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S. Alfonso Maria de Liguori
Delle cerimonie della messa

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CAP. VIII. Dal canone della messa sino alla consegrazione.

 

Dopo la prefazione, il sacerdote in mezzo dell'altare subito distendendo le mani sino alle spalle, ed alzando gli occhi alla croce, e subito abbassando così le mani, come gli occhi, inchinato profondamente avanti l'altare, poste le mani giunte al solito sopra del medesimo, dirà con voce bassa Te igitur etc. E qui si noti che tutto il canone dee dirsi con voce bassa, eccettuate quelle cose che la rubrica ordina dirsi a voce alta. Gavanto con altri vuole che, non potendo esservi gesti senza parole, nello stesso tempo che si fanno le suddette azioni si dicessero con distendere le mani le sopra dette parole Te igitur: ma Merati poi, in ciò scostandosi dal Gavanto contra il suo solito, giustamente con molti altri chiaramente dimostra, che la rubrica vuole che il canone debba principiare dopo poste le mani sull'altare, e che ciò non possa altrimenti spiegarsi adducendo più azioni senza parole,


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come genuflessioni, elevazioni dell'ostia e del calice ecc.

 

Dopo la parola petimus bacerà l'altare, indi rizzato, congiunge le mani e dice, uti accepta habeas et benedicas, e subito posta la mano sinistra sopra l'altare fuori del corporale, colla destra fa tre croci sopra il calice e l'ostia, dicendo Haec + dona, haec + munera, haec sancta + sacrificia illibata. Come s'abbiano da fare queste croci, vedi nel cap. precedente al n. 13. Di poi colle mani distese, come nella prefazione, prosegue a voce bassa, In primis, quae tibi offerimus. Alle parole Papa nostro N., si nomina il nome del papa vivente, e si fa un inchino semplice minimo verso il messale: ed alle parole Antistite nostro N., si nomina il vescovo del luogo in cui si celebra senza inchino. E se poi il celebrante non sapesse il nome del vescovo, dirà solo Antistite nostro, intendendo mentalmente il vescovo di quel luogo. Se fosse luogo di niuna diocesi, si fa come quando è vacante la sede vescovile, nel qual tempo debbon lasciarsi le parole, Et pro antistite nostro N. Se poi vaca la sede apostolica, si lasciano quelle Pro famulo tuo papa nostro. Se poi la chiesa est nullius, si lascia Pro antistite nostro N., poiché la chiesa di niuna diocesi si rassomiglia alla sede vacante, non avendo vescovo che la regge.

 

Mentre dice Memento etc., alza e congiunge le mani sì che sino alla bocca giungano l'estremità delle dita; e senza abbassarle avanti il petto, ma tenendole congiunte così elevate, colla testa un poco inchinata, sta alquanto in quiete. Gli occhi possono tenersi chiusi per maggior raccoglimento d'animo; ma chi li tenesse bassi si confarebbe alla sentenza degli autori più classici appresso Merati. E gli occhi così dimessi o chiusi si tengono così sino all'Et omnium circumstantium, Le lettere N.N., notate nel canone, servono per esprimere tutti i nomi di coloro per i quali si prega. Anticamente si tenevano delle tabelle dittiche, che aveano due piegature; ed in quelle si notavano tutti i nomi di coloro per li quali s'avea da pregare. Si avverta che per non esser tedioso a' circostanti miglior cosa è di farsi il Memento prima della messa. Stando nella guisa predetta, il celebrante farà menzione di tutti i cristiani vivi, giusta la sua pia volontà. Si noti con Merati, Gavanto e Tonnellio che, essendo questa orazione privata, si possono raccomandare anche gli scomunicati, eretici ed infedeli.

 

Per più comodo del sacerdote, mi piace qui di portare la formola di questo Memento, che descrive il cardinal Bona nel suo trattato de sacrificio missae cap. 4. al §. 6. tit. Directio intentionis ante missam, ove dice: «Et quia hoc sacrificium vim impetratoriam infinitam habet, offero illud pro meis, et omnium viventium ac defunctorum necessitatibus; et primo quidem fructum quem possum et debeo illi principaliter applico, pro quo celebrare intendo, et si forte contingat eum non indigere, vel non esse capacem, opto et volo hunc fructum ad N. derivari, cum applicatione indulgentiarum mihi vel tali defuncto. Secundario autem sine eius praeiudicio, pro quo offerre primario teneor vel intendo, offero pro omnibus mihi peculiariter commendatis, pro N.N. pro tali gratia obtinenda, et pro cunctis viventibus, atque defunctis,


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pro quibus me indignum famulum tuum legatione apud te fungi voluisti, ut defunctis requiem indulgeas, vivisque gratiam concedas tibi serviendi; et in amore tuo usque in finem perseverandi. Amen

 

Al capo 5. poi §. 8. l'istesso autore dice: «Ut omnium recordari possis, pro quibus recordari debes, et orare, postquam dixisti Memento, Domine, famulorum famularumque tuarum. Ut ipsae preces vim habeant efficaciorem, multum proderit cum Christi Domini cruciatibus illas sociare, hunc fere in modum: Primo, pro te ipso orabis per sanguinem pro nobis effusum, ut per illum expieris a peccatis, et eas virtutes obtineas quae tibi maxime sunt necessariae, et finalem perseverantiam. 2. Per latus transfixum ecclesiam commendabis, quae ex eo orta est. 3. Per caput spinis coronatum, summum pontificem, omnesque principes et antistites. 4. Per vulnus dexterae manus, amicos, consanguineos et benefactores. 5. Per vulnus sinistrae, omnes qui te oderunt, vel aliqua molestia aut scandalo affecerunt. 6. Per dexterum pedem transforatum, personas et negotia a superioribus commendata. 7. Per sinistrum, omnes qui sunt in peccato mortali, ut in dexteram partem transferantur. 8. Per flagella, sputa et alapas, ethnicos, haereticos, caeterosque infideles, qui Deum contumeliis afficiunt. 9. Per crucifixionem, religiosos omnium ordinum, ut crucem voluntariae asperitatis libenter ferant. 10. Per sitim, eos omnes qui tuas preces expetunt. 11. Per angorem quem in horto pati voluit, omnes qui in aliqua calamitate, periculo, necessitate, tentatione, aut molestia versantur. 12. Per mortem et sepulturam, iustos omnes, ut cum ipso sepulti semper in iustitia perseverent. Speciatim vero pro illis orabis, quorum te Deus meminisse vult, et tu nescis: pro his quos Deus maxime diligit, licet eorum numerum et nomina ignores: id enim gratissimum illi est etc.»

 

Finita la commemorazione dei vivi, e fatta l'applicazione del frutto speciale, distende e cala le mani avanti il petto, e prosiegue a dire, et omnium circumstantium, sino alle parole per eumdem etc. Dicendo Communicantes, farà un inchino semplice medio al nome di Maria verso il libro, ed un altro semplice massimo al nome di Gesù verso la croce; ed anche al nome del santo di cui si fa la festa, se è nominato nel canone, si fa l'inchino minimo verso il messale.

 

Si noti che nelle ottave che hanno il proprio Communicantes e Hanc igitur oblationem, se occorresse dirsi qualche messa votiva pro re gravi, che avesse la propria prefazione, come se nell'ottava di pasqua occorresse dirsi una messa dello Spirito santo, o della beata Vergine, il Communicantes e l'Hanc igitur debbono essere dell'ottava; così decretò la s.c. de' riti a' 28. d'agosto 1627. Così pure, quando nell'ottava dell'ascensione venisse la festa de' ss. apostoli Filippo e Giacomo, la prefazione sarà degli apostoli, ed il Communicantes dell'ascensione.

 

Dicendo Hanc igitur oblationem etc. distenderà ambedue le mani sopra il calice e sopra l'ostia, in maniera che le palme siano aperte sopra il calice e sopra l'ostia. Faccia che le punte delle dita giungano alla metà della palla, senza però toccarla,


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e che le dita pollici stiano in forma di croce, cioè il destro sopra il sinistro, come dal decreto della s.c. de' riti a' 4. agosto 1663.; e di più che i gomiti non si tengano alzati, ma accolti al busto del corpo verso il petto, e così durerà sino al Per Dominum etc., poiché nel dire questa conclusione ricongiunge le mani e prosiegue, Quam oblationem. Dopo aver detto Quaesumus, il sacerdote mette la mano sinistra sull'altare fuori del corporale, e colla destra farà tre croci comuni al calice ed all'ostia, dicendo: Benedictam(+),

adscriptam(+), ratam(+) etc., nella maniera che si disse al cap. 7. precedente, n. 13. Indi ne farà un'altra sopra l'ostia, dicendo Ut nobis corpus(+); nel qual segno non si abbassa la mano sopra l'ostia, come avverte Merati, imperocché basta che ritiri verso sé alquanto la mano, acciocché la linea trasversale cada sopra l'ostia. Farà poi un'altra croce sopra del calice, dicendo sanguis(+). Queste due croci sull'ostia o sul calice debbono essere più corte delle comuni. Stante che la rubrica dimostra che la croce della parola ratam si dee fare in mezzo alla medesima parola, par che ne nasca un inconveniente, che dovesse aspettarsi un poco per sino che si facesse l'altra sopra l'ostia al corpus, e perciò ne sono nate varie opinioni. Qui solamente dirò l'opinione che a me piace, ed è, che dopo aver fatta la croce al ratam(+), la mano destra si porterà lentamente verso l'ostia, finché al principio della croce da farsi sopra l'ostia siano finite le altre parole seguenti al ratam. Ma se il sacerdote fosse tardo di pronunzia, allora dice Merati con altri, che dovrà poggiare la destra sopra l'altare, poiché è regola ferma in rubrica, che non dee mai una mano star ferma in aria.

 

Fatte le cinque croci nel modo già detto, il sacerdote alzando e congiungendo le mani avanti il petto prosiegue Fiat dilectissimi Filii tui Domini nostri Iesu Christi; ed al Iesu Christi inchina la testa verso la croce, dicendo: Qui pridie quam pateretur, astergerà le dita, cioè i pollici ed indici di ambe le mani nell'estremità del corporale, e non in mezzo, dove si avrà da collocare l'ostia consagrata; ed intanto prenderà coll'indice e pollice della mano destra l'ostia, dicendo: Accepit panem etc. Per prendere l'ostia con più facilità sarà bene coll'indice della sinistra premere l'orlo dell'ostia, e nel mentre dice In sanctas ac venerabiles manus suas, pigliandola ancora col pollice ed indice della sinistra, distenderà ed insieme congiungerà l'altre dita. Avvertirà il celebrante di tener detta ostia eretta, e non giacente, siccome egli medesimo starà col corpo dritto nel mezzo dell'altare.

 

Alle parole Et elevatis oculis in coelum, alzerà gli occhi alla croce, e li terrà alzati, come vuole Bauldrit, per tutte le altre parole Ad te Deum Patrem suum omnipotentem, e poi subito gli abbasserà piegando la testa, mentre dice Tibi gratias agens: e tenendo l'ostia fra i pollici ed indici (come si è detto) alquanto elevata nel mezzo del corporale, colla destra fa una croce sopra l'ostia nel mentre dice Benedixit(+). Se vi fosse la pisside dietro il calice, prima che principii Qui pridie, cioè prima che si asterga le dita sopra il corporale, la ritiri al fianco del calice, e la scuopra. Dopo che avrà


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dette quelle parole Deditque discipulis suis, il sacerdote, appoggiati i gomiti con decenza sopra l'altare, senza toccare il corporale colle mani, e stendendo i piedi accostati ed eguali, stando mediocremente inchinato col capo e cogli omeri, distintamente e con riverenza segretamente (dice la rubrica, profert secreto), senza formar voce, proferendo le parole a fiato, sì che non sia inteso da' circostanti, dirà le parole Hoc est etc. Nel consegrare l'ostia stia attento il sacerdote a non far moto alcuno col capo o colla bocca, né con veemenza proferisca la forma, né troppo accosti l'ostia alla bocca o la bocca all'ostia, ma senza far pausa fra una parola e l'altra pronunzii la consegrazione distintamente.

 

Proferite le parole della consegrazione dell'ostia, il sacerdote, tenendo la medesima ostia consagrata fra gl'indici e pollici, e l'altre dita unite insieme e distese e tenendo le mani strettamente unite, dovrà tirare i gomiti fuori dell'altare, e solamente terrà sopra il medesimo altare le mani dalle giunture nell'estremità del corporale, e poi s'inginocchierà col solo ginocchio destro, senza far inchino colla testa; avvertendo che quando si fa la genuflessione non si dee inchinar la testa, come malamente fanno alcuni. Questa genuflessione dovrà essere con maggior riverenza, e perciò con qualche pausa, e così pure quella del calice. Fatta questa prima adorazione, e tenendo le mani unite colle dita distese, alza l'ostia perpendicolarmente sopra lo stesso luogo del corporale, ed un poco più in alto della testa, sì che i polsi giungano a dirittura degli occhi, senza tirar l'ostia sulla testa, ma sollevandola in modo che possa esser veduta e adorata dal popolo; e tenutala così un poco di tempo, adagiatamente la poserà sopra del corporale nel luogo d'onde l'ha pigliala. E per fare più facilmente ciò, nel calare l'ostia poggerà la punta delle dita sopra del corporale, tre dita in circa lontano dal luogo dove s'ha da poggiare l'ostia; ed avendo così poggiata la sinistra, colla destra prende l'ostia verso la metà, ma nell'orlo, e la ripone nel suo luogo. Collocata l'ostia sopra il corporale, se ivi stesse la pisside colle particole o calice che fosse, si cuoprano, la pisside col proprio coperchio, il calice colla palla, e si ripongano dietro il calice, dove stavano prima, e poi, fatta la genuflessione, si alza ritto in piedi.

 

Di più si avverta per 1., che tanto nell'elevazione dell'ostia, come in quella del calice, non si debbono mai levare gli occhi dalla vista di quelli. Per 2. che dopo la consacrazione sino all'abluzione, sempre che si avrà da fare la genuflessione, o dovrà baciarsi l'altare, dee tenere le mani separate e distese sopra il corporale, e dee tenere i pollici ed indici giunti insieme, e non dee aprirli se non se per toccar l'ostia. Per 3., sempre che si ha da pigliar l'ostia o posarla, le tre ultime dita stiano distese e non si pieghino, acciocché si eviti il pericolo di poter toccar l'ostia coll'altre dita fuori de' pollici ed indici.

 

Per 4. si avverta che fra le parole della consacrazione tanto dell'ostia quanto del calice e le orazioni antecedenti, cioè Qui pridie, et postquam coenatum est. non si debbono frapporre altre orazioni, ancorché mentali e divote; poiché Le Brun1


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difende distesamente, che la consagrazione non si fa per le sole parole del Redentore, ma anche per le precedenti, e specialmente per la precedente preghiera, ut nobis corpus et sanguis fiat. E lo prova col concilio romano sotto Gregorio VII. contra Berengario, ove si disse che il pane e 'l vino si convertono nel corpo e sangue di Gesù Cristo così per le parole del Redentore, come anche per la sagra preghiera: Per mysterium sacrae orationis, et per verba Redemptoris converti in carnem et sanguinem Iesu Christi. E porta per questa sua opinione le approvazioni di venti dottori della Sorbona. Scoto per altro motivo dubita che non si faccia la consagrazione colle sole parole Hoc est corpus meum, mentre dice che non premettendosi le parole Qui pridie quam pateretur etc., non si ad intendere che le parole Hoc est etc. siano quelle che disse Gesù Cristo. L'opinione contraria, che bastino a consagrare le sole parole Hoc est corpus etc. Hic est calix etc., è comune con Tournely, Giovenino, Gonet, Concina, Frassen, Lugo ed altri; e lo provano col decreto di Eugenio IV. nel concilio di Firenze: Forma huius sacramenti sunt verba Salvatoris quibus hoc conficitur sacramentum. Del resto la prima sentenza non pare affatto improbabile; tanto più che la rubrica, nel caso che dovesse ripetersi la forma per causa della materia dubbia, ordina che si cominci dalle parole Qui pridie etc. E perciò non si dee interrompere il senso delle parole antecedenti, e delle parole di Gesù Cristo con frapporre altre orazioni vocali o mentali. Si noti che di in appresso i pollici e gl'indici debbono tenersi sempre uniti sino all'abluzione de' medesimi, che si farà dopo la sunzione del calice, e solo si apriranno quando dovrà prendersi l'ostia.

 

Dopo dunque che il sacerdote avrà elevata l'ostia, farà la genuflessione (la genuflessione si farà col ginocchio destro, calandolo sino a terra ed accostandolo al piede sinistro); indi si alza e scuopre il calice colla destra, tenendo la sinistra o sopra al corporale o al piede del calice, che sarà migliore, e prende la palla fra 'l dito medio e l'indice unito al pollice. Porrà la palla sopra l'estremità del velo piegato, indi pulirà leggermente gl'indici ed i pollici stropicciandoli sopra la bocca del calice per farvi cadere i frammenti se v'è bisogno (e così si farà sempre ch'è stata toccata l'ostia): e stando ritto dice Simili modo etc.

 

Prende il calice colle due mani in questa guisa: le quattro dita, cioè i pollici ed indici uniti stiano tra la coppa e 'l nodo del calice dalla parte anteriore, le altre dita dalla posteriore (iuxta cuppam infra nodum, dice la rubrica); e stando così, alzerà da quattro dita il calice dritto sopra del corporale, dicendo: Accipiens et hunc praeclarum calicem, e subito lo poserà nel medesimo luogo. Alle parole Tibi gratias agens fa un inchino semplice colla testa. Al Benedixit(+), colla destra fa una croce sopra il calice, tenendo colla sinistra il nodo. Indi postosi con ambedue i gomiti appoggiati sull'altare, reggerà il calice colle tre dita della sinistra nel piede, e colla destra terrà il nodo, cioè col pollice ed indice dalla parte anteriore, e colle altre dita dalla posteriore, stando mediocremente inchinato, e tenendo il detto calice dritto


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e non voltato verso la bocca, ma alzato alquanto di sopra il corporale, proferirà attentamente e senza altra interruzione le parole Hic est enim etc.

 

Finite queste parole, rimetterà il calice sopra il corporale, e dicendo sotto voce Haec quotiescumque etc., nello stesso tempo l'adora divotamente inginocchiandosi, e poi alzatosi in piedi, prende colla destra il calice per lo nodo, come si è detto, fra l'indice unito al pollice, dalla parte davanti, e colle tre dita della sinistra sostiene il piede; alza il calice perpendicolarmente, accompagnandolo cogli occhi (senza far girare il calice sulla testa, come sconciamente fanno molti), e l'alzerà tanto quanto gli occhi del celebrante giungono a vedere sotto il piede del calice, acciocché possa vedersi dal popolo, e si fermerà un tantino col calice alzalo, affinché il popolo l'adori, ed indi per la stessa linea lo poserà nello stesso luogo donde l'ha alzato.

 




1 T. 3. a. 17. q. 2. e nella dissert. posta nel t. 4.




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