dire quattro orazioni, inclusavi la colletta prescritta dal superiore; né fa d'uopo di aggiunger la quinta. Cum in missa de semiduplici non sint necessario dicendae collectae impares, idest tres, quinque vel septem. Se poi fosse ordinata qualche colletta dal superiore, allora o si dice in luogo della terza ad libitum, o si aggiugne come commemorazione de' doppj, semidoppj e domeniche: così dichiarò la s.c. de' riti de' 28. agosto 1627. E questa ordinariamente si lascia nelle feste di prima e di seconda classe. Nelle più insigni chiese di Roma si lascia anche nelle messe private, perché nelle solenni è certo che deesi lasciare, come si lascia anche la commemorazione del semplice, contuttoché di precetto. Notisi che per le orazioni ad libitum non s'intendono che possano dirsi quelle che saranno a grado del celebrante, ma solamente quelle che sono nel messale, come appare dal tit. 7. n. 5. della rubrica.

 

Si avverta per I. in ciò che in presenza del prelato o del clero raunato in coro, nella messa solenne non conviene dirsi l'orazione pro seipso sacerdote, ma quella che è conveniente


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al superiore, o alla congregazione, o a quel che meglio parrà. Per II. non si lascino mai le commemorazioni delle domeniche dell'avvento, quaresima, vigilie e quattro tempi. Per III. la commemorazione de' quattro tempi dee essere la prima dopo l'introito, che è la stessa dell'officio. Per IV. se un'ottava accadesse in qualche domenica privilegiata, allora solamente si fa la commemorazione dell'ottava, e si lascia la terza.

 

Nelle messe votive la seconda orazione è sempre quella dell'officio, e la terza è quella che dovea dirsi in secondo luogo. Quella che dovea dirsi in terzo luogo può lasciarsi, se non è commemorazione particolare fatta nell'officio.

 

Nella messa del santo ch'è titolo dell'altare, di cui non si fa l'officio, ma si dice solamente la messa come votiva nel giorno di tal santo, la seconda orazione sarà quella dell'officio, e la terza sarà quella che concorda coll'officio, e dovrebbe essere in terzo luogo. In questa messa, perché si considera come mista di votiva e festiva; votiva, perché discorda dall'officio, festiva, perché è la festa del santo, si dice il Gloria. Delle messe poi votive solenni vedi la rubrica.

 

Nella messa votiva della b. Vergine si fa la seconda commemorazione dello Spirito santo anche ne' tempi d'avvento, di passione o pasquale. Nelle messe degli apostoli, in vece di A cunctis, per non replicare la commemorazione di s. Pietro e s. Paolo, si dice Concede della Vergine. Nella messa votiva del padrone si tace il nome nell'orazione A cunctis, o si nomina qualche altro santo, secondo la divozione.

 

In quanto all'ordine delle orazioni, quella della domenica precede a quella dell'infra octavam: questa a quella della feria maggiore o vigilia: queste al semplice: la semplice alle comuni, che sarebbero in secondo luogo, e poi passano in terzo: le comuni a quelle che si dicono per divozione: le orazioni votive della ss. Trinità, dello Spirito santo, del ss. Sagramento, e della croce precedono a quelle della Vergine, degli angeli e di s. Gio. Battista: e tutte queste a quelle degli apostoli; si dirà dunque: Cum beato Michaele archangelo, oppure cum beato Ioanne Baptista, atque beatis apostolis tuis Petro et Paulo, et omnibus sanctis. Se si fa la commemorazione de' defunti, si mette sempre nel penultimo luogo.

 

Occorrendo che due orazioni nella messa siano simili, quella che dee dirsi nell'ultimo luogo si dee mutare e pigliarsi dal comune. Se si dee mutare quella della domenica 22. dopo pentecoste o de' 40. martiri nel giovedì dopo le ceneri, si dee pigliare quella della domenica o feria seguente.

 




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