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S. Alfonso Maria de Liguori
Dissertazioni teologiche-morali

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Introduzione da Th. ReyMermet C. Ss. R.

Il 12 febbraio 1776 S. Alfonso scriveva a Remondini:

" Ora sto ritirato, , e non posso star ozioso, onde ho principiato un'opera più grande, cioè del giudizio particolare ed universale, del purgatorio, dell'anticristo, della risurrezione, de' segni della fine del mondo, della venuta di Gesù Cristo giudice, dello stato de' dannati e de' beati dopo il giudizio, e dello stato del mondo dopo finito il giudizio.

L'Opera è grande, ed io sto attratto, buttato sovra d'una sedia mi bisogna leggere mille libri, perché l'opera è tutta di teologia e di Scritture. Ma tutto viene in lingua volgare, eccettuate le autorità delle Scritture e de' Padri. Ho belli libri per le mani; ma vi bisogna tempo e salute, ed io sto aspettando la morte da giorno in giorno...

L'opera.. non verrà più che di due o tre tomi in-12°, perché io succingo le cose e son nemico di lungherie, le quali poi tediano e non si leggono; e secondo l'uso moderno, ora tutti vogliono libri succinti e sostanziosi, come spero che venga quest'opera mia secondo le dissertazioni che già ho stese, dove in breve si legge molto e con chiarezza: la quale chiarezza nelle opere mie sento che da tutti sia lodata.

Altro però io non pretendo che sia lodato Dio. E questa opera la fo per bene delle anime, perché contiene tutte cose che ci fanno avere avanti gli occhi la nostra fine di eterno gaudio o di eterna rovina ".

In realtà queste nove Dissertazioni teologiche morali, appartenenti alla vita eterna formarono un volume di 250 pagine: il trattato sull'escatologia che mancava alla dogmatica di Alfonso.

Causò un incidente significativo, oggi incredibile, tra l'autore e il suo revisore ecclesiastico, il canonico Salvatore Ruggieri, riguardo ai bambini morti senza battesimo: avrebbero dovuto subire la pena del senso e la pena del danno, cioè la sofferenza cosciente della privazione eterna di Dio? Alfonso espresse il suo parere citando san Tommaso: era da escludere sia l'una che l'altra; poi, con totale oggettività, aggiunse: "S. Agostino fortemente sostiene tutto l'opposto " e dietro di lui Gregorio Magno, Prudente di Troyes, Isidoro, Fulgenzio, Alberto Magno e, tra i moderni, Lorenzo Berti, il cardinale Enrico Noris, Fiorenzo Conry e molti altri (3).

Il canonico Ruggieri, dall'alto del suo giansenismo, sentenziò papale papale che " la sentenza di san Tommaso non poteva passare " e che Mons. de Liguori doveva schierarsi con Agostino. Alfonso però, malgrado l'opinione corrente, proclamata ancora nel 1774 dal magistero di Pio VI, rifiutò che si correggesse il suo testo, perché vi era implicato a suo parere il vero volto di un Dio buono e giusto.

Alfonso fa vibrare tutta la sua indignazione in questa insistenza del 15 luglio 1776 presso il canonico Simioli: "Io le ho scritto tre volte per quella dottrina di S. Tommaso, che mi contrasta il revisore e dice che non può passare.

Torno a dire che io non voglio aggiustarmi e dipendere da esso: voglio dipendere dall'arcivescovo, e farò quel che l'arcivescovo mi comanderà...

Ho saputo che questa dottrina di S. Tommaso si legge pubblicamente nel collegio di S. Tommaso in Napoli; ma il Sig. revisore dice che non può passare. Basta: io farò quello che mi ricorda l'arcivescovo. Se sapevo, più presto forse avrei lasciato di stampare il libro che darlo a rivedere a questo revisore, oppure impugnar S. Tommaso: una cosa che ha fatto stordire i Domenicani . Bello spirito: La sentenza di S . Tommaso non può passare! Chi lo dice? La santa Chiesa? La santa Chiesa no, perché la Chiesa venera le dottrine di S. Tommaso. Intanto prego V. S. Ill.ma di sciogliermi da quel che voleva aggiustare esso revisore, mentr'io voglio dipendere solo dall'arcivescovo.

Mi dispiace quanto tempo ci ho perduto. Il memoriale del libro gia e uscito dal palazzo; ora aspetto che cosa vuol fare l'arcivescovo: se vuole darmi altro revisore, se vuol passare la dottrina di S. Tommaso o non la vuole passare. Io farò quel che mi dice. Pazienza!".

Poi, il 22 luglio, Alfonso se la prendeva con lo stesso revisore: "Veniamo alla questione de' bambini. Io avevo scritto: S. Agostino sostiene fortemente l'opposito; V. S. Ill.ma ha mutato: fondatamente lo dimostra... ma il voler farmi dire che S. Agostino dimostra l'opposto è volermi fare impugnare S. Tommaso e dire che la sentenza di S. Tommaso evidentemente è falsa, e per conseguenza è volermi far dire una tonda bugia, con un dire un sentimento contrario a quello che sento: ed io son pronto prima a perdere la testa che dire una bugia. Pertanto ho pregato Benedetto Cervone di ottenere la moderazione di quella proposizione: fondatamente lo dimostra. Si può dire: S. Agostino tiene per certo, sostiene per ineluttabile ecc. La prego a non volermi obbligare a dire una bugia. Come posso dire che S. Agostino lo dimostra, quando io non posso arrivare a persuadermi che S. Tommaso tenga una sentenza falsa? La prego, la supplico a non tenermi più angustiato. Si accostano due mesi che patisco quest'angustia; la prego almeno che mi faccia questa carità ".

Don Cervone, censore regio, riuscì a non far toccare il testo di Alfonso e poco dopo, nominato vescovo di Aquila, ricevette dal vecchio scrittore queste parole: " V. S. Illustrissima è passata a stato di non poter essere più Revisore delle mie Opere giusto quando io son passato all'inabilità di poter più stampare ". Dei resto in questo inizio del 1777 confidava al P. De Paola: "Io mi sento sì malamente che non posso né scrivere né leggere: un dolore di capo continuo. Ho lasciato ogni sorta di applicazione ".

Le Dissertazioni teologiche morali appartenenti alla vita eterna saranno infatti l'ultimo libro dell'infaticabile scrittore, anche se il suo zelo e il suo coraggio gli ispireranno ancora qualcuno di quei " trattatelli " (una dozzina dopo il suo ritorno a Pagani), stampati con e tra i lavori di lungo respiro.

 

Cf. Th. ReyMermet,

Il Santo del secolo dei lumi

Città Nuova 1982, pp. 780-781

 

 

 

 




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