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S. Alfonso Maria de Liguori
Delle cerimonie della messa

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PARTE SECONDA- DELLA RIVERENZA, APPARECCHIO, E RINGRAZIAMENTO, CHE DEBBONO USARSI DA' SACERDOTI PER RITRARRE PROFITTO NEL CELEBRAR LA MESSA

 

§ 1 Della riverenza con cui dee celebrarsi la messa.

 

Tutto quel gran bene che recò al mondo la passione di Gesù Cristo, tutto glie l'apporta ancora, come insegna s. Tommaso l'Angelico2 ogni messa che si celebra: Quicquid est effectus dominicae passionis, est effectus huius sacrificii. E ci assicura di ciò anche la s. chiesa: Quoties huius hostiae commemoratio recolitur, toties opus nostrae redemptionis exercetur3. Poiché lo stesso nostro Salvatore, come dice il concilio di Trento4, il quale si sagrificò per la nostra salute nella croce, è quegli che per mezzo del sacerdote si sagrifica sull'altare: Una enim eademque est hostia, idem nunc offerens sacerdotis ministerio, qui seipsum in cruce obtulit, sola ratione offerendi diversa. Onde, siccome la passione del Redentore bastò a salvare tutto il mondo, così basta a salvarlo una sola messa; ed è perciò che il sacerdote nell'oblazione


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del calice dice: Offerimus tibi, Domine, calicem salutaris, tuam deprecantes clementiam, ut in conspectu divinae maiestatis tuae pro nostra et totius mundi salute cum odore suavitatis ascendat.

 

Per mezzo del sacrificio della croce il Signore ci ottenne tutte le grazie della redenzione; ma pel sacrificio dell'altare si applica a noi il frutto della croce. La passione ci rendé capaci de' meriti di Gesù Cristo; ma la messa ce ne mette in possesso, e ci applica i frutti della passione, come parla il concilio di Trento: Missa habet proprium vi suae institutionis fructus passionis nobis applicare1.

 

Bisogna dunque persuadersi che la messa è l'azione più grande, più sagrosanta, che da noi può esercitarsi in terra, ed è la più utile per lo nostro bene spirituale; ma siccome ella è l'azione più sagrosanta, così anche è quella che da noi dee adoperarsi colla maggior purità interna e maggior divozione esterna che sia possibile, come avverte lo stesso concilio di Trento: Satis etiam apparet omnem operam in eo ponendam esse, ut quanta maxima fieri potest interiori cordis munditia, atque exteriori devotionis ac pietatis specie, peragatur2.

 

Quindi si argomenti il gran castigo che meritano quei sacerdoti che celebrano la messa con grave irriverenza. Di questa grave irriverenza sono rei appunto quelli che celebrano con molta fretta, come sarebbe se compissero la messa nello spazio minore di un quarto d'ora; il che non può scusarsi da peccato mortale, secondo parlano i dottori, ancorché la messa fosse breve, de' morti o della Madonna.

 

Scrisse il cardinal Lambertini3 con Clericato, Roncaglia, Bisso, Gobato, Quarti, ed altri comunemente, che la messa dee essere non più lunga di mezz'ora, e non più breve di un terzo d'ora, perché in tempo più breve non possono farsi tutte le cose prescritte colla dovuta riverenza: ed in tempo più lungo non potrà evitarsi il tedio degli assistenti alla messa. Perciò scrivono saggiamente Roncaglia, Quarti, Pasqualigo e Gobato, che chi celebra infra quadrantem, viene a dire in meno d'un quarto d'ora, non può essere scusato da colpa grave. La ragione è, perché tutte le rubriche ordinate dentro la messa son certamente precettive, come abbiam provato nella nostra teologia morale, mentre s. Pio V. nella sua bolla inserita nello stesso messale, precetta che si dica la messa iuxta ritum, modum et normam in missali praescriptam, in virtute sanctae obedientiae. Posto ciò, in ogni cerimonia che si lascia o non si fa come si dee, almeno si commette colpa veniale: e dicono giustamente il p. Concina, Wigandt, Roncaglia e Lacroix, che se uno mancasse in tali cerimonie in quantità notabile, ancorché elle non fossero delle più gravi, tal mancanza può giungere a peccato mortale.

 

Quindi diciamo colla sentenza comune de' dottori nominati di sopra, che pecca gravemente chi tra lo spazio minore d'un quarto d'ora compisce la messa; perché in tanto breve spazio il celebrante non può finir la messa senza due gravi disordini; l'uno di grave irriverenza a rispetto del sagrificio, l'altro di grave scandalo


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a rispetto del popolo. In quanto alla irriverenza verso del sagrificio, certamente la maledizione fulminata da Dio per Geremia1 come parla il Tridentino2 contra coloro che negligentemente esercitano le funzioni ordinate al culto divino, s'intende precisamente proferita contra i sacerdoti che celebrano senza la dovuta riverenza. Chi celebra la messa tra lo spazio minore d'un quarto d'ora non può non commettervi molti difetti, mutilando le parole, o complicandole colle cerimonie, anticipandole o posponendole contra l'ordine prescritto dalla rubrica, o pure facendo sconciamente per la fretta le benedizioni o le genuflessioni; le quali mancanze, benché ciascuna sia leggiera, nondimeno unite insieme fanno che la messa non si celebri senza grave irriverenza.

 

Parlando poi in secondo luogo dello scandalo che si cagiona nel popolo, dee considerarsi quel che scrive il concilio di Trento3, che le sagre cerimonie, e specialmente quelle della messa, sono instituite per ingerire nel popolo venerazione e concetto del sacrosanto sacrificio della messa. Queste cerimonie son derise e disprezzate dagli eretici: ma Iddio vuole che elle sieno esattamente osservate. Nell'antica legge il Signore minacciò che sarebbero venute tutte le maledizioni sovra colui che trascurava di custodire le cerimonie prescritte ne' sagrificj; ma quei sagrificj non erano se non ombra e figura del sagrificio dell'altare; or quanto più castigherà coloro che tengon poco conto delle cerimonie della messa? Dicea s. Teresa: Io darei la vita per una sola cerimonia della chiesa.

 

E perché tanto conto delle cerimonie? la ragione già l'abbiamo accennata di sopra. Dice il concilio di Trento che le cerimonie sono istituite dalla chiesa, affinché per tali segni esterni comprendano i fedeli la maestà del sagrificio dell'altare e l'altezza de' misterj, che in quello si rappresentano: Ecclesia caeremonias adhibuit, ut maiestas tanti sacrificii commendaretur, et mentes fidelium per haec visibilia religionis signa ad rerum altissimarum, quae in hoc sacrificio latent, contemplationem excitarentur. Quando nonperò queste cerimonie della messa si affasciano in fretta, siccome bisogna affasciarle in un tempocorto, qual è lo spazio minore d'un quarto d'ora, allora non solamente esse non ispirano venerazione alla messa, ma in oltre son cagione che il popolo faccia poco concetto d'un tanto sacrificio; e ciò non può essere scusato da colpa grave per il grave scandalo che il sacerdote cagiona nel popolo, giacché in vece d'indurlo ad una gran venerazione verso del sagrificio, glie la fa perdere con fargli vedere il disprezzo ch'egli ne fa. Il concilio Turonese nell'anno 1583. ordinò che i sacerdoti fossero appieno istruiti nelle cerimonie delle messa; udiamo il perché: Ne populum sibi commissum a devotione potius revocent, quam ad sacrorum mysteriorum venerationem invitent.

 

E perciò lo stesso concilio di Trento ha ordinato a' vescovi4 con precetto rigoroso che proibiscano a' sacerdoti il celebrare con irriverenza: la quale dice il concilio che appena può essere scusata dall'empietà;


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ecco le sue parole: Decernit sancta synodus, ut ordinarii locorum ea omnia prohibere sedulo curent ac teneantur, quae irreverentiam (quae ab impietate vix seiuncta esse potest) inducit. Si noti curent ac teneantur: ond'è che i vescovi son tenuti sotto obbligo grave ad invigilare e ad informarsi del come si celebrino le messe nelle loro diocesi; e debbon sospendere dal celebrare coloro che le dicono senza la dovuta riverenza. Ed in ciò dal concilio i vescovi son destinati delegati apostolici, anche a rispetto de' religiosi esenti, sicché ben possono e debbono correggerli; e se quelli sieguono a mancare, possono loro vietare la celebrazione, ed ancora costringerli colle censure ed altre pene alla dovuta osservanza.

 

È certo che una messa celebrata con divozione infonde divozione anche agli altri; all'incontro una messa detta con fretta e senza gravità fa perdere la divozione a chi la sente; e quel ch'è peggio, diminuisce la venerazione verso il santo sagrificio dell'altare, ed insieme raffredda la fede verso un tanto misterio. Ed in verità, come mai un sacerdote che la celebra senza divozione e con poco rispetto, affrettando e mutilando le cerimonie, le genuflessioni, le croci, le alzate di mano, i baci dell'altare e simili, o complicandole insieme colle parole, ed affrettando le parole in modo che molte restano dimezzate, può ispirare agli assistenti che l'osservano sentimenti di divozione e di rispetto? Piace per lo più a' secolari lo sbrigarsi presto dall'obbligo di udir la messa, ma essi stessi, dopo aver sentite queste sorta di messe affrettate, restano scandalizzati de' sacerdoti che le hanno dette.

 

Ma si scusa taluno: Io non manco né alle parole né alle cerimonie; le proferisco e le fo tutte. Ma adagio; bisogna intendere che nella messa non solo debbono proferirsi tutte le parole, e farsi tutte le cerimonie prescritte dalla rubrica; e non solo le più, ma anche le meno essenziali, perché tutte conducono a dimostrare la dignità del sagrificio; e perciò la chiesa vuole che tutte le cerimonie che si adoperano dentro la messa sieno precettive e di obbligo, come abbiam provato di sovra; ma bisogna far tutto colla gravità conveniente ad un'azione così sagrosanta. Non basta dunque dir la messa proferendo tutte le parole e facendo tutte le cerimonie; ma bisogna dirla colla dovuta gravità e posatezza, che ingerisca agli altri venerazione verso il sacrificio; altrimenti, quando tutto si fa con molta fretta, elle cagionano più presto disprezzo che concetto di un tanto sagrificio. Quindi ne nasce che, benché il sacerdote in sì breve tempo minore d'un quarto d'ora dicesse tutte le parole e facesse tutte le cerimonie, neppure sarà scusato da colpa grave, perché neppure un tal sacerdote può essere scusato da grave irriverenza, dicendo la messa senza la dovuta gravità.

 

La prima causa di celebrare i sacerdoti con tanta irriverenza è perché si va all'altare senza pensare a quello che si va a fare: si va o per quel misero stipendio o per qualche altro rispetto umano. Quindi, prima di celebrare è conveniente, anzi necessario, l'apparecchiarsi, con far mezz'ora o almeno un quarto d'ora (il che per altro è troppo poco), di orazione mentale; e questa ben sarebbe che la facesse meditando la


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sagra passione di Gesù Cristo, giacché il sacerdote va a rinnovare sull'altare il sagrificio della croce. Pertanto ho qui poste le seguenti considerazioni con altri atti divoti, affinché almeno ogni volta legga una di queste considerazioni prima di celebrare. Ho soggiunti in oltre alcuni affetti e preghiere in fine, che possono servire per il ringraziamento dopo la messa; avvertendosi, che gli atti buoni fatti dopo la comunione, come scrivono gli autori, hanno molto maggior valore e merito appresso Dio che fatti in altro tempo, poiché allora l'anima sta unita con Gesù Cristo.

 




2 In Ephes. 6



3 Orat. Dom. post pent.



4 Sess. 22. c. 2

1 Sess. 22. c. 1. et 2.



2 Sess. 22. decr. de observ. in cel. etc.



3 Notif. 34. n. 30.

1 Cap. 48.



2 Cit. dec. de observ. in cel. M.



3 Sess. 22. c. 5. de reform.



4 In cit. decr. de observ. etc.




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