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S. Alfonso Maria de Liguori
Delle cerimonie della messa

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CAP. XI. Del modo di amministrar la comunione.

 

Quando si son poste le particole sull'altare per le persone che vogliono comunicarsi, il sacerdote, dopo l'assunzione del sangue, e prima della purificazione, cuopra il calice colla palla, metta le particole sulla patena, genufletta, e rivolto alquanto verso il popolo, colle spalle al corno del vangelo, dica l'orazione, Misereatur vestri etc., ancorché sia una persona; e poi tenendo la sinistra sotto del petto, colla destra faccia la croce sovra i comunicandi, dicendo: Indulgentiam, absolutionem ec. Si volga all'altare, genufletta, prenda la patena, ed una di quelle particole coll'indice e pollice della destra, e rivolto in tutto verso il popolo, benché stesse esposto il sagramento, e tenendo l'ostia alquanto elevata, senza toccare colle altre dita la patena, dica tre volte: Ecce agnus Dei etc.; e nel dar la comunione segni la croce colla stessa particola sulla patena verso ciascuno che comunica (il quale dee star genuflesso al gradino più prossimo alla pradella dell'altare), e dica: Corpus Domini nostri Iesu Christi etc. Dipoi rivolto all'altare, purifichi il corporale e ponga i frammenti nel calice, ed assuma la purificazione, come di sovra si è detto.

 

Se poi le particole fossero già consagrate, e stessero nella pisside dentro la custodia, allora il celebrante, assunto il sangue, collochi il calice verso la parte del vangelo, e tenendo i pollici ed indici uniti, apra la custodia, genufletta, cavi fuori la pisside, collocandola in mezzo all'altare, la scuopra, di nuovo genufletta, e si fermi colle mani giunte davanti al petto, finché il ministro termini il Confiteor; indi si volti a dir le orazioni Misereatur, ed Indulgentiam, e dia la comunione come sopra.


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Nel riporre poi la pisside, rivolto che sarà all'altare, la cuopra, e fatta la genuflessione la prenda e la rimetta nel tabernacolo senza baciarla, come sconciamente fanno alcuni; e prima di chiudere il tabernacolo di nuovo genufletta e poi lo chiuda. Merati non però richiede in ciò tre genuflessioni, una di più; mentre vuole che prima di coprirsi la pisside si faccia la prima genuflessione; aperta poi la custodia, prima di prender la pisside, si faccia la seconda; e la terza, prima di chiudere il tabernacolo: e cita in ciò il cerimoniale della messa privata; ma il cerimoniale non vi mette la prima genuflessione richiesta dal Merati, mentre dice: Si remanserint particulae, clausa pyxide, et facta genuflexione, reponit eam in custodiam, et antequam claudat illam denuo genuflectat. Sicché ben comanda la seconda e la terza, ma non la prima avanti di coprir la pisside. Fatta la comunione, non dia la benedizione, giacché questa si darà nel fine della messa: assuma le gocce del sangue rimasto nel calice, e poi prenda la purificazione.

 

Si avvertano qui più cose. Per 1., che restando particole, se nell'altare vi è la pisside, il sacerdote ivi dee riporle; se poi non vi è pisside, le assuma prima di purificare il calice; e quando nel calice vi fossero reliquie del sangue, conviene che si assumano prima della purificazione. Nel caso poi che le particole consegrate dovessero restare sull'altare fino alla fine della messa, allora il sacerdote osservi lo stesso che si osserva quando nell'altare vi è esposto il sagramento.

 

Per II., la comunione del popolo dee farsi, per quanto si può, dentro la messa dopo la comunione del sacerdote; essendo questa l'intenzione della chiesa, come si dice nel rituale romano: Communio autem populi intra missam statim post communionem sacerdotis fieri debet, nisi quandoque ex rationabili causa post missam sit facienda. E se ne assegna la ragione: Cum orationes quae post communionem dicuntur, etiam ad alios communicandos spectent. E lo stesso corre per la comunione prima della messa. Questa ragionevol causa poi sarebbe o l'infermità o l'occupazione necessaria di chi vuole comunicarsi: di più Gavanto dice che può darsi la comunione in fine della messa, se fossero molti i comunicandi, per non dar tedio agli altri che non si comunicano. Del resto, dice Benedetto XIV. nella sua opera del sagrificio della messa1: Essere error manifesto di coloro che indistintamente danno la comunione in fine della messa. Lo stesso dicono Le Brun e Magri2 e lo stesso ordinò s. Carlo Borromeo per la sua diocesi.

 

Per III., quando dee purificarsi la pisside (il che dee farsi almeno ogni quindici giorni), assunto il sangue, il sacerdote cavi fuori la pisside, e ponga tutte le particole sulla patena; indi faccia mettere il vino della prima purificazione nel calice, e coll'indice faccia cadere in quello i frammenti rimasti: e se bisogna, purifichi anche la pisside con un poco di vino, che riverserà nello stesso calice. Asciugata poi la pisside col purificatoio, vi metterà le nuove particole; e riposta la pisside nella custodia, assuma le particole antiche.

 

Per IV. si avverta che nelle messe


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de' morti, per lo decreto della s.c. dell'anno 1741, ben può darsi la comunione, ma è vietato darsi con particole consagrate prima della messa. Né osta quel che dicono Merati e il cardinal Lambertini1, cioè che un tal decreto non fu pubblicato, poiché parlano di un altro decreto fatto nel 1701.; ma come si è detto, vi è il decreto del 41., con cui ciò fu espresso, e tal decreto è stato già pubblicato. Ciò nondimeno s'intende quando dicesi la messa co' paramenti neri, ma non quando co' violacei; il che ben può farsi, secondo il decreto del 1670. a' 21. di giugno presso Merati nell'indice de' decreti n. 444.

 




1 Cap. 6. §. 2.



2 Vocab. eccl. verb. Communio.

1 De s. miss. sect. 2. c. 6.




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